Le donne e il lavoro fra flessibilita', precarieta', mala occupazione , disoccupazione
Un percorso sul tema del lavoro , un'occasione per progettare possibili cambiamenti perchè crediamo che un mondo nuovo per uomini e donne deve essere possibile.
Alla ricerca di conciliazione dei tempi di lavoro e di cura, sballottate fra flessibilità e precarietà, le donne escono sempre più frequentemente dal mondo del lavoro e si assumono i lavori di cura delle figlie, dei figli, delle anziane e degli anziani, della casa… in una sommatoria di ruoli e funzioni di cui la società si scarica in tempi di crisi economica.
L’associazione “ventunesimodonna “ attraverso il percorso “Donne di marzo” vuole riflettere con gli uomini e le donne sul valore attuale del lavoro e sul complicato rapporto delle donne con il lavoro.
Il percorso prevede diversi appuntamenti : cineforum, cena sociale con musiche e canti popolari che raccontano la storia delle donne, un seminario sul lavoro per entrare nel merito di questioni quali : conciliazione, condivisione , precarietà, flessibilità, disoccupazione attorno a cui ruotano le vite delle donne.
Il primo appuntamento è Domenica 2 Marzo con la proiezione del film “We want sex equality”
Ore 16.00 presso la sala “Nilde Jotti” via Nilde Jotti - Corsico
Ti aspettiamo
giovedì 27 febbraio 2014
IL TACCO e il MERITO
Un paio di giorni fa
una giornalista inglese mi ha domandato sorpresa quale fosse la mia
reazione di fronte al numero impressionante di articoli, post,
gallery di foto dedicate al tema “come vestono le nuove ministre“.
Dal confronto
dell’altezza dei tacchi tra la Ministra Boschi con scarpe stiletto
di 12 centimetri e la collega Madia con ballerine ultrapiatte. Dal
colore della giacca della ministra Mogherini giudicata” troppo
rosa” alle calze nere velate di Stefania Giannini per molte
“sbagliate”: ministre valutate come sul red carpet di Cannes o
come a Sanremo.
Ricordo diverse
fotografie di Sergio Marchionne che in maglioncino blu si presentava
a congressi e conferenze di rilievo senza imbarazzo di alcun tipo e
non mi pare che nessun giornale mettesse il suo girocollo a confronto
con il doppiopetto gessato di chi sedeva vicino a lui.
Cose di poco conto? Non
proprio, piuttosto segni evidenti di un Paese ancora culturalmente
arretrato, un Paese che nomina sì 8 Ministre donne, ma che non è
ancora in grado di applicare le “pari opportunità” ai parametri
con cui si valutano e giudicano le persone, e dunque ancora oggi nel
2014, se si è donne, l’attenzione che si susciterà sarà in gran
parte determinata da come ci si presenta.
Un eguale numero di
post e articoli sono stati in questi giorni suscitati da discussioni
sul merito: a giudizio di alcuni blogger e giornalisti, alcune
giovani Ministre non meriterebbero la posizione che ricoprono e
dunque si chiedono ” perchè sono state nominate e con quale
motivazione?”
Mi pare questo una
domanda legittima e assolutamente opportuna: in moltissime
organizzazioni aziendali italiane e nella quasi totalità di aziende
e di istituzioni politiche estere, funziona la selezione per
curriculum. Con stupore i giornalisti nostrani in questi giorni
riportavano la notizia che l’economista Lucrezia Reichlin non
pareva interessata alla proposta di ricoprire l’incarico di
Ministra dell’ economia nel nostro Paese, perche’ in attesa di
una risposta da parte della banca d’Inghilterra che stava valutando
il suo curriculum per la posizione di Vice President. Funziona così
nei Paesi democratici e civili: si invia il cv e si viene valutati
sul merito.
Alcuni ricorderanno che
tempo fa la ricerca per la posizione di Direttore Generale della BBC
venne postata sul sito della BBC a disposizione di tutti gli
interessati e interessate. Come se da noi Luigi Gubitosi attuale
direttore RAI fosse stato selezionato attraverso un annuncio postato
sul sito RAI. Pare fantascienza.
Domanda legittima
dicevamo e infatti sarebbe corretto e auspicabile che i Ministri
venissero selezionati in base alle loro competenze e alle loro
attitudini e che si meritassero davvero l’importante posizione che
andranno a ricoprire.
Ci chiediamo perchè la
valutazione di inadeguatezza venga indirizzata verso le attuali
giovani ministre , e non sia stata pronunciata con questa veemenza in
molte, anzi moltissime occasioni del passato quando ad essere
incompetenti erano uomini, tanti uomini, giovani e meno giovani.
Nel nostro Parlamento
siedono alcuni individui impreparati che ricoprono posizioni di
grande responsabilità senza averne le capacità e la preparazione.
Sembra ormai che noi italiani all’incompetenza di alcuni nostri
parlamentari ci si sia abituati; ricordo tempo fa un politico che di
fronte al mio stupore per la nomina di una persona che sarebbe andata
a ricoprire un’importante ruolo nel consiglio di amminstrazione di
una società statale, mi disse “però è simpatica, e mi dicono che
sia anche una brava persona”. Nessun cenno al fatto che la persona
in questione non possedesse alcun requisito utile alla posizone che
sarebbe andata a ricoprire.
Cominciamo col chiedere
da subito che il merito diventi per tutti e tutte l’unico strumento
di selezione accettabile, facciamo sentire la nostra voce, agiamo la
cittiadinanza attiva.
sabato 22 febbraio 2014
Otto ministre, la metà dell'Esecutivo. Ma per l'altra metà del cielo non è stato facile conquistare uno spazio nei Governi.
