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giovedì 4 settembre 2014

Cucina, poche donne alla guida dei migliori ristoranti. “Meno brave nelle pr” di Claudia Rossi


A guardare tra “I 50 migliori ristoranti del mondo” scelti dalla rivista Restaurant per trovare la prima 'executive' occorre arrivare al 36esimo posto. Perché? "Una vera carriera di alto livello in questo settore è diventata plausibile solo da pochi anni", afferma Antonia Klugmann del Vanissa. "Non siamo così sfacciate nel riuscire ad avere sponsor", dice Cristina Bowerman
“A casa la donna ha sempre cucinato ma una vera carriera nella ristorazione di alto livello è diventata plausibile solo da pochi anni, esattamente come in tutti i lavori che comportano, oltre alla fatica fisica, un impegno quotidiano molto intenso. Dal mio punto di vista bisogna solo avere un po’ di pazienza per costruirci le stesse opportunità e intraprendere lo stesso percorso degli uomini. Siamo partite un po’ più tardi, occorre semplicemente aspettare”. A parlare così è Antonia Klugmann, trentacinquenne friulana e chef del ristorante stellato Vanissa: le donne hanno solo bisogno di tempo per raggiungere i vertici delle cucine importanti, cosa che adesso accade raramente.
A guardare tra “I 50 migliori ristoranti del mondo” scelti dalla rivista Restaurant, ad esempio, per trovare la prima chef executive donna occorre arrivare al trentaseiesimo posto (Elena Arzak Espina, che si trova in ottova posizione, divide la cucina con suo padre, lo chef Juan Mari Arzak). Lei è Helena Rizzo, vincitrice del premio “Vueve Cliquot best female chef 2014”. Padre italiano, ex modella, la trentacinquenne Rizzo ha studiato architettura prima di dedicarsi alla cucina. Ma qual è il motivo di questa egemonia al maschile nelle cucine più blasonate del mondo?
“Le donne non sono così sfacciate nel riuscire ad avere sponsor o compagnie che credano in loro. C’è una certa incapacità, dovuta semplicemente all’inesperienza, nel muoversi nei meandri di questo genere di classifiche e nel sapersi mettere in evidenza in determinati ambienti”. Così la pensa Cristina Bowerman, del ristorante Glass Hostaria a Roma, una delle chef più apprezzate del momento. Premiata a Identità Golose 2013, una stella Michelin, Cristina, raggiunta telefonicamente da Ilfattoquotidiano.it, continua: “Non c’è nessuna valutazione sul merito della classifica, non è il mio mestiere stabilire se i ristoranti scelti siano lì per buona promozione o effettivo valore e anzi, credo che siano tutti fantastici. Ma è vero che noi donne siamo meno brave nelle pubbliche relazioni”. E quanto al pensiero diffuso sulla difficoltà di conciliare carriera e famiglia Cristina, mamma, imprenditrice e cuoca, afferma: “E’ un luogo comune. Adesso siamo in rapporto uno a venti ma le donne determinate a seguire la carriera del grande chef ci sono e sono sempre di più”.
Chef ai massimi livelli, come Nadia Santini del ristorante tre stelle Michelin “Dal Pescatore”, a Canneto sull’Oglio, che ha appena ceduto la corona di migliore chef donna alla Rizzo. Quella di Santini (chef autodidatta dal 1974 del ristorante tre stelle Michelin “Dal Pescatore”, a Canneto sull’Oglio) è una storia di famiglia: ha imparato a cucinare dalla nonna del marito e adesso insegna al figlio quella che, prima di essere un mestiere, è una tradizione. Una generazione diversa, anni in cui la linea ereditaria era una base necessaria per intraprendere una carriera nella ristorazione. Oggi, invece, le giovani che diventano chef per scelta sono in aumento, soprattutto in Italia: la metà delle cuoche stellate della via Michelin sono italiane e molte di loro sono cuoche per “vocazione”, non per tradizione di famiglia.
E cosa ne pensa uno dei più famosi chef stellati sulla scarsa presenza femminile nelle cucine importanti? Claudio Sadler, dell’omonio ristorante milanese, ha un’opinione lontana da quella della Bowerman: “Sicuramente non c’è alcuna discriminazione: le donne sono in minoranza perché si tratta di un lavoro molto duro e sacrificante. Chi sceglie di fare questo mestiere, che sia uomo o donna, deve mettere in conto di avere poco tempo da dedicare alla famiglia”.

Vicina al parere di Sadler è la chef stellata Iside De Cesare, del ristorante La Parolina, a Viterbo: “Il mio è un caso atipico perché nel ristorante, a dividere la cucina e l’impegno, siamo io e mio marito. In generale, se vogliamo aiutare le giovani donne a diventare chef di successo è necessario farle diventare “capo partita” nei tempi giusti, il che vuol formarle come “sous–chef” entro i trenta o trentacinque anni, che spesso è il momento in cui una donna decide di avere una famiglia e dei figli. Così – chiude De Cesare – avremo una nuova generazione al femminile di chef importanti”.

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