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domenica 25 maggio 2014

Se l'Europa dell'austerity dimentica le donne di CHIARA SARACENO

Negli ultimi anni, l'Europa ha lasciato in secondo piano le politiche per la parità di genere che hanno da sempre contraddistinto la sua storia. E in Italia il peso delle differenze uomo-donna e della scarsità di servizi per i genitori si fanno sentire anche di più

INTRODURRE nella politica europea una maggiore e più sistematica attenzione per i problemi che affrontano quotidianamente le donne nel vedersi riconosciute le proprie capacità e aspirazioni, nel conciliare lavoro remunerato e responsabilità di cura, nell'assicurarsi che le condizioni di crescita dei figli siano adeguate e che la fragilità dei loro genitori anziani possa essere vissuta con dignità e così via non farebbe bene solo alle donne. Aiuterebbe anche a riorientare la politica europea, ridando vita a quel modello sociale europeo che sembra uscito dall'orizzonte motivazionale e dagli obiettivi della politica europea negli anni dell'austerity.

Non è sempre stato così. Anche se in posizione più debole rispetto agli obiettivi di politica economica e spesso senza potere vincolante, gli obiettivi sociali dell'Unione - dalle pari opportunità tra uomini e donne, alla lotta contro ogni forma di discriminazione, alle politiche di conciliazione, alla garanzia minima di risorse, all'investimento in formazione e piú in generale in capitale umano - hanno per decenni stimolato i singoli Paesi membri ad adeguare  le proprie norme giuridiche e a rafforzare il proprio sistema di welfare in direzione di una maggiore inclusività ed equità.

In questo modo hanno anche fornito strumenti di argomentazione e negoziazione a chi, all'interno di ciascun paese, era interessato a modificare assetti giuridici e di welfare, oltre che pratiche politiche e sociali in contrasto con quegli obiettivi. È vero che in campo sociale la discrezionalità degli Stati membri è stata sempre molto piú ampia che nel campo economico.

Per questo, ad esempio, l'Italia può continuare a non avere una misura di reddito minimo per i poveri né una indennità di disoccupazione universale, invece che un sistema frammentato che lascia molti disoccupati privi di protezione e i poveri senza sostegno, può avere una percentuale di giovani Neet (che né studiano né lavorano) altissima, un tasso di occupazione femminile molto lontano dall'obiettivo europeo per il 2010, così come un tasso di copertura di servizi per la primissima infanzia pure lontano dagli obiettivi comunitari, oltre che estremamente diseguale a livello intra-nazionale, senza correre il rischio di essere sottoposta a una procedura di infrazione.

La debolezza a livello europeo degli obiettivi sociali di equità, protezione dei più deboli, investimento sociale e nel capitale umano, e la loro subalternitá a quelli economici, è tuttavia apparsa in tutta la sua evidenza con le politiche di austerità, nella misura in cui queste, soprattutto in paesi a economia debole come l'Italia, sono state fatte soprattutto a carico del welfare e dell'istruzione, cioè in due campi cruciali sia per le pari opportunità sia per l'investimento sociale - per le donne, ma non solo. Invece che investire in capitale umano si rischia di distruggerlo e di impedirne la formazione, con effetti negativi sulla stessa capacità di ripresa economica.

Avere più donne nel parlamento europeo, oltre che nei governi nazionali e nelle istituzioni nazionali e internazionali ove vengono prese le decisioni che determinano le chances di un paese e dei suoi cittadini, può appunto aiutare a rimettere l'equità, l'investimento sociale, i bisogni di cura, al centro dell'agenda politica: non in alternativa alle politiche di bilancio, ma come fine di queste politiche e come prospettive da cui riconsiderare ciò che si considera un investimento, o invece una spesa eliminabile senza particolari danni.

Ormai dversi studi hanno mostrato che dove c'è più equità c'è anche maggiore possibilità di sviluppo (sostenibile). Certo, non basta che ci siano più donne. Come nel caso degli uomini, conterà quali donne, con quali programmi ed anche con quale capacità di incidere sull'agenda dei partiti di cui fanno parte.

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