Nella storia repubblicana dal 1951, quando spunta la prima sottosegretaria, si è dovuti arrivare al 1976 per vedere una donna titolare di un ministero. È Tina Anselmi, al vertice del ministero del Lavoro. Agli albori della Repubblica, ma anche per tanti anni dopo, una donna nel Governo sembrava una meta irraggiungibile. E a una donna premier o presidente della Repubblica non si è ancora giunti.
Nel 1951 la prima sottosegretaria
Solo nel 1951, nel settimo governo De Gasperi, Angela Maria Guidi Cingolani diventa sottosegretario all'Industria con delega all'artigianato. Per ritrovare una donna come sottosegretario bisognerà aspettare il governo Scelba. È il 1954 e arriva Maria Jervolino, nominata sottosegretario alla Pubblica istruzione. Poi altre donne si affacciano negli esecutivi, sempre come sottosegretari. Nel 1968 per la prima volta le donne sono tre: Maria Badaloni, sottosegretario alla Pubblica istruzione, Emanuela Savio, sottosegretario all'Industria e Maria Cocco, sottosegretario alla Sanità nell'esecutivo di Giovanni Leone.
Anno 1974: Tina Anselmi è la prima ministra
Nel 1974 Tina Anselmi ricopre la carica di sottosegretario al Lavoro e sarà anche nel quarto e quinto governo Moro, sempre come sottosegretario. E sarà proprio Tina Anselmi nel 1976 a diventare il primo ministro donna della storia della Repubblica. È al vertice del ministero del Lavoro del terzo governo Andreotti. Sarà invece ministro della Sanità nei due governi successivi, il quarto di Andreotti nel 1978 e l'anno seguente Andreotti V. Un nuovo stop di tre anni e poi arriva un'altra donna alla guida di un ministero. È il 1982 e Franca Falcucci, nel quinto governo Fanfani, diventa ministro della Pubblica istruzione (era stata sottosegretario nello stesso dicastero negli otto governi precedenti). Franca Falcucci resterà al vertice del ministero della Pubblica istruzione anche nei tre governi successivi (due guidati da Bettino Craxi e uno da Amintore Fanfani).
Due donne nel Governo nel 1988: Rosa Russo Jervolino e Vincenza Bono Parrini
Poi è la volta di Rosa Russo Jervolino, che nel governo Goria del 1987 è la sola donna ministro, alla guida degli Affari sociali. Stesso incarico nel 1988, nel successivo governo di Ciriaco De Mita, il primo con due ministre: Iervolino e Vincenza Bono Parrino ai Beni culturali. Nel sesto governo Andreotti, Iervolino è sempre ministro agli Affari sociali, poi nel 1991 prende l'interim al Lavoro in sostituzione di Carlo Donat Cattin, scomparso nel marzo dello stesso anno. Iervolino è anche ministro nel settimo governo Andreotti (1991) agli Affari sociali e nel primo governo Amato (1992), al vertice della Pubblica istruzione. Accanto a lei c'è Margherita Boniver, ministro per gli Italiani all'estero e l'immigrazione con Andreotti, e ministro del Turismo con Amato.
Tris di donne solo nel 1993
Bisogna attendere il 1993,con il premier Carlo Azeglio Ciampi per avere tre donne nella compagine governativa: Fernanda Contri agli Affari sociali, Rosa Russo Iervolino alla Pubblica istruzione e Mariapia Garavaglia alla Sanità. Una marcia, quella delle donne nell'esecutivo che affronta una pausa con il primo governo Berlusconi, nel 1994, che ha un solo ministro donna: Adriana Poli Bortone alle Risorse agricole. Anche nel governo Dini del 1995 una sola donna, Susanna Agnelli, al vertice della Farnesina. Tornano a quota tre le ministre nel primo governo di Romano Prodi, nel 1996: Anna Finocchiaro alle Pari opportunità, Livia Turco alla Solidarietà sociale e Rosy Bindi alla Sanità.
Con il primo governo D'Alema le donne arrivano a sei: è il 1998
È il primo governo D'Alema a raddoppiare il numero delle donne (diventano sei): siamo nel 1998. E per la prima volta un importante dicastero come quello del Viminale viene affidato a una donna, Rosa Russo Iervolino. Sempre sei le ministre nel secondo esecutivo D'Alema del 1999. Poi con il secondo governo Amato (2000) le ministre scendono da 6 a 4. Solo 2 donne, poi, nei governi Berlusconi II e III. Le ministre ritornano a quota sei nel secondo governo Prodi. Nel quarto ed ultimo governo del cavaliere le ministre sono 5 su 24. Nell'esecutivo dei tecnici guidato da Mario Monti sono, invece, tre 3: Anna Maria Cancellieri all'Interno, Paola Severino alla Giustizia ed Elsa Fornero al Lavoro.
Per la prima volta con Letta sette donne ai vertici di ministeri
Enrico Letta per la prima volta porta nell'Esecutivo sette donne (su 21 ministri) e il primo ministro di colore della storia italiana, Cecile Kyenge al neonato ministero dell'Integrazione.
Metà dell'Esecutivo è "in rosa" nel governo Renzi
Un record ora battuto dall'esecutivo Renzi che schiera otto donne su 16 ministri. Nella squadra ci sono Maria Elena Boschi, Stefania Giannini, Federica Guidi, Maria Carmela Lanzetta, Beatrice Lorenzin, Marianna Madia, Federica Mogherini, Roberta Pinotti. Fra i record Roberta Pinotti è il primo ministro della Difesa donna nel nostro Paese. Una novità salutata positivamente anche dall'Osservatore Romano. Il governo Renzi, si legge, «si caratterizza per la novità molto positiva della presenza, su sedici ministri, di otto donne». L'età media del Governo Renzi è di 47 anni, quella delle donne ministro è di 44 anni.
venerdì 21 febbraio 2014
Consultazioni: quasi tutti uomini dal (futuro) presidente di Pia Locatelli
Matteo Salvini (Lega
Nord), Nichi Vendola (Sel), Bruno Tabacci (Centro democratico) Pino
Pisicchio e Nello Formisano (Misto), Franco Bruno (Api) Mario
Borghese (Maie), Riccardo Nencini e Marco Di Lello (Psi), Mario
Ferrara (Gal), Pier Ferdinando Casini, Lorenzo Dellai e Mario Mauro
(Udc, Popolari per l’Italia), Silvio Berlusconi, Paolo Romani e
Renato Brunetta (Forza Italia), Angelino Alfano (Nuovo centro
destra).
