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sabato 8 marzo 2025

8 marzo 2025 Giornata internazionale della donna

 Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo”

                       Salvatore Quasimodo


Abbiamo pensato che forza, arroganza, sopraffazione, fossero alle spalle dell'Occidente

moderno, invece sono ritornate.   Sono fra noi.

E' arrivata la nuova stagione delle guerre fra Stati, Istituzioni, gruppi sociali e politici

combattute con moderne armi e nuove parole.

Nuovi dei, nuovi eroi legittimano il valore dell'insulto, dell'umiliazione, scatenano “moderni

combattimenti” in tempo reale, sbraitano in diretta televisiva mondiale e nella rete, diventata

ricettacolo della violenza e della miseria.

E' l'effetto dell'ostentazione sfacciata della “mascolinità tossica”, dei “comportamenti

aggressivi”, dell'ideologia della forza e dell'esibizione di muscoli che diffondendosi come

virus rischiano di infettare il tessuto democratico del mondo.


Avviene poi a tutte le latitudini ed anche vicino a noi l'esibizione dell'antica arte di una

misoginia mai sopita quando delle donne si pensa e si dice con aggressività che le loro

carriere lavorative, i loro ruoli sociali e politici siano da attribuirsi all'appartenenza di genere

e non alle loro competenze e capacità. Un vizio antico che resiste in alcune aree sociali e

culturali.


In questo clima di turbolenza generato da aggressività e violenza arriva l'8 marzo.


E noi donne che abbiamo vissuto un momento storico in cui valori come Pace, Ragione,

Giustizia, Libertà, Diritti sono stati fondamenti della nostra identità sociale non vogliamo

tornare indietro.

Dobbiamo [donne e uomini orgoglios* della cultura del rispetto] riflettere, attivare energie,

sommare azioni positive per proteggere le Istituzioni, la Democrazia e l'Umanità intera.


giovedì 6 marzo 2025

le iniziative legate all'8 marzo Giornata internazionale della donna.



Venerdì 7 marzo alle ore 21 si potrà assistere alla Commedia brillante a cura dell' Amministrazione comunale

"BENTORNATA FRANCESCA"

 di e con Valentina Ferrari,un omaggio alle donne emancipate e controcorrente.

 Sabato 22 marzo alle ore 18 ci sarà l'inaugurazione della mostra "Donna Faber", ovvero come scardinare gli stereotipi legati alla scelta del lavoro, a cura di ventunesimodonna in collaborazione con l'A.C.

Saranno presenti Emanuela Abbatecola e Federico Montaldo, autrice e curatore della mostra.Seguirà rinfresco

 Venerdì 7 al cinema Cristallo sarà proiettato il film " Amore a Mumbai" cineforum organizzato in collaborazione con le associazioni Sibilla Aleramo di Cesano Boscone e Demetra Donne di Assago.

 

 

mercoledì 12 febbraio 2025

Uomini che ammazzano le "loro" donne. Donne e uomini detenuti, 4 su 100. Femminismi. di Adriano Sofri

A Rufina, Firenze, e a Venaria, Torino, i titoli, staccati di nemmeno un giorno, sono così simili da far pensare a una stessa notizia: uomo che uccide la moglie accoltellandola alla schiena, 24 volte, e poi tenta il suicidio. I dettagli poi sembrano distanziare i fatti: alla Rufina i due coniugi sono trentenni, lavorano ambedue, lui è un architetto, hanno un bambino di un anno e mezzo, l'aggettivo ricorrente è "tranquilli", qualcuno si spinge a ripetere la formula della "coppia perfetta". Niente di più allarmante che l'aggettivo "tranquillo" e la "coppia perfetta". A Venaria cinquantenni, meno agiati, lui invalido, di modi brutali, i vicini "l'avevano sentito dire tante volte che l'avrebbe uccisa, ma non se lo aspettavano". Lei sì. Nello stesso paio di giorni, un altro uomo finisce per confessare di aver ucciso, due settimane prima, la sua compagna, e di averne buttato da qualche parte il cadavere, senza ricordare bene dove. 

Che ne è dunque dell'emozione accesa attorno ai femminicidi e la mobilitazione di coscienze e misure pratiche che sembrava aver suscitato? Qualche "esperto" avverte che l'attenzione sollevata sul tema può addirittura fomentare l'emulazione, argomento frequente quanto desolante. E' un fatto che l'uomo che spinge la propria violenza contro la "sua" donna fino al punto di ucciderla, e infierendo, mostra di essere illeso dalla condanna pubblica e di trattare la propria rabbia, frustrazione, offesa, e qualsiasi altro nome dia al proprio imbestiamento, come un affare del tutto personale, che riguardi solo lui, una prima inesorabile volta. E il suicidio, riuscito o mancato, a volte vero più spesso simulato o dimezzato, vale a coronare il gesto ultimativo. Non voglio certo dire che l'impegno all'educazione, all'esempio morale, al piacere paziente dell'allargamento delle maglie e dello scioglimento dei nodi, non sia un compito cruciale, a cominciare dall'infanzia. Tuttavia, il "cambiamento culturale" invocato di prammatica farebbe bene a rassegnarsi all'enorme divario fra il suo tempo largo e quello stretto di una cultura arcaica ed emarginata dal cambiamento troppo svelto dei modi di vita. I vicini, dove ancora esistono, e sentono dire "prima o poi la uccido", e "non ci possono credere". I familiari, che poi costernati dicono: "Negli ultimi tempi non era più lui...". La mentalità ha bisogno della lunga durata, e bisogna sbrigarsi con l'intervento dei carabinieri, la cavigliera elettronica (funzionante), la stessa carcerazione che risponda a una minaccia comprovata e incombente, per limitare l'obbrobrio che mette donne, indipendentemente dalle loro differenze, in balia di uomini. 

Le carceri italiane, famigerate e spesso compiaciute del proprio sovraffollamento, folla sopra folla, continuano ad avere una quota di detenute del 4 per cento sul totale della cosiddetta popolazione penitenziaria. (E' più o meno così nel resto d'Europa). E il dato è costante, cioè non registra alcun cambiamento - il progresso consisterebbe in un aumento della criminalità femminile. Se non mi sfugge qualcosa, questo dato è incomparabile con qualsiasi altro sullo squilibrio fra i sessi, negli stipendi o nei ruoli socialmente rilevanti. La stessa irrisoria percentuale misura l'uccisione di uomini da parte di loro partner femminili, e il fallimento del nome polemico di "maschicidio". 

Studiose e militanti donne si sono occupate di questo fenomeno e della sua storia. Ma la considerazione pubblica è ancora sorprendentemente distratta. La statistica sulla popolazione carceraria è un altro modo per dire che una donna che si innamori di un uomo - uso questa terminologia, che continua ad avere un senso - ha ragione di mettere nel conto il rischio per la propria incolumità, preoccupazione che un uomo ha ragione di ignorare. Viceversa, un uomo che si innamori di una donna ha ragione di mettere nel conto il rischio che farà correre alla donna di cui si è innamorato. Fino all'estremo.

Leggevo ieri, in un'intervista sulla Stampa di Simonetta Sciandivasci a Rossana Campo, questo passo, su un tema che abbiamo ritrattato nei giorni scorsi: "Gli autori dei grandi romanzi e delle grandi opere liriche che hanno dato vita a eroine avidamente attaccate alla vita, se pure le hanno raccontate con passione, hanno finito sempre per farle morire ammazzate o suicide. Anche se inconsciamente, le punivano. Non credo sia un caso che le scrittrici che hanno dato vita a personaggi altrettanto vitali e problematici, non li abbiano poi uccisi". Anche grandi romanzieri e librettisti sono stati in regola con l'infima percentuale di donne "delinquenti". Sempre ieri ho trovato questo brano di Hannah Arendt: "La verità è che io non ho mai avuto la pretesa di essere altro o diversa da quella che sono, né ho mai avuto la tentazione di esserlo. Sarebbe stato come dire che ero un uomo e non una donna: ossia qualcosa di insensato... Esiste una sorta di gratitudine di fondo per tutto ciò che è com'è...". Arendt trattava del suo rapporto con l'ebraicità, ma le sue parole mi paiono appropriate a un altro fenomeno di questi giorni, che è una esacerbazione forse irreparabile, quanto ai toni reciproci, della (delle) divergenza fra posizioni originariamente femministe. Già forti e aspramente espresse, queste divergenze, che coinvolgono fortemente benché di rimando anche gli uomini, sono chimicamente precipitate dall'avvento del regime trumpiano e dalla sua vendetta su ogni valorizzazione delle differenze che non siano quella fra chi ha il potere e chi invece non ce l'ha. Non saprei discuterne adeguatamente, e forse per questo mi sembra di riconoscere molto di interessante e di fecondo in posizioni che si presentano a vicenda come inconciliabili e risentite: come un turatiano nel '21, per sorridere un po' di me. Ma il cedimento allo spirito della rottura e della demarcazione è una tentazione micidiale del '22, del '33, e del 2025.

martedì 11 febbraio 2025

BUONA GIORNATA INTERNAZIONALE DELLE DONNE E DELLE RAGAZZE NELLA SCIENZA! di Stefano Fortini

L’11 febbraio di ogni anno si celebra la Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza, un evento promosso dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2015. Oggi ricorre quindi il decimo anniversario dell'istituzione di questa ricorrenza.

Secondo i dati più recenti dell’UNESCO, meno del 30% dei ricercatori a livello mondiale sono donne, inoltre la disparità di genere è testimoniata anche dal fatto che le donne che fanno ricerca in ambito scientifico-tecnologico sono pagate meno e hanno maggiori difficoltà rispetto agli uomini a progredire nelle loro carriere (fonte: http://uis.unesco.org/en/topic/women-science).

Negli ultimi decenni sono stati compiuti alcuni progressi verso l’uguaglianza di genere nelle discipline STEM. Tuttavia, le donne e le ragazze continuano a essere escluse dalla piena partecipazione alla scienza: i dati statistici disponibili evidenziano un pregiudizio nei confronti delle donne e mostrano che siamo ancora lontani dalla parità di impiego. 

