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martedì 15 gennaio 2019

Quante torte in faccia alle donne che lavorano... Ma una via di fuga c’è di Daniela Poggio

Ho letto la lettera affidata al Corriere della Sera La 27Ora da Anna, la mamma che giustamente rivendica il suo diritto a “non fare le torte” in seguito alla poco felice risposta della maestra “Ognuno ha le sue priorità”, e mi ha colpito il modo in cui questa storia ha incrociato il mio passato e il mio presente. Oggi il Corriere pubblica un ampio pezzo sul tema con interventi importanti sia sul caring familiare e l’esigenza di rendere i figli indipendenti, sia sul difficile - anzi impossibile - equilibrio per una donna tra cura della famiglia e lavoro. Ho deciso di condividere alcune riflessioni perché gli ultimi anni della mia vita sono stati davvero un vero “de profundis”.

Da manager che siede in comitati esecutivi da quando ha 34 anni so bene cosa voglia dire delegare o abdicare ad alcuni aspetti della cura familiare. Ho avuto la mia prima figlia a 33 anni e insieme il mio primo incarico come direttore comunicazione di una multinazionale. A 36 anni, insieme al secondo figlio, è arrivato un nuovo incarico, più importante. Mi sentivo (e sono) una donna fortunata. Grazie a genitori giovani e disponibili, una famiglia stabile e il fatto di potermi permettere una tata, ho potuto tenere insieme tutti i pezzi di me, le mie identità: madre, manager, figlia, moglie. Le ho citate nell’ordine in cui le ho vissute e per il quale ad un certo punto ho pagato un prezzo molto alto. Anche con una malattia. Girata la boa dei 40 anni mi sono separata, uno scenario che mai avrei pensato avrebbe caratterizzato la mia vita, e ho dovuto fare i conti con un senso di colpa di gran lunga più profondo di quello di non aver fatto una torta, o di aver saltato una riunione a scuola, o il saggio finale di judo di mio figlio (tutte cose che mi sono capitate!).

Con due bimbi di 5 e 8 anni ho dovuto ridisegnare me stessa, sapendo che questo avrebbe avuto un impatto anche sulla loro vita. E naturalmente sul loro papà. Ne avevo il diritto?

Il mio matrimonio è stato celebrato da Don Gino Rigoldi, che durante la predica parlò anche della importanza per un coppia di restare tale. Disse esplicitamente che una coppia non deve mai smettere di fare l’amore. Un prete parlava esplicitamente di sesso! L’ultima volta che l’ho incontrato, con gli occhi un po’ bassi, gli ho detto che anche se allora mi sembrava di aver capito, in realtà forse non avevo capito proprio bene.

L’equilibrio non è più un atto eroico o di presunzione, ma una esigenza della mia nuova famiglia
Sull’altare del lavoro e del caring familiare, e del “posso farcela a fare tutto”, ho fallito come custode e guardiana della famiglia, ma soprattutto come custode della coppia. Oggi so che non dobbiamo sottovalutare la nostra tenuta emotiva e psicologica, soprattutto quando esposte a pressioni importanti. Negli ultimi due anni della mia vita non ho modificato le mie priorità, ma ho modificato profondamente me stessa.

L’equilibrio non è più un atto eroico o di presunzione, ma una esigenza della mia nuova famiglia, che richiede più amore di prima. Resto un’appassionata manager, ho allargato lo spettro delle mie iniziative, scrivo finalmente, insegno ai giovani all’Università. E mi sono progressivamente riappropriata di alcuni aspetti della mia femminilità che consideravo perduti. Ad esempio, nella casa a Parigi dove vivo con il mio nuovo compagno quando il tempo ce lo concede, ho riscoperto il piacere di fare le famose torte. Ho scoperto che sono brava, molto brava a cucinare il risotto, i gnocchi e le lasagne. Amo svegliarmi e occuparmi della pulizia e dei piccoli lavori domestici, continuo a non stirare bene ma lo faccio con allegria. Detesto lavare i piatti e amo detestarlo. Ho scoperto l’amore per gli animali e ho due gatti. E da quest’anno sono rappresentate di classe nella scuola di mia figlia. E... vi assicuro che anche le maestre hanno le loro priorità! E guai a toccarle! Gestire i genitori è la cosa più complicata del mondo ma mi ha reso felice, soprattutto coinvolgere famiglie che erano più lontane anche a cause delle barriere culturali. Sono quelle che mi hanno dato la più grande soddisfazione. Tutto questo sta facendo bene a me. Questo equilibrio nel mio femminile sta curando le mie ferite, e mi sta aiutando a sentirmi più completa.

Penso che non dobbiamo creare eroi o eroine né in senso né nell’altro. Ma dobbiamo lavorare a una società che consenta a ogni donna di riconciliare il caring familiare con la necessità di lavorare (il 33% della donne lascia il lavoro dopo il primo figlio) o con il legittimo desiderio di emancipazione e realizzazione professionale (in Italia l’occupazione femminile è intorno al 48%). Insomma una donna deve poter decidere se vuole fare le torte o no. Per se stessa, non per gli altri.

In un Paese moderno questo significa lavorare a politiche che riducano il pay gap, che supportino le donne nel loro ruolo di care giver sia verso i figli sia, quando viene il momento, verso i genitori anziani, attraverso una radicale revisione del sistema di agevolazioni fiscali. Dobbiamo lavorare con le scuola alla differenza di genere, alla educazione degli insegnamenti, alla bi-genitorialità, intesa come reciproco riconoscimento di doveri, e non di diritti come in Italia si vorrebbe far passare in uno dei peggiori disegni di legge degli ultimi decenni in discussione in questi mesi. Dobbiamo stringerci intorno alle giovani donne. Passare loro il testimone delle nostre conquiste ma anche dei nostri fallimenti. Dobbiamo far vivere la sorellanza. Anche per questo e con questo in mente oggi sono con altre donne fantastiche alla Camera dei Deputati per parlare di cosa concretamente possiamo fare per arrivare ad una prima parità di genere, dove ogni genere porti le sue specificità e i suoi tratti distintivi.
https://27esimaora.corriere.it/19_gennaio_14/quante-torte-faccia-donne-che-lavorano-ma-via-fuga-c-e-c19c6a88-1806-11e9-bb76-cdaf0ebcabd2.shtml?fbclid=IwAR37jITLawd1oKFyHtJEyOGX9L_tDTsKVLrL8HmHVG3rs1LCU3jhclrcpPU

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