Leggo l’elenco delle
delegazioni che si sono recate alle consultazioni con Matteo Renzi e
rabbrividisco: sono tutti uomini. Anche tra i 5Stelle, tra i più
accesi sostenitori dell’inutilità delle politiche di genere, ben
quattro uomini: Beppe Grillo, Luigi D’Inca, Vincenzo Santangelo, e
Luigi di Majo.
Anche nel Pd, il
partito che vanta la più alta presenza di donne in Parlamento, le
persone qualificate per parlare con il premier in pectore sono due
uomini Luigi Zanda e Roberto Speranza.
Le uniche donne
presenti, sono Stefania Giannini di Scelta civica e Giorgia Meloni,
di Fratelli d’Italia, entrambe accompagnate però dalle ingombranti
presenze di Andrea Romano e Gianluca Susta e di Guido Crosetto e
Ignazio Larussa.
E’ la fotografia
della nostra politica, del nostro Parlamento, del nostro Paese. Le
donne quando si tratta di trattare di cose importanti sono tagliate
fuori.
E allora come possiamo
pensare che il tema della parità di genere, delle azioni positive
volte a favorire l’occupazione femminile, possano essere all’ordine
del giorno se quasi tutte le delegazioni, che rispecchiano chi
detiene il vero potere nei partiti, sono composte da uomini?
Come possiamo sperare
che questi signori che sono andati a trattare di programmi portino
avanti le richieste dei movimenti e delle associazioni femminili per
avere una ministra delle Pari opportunità, o modifiche alla legge
elettorale per garantire una rappresentanza femminile nelle
istituzioni, così come previsto dalla Costituzione?
E non si tratta del
vecchio discorso delle quote, che non ci entusiasmano ma sono
strumenti utili, piuttosto di fare un salto di qualità. Non
chiediamo posti, ma solo di essere messe alla prova. E purtroppo, in
assenza di regole, nessuno ce ne darà mai l’occasione.
Lo abbiamo visto nelle
recenti elezioni regionali in Sardegna, dove l’affossamento della
legge elettorale che prevedeva la doppia preferenza di genere, ha
prodotto l’aberrante risultato di sole quattro donne su 60
consiglieri comunali eletti. Una percentuale pari al 6,6% che ci
colloca nella graduatoria mondiale tra il Tuvalu e le Maldive, al
126esimo posto della classifica mondiale dell’Unione
interparlamentare. Posizione vergognosa e inaccettabile per un paese
europeo.
giovedì 20 febbraio 2014
Nel prossimo nuovo Governo Italiano è essenziale la Ministra per le Pari Opportunità. Perché
Appena ufficializzato
dal Quirinale l’incarico di formare il nuovo governo, le donne e le
Associazioni che aderiscono all"Accordo d’azione comune per la
democrazia paritaria inviano al Presidente del Consiglio incaricato
la seguente lettera in cui vengono dettagliatamente elencati i
"perché ...sia essenziale nel nuovo governo la Ministra per le
Pari opportunità"
A Matteo Renzi
Presidente del
Consiglio incaricato
Roma
Oggetto- CI SIAMO! E
vogliamo esserci.
Nel prossimo nuovo
Governo Italiano è essenziale la Ministra per le Pari Opportunità.
Perché?
perché la voce delle
Donne Italiane e i loro problemi di Cittadine, devono trovare non
solo ascolto, ma avere valore di priorità del Paese e, come tali,
seguiti da indispensabili e adeguate soluzioni, nel rispetto dei
principi costituzionali e delle direttive europee;
perché questa lunga ed
intensa crisi non solo economica – ma anche sociale, culturale,
etica, sta colpendo in modo significativo soprattutto le Donne, nella
vita pubblica e privata:precariato e disoccupazione femminile,
disparità di carriera e di retribuzione sul lavoro, atti di violenza
contro le Donne e femminicidio, distorta rappresentazione sui media
delle Donne e delle loro vicende, smantellamento o riduzione dei
servizi sociali, esigua presenza delle Donne nelle Istituzioni e nei
luoghi decisionali...sono solo alcuni esempi;
perché le politiche di
genere non diventino solo un bel vessillo di proclamata “modernità”,
contemplandole nei punti programmatici al momento della costituzione
del Governo e poi trascurate, ma siano un concreto impegno di tutti i
Ministri;
perché è importante
avere una figura di riferimento, di stimolo e di coordinamento, - in
una logica di gender mainstreaming - delle politiche delle Pari
Opportunità e delle azioni positive in tutte le attività e gli atti
di Governo;
perché le politiche
generali, per essere davvero tali e portare benefici collettivi,
devono tener presenti tutte le prospettive, basilare quella di
genere. Basti pensare alla recente vicenda sull’attribuzione del
cognome ai figli/figlie, già oggetto di condanna della Corte di
Strasburgo all’Italia per violazione del principio di parità, del
cui DDL approvato dal CdM, pur lodevole per la tempestività ma
criticabile nei contenuti e modalità, non si è avuto più notizia
(sull’argomento incombe altresì un giudizio della Corte
Costituzionale e altro ritardo comporterà gli inevitabili effetti
della condanna);
perché è essenziale
che il punto di vista delle Donne, la democrazia pari, diventino un
esempio per le nuove generazioni di uomini e donne, nell’auspicabile
funzione anche pedagogica della politica e delle più alte
Istituzioni della Repubblica Italiana;
perché deve essere
istituzionalizzato il rapporto e reso continuativo il dialogo con il
mondo dell’Associazionismo Femminile, così come diventa ormai
indispensabile nella
logica di rinnovamento,
cambiamento, efficienza generali, il ripensamento di tutti gli
Organismi di Pari Opportunità.