Spero davvero che questa giornata possa promuovere il dibattito e sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema al fine di colmare il divario, raggiungere l’uguaglianza di genere e dare effettivamente potere alle donne e alle ragazze rafforzando la loro libertà di scegliere il proprio futuro.

I miei migliori auguri a tutte le donne e alle ragazze che si occupano – professionalmente o anche solo per passione – di scienza! 

Immagine: Serie di illustrazioni per la Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza, opera dell’artista spagnola Beatriz Arribas de Frutos. Da sinistra: Rosalind Franklin, Margarita Salas, Vera Rubin, Emmy Noether, Chien-Shiung Wu, Jane Goodall (fonte: https://www.artconnect.com/.../international-day-of-women...).

#donneescienza #donne #giornatainternazionaledelledonneedelleragazzenellascienza #scienza

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lunedì 10 febbraio 2025

Ottant'anni di voto alle donne

Ottant’anni è un tempo breve in prospettiva storica, più o meno equivalente nel nostro paese all’aspettativa di vita media di una persona. Vale la pena di rimarcarlo, per ricordare che la vicenda delle donne come cittadine, in Italia, è cominciata ieri.È cominciata grazie alle battaglie del femminismo suffragista, impegnato per decenni contro una cultura che considerava la partecipazione femminile alla vita politica ridicola, assurda e potenzialmente dannosa. Ma soprattutto grazie al contributo straordinario che le donne diedero alla Resistenza contro il nazifascismo, verso cui il diritto di voto – sostenuto da Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi – arrivò anche come riconoscimento di valore.

Politica maschile

Ottant’anni sono pochi, ma sembrano tanti se si considera la lentezza dei progressi compiuti da allora. Più che un progresso lineare, la storia della partecipazione alla vita democratica della metà femminile del démos descrive una traiettoria costellata di successi e fallimenti nella lotta contro l’ostilità, più o meno dichiarata, della politica maschile.Lo stesso decreto del 1945, mentre riconosceva alle donne l’elettorato attivo, dimenticava di parlare della loro eleggibilità. Una svista – così la trattò Togliatti – a cui mise rimedio il successivo decreto del 10 marzo 1946 esplicitando anche il diritto all’elettorato passivo. Una dimenticanza, tuttavia, che denunciava la resistenza, anche da parte dei leader dei maggiori partiti di massa, rispetto all’opportunità che le donne fossero chiamate a rappresentare la collettività, la nazione.E raccontava, più in generale, la difficoltà dell’ingresso delle donne nel paradigma moderno della cittadinanza, storicamente modellato sulla loro esclusione, fin da quando la Rivoluzione francese segnò il clamoroso trionfo del principio di uguaglianza politica tra gli uomini, dimenticando di precisare che per “uomini” intendeva i “maschi”.

Dal 1945 a oggi

Quel che è avvenuto dopo il 1945 è in parte il riflesso dell'imperfezione degli inizi, di un’incompiutezza, di un retaggio della distinzione antica tra una sfera pubblica maschile e una privata femminile, che si è perpetuata in una storia che arriva fino ai nostri giorni. Ventuno donne furono elette nel 1946 tra i componenti dell’Assemblea costituente, ma la presenza femminile in parlamento è rimasta sempre minoritaria. E si è dovuto aspettare il 2022 perché una donna, Giorgia Meloni, conquistasse il ruolo di presidente del Consiglio dei ministri

Oggi, nonostante la lentezza dei progressi, il crescente protagonismo delle donne in politica ha mutato in modo tutt’altro che irrilevante la scena pubblica del potere. Si pensi alla situazione inedita in cui il conflitto tra maggioranza e opposizione vede due donne, Elly Schlein e la stessa Meloni, alla guida dei campi avversari. Si fa forte la tentazione di vedere in questa fase nuova il superamento della contraddizione che vive fin dal Settecento tra la figura della donna e quella della cittadina, tra le gerarchie di genere nella società e l’uguaglianza formale nei diritti che è fondamento giuridico dello stato democratico.Sarebbe, però, una rappresentazione fuorviante. La contraddizione originaria si perpetua, nonostante il faticoso avanzamento della presenza femminile nella vita pubblica, non solo perché questo continua ad avvenire al costo di incessanti conflitti per il riconoscimento e di pesanti rinunce sul piano della vita personale, che non hanno equivalenti nell’esperienza degli uomini di potere. Ma anche perché alle storie di successo di donne che conquistano posizioni di guida non corrisponde necessariamente un miglioramento nella condizione della popolazione generale donne, né sul piano economico-sociale né su quello dei diritti civili e della cultura. Può persino corrispondere un arretramento, in governi di segno reazionario.Resta attuale, allora, la questione del potere, di quale potere le donne sanno, possono e vogliono esercitare, dopo una millenaria storia di esclusione. E il rapporto irrisolto tra donne e politica richiede di articolarsi con quello del rapporto tra rappresentanza, femminismo e democrazia.

Quella cominciata nel 1945 appare così come una storia aperta. Il tempo (breve) trascorso da allora racconta che nessuna conquista è scontata e nessuna, senza impegno comune, è per sempre.

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giovedì 6 febbraio 2025

Divampa in Iran l'ira delle donne contro le squadracce della polizia morale di Mariano Giustino

 Qui il mio articolo su Il Riformista, di questa mattina 5 febbraio 2025, sulla giovane donna che in #Iran, a #Mashhad, si è denudata completamente davanti alle forze di sicurezza armate ed è salita in piedi su un veicolo della polizia, infrangendo platealmente le rigidissime restrizioni in materia di abbigliamento. Buona lettura!

Da Mashhad, una delle città cuore del conservatorismo sciita in Iran, un nuovo video di una clamorosa protesta di una donna sta inondando la Rete.

Un'altra donna, scalza e col corpo nudo, ha manifestato tra la gente, per affermare la propria volontà di liberazione e la propria identità, solo tre mesi dopo un precedente simile gesto avvenuto nel campus dell'Università Islamica Azad di #Teheran, dove una studentessa si era spogliata restando solo con la biancheria intimaper protestare dopo essere stata aggredita dalle forze di sicurezza perché non indossava l’#hijab obbligatorio.

Questa volta, una donna di cui non conosciamo il nome, si è denudata completamente davanti alle forze di sicurezza armate ed è salita in piedi su un veicolo della polizia, infrangendo platealmente le rigidissime restrizioni in materia di abbigliamento.

La Bibbia narra che il profeta Isaia sentì dentro di sé la voce di Dio che gli chiese di andare col suo corpo nudo e scalzo tra la gente, per rappresentare la vergogna dell’#Egitto. Il Signore disse per mezzo di Isaia figlio di Amoz: "Va’, sciogliti il sacco dai fianchi e togliti i sandali dai piedi! Così egli fece, andando nudo e scalzo” (Isaia 20, 1-2). Un analogo forte impulso sembra avere spinto la giovane donna di Mashhad e Ahoo #Daryaei, la “ragazza dell’Università” di Teheran, per rappresentare la vergogna dell’#Iran, della Repubblica islamica che pratica l’apartheid di genere. Passeggiare nudi e scalzi tra la gente, davanti alle donne in nero della polizia morale, delle terribili squadre femminili della “Hijab ban”, o alle forze paramilitari basij armate di fucili e ballare liberamente per le strade al ritmo della musica occidentale, sono azioni di disobbedienza civile molto coraggiose, messe in atto con ferma determinazione e volontà di sfida ad uno dei regimi più orrifici del pianeta.

Durante l'arresto, la studentessa, Ahoo Daryaei, aveva ricevuto gravi percosse, la sua testa era stata sbattuta violentemente contro la portiera dell'auto della polizia, ciò le aveva causato una forte emorragia e un trauma cranico.

Le donne iraniane sanno che per ribellarsi spesso non sono sufficienti le parole, occorre fare gesti clamorosi, passeggiare nude e scalze in una strada affollata o in un campus universitario sotto gli occhi di studenti, professori e forze di polizia, è un potente gesto che incarna lo spirito della rivoluzione "Donna, Vita, Libertà", ancora in corso nelle strade di Teheran sotto forma di disobbedienza civile.

Per la ragazza di Mashhad e per la “ragazza dell’Università”, così come lo fu per Isaia, è venuto il momento della “parola”, cioè di essere “parola” e per essere parola, bisogna essere “ascoltati”, altrimenti si rischia uno sterile soliloquio, un tradimento di se stessi.

“Cosa dobbiamo fare”, si chiederanno forse le “ragazze iraniane” quando ricevono insulti e minacce perché non indossano il velo? #Jina, #MahsaAmini, la ragazza curda che il 16 settembre 2022 è stata massacrata di botte e uccisa perché non indossava bene l’hijab, non aveva fatto in tempo a ribellarsi e a gridare, lo stanno facendo ora le sue coetanee denudandosi e dando parola al suo corpo con una rivoluzione a mani nude che sfida la violenza bruta di un regime che ha istituito l’apartheid di genere e che vuole ridurre al silenzio ogni oppositore, col terrore di torture e impiccagioni. La “ragazza di Mashhad” è riuscita a “essere parola” come Isaia, e a farsi “ascoltare”, perché se manca l’ascolto, non vi è parola. È un evento che irrompe nelle strade sorvegliate dalla polizia morale e dagli occhi delle telecamere sempre a caccia di donne senza hijab o malvelate.

La ragazza di Mashhad, così come Ahou Daryaei sono diventate un altro simbolo della resistenza alla mostruosa Repubblica islamica, della lotta nonviolenta della Generazione Z per la liberazione dell’Iran. La loro azione di disobbedienza civile è già impressa nella storia come è accaduto anche per #VidaMovahed, “la ragazza della Via #Enghelab”, a Teheran, che il 27 dicembre del 2017, in piedi, su un bidone della spazzatura, si tolse il velo e lo sventolò come una bandiera, fu arrestata ma il suo video, in cui sventolava silenziosamente il suo velo bianco su un bastoncino in via Enghelab, diventò virale sui social media e la sua azione nonviolenta diede vita alle manifestazioni del "Mercoledì Bianco". Proprio come è accaduto anche per l'"Uomo del carro armato", il giovane cinese, il "Rivoltoso sconosciuto", divenuto famoso quando, il 5 giugno 1989, il giorno dopo del massacro in piazza #Tienanmen a #Pechino, con le buste della spesa nelle mani, si parò davanti ad alcuni carri armati impedendone l'avanzata. E infine come accadde per #RosaParks, attivista del movimento per i diritti civili negli Usa, che divenne famosa nel 1955 per essersi rifiutata di obbedire alla regola di cedere il proprio posto su un autobus a un bianco, dando così origine al boicottaggio dei bus a #Montgomery. Figure anticipatrici di grandi cambiamenti. 