Se non sono sufficienti
questi “perché”, ne abbiamo tanti altri.
Quelli delle Donne
Italiane, oltre la metà del Paese.
Le Firmatarie
dell’Accordo
Roma, 17 febbraio 2014
Elenco delle Firmatarie
dell’Accordo
NOI RETE DONNE, AFFI -
ASSOCIAZIONE FEDERATA FEMMINISTA INTERNAZIONALE, SE NON ORA QUANDO,
AGI (Ass. Giuriste Italiane – sez. romana), AIDOS, ANDE, ASPETTARE
STANCA, ASSOCIAZIONE ALMA CAPPIELLO, ASSOCIAZIONE BLOOMSBURY,
ASSOCIAZIONE DONNE BANCA D’ITALIA, ASSOLEI, CENTRO ITALIANO
FEMMINILE, COMMISSIONE DIRITTI E PARI OPPORTUNITÀ ASS. NE STAMPA
ROMANA, CONSIGLIERA NAZIONALE PARITA’, CONSULTA DONNE DI
COLLEFERRO, COORDINAMENTO ITALIANO LOBBY EUROPEA DELLE DONNE,
COORDINAMENTO NAZIONALE DONNE ANPI
CORRENTE ROSA, CRASFORM
Onlus, DOLS DONNE ONLINE, DONNE CHE SI SONO STESE SUI LIBRI E NON SUI
LETTI DEI POTENTI, DONNE E INFORMAZIONE, DONNE IN QUOTA, DONNE IN
RETE PER LA RIVOLUZIONE GENTILE, DONNE PER MILANO, DONNE
ULTRAVIOLETTE, FIDAPA, FONDAZIONE ADKINS CHITI – Donne in musica,
FONDAZIONE NILDE IOTTI, GIO (Osservatorio studi di genere, parità e
pari opportunità), GIULIA (Giornaliste Unite Libere Autonome), IL
CORPO DELLE DONNE, IL PAESE DELLE DONNE, INGENERE, LA META’ DI
TUTTO, LE NOSTRE FIGLIE NON SONO IN VENDITA, LIBERA DONNA, LIBERE
TUTTE - Firenze, LUCY E LE ALTRE, MOUDE (Movimento Lavoratrici dello
spettacolo), MOVIMENTO ITALIANO DONNE PER LA DEMOCRAZIA PARITARIA,
NOID TELECOM, NOI DONNE, NOIDONNE 2005, PARIMERITO, PARI O DISPARE,
PROFESSIONAL WOMEN’S ASSOCIATION, RETE ARMIDA, RETE PER LA PARITA’,
SOLIDEA, TAVOLA DELLE DONNE sulla violenza e sicurezza città di
Bologna, TUTTEPERITALIA, UDI, USCIAMO DAL SILENZIO, WOMEN IN THE
CITY,
17|02|14
domenica 16 febbraio 2014
Cecile Kyenge, Laura Boldrini e le altre donne meno conosciute

Siamo disponibili a confrontarci con uomini e donne sia attraverso i nostri riferimenti web che personalmente.
Siamo presenti il I° mercoledì di ogni mese ore 17-19 al Bem Viver,via Monti Corsico,e il 2°-3°-4° martedì ore 20.30-22-30 al Centro Foscolo,via Foscolo3d,Corsico.
Lettera aperta
agli uomini e alle donne che credono in una società fondata sul rispetto delle diversitàDopo il necessario silenzio della riflessione, abbiamo deciso di prendere pubblica parola per dichiarare l'insopportabilità di una storia sessista che negli ultimi decenni ha alzato sempre più i toni fino ad arrivare agli insulti pesanti rivolti a Cecile Kyenge e Laura Boldrini, rispettivamente ministra per l'integrazione e presidente della camera dei deputati e delle deputate.
Non si può non chiedersi che uomini siano questi che parlano alla pancia di altri uomini, considerano un divertimento insultare le donne e (attraverso i giornali, le pagine web, i mass-media in generale e perfino all'interno dei luoghi istituzionali) usano parole come clave per denigrare, delegittimare, offendere le donne.
Uomini che non sopportano la presenza sempre più numerosa di donne nei luoghi di prestigio e di potere che reputano ancora di loro esclusiva pertinenza e invece di confrontarsi con loro sul piano dialettico in caso di divergenze politiche, culturali, personali le aggrediscono con insulti sessisti irripetibili, degni del peggior maschilismo di antica memoria.
Sono uomini che sognano un mondo ancora a dominio maschile nel quale tutte le donne, ingabbiate in modelli arcaici e ruoli di subalternità, non hanno eguale dignità degli uomini
e possono impunemente essere aggredite, intimidite, violentate, uccise.
Non si deve sottovalutare quello che accade quotidianamente alle donne non solo in Italia e conseguentemente, oltre a dare solidarietà a tutte le donne (non solo a quelle che ricoprono ruoli importanti) offese da azioni violente agite da “questi uomini”, urge prendere le distanze da comportamenti e gesti che non solo offendono le donne e legittimano il maschilismo, ma fanno venire a galla fantasmi di un passato non rassicurante per le donne e per la democrazia.