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giovedì 30 gennaio 2025

Femministe a fasi alterne di Maddalena Robustelli

Il concerto del Comune di Roma alla fine dello scorso anno, che ha visto annullata per proteste l'esibizione di Tony Effe, interroga al proposito dell'impegno contro la violenza maschile sulle donne delle artiste che ne hanno preso le difese

La vicenda della mancata esibizione di Tony Effe al concerto di fine anno promosso dal Comune di Roma, esibizione prima scelta dagli organizzatori e poi annullata per le forti polemiche suscitate, ha aperto uno squarcio sul fronte dell’impegno contro la violenza maschile sulle donne da parte di famose testimonial artistiche. Mentre quasi tutte le femministe, singolarmente o attraverso le proprie associazioni, ad eccezione di Non una di meno, si sono espresse contro l’esibizione di Tony Effe per i testi delle sue canzoni profondamente sessisti e violenti, si è assistito ad un sua difesa da parte di quelle artiste che sui palchi, durante le loro esibizioni, si adoperano a raccogliere fondi da destinare ai centri antiviolenza. Tali cantanti si sono schierate a favore della libertà artistica, definendo la marcia indietro del Comune di Roma un deliberato atto di censura.

"Trovo che sia davvero un brutto gesto escludere Tony Effe dal concerto di Capodanno a Roma - scrisse Emma Marrone sui suoi canali social - privando un ragazzo di esibirsi nella sua città. Non è una cattiva persona e non ha fatto male a nessuno ma è altrettanto brutto nei confronti della musica tutta e dell'arte in generale. Una forma di censura 'violenta' che alle soglie del 2025 non si può tollerare e giustificare. Ti abbraccio Tony". Sulla stessa falsariga si sono espresse anche Giorgia e Noemi, mentre un imprevisto silenzio sul tema ha riguardato Fiorella Mannoia, che da presidente onoraria della Fondazione Una, Nessuna, Centomila avrebbe dovuto prendere posizione, limitandosi invece a dire che avesse “altro da fare”. Gli utenti dei social non hanno perdonato questa difesa di casta da parte di tali artiste e l'hashtag #TonyEffe è stato in tendenza, con accuse rivolte alle colleghe che avevano fatto quadrato intorno al rapper romano: «Non osare mai più parlare di femminismo e di diritti delle donne», ha scritto un’utente nei riguardi di Emma.

Altri, invece, hanno puntato il dito contro la casa discografica di Tony Effe, notando come molti artisti solidali appartengano alla stessa etichetta discografica, la Universal, e scrivendo: «La casualità della vita». Illuminante è stato questo provocatorio commento: «Quindi da ora in poi sdoganiamo qualsiasi linguaggio misogino, omofobo, contro i disabili perché chi si oppone a questo linguaggio viene tacciato di censura. Si fanno gli interessi delle donne o delle case discografiche?». Questo, a mio parere, è il punto dirimente della questione, ossia, comprendere se l’impegno delle menzionate artiste nel contrasto alla violenza maschie sulle donne sia incondizionato oppure limitato ai propri interessi professionali. A loro formulerei tale domanda: Se la vostra casa discografica vi avesse proposto un brano particolarmente sessista e violento, l'avreste interpretato? Spero che la risposta sia che lo avrebbero rifiutato, per onorare il loro impegno sociale, considerandolo propria stella polare.

Un diverso riscontro comporterebbe che personalmente le rinneghi come paladine di questa causa, che non si può sposare a fasi alterne, o ci si crede a 360 gradi oppure no. Purtroppo, la loro difesa "di casta" nei confronti di Tony Effe porta a dire che esse non siano consapevoli a pieno di cosa comporti contrastare la violenza degli uomini sulle donne. Penso che come me la pensi la stragrande maggioranza degli utenti dei social, visto che il loro più ricorrente commento è stato: "E pure vi etichettate come femministe". Già, perché sulle cantanti in questione si riversa ancora oggi un faro mediatico importante, che serve a raccogliere fondi per aiutare chi quotidianamente lavora a tentare di debellare la violenza maschile sulle donne. Occorrerebbe che, proprio in relazione al fine benefico delle loro iniziative artistiche, dimostrino maggiore coerenza, altrimenti la conseguente credibilità verrà meno.

Tant’è che ho letto numerosi commenti di donne che, nell’immediatezza delle prese di posizione a favore di Tony Effe, hanno rimarcato che non sarebbero più andate ai loro concerti promossi per la raccolta di fondi da destinare ai centri antiviolenza. Spero che una riflessione al riguardo, queste artiste se la siano posta, almeno in sé stesse, di modo che, se si ripetesse una vicenda similare, si comportino diversamente. L’impegno contro la violenza maschile sulle donne non può né deve essere abbracciato a seconda delle proprie convenienze, non lo meritano le donne che vedono in tali cantanti le loro paladine, ma non lo meritano, soprattutto, le vittime. In loro nome conseguentemente chiederei che la tanto sbandierata tutela, ossia quella perpetrata attraverso le manifestazioni artistiche, diventi un imperativo categorico, che Emma, Fiorella, Giorgia e Noemi declinino al meglio delle proprie possibilità. Ed anche oltre.

https://www.noidonne.org/articoli/femministe-a-fasi-alterne-21140.php?fbclid=IwY2xjawIIfqRleHRuA2FlbQIxMAABHZdYVjux83224LK3_EPwwZNPmEqJS5GbWIBKMHBzdc4uduDy7WZRby7MAg_aem_nqHmyjzCWjDXwaZdhEYV6Q

lunedì 27 gennaio 2025

“Boschi cantate per me”: poesie per celebrare il Giorno della Memoria di Danda Santini

 Arriva, in occasione del Giorno della Memoria per le vittime dell’Olocausto di lunedì 27 gennaio, un libro dal titolo sognante, Boschi cantate per me (Enciclopedia delle Donne), ma dal contenuto drammatico.


È l’antologia poetica dal lager femminile di Ravensbrück. Lì furono rinchiuse, dal 1939 al 1945, le prigioniere politiche – comuniste, socialdemocratiche, antinaziste – e poi testimoni di Geova, zingare, ebree, lesbiche. Furono internate in 130mila; ne morirono oltre 90mila. Molte furono seviziate o utilizzate come cavie umane, altre reclutate per la prostituzione.

Quando furono evacuate, il 26 aprile 1945, lasciarono il campo cantando canzoni preparate da tempo. Alcune, benché pelle e ossa, subirono gli stupri dei russi liberatori; altre, al ritorno, soffrirono anche i sospetti sulla loro moralità.

Quel campo è rimasto a lungo sconosciuto, anche agli studiosi dell’Olocausto. Come spesso capita alle storie femminili, occorre andarsele a cercare, e di solito sono altre donne a farlo. In Italia, a parlarne per prima fu una delle sopravvissute, Lidia Beccaria, alla fine degli anni ’70.

Si scoprì che lì alcune deportate avevano composto, furtivamente, nascondendole e poi trafugandole, coperte dalle compagne, poesie. Ne sono arrivate a noi 1200. Drammatiche, ma non tragiche: come se la poesia, di per sé, per sua natura, potesse lenire il male, come fosse una pratica di sopravvivenza in una situazione estrema, una forma di riscatto dall’annientamento fisico e morale.

Di queste, mai pubblicate prima in Italia, Anna Paola Moretti, con un lavoro di ricerca certosino, ne ha selezionate 90, composte da 50 deportate di 15 nazionalità diverse, e ha ricostruito le biografie. Le italiane nel campo furono un migliaio, le poete quattro. La già citata Lidia Beccaria (Mondovì 1925-1996), maestra e staffetta partigiana, poi vicesindaca e assessora della sua città, che nel lager sogna, come molte, l’abbraccio della mamma.

Maria Musso (Imperia 1924-2011), apolitica, che si consegnò ai tedeschi per far liberare la madre, nell’abbruttimento ricorda le posate di casa e da un pezzo di bidone fabbrica un cucchiaio “per evitare un nutrirsi animale”. Sarà poi testimone nelle scuole.

Maria Montuoro (Palermo 1909-Milano 2000), antifascista: si occupava della stampa clandestina e diventerà testimone dei deportati politici italiani. Dell’amaro ritorno scrive: “Non si può vivere e ricordare/Bisognava essere di quella vita o di questa/Cancellare il ricordo non era vivere/Ma soltanto un modo di morire”.

Alcune deportate nei campi di concentramento composero di nascosto delle poesie. Anna Paola Moretti, ne ha selezionate 90 da pubblicare nel libro “Boschi cantate per me” (illustrazione di Cinzia Zenocchini).

Rosa Cantoni (Udine 1913-2009), operaia, autrice di poesie in friulano contro il regime, fondatrice di un foglio clandestino, poi attiva nell’associazionismo femminile, che in una notte di desolazione trova conforto nella natura: “Alzo gli occhi, il cielo è bellissimo/sereno e pulito, le stelle immense! Stelle che luccicano sulla terra triste”.