Chiediamo a tutte le donne e a tutti gli uomini
che considerano valore il rispetto delle diversità di mettere in atto in tutti i luoghi nei quali vivono e operano strumenti ed azioni per bloccare il degrado e la degenerazione in atto e proporre modelli culturali e sociali che facciano del rispetto delle diversità il valore fondativo di una democrazia degna del ventunesimo secolo evoluta e compiuta, paritaria, in cui donne e uomini possano vivere in un clima di libertà, rispetto e dignità.
giovedì 13 febbraio 2014
One Billion Rising: la Giustizia al centro di Monica Lanfranco
“Abbiamo deciso che
dedicheremo tutte le ricreazioni a fare le prove del ballo”. E’
una giovanissima a parlare, studentessa del liceo Alighieri di
Ravenna: nel video ci sono anche alcuni compagni di scuola che si
uniscono alle ragazze, una cosa così davvero non si è mai vista, in
un liceo italiano.
Ogni giorno, attraverso
il sito italiano di One Billion Rising e la sua pagina Facebook, sono
centinaia le segnalazioni da ogni città, piccola e grande, di
iniziative in preparazione della seconda ondata di balli per il 14
febbraio.
Per non dire, poi, del
sito internazionale del movimento creato da Eve Ensler: ci vuole una
connessione potente e un computer altrettanto attrezzato per riuscire
a vedere l’immensa mole di materiale video, audio e di immagini
della scorsa edizione. Donne, uomini, bambini, bambine, persone
disabili lo scorso anno hanno reagito con entusiasmo e generosità al
primo evento globale nonviolento femminista: in contemporanea, tra
pochi giorni, riaccadrà.
Rispetto allo scorso
anno la campagna lancia, per il 2014, una parola chiave sulla quale
riflettere: giustizia.
A chi, talune tra le
donne e soprattutto molti uomini, pensano che sia stupido,
inefficace, inutile partecipare il 14 febbraio al ballo vorrei
rispondere con le parole della stessa Eve Ensler, racchiuse in una
lettera mandata a tutti i gruppi di coordinamento nel mondo: “Ogni
evento fa parte di una decisione collettiva, carica di energia, per
porre fine alla violenza su questo pianeta, che ha traumatizzato i
corpi delle donne e delle bambine e ci ha impedito di utilizzare in
pieno la nostra forza vitale e di poter assaporare il vero valore
della vita. Ogni evento è una danza di unione per porre fine alle
ingiustizie razziali, ambientali, economiche e di genere. Non è
possibile fallire.
Ciò che importa è che
manifestiamo, che diamo un nome all’ingiustizia, che ci impegniamo
ad affermare con i nostri corpi e con le nostre comunità che questo
evento del 14, come tutti i giorni che lo precedono e tutti i giorni
che lo seguiranno, è la nostra vita. Ogni evento per la giustizia fa
parte del fiume di giustizia, la corrente di un nuovo paradigma,
un’onda irrefrenabile che ci unisce attraverso la forza e l’
incoraggiamento della nostra solidarietà globale”.
Ecco: un movimento
politico globale che offre un’occasione così gioiosa, inclusiva,
vitale per manifestare la forza della bellezza contro la violenza che
ancora grava sulla metà del mondo e lo fa senza urlare, senza
insultare, senza usare parole e pratiche di sopraffazione. Un
movimento che mette al centro la giustizia senza inneggiare alla pena
di morte, ma provando a rendere chiaro che, sopra ogni altra
importante declinazione, l’ingiustizia provoca dolore, e del dolore
le donne sono esperte, e vogliono per questo fermarlo e chiamare
altre donne e anche gli uomini nel percorso. Non c’è solo la
violenza agìta a creare scompenso, dolore e quindi ulteriore
violenza: ogni volta che si sottraggono risorse, valore e attenzione
alle pratiche e ai progetti inclusivi per il miglioramento delle
relazioni tra i generi si crea una situazione di ingiustizia.
Ed è per questo che
proprio il giorno dopo l’evento globale OBR ci sarà, in Calabria,
il 15 febbraio, la prima manifestazione regionale per difendere il
Progetto donna cancellato dopo il mancato rifinanziamento della legge
regionale che dava fondi e prospettive all’importante strumento a
disposizione delle donne calabresi per iniziative, telefoni rosa,
biblioteche, centri d’informazione e percorsi formativi
d’eccellenza. Speriamo che la mobilitazione faccia tornare le
istituzioni sui loro passi: questo sarebbe un segno concreto di
giustizia.
lunedì 10 febbraio 2014
Storie di ordinario sessismo di Lea Melandri
La campagna
antiabortista, che attraversa periodicamente l’Occidente, e gli
insulti di carattere erotico rivolti alle donne, che oggi entrano
vistosamente anche nelle aule parlamentari, dicono quello che già
sappiamo del sessismo: nel corpo della donna gli uomini da secoli
hanno visto l’”oggettivazione” e l’ “incorporazione”
della sessualità maschile, la loro colpa diventata “carne”.
L’attitudine alla prostituzione e la maternità farebbero entrambe
parte della costituzione organica della donna fin dalla nascita,
tanto da potersi soprapporre e confondere. (Otto Weininger)
Come spiegare
altrimenti l’insulto che nelle sale operatorie – non penso solo
in quelle della provincia contadina in cui sono nata – veniva
rivolto alle partorienti quando si lamentavano del dolore: «Hai
goduto, adesso paghi»? Non è forse questo anche il retro pensiero
degli antiabortisti, che vorrebbero costringere una donna a tenere un
figlio che non desidera? L’ossessione per molti uomini o quanto
meno per la cultura che abbiamo ereditato resta, nonostante se ne
faccia oggi ampio consumo, la sessualità proiettata sul corpo
femminile, una pulsione che sembra quindi cadere su di loro da fuori,
frutto di “seduzione” o trascinamento, e di cui stentano perciò
ad assumersi la responsabilità.