Parole sussurrate nei boschi e nel gelo, piene di vita, in un ostinato “volersi umane”, mai senza speranza. Una bella indicazione di resistenza positiva, collettiva e trasfigurata, al male, alla forza, alla violenza. E di quanto l’arte, in tutte le forme, sia la più tenace testimone di “mai più”.

https://www.iodonna.it/spettacoli/libri/2025/01/25/boschi-cantate-per-me-giorno-memoria-olocausto-ebrei-donne-prigionia-poesia-editoriale-danda-santini/?fbclid=IwY2xjawIEJpdleHRuA2FlbQIxMAABHf70dUPyojQMiLryuYrX_tdhJq0wEDz5X3zZF2dw3m

sabato 25 gennaio 2025

Per chi volesse leggere in originale l’executive order di Trump sui “due sessi” e farsi personalmente un’idea, qui la traduzione

Grazie al potere conferitomi dalla Costituzione e dalle leggi degli Stati Uniti in qualità di Presidente, incluso l’articolo 7301 della legge 5, con il presente si decreta che:

Sezione 1. Finalità. Nell’intera nazione, coloro che negano l’evidenza della natura biologica del sesso usano mezzi coercitivi sia legali che sociali per garantire agli uomini che si identificano come donne l’accesso a spazi, servizi e attività riservati alle donne, dai centri anti-violenza ai bagni negli uffici. Tutto ciò è sbagliato. Il tentativo di eradicare la realtà biologica del sesso costituisce un attacco fondamentale alle donne, in quanto le priva della loro dignità, sicurezza e benessere. Eliminare il concetto di sesso dal linguaggio e dalla politica ha un impatto deleterio non solo sulle donne ma sul funzionamento dell’intero sistema di governo e sociale americano. Tutte le azioni e le politiche federali devono essere basate sull’evidenza, per l’avanzamento della scienza, la sicurezza e il morale della popolazione e la fiducia che questa ripone nello stato.

Questa pericolosa deriva si manifesta in un attacco continuo e determinato all’uso comune di lunga data di termini scientifici e biologici, con lo scopo di sostituire la realtà del sesso come fatto biologico immutabile con l’idea di un’identità autodefinita fluida e disgiunta dalla realtà biologica. Invalidare la categoria biologica di “donna” ha l’effetto di trasformare impropriamente leggi e politiche concepite per proteggere le opportunità garantite in base al sesso in leggi e politiche che le minano e che sostituiscono diritti acquisiti preziosi per le donne con un concetto identitario vago e indefinito.

Per questi motivi, il mio governo intende difendere i diritti delle donne e garantire la libertà di coscienza tramite l’uso di un linguaggio chiaro ed accurato e di politiche che riconoscano che le donne sono coloro che appartengono al sesso femminile e gli uomini coloro che appartengono al sesso maschile.

Sezione 2. Politiche e definizioni. Il governo degli Stati Uniti riconosce l’esistenza di due sessi, maschile e femminile. Il sesso non si può cambiare, essendo radicato in una realtà oggettiva fondamentale e incontrovertibile. In ottemperanza alle mie volontà, l’esecutivo assicurerà l’applicazione di tutte le leggi che proteggono e promuovono la realtà biologica del sesso, e le seguenti definizioni saranno alla base dell’interpretazione e applicazione di leggi e politiche federali da parte dell’esecutivo:

(a) “Sesso” indica la classificazione biologica immutabile di un individuo come maschio o femmina. “Sesso” non è un sinonimo di “identità di genere, e non è incluso in essa.

(b) “Donne” o “donna” e “bambine” o “bambina” significano rispettivamente femmine della specie umana adulte o minori.

(c) “Uomini” o “uomo” e “bambini” o “bambino” significano rispettivamente maschi della specie umana adulti o minori.

(d) “Femmina” indica una persona che appartiene alla classe sessuale, determinata al concepimento, in grado di produrre macrogameti.

(e) “Maschio” indica una persona che appartiene alla classe sessuale, determinata al concepimento, in grado di produrre microgameti.

(f) L’“ideologia di genere” sostituisce la categoria biologica del sesso con l’idea di un’identità di genere cangiante e autodeterminata, così da permettere la falsa affermazione che gli uomini possono identificarsi come donne e conseguentemente diventarlo, e viceversa, con l’obbligo su terzi di considerare questa falsità come un fatto oggettivo. L’ideologia di genere include l’idea che esista un ampio spettro di generi, del tutto independenti dal proprio sesso. Si tratta di un’ideologia che manca di coerenza interna, tanto che sostiene che il sesso non è una categoria utile o identificabile, e contemporaneamente afferma la possibilità che un individuo possa nascere in un corpo con il sesso sbagliato.

(g) “Identità di genere” indica una percezione di sé completamente soggettiva e interna all’individuo, scollegata dalla realtà biologica del sesso e collocata su un continuo teoricamente infinito, non in grado di fornire una base utile per l’identificazione e non sostituibile al sesso come categoria.

Sezione 3. Il riconoscimento che donne e uomini sono biologicamente due categorie distinte.

(a) Entro 30 giorni da questo decreto, il segretario della salute e dei servizi umani dovrà fornire al governo, ai suoi interlocutori esterni e al pubblico linee guida che precisino e chiariscano le definizioni qui contenute.

(b) Tutti gli enti pubblici e i funzionari del governo federale hanno l’obbligo di applicare le leggi su diritti, tutele, opportunità e accomodamenti intesi a proteggere uomini e donne in qualità di sessi biologicamente distinti. Di conseguenza ogni ente pubblico ha l’obbligo di interpretare i termini “sesso”, “maschio”, “femmina”, “uomini”, “donne”, “bambini” e “bambine” nel senso stabilito all’articolo 2 di questo ordine e conseguentemente di interpretare e applicare leggi, regolamenti, o linee guida e di condurre tutte le attività relative all’ente, inclusi documenti e comunicazioni con l’esterno, in tal senso.

(c) Nello svolgere le loro funzioni nei casi in cui si tratti di far rispettare trattamenti differenziati in base al sesso, i funzionari degli enti pubblici dovranno impiegare, in tutte le politiche e relativi documenti, il termine “sesso” e non “genere”.

(d) I segretari di stato e della sicurezza nazionale, e il direttore dell’ufficio del personale, dovranno effettuare i cambiamenti necessari a garantire che i documenti di identità rilasciati dallo stato, inclusi passaporti, visti e i documenti per il programma Global Entry, riportino il sesso dell’individuo possessore del documento, come definito all’articolo 2 del presente ordine; il direttore dell’ufficio del personale ha la responsabilità di garantire che le schede del personale federale riportino il sesso, come definito all’articolo 2 del presente ordine.

(e) Gli enti pubblici hanno l’obbligo di eliminare le dichiarazioni, le politiche, i regolamenti, i moduli, i comunicati e ogni altro messaggio, interno o esterno, che promuove o impone l’ideologia di genere, e di cessare la produzione di tali dichiarazioni, politiche, regolamenti, moduli, comunicati o altri messaggi. I moduli degli enti pubblici dovranno specificare il sesso del richiedente, e non l’identità di genere. Gli enti pubblici dovranno prendere tutti i provvedimenti necessari, nel rispetto della legge, per terminare il finanziamento di qualsiasi programma legato all’ideologia di genere.

(f) L’amministrazione precedente sosteneva che la sentenza della Corte Suprema in Bostock v. Clayton County (2020), che concerne il Title VII del Civil Rights Act del 1964, impone di consentire l’accesso sulla base dell’identità di genere a spazi separati per sesso, ad esempio quelli previsti nel Title IX dell’Educational Amendments Act. Questa opinione non ha alcuna validità giuridica e lede i diritti delle donne. Il procuratore generale deve di conseguenza immediatamente emettere delle linee guida per gli enti pubblici al fine di correggere questa scorretta intepretazione delle distinzioni in base al sesso della sentenza della Corte Suprema in Bostock v. Clayton County (2020) adottate dagli enti pubblici nelle loro attività. Inoltre, il procuratore generale dovrà emettere delle apposite linee guida e assistere gli enti pubblici nel loro compito di proteggere i trattamenti differenziati in base al sesso, permessi dalla costituzione e dalla legge degli Stati Uniti.

(g) Non sarà consentito l’uso di finanziamenti federali per promuovere l’ideologia di genere. Gli enti pubblici devono valutare le condizioni per la concessione di finanziamenti e le preferenze degli eventuali beneficiari per assicurarsi che i fondi non vadano a promuovere l’ideologia di genere.

Sezione 4. Diritto alla privacy.

(a) Il procuratore generale e il segretario per la sicurezza nazionale hanno l’obbligo di garantire che i detenuti maschi non vengano ospitati nelle carceri e nei centri di detenzione per donne, se necessario tramite l’emendamento della sezione 115.41 del Title 28, Code of Federal Regulations and interpretation guidance regarding the Americans with Disabilities Act.

(b) Il segretario per gli alloggi e lo sviluppo urbano ha l’obbligo di preparare e presentare ed aprire ai commenti un documento per rescindere la regola su “Accesso in base all’identità di genere ai programmi di pianificazione e sviluppo per le comunità” del 21 settembre 2016, 81 FR 64763, e l’obbligo ulteriore di invitare commenti dal pubblico su nuove regole per la protezione delle donne che richiedono il supporto di centri anti-violenza sessuale.

(c) Il procuratore generale ha l’obbligo di garantire che il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria modifichi le sue politiche sulle cure mediche per i detenuti, per assicurare che non si spendano fondi pubblici per procedure mediche, trattamenti o medicine per modificare le caratteristiche sessuali secondarie dei detenuti che lo richiedono in modo da approssimare il sesso opposto.

(d) Gli enti pubblici devono mettere in atto politiche che garantiscano che i servizi previsti per donne e bambine (o per uomini e bambini) siano separati in base al sesso e non l’identità di genere.

Sezione 5. Protezione di determinati diritti. Il procuratore generale ha l’obbligo di stilare delle linee guida atte a garantire la libertà di espressione in relazione alla natura binaria del sesso e il diritto ad avere servizi separati per sesso nei luoghi di lavoro ed enti inclusi nel Civil Rights Act del 1964. In conformità con le suddette linee guida il procuratore generale, il segretario del lavoro, il direttore degli affari legali e il presidente della commissione per le pari opportunità e tutti i responsabili di enti pubblici con poteri di applicazione del Civil Rights Act hanno l’obbligo di dare la precedenza a indagini e azioni legali tese a garantire i diritti e le libertà contenute in questo articolo.

Sezione 6. Proposta di legge. Entro 30 giorni dalla data di questo ordine, l’assistente presidenziale per gli affari legali dovrà stilare e consegnare al presidente la proposta di legge tramite la quale codificare le definizione contenute in questo ordine.

Sezione 7. Obbligo di attuazione e produzione di un rapporto.

(a) Entro 120 giorni dalla data di questo ordine, i direttori degli enti pubblici hanno l’obbligo di stilare un rapporto sull’attuazione di questo ordine e inviarlo al presidente, tramite il direttore dell’ufficio per l’amministrazione e il bilancio. Il rapporto dovrà contenere:

(i) le modifiche apportate ai documenti prodotti dall’ente, inclusi regolamenti, linee guida, moduli e comunicati, introdotte per ottemperare a quest’ordine; e

(ii) i criteri introdotti dall’ente in ottemperanza a questo ordine al cui rispetto vengono sottoposti tutti gli enti che ricevono fondi federali, inclusi coloro che ricevono appalti dal governo federale.

(b) I requisiti contenuti nel presente ordine sostituiscono qualsiasi clausola che sia in contraddizione contenuta in precedenti ordini esecutivi o memoranda presidenziali, inclusi, ma non limitatamente a, l’ordine esecutivo 13988 del 20 gennaio 2021, 14004 del 25 gennaio 2021, 14020 e 14021 dell’8 marzo 2021 e 14075 del 15 giugno 2022. I suddetti ordini esecutivi sono revocati con il presente ordine, e il consiglio sulle politiche di genere della Casa Bianca viene dissolto con effetto immediato.

(c) Tutti gli enti pubblici hanno l’obbligo di revocare immediatamente tutti gli atti pubblici che non rispettano i requisiti contenuti nel presente ordine o nelle istruzioni stilate dal procuratore generale in ottemperanza al presente ordine, o abrogare quelle parti dei suddetti atti che siano in contrasto con il presente ordine. Tali atti includono, non limitatamente:

(i) “La guida della Casa Bianca sull’uguaglianza transgender”;

(ii) le guide prodotte dal dipartimento dell’istruzione, incluse:

(A) “Regolamento 2024 sul Title IX: suggerimenti per l’applicazione” (luglio 2024);

(B) “Guida del dipartimento dell’istruzione degli Stati Uniti: Come creare un ambiente inclusivo e non-discriminatorio per gli studenti LGBTQI+”;

(C) “Il dipartimento dell’istruzione degli Stati Uniti sostiene i minori LGBTQI+ e le loro famiglie nelle scuole” (21 giugno 2023);

(D) “Il dipartimento dell’istruzione degli Stati Uniti: come sostenere gli alunni LGBTQI+ e le loro famiglie nelle scuole” (21 giugno 2023) (in spagnolo);

(E) “Sostenere gli studenti intersex: Guida per studenti, famiglie e insegnanti” (ottobre 2021);

(F) “Sostenere gli alunni transgender nelle scuole” (giugno 2021);

(G) “Lettera agli insegnanti nel 49simo anniversario del Title IX” (23 giugno 2021);

(H) “Gestire il bullismo contro gli studenti LGBTQI+ nelle scuole: Guida per studenti e famiglie” (giugno 2021);

(I) “Applicazione del Title IX degli Education Amendments del 1972 in relazione alla discriminazione basata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere alla luce di Bostock v. Clayton County” (22 giugno 2021);

(J) “L’istruzione durante la pandemia: diversi impatti del COVID-19 sugli studenti negli Stati Uniti” (9 giugno 2021); e

(K) “Messaggio per gli studenti transgendere in occasione del ritorno a scuola, da parte dei dipartimenti di giustizia, dell’istruzione e della salute e servizi umani” (17 agosto 2021);

(iii) Memorandum del procuratore generale del 26 marzo 2021, dal titolo “Applicazione di Bostock v. Clayton County al Title IX dell’Education Amendments del 1972″; e

(iv) “Guida sulle molestie nel luogo di lavoro della commissione sulle pari opportunità”(29 aprile 2024).

Sezione 8. Disposizioni generali.

(a) Niente in questo ordine va interpretato in modo da compromettere l’efficacia di o limitare:

(i) il potere conferito per legge ai dipartimenti governativi e i loro direttori; o

(ii) le funzioni del direttore ell’ufficio per l’amministrazione e il bilancio in relazioni alle loro proposte legislative, di bilancio, o amministrative.

(b) Il presente ordine sarà applicato in ottemperenza alle leggi applicabili e soggetto alla disponibilità di stanziamenti.

(c) Il presente ordine non intende creare, e non crea di conseguenza, alcun diritto o beneficio, sostanziale o procedurale, eseguibile per legge o per equità per chiunque contro gli Stati Uniti, i suoi dipartimenti, agenzie o altri enti, i suoi funzionari, impiegati, agenti o chiunque altro.

(d) Nel caso qualsiasi parte del presente ordine, o l’applicazione di qualsiasi parte di questo ordine a qualsiasi individuo o circostanza, venisse riconosciuta non valida, il resto del presente ordine e la sua applicazione ad altri individui o circostanze non subiranno conseguenze.

LA CASA BIANCA,

20 gennaio 2025

https://www.facebook.com/marina.terragni/posts/pfbid027eMd35vQvvBe7CcFCPq95SZDYRKRzpXN4mV658yPKxuUQ6fwDAwEDmYD9rTfC

venerdì 24 gennaio 2025

Le donne guadagnano in media un euro in meno ogni ora. Il Gender pay gap secondo l’Istat di Erika Riggi

La busta paga è più leggera per le lavoratrici di oltre il 5%. E il divario retributivo è maggiore nelle professioni con una ridotta presenza femminile. Ma, a parità di livello di istruzione, gli uomini hanno in ogni caso stipendi medi annui superiori rispetto alle donne. Sempre

Non stupisce ma continua, deve continuare a indignare. Secondo le rilevazioni dell’Istat sulla struttura delle retribuzioni in Italia nelle unità economiche con almeno 10 dipendenti, gli stipendi medi lordi in Italia nel 2022 sono stati di circa 2.200 euro netti al mese. Ma questo significa, per le donne, 15,9 euro l’ora (0,5 euro inferiore alla media calcolata su tutti i dipendenti) e per gli uomini, 16,8 euro (0,4 euro superiore). Il gender pay gap è di (quasi) un euro ogni sessanta minuti. Differenza che, in un anno, significa oltre 6mila euro in meno.

Gender gap: donne più istruite ma di rado ai vertici

«Il differenziale retributivo di genere  – osserva l’Istat – è più marcato tra i laureati (16,6%, un valore circa triplo di quello medio) e tra i dirigenti (30,8%)». A questa disparità contribuisce il fatto che lavorano per meno tempo: 1.539 ore l’anno a fronte a fronte delle 1.812 ore degli uomini.

Gli stipendi delle donne secondo l’Istat: il gender pay gap è di (quasi) un euro ogni ora

A parità di livello di istruzione, i dipendenti uomini hanno stipendi medi annui sempre superiori alle donne, con un divario che aumenta al crescere del livello di istruzione: si ferma al 19,9% tra i dipendenti con al massimo la licenza media, sale al 20,5% se l’istruzione è secondaria superiore e raddoppia, raggiungendo il 39,9%, per l’istruzione terziaria.

Quanto influisce la laurea sugli stipendi di uomini e donne

Il rendimento del titolo di studio in termini retributivi è diverso per uomini e donne, soprattutto se si tratta di dipendenti con istruzione terziaria. Se infatti la retribuzione delle donne diplomate è del 20,2% superiore a quella delle donne con al più la licenza media (un divario del tutto simile a quello degli uomini, pari al 20,7%), quella delle donne con istruzione terziaria lo è del 54,2%, una differenza decisamente inferiore a quella rilevata per gli uomini (79,9%).

Oltre che al crescere del titolo di studio, le retribuzioni annue crescono all’aumentare dell’età del lavoratore, in misura maggiore per i dipendenti uomini. Rispetto alla retribuzione dei lavoratori più giovani (tra i 14 e i 29 anni), quella degli over 50 tra gli uomini è superiore del 65,5%, differenza che si ferma al 38,6% tra le donne.

Cambia il contratto, resta (e aumenta) il gender pay gap

Il divario retributivo tra uomini e donne aumenta nel passaggio anche nel passaggio dal contratto a tempo determinato – più diffuso tra le donne – al contratto a tempo indeterminato: nel primo caso le donne hanno una retribuzione annua inferiore del 6,3% a quella degli uomini, differenza che diventa del 15,6% in caso di contratto a tempo indeterminato.

Le ore retribuite per le donne sono inferiori a quelle degli uomini del 15,1% – in media sono 1.539 a fronte delle 1.812 ore degli uomini.

Effetto part-time

Questo, anche per effetto della maggiore diffusione di contratti con orario part-time. Nelle imprese con almeno 10 dipendenti, infatti, la percentuale di lavoratrici part-time, sul totale degli occupati, è più che doppia rispetto a quella degli uomini (12,3%, contro 5,2%)». E, dice sempre l’Istat, chi lavora part-time prende meno: in media 12 euro lordi l’ora contro i 17,3 euro che vanno a chi lavora a tempo pieno.

Studiare conviene

Molto grande è la differenza tra giovani e anziani e tra coloro che hanno un lavoro precario e gli altri. I lavoratori «under 30 guadagnano il 36,4% in meno rispetto agli over 50 (38,5% tra gli uomini, 33,3% tra le donne)» mentre «i lavoratori con contratto a tempo determinato percepiscono il 24,6% in meno di chi ha un contratto a tempo indeterminato». Studiare conviene, secondo i dati della rilevazione. «I dipendenti meno istruiti (con un titolo di studio al più secondario inferiore) hanno una retribuzione oraria pari in media a 12,4 euro, inferiore del 17,3% a quella dei dipendenti con istruzione secondaria superiore (tra i quali è pari a 15 euro) e del 43,6% a quella dei dipendenti con istruzione terziaria (22 euro)».