Le maternità,
desiderate o indesiderate, rimandano al rapporto tra i sessi,
all’amore e alle prove di potere o all’esercizio della violenza
che l’attraversano. È la sessualità maschile, penetrativa e
generativa, che può causare gravidanze, e sappiamo quante volte
questo avvenga senza il consenso e spesso senza piacere da parte
delle donna. Eppure è quasi esclusivamente su di lei che sono stati
sperimentati gli anticoncezionali, di cui conosciamo la nocività per
la salute, è a lei che si chiede di “stare attenta”, di “non
mettersi nei guai”, di “non provocare”.
La consapevolezza,
che sta finalmente affiorando, della matrice sessista presente in
modo più o meno esplicito negli insulti rivolti alle donne incontra
il suo maggiore ostacolo nella resistenza maschile a volgere lo
sguardo su di sé. La solidarietà con la vittima e la presa di
distanza dall’aggressore, soprattutto se avversario politico –
come si è visto anche nel caso di Laura Boldrini e delle
parlamentari del Pd – sono in sé apprezzabili, ma allontanano
ancora una volta la questione di fondo: la politicità di un rapporto
di potere, come quello tra uomo e donna, che passa attraverso i corpi
e la sessualità, la divisione e la gerarchizzazione dei ruoli basata
su attribuzioni arbitrarie di valore e disvalore al sesso di
appartenenza.
Dai bar sport, dalle
piazze, dagli interni di famiglia alle aule parlamentari, quelle che
oggi erompono come “rimosso” di un patriarcato in declino sono
storie di ordinaria violenza sessista. La libertà delle donne di
decidere sulla propria vita, il loro ingresso nei luoghi di potere
tradizionalmente maschili, non poteva passare senza scuotere
certezze, privilegi, prerogative di dominio ritenute “naturali” e
immodificabili, nell’ambito domestico come nelle istituzioni e nei
linguaggi della sfera pubblica.
Vedere e stigmatizzare
gli insulti sessisti di Grillo e di alcuni suoi seguaci solo come un
attacco alla democrazia attraverso le sue più alte cariche
istituzionali, vuol dire chiudere gli occhi sulla cultura e sulla
storia che li ha legittimati per secoli, diventando “senso comune”.
Parlare di volgarità maschile, dignità offesa delle donne,
demagogia, derive verso un populismo totalitario, significa ancora
una volta mettere a tacere la consapevolezza che la crisi della
politica è anche crisi di un modello di civiltà nato
sull’esclusione di uno dei due sessi e sulla cancellazione dei
bisogni essenziali dell’umano con cui è stato identificato.
n voglio negare che
vivere in paesi come la Norvegia, la Svezia o il Canada, dove
l’emancipazione ha portato parità di genere, equa distribuzione
delle responsabilità famigliari e comportamenti “politicamente
corretti”, sia desiderabile per chi, come noi, respira il
maschilismo in ogni angolo, privato e pubblico. Ma dovrebbe far
riflettere il fatto che neppure l’alto grado di democraticità
raggiunto in quella parte dell’Occidente sembra aver sconfitto la
violenza domestica. L’amore e l’odio, che purtroppo si
intrecciano fino a confondersi nella relazione tra uomini e donne, ha
radici profonde ancora in parte inconsce, difficili da estirpare
finché non sono nominate e riconosciute nella loro estensione e
negli effetti distruttivi che producono sulla convivenza umana in
generale.
venerdì 7 febbraio 2014
Marina Terragni
Dal mio blog:
"Marina sei proprio una povera pazza questa settimana insieme a me la lavora a pagare le cose da pagare e poi capirai che significa lavorare per 1200 euro con fattura, l’inps da me deve prendere 2500 euro che non ho, prestami la tua fica per un giorno".
Mia risposta:
"Violento amico, o nemico a 5 Stelle: io ti comprendo fino in fondo, sento dentro le ossa la tua rabbia e la tua disperazione. Non ho responsabilità del fatto che le cose stiano andando in questo modo per te e per moltissimi di noi: non ho rubato, non ho evaso, non ho corrotto, non ho mentito, ho sempre cercato di fare del mio meglio in tutte le cose che ho fatto, e tuttora ci provo, anche se probabilmente ho sbagliato tante volte, o avrei potuto fare molto di più. Io con la mia "fica" ci ho fatto l'amore con chi amavo, e i figli. Come tua madre, tua moglie e tua sorella. Probabilmente ti fa sentire meglio provare a disprezzarmi e umiliarmi, ma devi credermi quando ti dico che per te sarà un sollievo solo momentaneo, e avrai aggiunto solo un altro atomo di odio all'oceano di odio che circola qui. E che non ci porterà da nessuna parte. Perché l'odio non porta da nessuna parte, è proprio una sua specialità. Fatti coraggio, e lascia perdere questa robaccia".
Aggiornamento:
l'autore del commento mi ha chiesto scusa.
La non violenza è una forza immensa
mercoledì 5 febbraio 2014
Care donne M5S è tempo di disobbedire...Di Sara Ventroni
Care
donne Cinque Stelle, è tempo di disobbedire, di spegnere il
Megafono. Siate libere. Anche voi sapete che dalla goliardia non si
ricava indotto democratico. Offendere le donne è il ripiego di chi
non ha altri argomenti, eccetto il gesto linguistico primordiale.
Eppure,
oggi - solleticando le corde basse dei commentatori da social-bar -
siamo risospinti indietro, a una democrazia che nelle sue forme
regredisce a rantolo. Una politica che rifiuta ogni dialogo, ma non
si sottrae alla consuetudine, più-che-consumata, del rifugio
trasversale nel divertimento machista, come affermazione di impotenza
politica, su scala nazionale. Un trastullo che inganna il tempo, ma
non noi. Una pratica ben collaudata, occorre dirlo. Per questo la
novità degli insulti mediatici non ci stupisce.