Chi guadagna meno (sotto i 9 euro l’ora) e chi di più (sopra i 26)

Interessanti le differenze tra pubblico e privato e tra i settori produttivi. «La retribuzione oraria è di 20,4 euro nelle unità economiche a controllo pubblico e di 14,4 euro in quelle a controllo privato», si legge nel report dell’Istat.  Tra i settori, la retribuzione più alta c’è nell’industria in senso stretto, con 38.760 euro lordi, la più bassa nelle costruzioni, con 32.202 euro, mentre i servizi si collocano intorno ai 37 mila euro.

Tra i lavoratori dipendenti, il 10% che guadagna di meno viene retribuito al massimo con 8,8 euro l’ora, mentre il 10% che guadagna di più supera i 26,6 euro.

https://www.iodonna.it/attualita/famiglia-e-lavoro/2025/01/21/gender-gap-pay-stipendio-donne-uomini-guadagnano-meno/?fbclid=IwY2xjawIASZxleHRuA2FlbQIxMAABHZtnLI1j83zf4zVvvp1FbPFNcSeQxkEinvm9zFfWKpbRfyHPDDHnT2Fg-Q_aem_otzDJA

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lunedì 20 gennaio 2025

Il diritto di abortire e a essere informate sulla sepoltura Il podcast "20 settimane" di Flavia Cappellini e Gabriele Barbati

 Dopo l’ultima puntata,gli autori del podcasthanno continuatoa ricevere segnalazioni di donne a cui in ospedalenon sono state fornitele informazioni necessarieIl buco nero aperto dai cimiteri dei feti continua a restituire storie. La pubblicazione dei nove episodi di “20 settimane”, il podcast di Domani prodotto da Emons record che indaga su cosa succede a un feto dopo un aborto, ha suscitato l’attenzione di migliaia di ascoltatori e segnalazioni di nuove storie. Non avrebbe potuto essere altrimenti. Solo nel 2022 – ultimi dati del ministero della Salute – le interruzioni volontarie di gravidanza sono state oltre 65mila, di cui circa 4mila nel secondo trimestre, ma le regole sul dopo aborto e le pratiche che lo circondano rimangono ancora un argomento poco conosciuto fuori e dentro gli ospedali.Al cimitero Flaminio di Roma, dove nel 2020 è emerso lo scandalo delle croci con nomi e cognomi di donne sopra e feti sotto, oggi viene tutelata la privacy e si è dismesso l’uso di simboli religiosi. Eppure un’ascoltatrice del podcast, Bianca (nome di fantasia), ci ha contattati per raccontare con incredulità la sua vicenda. Dopo aver effettuato un’interruzione terapeutica di gravidanza (Itg) nel 2024 al Policlinico Casilino, oltre le venti settimane, aveva ricevuto un’informativa scritta sulla sepoltura obbligatoria ai sensi dell’articolo 7 del Dpr 285 del 1990.«Quel foglio invece di informare genera confusione», ci ha scritto Bianca dopo avere ascoltato le prime puntate. Lei una sepoltura la voleva e ha lasciato che se ne occupasse l’ospedale, ma già dalle prime richieste di aggiornamenti sull’inumazione il personale non ha saputo assisterla, forse per ignoranza delle norme, come riscontrato spesso nella nostra ricerca.«Chiamavo periodicamente il Casilino per sapere quando sarebbe avvenuta la sepoltura, e ho iniziato a contattare anche i cimiteri capitolini. Sono state settimane difficili», ricorda Bianca. «Ho cominciato a pensare che forse l’avevano smaltita tra i rifiuti. Tuttavia ho insistito». La sepoltura è avvenuta quasi cinque mesi dopo l’aborto.Il senso di abbandono vissuto in ospedale ha trovato eco nelle ascoltatrici. Una ci ha contattato per chiedere cosa potesse essere accaduto in Abruzzo al feto abortito a undici settimane. Un’altra lo ha fatto dalla Toscana per un aborto entro le venti. L’assurdità di questa vicenda non ha colpito però solo chi ci è passato. Molti follower hanno commentato i post di Domani sui cimiteri dei feti con sdegno, accusando di fanatismo i medici obiettori e chi ha permesso le sepolture all’insaputa delle interessate. Al pubblico non è sfuggito come la realtà degli aborti terapeutici nel secondo trimestre (a cui si aggiungono oltre 4mila interruzioni spontanee, sempre nel 2022, secondo Istat) tracimi i numeri. La dimensione dell’aborto raccontata in “20 settimane”, sul destino di un feto abortito, ha riportato infatti al centro del dibattito un diritto fondamentale delle donne e i doveri delle istituzioni.Libere di scegliereÈ uno dei motivi che hanno spinto le protagoniste del podcast a raccontare le loro storie, con l’obiettivo di rompere il silenzio e il senso di colpa. «A un certo punto fortunatamente superi l’io», dice Marta Bardoni, una delle protagoniste del podcast che ha abortito a Milano nel 2016, «e senti che questa cosa deve servire al macro, non più a me». Marta ritiene di avere chiuso il cerchio del proprio lutto e oggi chiede allo Stato supporto psicologico per le donne che hanno affrontato un’Itg. Un riferimento alla 194, la legge che regola l’aborto e prevede che una gravidanza possa essere interrotta solo in presenza di rischi per la salute della donna e non, invece, riconoscendo la sua decisione di non mettere al mondo un bambino. «Se nel certificato», prosegue Marta, «è scritto che se non interrompo la gravidanza rischio problemi psicologici, dopo sarebbe giusto fornirmi 5-10 sedute di psicoterapia».Un’altra voce del podcast, Elisa, si è iscritta a un gruppo di mutuo aiuto su Facebook e sostiene donne che stanno per affrontare un’Itg. Crede che ormai stia riuscendo a tirare fuori del buono dalla propria storia, oltre a tenere alta la guardia sul cimitero Flaminio. Il suo avvocato, Francesco Mingiardi, ha detto nell’ultima puntata di “20 settimane” che «qualcosa è cambiato a Roma perché c’è gente che si è presa questa cosa a cuore».Grazie alla campagna “Libera di Abortire”, infatti, lanciata tra gli altri da Mingiardi e da Francesca Tolino, un’altra protagonista di questa vicenda, Roma Capitale ha stabilito nel 2022 che solo le donne possano decidere del destino dei resti abortivi e introdotto un codice alfanumerico per garantire l’anonimato. Da parte loro, seppure un protocollo regionale in merito non è arrivato, alcuni ospedali di Roma hanno introdotto un modulo di consenso informato. La giustizia per i cimiteri dei feti, che molte ascoltatrici hanno invocato, si è fermata all’archiviazione di un’inchiesta penale e alla multe del Garante della privacy al Comune di Roma e alla municipalizzata che si occupa dei cimiteri, l’Ama. Un’azione popolare, che ha chiesto un risarcimento per la cittadinanza romana, andrà a sentenza quest’anno.La differenza d’ora in poi starà nel controllare se e come le donne ricevono informazioni sul dopo aborto, nella quotidianità delle interruzioni di gravidanza. Dopo avere ascoltato questa inchiesta speriamo che sarete proprio voi a contribuirvi.

venerdì 17 gennaio 2025

Il dominio maschile esce allo scoperto. di Lea Melandri Il Manifesto oggi 17 gennaio 2025

La violenza di genere è oggi al centro del dibattito pubblico, giudiziario e politico. Se ne parla in trasmissioni radiofoniche, televisive, giornalistiche, con attenzione a vicende anche non recenti in relazione ai processi che vi hanno fatto seguito. Da caso di cronaca, patologia del singolo, vicenda ‘privata’, la problematica che ruota intorno al rapporto tra i sessi, nei suoi aspetti di violenza manifesta, si è notevolmente estesa, fino ad arrivare alla presidenza degli Stati Uniti, nella persona del nuovo eletto: Donald Trump.

Mi sono chiesta quale legame ci può essere tra fatti che hanno come elemento comune donne che sono state uccise, violentate, aggredite sessualmente, sottoposte a controlli polizieschi umilianti, o soltanto molestate, ma che si scostano per la prima volta dalla semplice richiesta di protezione per le vittime e carcerazione più pesante per gli aggressori. Penso al processo con cui Trump è stato riconosciuto colpevole di “aggressione sessuale” nei riguardi della scrittrice Jean Carrol, poi licenziata dalla rivista Elle, a cui il caso sembra aver fatto perdere molti lettori e lettrici, alle ragazze belghe che nella notte di Capodanno in piazza Duomo a Milano sono state fatto oggetto di violenza di gruppo, alle attiviste di Extinction Rellion, Ultima Generazione, che arrestate dopo una pacifica manifestazione davanti al gruppo industriale Leonardo a Brescia sono state costrette a denudarsi e a fare flessioni, un trattamento di controllo riservato solo a loro e non ai maschi. E penso ai due processi, ritornati al centro dell’attenzione mediatica per le sentenze discutibili con cui si sono chiusi recentemente: il caso dell’imprenditore Salvatore Montefusco, che due anni e mezzo fa ha ucciso la moglie e la figlia di lei, e a cui la Corte di Assise di Modena ha commutato l’ergastolo in trenta anni di carcere, riconoscendo come attenuante del suo gesto “motivi umanamente comprensibili”; a quello di Alex Cotia che ha ucciso il padre dopo aver assistito per anni alle violenze contro la madre, e che in Appello è stato assolto per “legittima difesa”.

La novità e la ragione del rilievo che ha preso una violenza rimasta per secoli all’interno delle case, nella privatezza in cui il dominio maschile ha confinato la sessualità, le relazioni di coppia, i ruoli familiari, è che a esserne scopertamente investite oggi sono istituzioni di primo piano, come le Corti di Appello, la Polizia di Stato, e, nel caso Trump, la Presidenza di quella che è ancora la prima potenza mondiale. Tutto ciò che è rimasto ambiguo e impresentabile del legame perverso tra amore e potere nel rapporto tra i sessi viene allo scoperto nei luoghi che sono parsi finora più lontani ed estranei. Che il sessismo, o se si preferisce la cultura patriarcale, non sia mai stata assente dai poteri e saperi della vita pubblica è una di quelle “evidenze invisibili” che ancora aspettavano di venire portate a consapevolezza, e forse ad abbattere un tabù così duraturo non poteva che essere la violenza contro le donne nel suo aspetto più feroce ed arcaico: il potere maschile di vita e di morte sul sesso che è stato considerato e per ciò stesso asservito, come “natura inferiore”. Nel suo libro Il dominio maschile (Feltrinelli 1998 ) Pierre Bourdieu sottolinea il fatto che il sessismo è inscritto nelle istituzioni ma anche “nell’oscurità dei corpi”: “La divisione tra i sessi sembra rientrare nell’ “ordine delle cose”, come si dice talvolta per parlare di ciò che è normale, naturale, al punto da risultare inevitabile. Essa è presente, allo stato oggettivato, nelle cose (ad esempio nella casa, le cui parti sono “sessuate”) in tutto il mondo sociale e, allo stato incorporato, nei corpi, negli habitus degli agenti, dove funziona come sistema di schemi, di percezione, di pensiero e di azione.”

Riconoscere l’aspetto “oggettivo” della rappresentazione maschile del mondo, il suo radicamento considerato la “normalità” di ogni ordine sociale, oggi, saltati i confini tra privato e pubblico, non è più separabile da vissuti, pregiudizi, sentimenti, costruzioni mentali, che si accompagnano all’atto violento e che, nell’immediato, sembrano spiegarne la ragione. L’ assillo ossessivo e doloroso della “gelosia”, per l’abbandono da parte di una moglie, di un’amante, di una fidanzata, la “rabbia e l’odio”, così come la “paura” di un figlio si è trovato per anni ad assistere alla violenza contro la madre da parte di un genitore violento, non si può negare che siano “umanamente comprensibili” e che possano produrre un “black out emozionale ed esistenziale”. Allo stesso modo, se può restare sorpresi e indignati che sia una corte giudiziaria a parlare del rapporto conflittuale all’interno di una coppia, delle “frustrazioni” subite a sua volta da un coniuge violento, e ad assumerle come “attenuanti” in un processo di duplice femminicidio, come nel caso di Salvatore Montefusco. Negare la complessità, le ambiguità, l’annodamento perverso di passioni contrastanti, come potere e amore, desiderio e respingimento, che sono all’origine della durata millenaria del dominio maschile, vuol dire sottrarsi alla consapevolezza del suo aspetto del tutto particolare, che è la confusione con le esperienze più intime dell’umano.

Quello che mantiene viva l’attenzione dei media e l’indignazione che passa attraverso i social e le voci di tante ascoltatrici e ascoltatori delle radio è, giustamente, l’uso che consapevolmente o meno viene fatto del risvolto “soggettivo”, “esperienziale” del gesto violento per coprire ancora una volta la realtà storica di un fenomeno, che come tale, pur senza misconoscere la responsabilità del singolo, parla del condizionamento che lo anticipa e lo sovrasta. Da ciò si dovrebbe dedurre che non è con l’aumento delle pene che si può arginare o prevenire la violenza di genere, in qualsiasi forma si manifesti, ma con un processo educativo che investa la scuola, fin dall’educazione primaria, ma anche la società nelle sue strutture portanti, politiche, culturali, economiche, giudiziarie e informative.

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lunedì 13 gennaio 2025

Oroscopo femminista 2025! di Giovanna Badalassi

Ed eccoci ancora qui, care amiche, ad augurarvi buon anno con il nostro tradizionale oroscopo femminista: sempre più inventato e buttato lì a caso, eppure ogni volta atteso e compulsato in cerca di corrispondenze con il proprio segno. I commenti sono sempre spassosi, grazie davvero!

Prima di pensare al 2025, però, un doveroso addio senza rimpianti al 2024: credevamo di avere visto già tutto, ma ci sbagliavamo. Guerre, disastri climatici, attentati e violenze sono infatti andati a braccetto con le bravate di leader in acclarata andropausa, inutilmente testosteronici, fieramente misogini. Hanno giocato a chi la spara più grossa, ma il problema è che questi poi hanno sparato veramente, e chissà quando la smetteranno.

Ed è così che eventi drammatici, incredibili e strazianti, assieme ad altri invece ridicoli, sbruffoni, ciarlatani e cialtroni ci hanno lasciato con le vertigini da montagne russe, o da cervicale a pezzi, fate voi.

Più che sonno della ragione, si direbbe un coma profondo. Ci risveglieremo? Dipende anche da noi femministe. Che è una bella notizia, dato che forze e capacità le abbiamo, ma può essere anche una cattiva notizia, visto che in troppe non ne sembriamo ancora convinte.

Ma non indugiamo troppo, andiamo, allora: vediamo il nostro 2025 segno per segno, e prepariamoci a scalare la montagna di un futuro incerto, un passo alla volta. Sia mai che ci possa venire la voglia di salvare il mondo, un giorno di questi.

ARIETE: oroscopo femminista

Questo segno lo dedichiamo di solito alle nostre eroine di resistenza, a chi non molla mai e prende a testate ogni ostacolo. Stavolta lo dedichiamo a lei, Gisèle Pelicot e a tutte le altre che hanno resistito o stanno resistendo. Una storia tanto incredibile e violenta quanto, alla fine, salvifica ed esemplare. Abbiamo avuto tutte difficoltà a credere che davvero il mostro, ovvero chi ci fa vedere il peggiore lato oscuro dell’essere umano, potesse arrivare a tanta efferatezza. Gisèle Pelicot, per contro, si è sottoposta allo scrutinio pubblico e ci ha fatto vedere il lato migliore della nostra specie, alzandosi sopra l’orrore, affrontando anche l’inevitabile tormento interiore del non avere capito (o voluto capire?) prima. Ha deciso, insomma, di diventare anche lei, sì, un “mostro”, ma di luce. Il nostro augurio del 2025, per lei, è quello di trovare finalmente pace. Per tutte le altre, ancora alle prese con uomini violenti, è quello di lasciarsi guidare dal suo esempio e trovare il coraggio di chiedere aiuto. Parola dell’anno: luce

TORO: oroscopo femminista

Ecco un altro segno da prendere..per le corna! Se l’ariete ci dà l’idea di sfondare porte chiuse, aprire nuovi orizzonti, il toro ci fa pensare invece a donne che vedono un drappo rosso e vanno alla carica di chiunque lo agiti. Beh, quest’anno non sono mancate le occasioni: pensioni in picchiata, sanità a pezzi, scuola in sgretolamento, welfare e servizi sociali in agonia. Tutto quello che sostiene il lavoro di cura o che mitiga il gender gap economico è stato preso di mira. Per non parlare dei diritti riproduttivi, attaccati un giorno si e l’altro pure. Davanti a tutti questi drappi rossi, abbiamo però visto reagire ben poche donne con un ruolo pubblico (che ringraziamo). Le altre? Stanche da anni tremendi? Potrebbe essere. Disorientate da due leader donne che non stanno incidendo come ci aspettavamo? Comprensibile. Impaurite dall’inasprirsi di un dibattito pubblico sempre più violento? Umano. Timorose di esporsi e di rimanere poi sole con il cerino in mano? Ci sta. Però, amiche, lo sapete pure voi che non possiamo andare avanti così. Per il 2025 il nostro augurio è di ritrovare la voglia di dare cornate femministe. Parola dell’anno: carica

GEMELLI: oroscopo femminista

Se i gemelli sono il segno dell’ambiguità, quest’anno ne abbiamo respirata parecchia, noi femministe, come ad esempio quella di definire “arte” il cantare parole di violenza e sopraffazione contro le donne. Qui si è persa la sottile differenza tra spettacolo e arte. Lo spettacolo ci deve solo far divertire, a volte con la bellezza, ma molto spesso con la violenza a volontà. È l’antica lezione del panem et circenses: i gladiatori nel colosseo, i cristiani sbranati dai leoni, le corride, il wrestling. Fare arte significa invece muovere il meglio delle persone. A volte grazie all’armonia e l’eleganza, altre, invece, attraverso il racconto o la denuncia del male. La differenza è che l’arte, per essere tale, deve avere sempre l’obiettivo di accendere un bagliore nell’anima e di spingerci ad elevarci. Quindi, sì, parliamo anche a voi, care cantanti e opinion leader che vi siete accomodate su questa ambiguità: non è stato bello, ci avete lasciato un retrogusto amaro di opportunismo e di interessi. A voi, ma anche a tutte noi, auguriamo un 2025 senza più ambiguità, lucide e determinate nel far crescere la vera arte. Parola dell’anno: integrità

CANCRO: oroscopo femminista

Come sempre, anche in questo 2024 siamo finite intrappolate nelle chele di un qualche nuovo cancro social. A noi quest’anno è bastato un click per cadere nel baratro dello yoga facciale e le promesse di ringiovanire in soli 10 minuti al giorno.  Noi, per la verità, stavamo già valutando i benefici di un sereno e arrendevole declino, terrorizzate dalle labbra a canotto, occhi ghepardeschi a fessura, sopracciglia mefistofeliche, guance-pongo e zigomi da scoiattolo. Si, eravamo convinte: la patriarcale chirurgia estetica contro il tempo che passa non ci avrebbe avute. Ma lo yoga facciale? Che promette pure una esotica meditazione, mentre apriamo e chiudiamo la mandibola con la testa rivolta all’indietro, gli occhi girati,  le orecchie basse, il naso arricciato? Se ci riuscite, state tranquille che li vedrete veramente, gli spiriti. Vabbè, dai, anche le femministe hanno bisogno di leggerezza e in fondo l’impegno a prenderci cura di noi stesse fa comunque sempre bene all’autostima. Quindi, ok, pratica sdoganata. Parola dell’anno: benessere