L’offesa
sessista alle donne - offesa istituzionale o extraparlamentare - è
praticata da chi, in mancanza d’altro, tenta di sottrarre valore
alla battaglia politica, pensando di ricavarne facile complicità,
ammiccando a non si sa quale senso comune. E avendo in mente chissà
quale Paese. Per questo, offendendo le donne, in fondo si offende la
dignità e l’intelligenza di tutti. Giocando al ribasso.
Ma
oggi, per fortuna, il maschilismo non si porta bene. È retroguardia.
Un riflesso condizionato che stona con le promesse di rinascita di
una cittadinanza basata sulle relazioni. E dunque, nell’Italia
digitale, ammettiamolo, lo spirito battutaro del maschio non solo non
fa più ridere nessuno, ma ci intristisce molto.
Siamo
oltre la commedia all’italiana. Oltre, perfino, le analogie col
fascismo. Perché il Mussolini - capopopolo antiparlamentare e, dal
1925, interlocutore unico della borghesia terrorizzata dal popolo -
almeno si assumeva personalmente, al cospetto del Parlamento, la
responsabilità del delitto politico della democrazia. Erano altri
tempi. E la storia non si ripete. Oggi, però, siamo ancora molto
goliardici. E si cerca la complicità anonima. Da lurker. Oggi non si
risponde in aula: si lascia il muro bianco, alla mercé della rabbia
frustrata, rancorosa, dei luoghi comuni dei cittadini non eletti.
Oggi
la sfida politica corrisponde alla massa di scritte sui muri anonimi
dei blog, usati come bagni pubblici, dove la massa del network è
libera di esprimersi, in forma di insulti, per partecipare a qualcosa
di diverso dalla propria solitudine. Poi ci sarà sempre il
questurino di turno, il bidello pavido a giustificare l’oltraggio:
di notte non controlliamo i commenti. Peggio di Ponzio Pilato.
È
vero: non siamo nel fascismo. Siamo, sulla pelle delle donne, a
qualcosa di più primordiale. A un’era avanti Cristo. Siamo al
fascino discreto della lapidazione. Perché la macchina del fango
serve ai giornali, ma non si diverte nessuno. Nella lapidazione,
invece, si scagliano pietre virtuali, e ci si diverte un mucchio,
soprattutto contro le donne.
Care
elette Cinque Stelle, se non volete essere complici, dovete prendere
parola. E dirlo a chiare lettere: noi ci dissociamo. E non vi
sentirete certamente meglio indicando il maschilismo in casa altrui.
Perché altrove, in altri partiti o movimenti, le donne prendono
ledistanze. E parola. Anche fuori dal coro. A partire dalla legge
elettorale: dove siete, voi, nel 50 e 50? Cosa ne pensate della
doppia preferenza di genere? Quanto è accaduto nei giorni scorsi,
con le offese alle parlamentari del Pd e le provocazioni rivolte alla
presidente della Camera Laura Boldrini, è specchio di una strategia
di cui non potete essere complici.
Non
si può lanciare il sasso e nascondere la mano. Meglio: non si può
più lanciare il sasso. Un tempo si diceva che è il pollice
opponibile che ci distingue dalle bestie. La nostra specie, in fondo,
è fatta per costruire. Per distruggere non c’è bisogno di
evoluzione.
martedì 4 febbraio 2014
“Vogliamo rispetto per le donne.
Negli ultimi giorni abbiamo assistito ad un crescendo di episodi in cui vengono attaccate donne impegnate nella politica: spintoni e allusioni volgari in Parlamento, minacce e offese sui social media.
La Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini è stata fin dalla sua nomina bersaglio privilegiato di ogni volgarità ed è diventata un simbolo degli ostacoli incontrati dalle donne nella vita politica e della incapacità della nostra classe politica di riconoscere alle donne spazio, diritti, rispetto.
Quando gli uomini incontrano la forza delle donne hanno bisogno di vederle come oggetti sessuali per esprimere il loro disprezzo. In questi attacchi sono state coinvolte donne di tutti i partiti e movimenti politici.
Noi siamo con Laura Boldrini e con tutte le donne che a tutti i livelli della politica incontrano ogni giorno ostacoli e difficoltà.
Se Non Ora Quando ha portato nelle piazze del nostro paese uno sguardo nuovo per immaginare una società in cui uomini e donne insieme riconoscano il valore del rispetto reciproco. La libertà delle donne e la forza delle donne sono necessarie a tutti gli uomini e a tutte le donne che vogliono per il nostro paese un futuro migliore.
Vogliamo rispetto, e non torneremo indietro!
Se Non Ora Quando #iostoconlaura
lunedì 3 febbraio 2014
Cari sessisti, ci insultate e ci accusate ma avete solo paura di Lidia Ravera
È sempre colpa nostra.
Davvero incredibile il masochismo femminile. Un maschietto di
quart'ordine lancia un insulto becero ad un gruppo di donne che
lavorano nel complicato mondo della politica e sotto accusa, con un
abracadabra dell'inconscio collettivo, finiscono le femministe di "Se
non ora quando", ree di aver costruito una gigantesca
manifestazione contro un altro maschietto ineducabile che, incurante
delle responsabilità della sua alta carica, collezionava favorite
come un sultano, impegnava il suo tempo in orgette e barzellette,
sdoganando pericolosamente quella bassa meccanica mentale del
maschio-massa secondo cui le donne sono "tutte puttane meno mia
sorella", e quindi vincono quelle che la danno via facile, zitte
"bone" e disponibili e più giovani sono meglio è, perciò
minorenni è il massimo.