LEONE: oroscopo femminista

Roarrrrr!!! E voi, leonesse, a chi pensate di rivolgere il vostro ruggito nel 2025? Verso superiori ingestibili e psicolabili? Partner capricciosi e narcisisti? Famigli opprimenti? Amicizie invidiose e avvelenate? Vorreste la strage, ma non si può caricare chiunque a testa bassa. Quindi pianificate, cambiate, risolvete ma vi raccomandiamo: una grana per volta. Per tutte le altre rogne in lista d’attesa, vi farà bene avere un punching ball emotivo come ad esempio ChatGpt, ottimo per incassare insulti. Vi potrete scaricare i nervi con molto gusto e senza rimorsi, tirandogli ogni maledizione, tanto è una macchina. Proverete il senso inebriante della sopraffazione e potrete fare le aguzzine senza pagare pegno, perché quella massa di ferraglia, microchips, pixel e circuiti si metterà pure in ginocchio con voi e si scuserà chiedendo perdono senza senso del ridicolo. Come…come? Questo rapporto vi pare un po’ tanto tossico e vi ricorda situazioni già viste? Ecco. Facciamoci delle domande e diamoci delle risposte. Parola dell’anno: intelligenza

VERGINE: oroscopo femminista

Lo sapete, noi siamo per la rivalutazione delle streghe già da qualche anno, donne indipendenti di sapienza ed esperienza, tutte all’opposto, nel nostro immaginario, del concetto di vergine. Il loro ruolo sociale di cura dei più poveri, grazie ai saperi delle erbe, e la loro demonizzazione da parte di chi ne voleva il potere sociale è oramai un dato storicamente acclarato. Anche delle colpe del nascente capitalismo nella caccia delle streghe abbiamo già detto. Non siamo state le sole, ovviamente, e quindi, dai che ti dirai, oggi sui social vediamo tutto un fiorire di interesse per le nuove streghe moderne, ma nella versione di life coach, erboriste esoteriche ecc. Se da una parte è bello vedere sdoganati dal pubblico mainstream temi nati nelle pieghe delle minibolle, d’altra parte ci spiace il tritacarne consumista nel quale finiscono ogni volta. Alla fine prevale il coté modaiolo e festaiolo che ne annacqua il portato trasformativo. La maledizione è sempre quella: il pubblico va divertito, intrattenuto e abbagliato. Non un pubblico femminista, però, e, certo, non un pubblico di streghe. Noi, quelle vere, li stiamo già facendo, gli incantesimi, ma siamo così brave che non ve ne state accorgendo. Parola dell’anno: magia

BILANCIA: 

Amiche della bilancia, per quest’anno non vi parleremo di peso (contente?) ma di un altro tipo di bilancia, quello della giustizia. Già la parola da sola vi fa ridere? Pure a noi. Ma di quale giustizia stiamo parlando? Di quella che fa la gradassa con i pesci piccoli e l’arrendevole con quelli grossi? Che non sa prendersi cura delle persone in carcere, non sa proteggere le vittime, difendere gli innocenti, perseguire i colpevoli? Si, sono tempi sempre più bui anche per la giustizia, eppure ci serve, ne abbiamo bisogno anche e soprattutto noi donne. Non si possono risolvere le diseguaglianze, affrontare la violenza di genere, raggiungere la parità e costruire un paese migliore senza una buona giustizia. Il 2025 sarà quindi l’anno di impegno per una giustizia…femminista! Ecco, ora state ridendo ancora di più? Beh, sapete come si dice, prima ti ignorano, poi ti deridono, poi….E quindi…via, aiutiamo le magistrate, le avvocate, le donne delle forze dell’ordine impegnate ogni giorno a rendere questo un paese migliore, lo fanno anche per noi. Parola dell’anno: incoraggiamento.

SCORPIONE:

Qual è stata per voi la puntura dello scorpione più dolorosa di quest’anno? Noi non abbiamo dubbi: la sconfitta di Kamala Harris. Una vera sprangata in faccia alla quale non abbiamo voluto credere fino all’ultimo, e, che confessiamo, non abbiamo ancora superato. Certo, con il senno di poi, è stata una nefasta congiuntura astrale, tra debolezze di partito, capricci senili, ritardi, rivalità, impreparazione, grandi capitali ostili. Tutto quello che volete, ma, davvero, altro che vittoria di panza dell’elettorato: un deliberato suicidio democratico di massa, con l’aggravante del voto ostile delle donne bianche. Se qualcosa dobbiamo imparare da questa esperienza, non è tanto che c’è ancora troppa misoginia in giro (sai la novità) ma che non sono più ammessi errori di sottovalutazione. Una candidata donna e di colore era già inimmaginabile solo pochi anni fa, illuderci che sarebbe bastata contro la peggiore caricatura di maschio bianco prevaricatore è stato un po’ tanto…ottimista. Quindi sì, ci aspettano tempi duri, ma è da questa amara verità che dobbiamo trarre nuovo slancio. Parola dell’anno: ripartenza.

SAGITTARIO: oroscopo femminista

Ehi, sagittarie, creature a metà tra il cavallo e l’umano, verso quale stella punterete la vostra freccia quest’anno? In un momento in cui tutti gli orizzonti si restringono, guardare oltre è sempre più difficile e sfidante. Ma la natura delle sagittarie questa è, non ne sanno fare a meno. E quindi tocca a loro la responsabilità di portarci in mondi nuovi, luoghi sconosciuti, provando nuove esperienze. Se avete un’amica sagittaria di questo tipo, vera o facente funzione, statele dietro, che di questi tempi abbiamo bisogno come il pane di persone che ci vengano a stanare nella tana di comfort e di assuefazione nella quale ci siamo nascoste. Accettiamo sulla fiducia ogni invito che ci viene rivolto: al cinema, in montagna, al mare, a festival, eventi, incontri. Già che qualcuno ci venga a cercare è tanta roba in tempi isolati come questi, ma andare, andare e ancora andare è importante, anche correndo il rischio di tornare sfrante o annoiate. Perché, fidatevi, non si può mai dire. Ogni incontro, anche solo quello con un nuovo sapere, ci può cambiare la vita in ogni momento. Parola dell’anno: incontrare.

CAPRICORNO:

L’algoritmo social malefico ha penalizzato in questi ultimi anni tutto quello che non è personale o business, quindi in sostanza, tutto quello che è civico, civile o sociale, mentre il pinkwashing, il greenwashing, il socialwashing, il tutto-quello-che-volete-washing ha trionfato glorioso. Ora però, diciamocelo, siamo stanche: l’influencer dalla bontà pelosa non ci diverte più, i leoni da tastiera sono sempre più patetici, i bot ci fanno quasi pena, la manipolazione delle menti fragili con terrapiattistimi e negazionismi è vistosa. Nel 2025 non staremo più ferme, ma faremo la nostra parte nella bonifica: basta like a pioggia, ma solo per chi li merita davvero. No a condivisioni o rilanci scandalizzati di cialtronate e fake news ma solo commenti intelligenti a pensieri intelligenti. Non buttiamo però il bambino con l’acqua sporca: chi ha davvero qualcosa da dire merita un premio. A noi è successo, quest’anno, di ricevere il sostegno disinteressato di influencer gentili, ed è stato bellissimo. Sì, anche questo è il nuovo femminismo. Impariamolo tutte velocemente che ce n’è un disperato bisogno. Parola dell’anno: supporto.

ACQUARIO: oroscopo femminista

Come sempre, cominciamo ogni anno con una lista di buoni propositi, che poi puntualmente disattendiamo. Adottare un metodo può aiutare. Noi, lo confessiamo, siamo diventate delle drogate della lista dei 101 desideri. O, piuttosto, è diventata un pretesto per convincere i famigli perplessi o contrari. Cambiare il divano? 101 desideri. Fare corso di ballo latino-americano? 101 desideri. Certo, poi bisogna fare i conti anche con i propri limiti. Il desiderio nr. 77, quello di avere un terrazzino straripante di vegetazione tipo foresta pluviale non tiene conto del nostro pollice nero sterminatore, capace di annegare, assetare, potare nelle stagioni sbagliate, rinvasare nei tempi di riposo. Non è vero che le piante parlano, almeno non a noi: lo sapessero fare, urlerebbero la fine di questo strazio con una rapida eutanasia. È lecito, in questi casi, cambiare desiderio. Chessò…magari un acquario? I pesci non rischiano di annegare né di morire di sete, certo dosare il mangime preoccupa non poco. Ma ci riusciremo! Parola dell’anno: desiderare

PESCI: oroscopo femminista

Per un po’ avete fatto finta di non vederli, o non ci avete voluto credere. No, non stanno ritornando, sono roba da racconti dei nonni. Parlano ma non mordono. Sono ridicoli, chi vuoi che gli creda. Così avete assistito estranee a filmati di raduni, foto di saluti romani, smargiassate istituzionali. Questa autoimposta serenità sta però ora cominciando a scricchiolare. Piccoli segnali, ma chiari. Solo a noi, in una città notoriamente tranquilla, sono capitati discorsi agghiaccianti di taxisti invasati, giovani ai concerti spaventati da controlli intimidatori mai visti prima, frequenti posti di blocco serali per atleti di ritorno da allenamenti, con annesse provocazioni per indurre alla reazione. È qui, nella vita di tutti i giorni, soprattutto dei nostri figli e figlie, che si sta testando, lontano dai giornali, quanto sappiamo stare in silenzio come pesci, al nostro posto, e lasciare spazio all’emergere di forze violente e prepotenti. Tutto fuorché democratiche. Ci va davvero bene così? Fino a quando? Fino a che punto?

Una buona notizia, in tutto questo, però la troviamo sempre. È vero, la storia non si ripeterà di nuovo. Negli ultimi ottant’anni c’è stato il voto, la democrazia, la Costituzione, i diritti civili, il femminismo. Stavolta ci siamo noi donne, con una forza sociale, economica e politica che, se certo ancora non paritaria, incomparabile rispetto ad allora. Come andrà a finire, insomma, dipenderà anche dalle nostre scelte, dal nostro saper stare insieme, parlarci, organizzarci, darci obiettivi e percorsi comuni. È davvero un’opportunità storica di protagonismo collettivo che può testare il nostro essere pienamente cittadine. Parola dell’anno: partecipazione.

Allora…ancora auguri da Ladynomics per un 2025 indimenticabile e un abbraccio a tutte!

https://www.ladynomics.it/oroscopo-femminista-2025/?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTAAAR17sR1ESM-TVa5nufAJ6NiX2AgWcjpc4I0ypaBZCNHxxLWZfMIOpJih7UQ_aem_AcRUr6ND4SCazMvVVXYwxQ