Complimenti, c'è di
che essere fiere di noi. Il deputato Massimo De Rosa dice a un gruppo
di sue colleghe che hanno conquistato la prestigiosa carica in virtù
di una loro felice propensione ad eccellere nel sesso orale, e la
colpa è della Guzzanti che ha detto alla Carfagna eccetera eccetera
eccetera.
Nemmeno mia madre, una
vera regina dell'autolesionismo, riusciva a farsi del male con questa
abilità sopraffina. E dire che le donne della sua generazione con
l'autosvalutazione ci andavano a nozze.
Proviamo, noi che siamo
venute dopo, a razionalizzare. E partiamo, rispettosamente, da Mara
Carfagna.
La sua sfolgorante
bellezza le ha certamente aperto le porte del cuore dell'allora
Presidente del Consiglio. Lui ne ha fatto talmente poco mistero che
la sua signora dell'epoca, Veronica, si è pure scocciata su La
Repubblica, con un seguito micidiale di ampio e circostanziato
dibattito. La bella ministra, poi, si è tagliata i capelli, si è
comprata un stock di tailleur e si è messa a lavorare. Tutto è bene
quel che finisce bene.
Resta il fatto che
bellezza compiacenza e accettazione del ruolo (di funzione del
desiderio maschile) ancora, purtroppo, sono elementi tristemente
determinanti nella promozione sociale femminile.
Se una donna è giovane
e bella (e di belle ce n'è sempre di più), anche se ha tre lauree e
un talento strepitoso, anche se studia e si impegna e fatica come un
mulo, viene comunque sfiorata, almeno una volta, dalla battuta: "e
con chi è andata letto questa per arrivare dove è arrivata?".
Automatismi del maschio
meno progredito (e ce n'è ancora parecchi). Subcultura desolante.
D'accordo. Ma è così. E lo sappiamo tutti.
Perciò chi è giovane
e brutta, o non più giovane e così così, rischia di restare al
palo. Non parte. Non partecipa alla gara. O partecipa con un
handicap. Chi, al contrario, è in possesso dei requisiti giusti per
concorrere al ruolo di pupa del capo, anche se è un genio, viene
inchiodata alla croce della sue misure... Parliamo delle bambole.
Fino alla metà del secolo scorso erano bebè, le bambine le
cullavano, le sgridavano, le imboccavano e il modello era essere
mamme.
Nel 1959 nasce Barbie.
Ha uno stacco di coscia da soubrette, i capelli lunghi e biondi, le
tettine, gli occhioni, il bikini. La bambine la vestono la svestono
la pettinano. Poi comprano la casa il pony la spider la sala da
ballo... il modello è essere belle.
Ci finiamo dentro
tutte, da quelle che erano bambine in quegli anni, come me, a quelle
che erano bambine ieri o adesso. Sculetta sculetta qualcosa accadrà.
È triste la battuta
con cui Massimo De Rosa ha offeso le deputate, è deprimente. Ma non
stupisce.
Il sessismo, come il
razzismo, è un'etichetta, una coperta stretta. Come il razzismo, il
sessismo è molto più radicato e profondo di quanto non si creda. Se
la tirano addosso, l'accusa di sessismo, i contendenti politici, in
nome di una correttezza formale, di una politesse istituzionale, che
non morde veramente nel cuore del problema.
Il cuore del problema è
che le donne non sono ancora persone, non lo sono fino in fondo, non
hanno accesso, nel mistero dei precordi, del prerazionale,
dell'indicibile, allo stesso rispetto di cui sono oggetto gli uomini.
Sempre seconde, sempre cooptate, mai soggetto, mai protagoniste, mai
padrone del gioco. Sempre di servizio. Sempre scelte o scartate, in
base ai mutevoli umori del momento, scansate o invitate nel club
maschile, che regge i destini del mondo. È questo che è davvero
grave.
domenica 2 febbraio 2014
Aborto, la legge 194 è malata perché non tutela più la salute delle donne, di Maddalena Vianello
L’interruzione di
gravidanza non è libertà di abortire ma responsabilità condivisa
nel generare. Lo hanno scritto, in questo bog, diverse persone che
hanno preso la parola in tema di diritti alla salute riproduttiva
delle donne. Il 1 febbraio in Italia e in Europa si terranno
manifestazioni in contemporanea a El tren de la libertad organizzato
in Spagna contro la proposta della nuova legge. Porque yo decido è
il messaggio intorno al quale si è radunata una rete europea,
womenareurope, e raccolto da molti gruppi italiani che chiedono di
risolvere i limiti alla legge 194 posti dall’alta percentuale di
obiezione di coscienza. La27ora continua a ospitare le voci di chi su
questi temi si sta interrogando.
La lettera appello del
Movimento Usciamo dal Silenzio, ospitata sul blog La27Ora, ha il
grandissimo merito di aver dato nuovo impulso al dibattito
sull’interruzione volontaria di gravidanza e sulla legge 194 che la
tutela. È riuscita nel suo intento, per lo meno in parte. Indurre a
prendere o riprendere la parola. Così è stato per Cecilia d’Elia
con il suo raffinato articolo La partita europea sull’aborto, per
Caterina Croce e per le tante e i tanti che hanno sentito il
desiderio di dire la loro lasciando un commento.
La legge 194 è malata.
Gravemente malata. Le cure vanno somministrate prima del decesso.
Possibilmente. Le amiche del movimento Usciamo dal silenzio si dicono
fiduciose che la 194 non verrà smantellata a viso aperto. Spero
abbiano ragione. Quel che è certo è che la legge è già di fatto
inefficace. Ha smesso da tempo di tutelare in maniera diffusa la
salute e la libertà delle donne. Le percentuali dei medici obiettori
di coscienza nel nostro Paese sono ormai al di sopra del 70%.
Il quadro è composito,
ma non confuso. Entrano in gioco la libertà, l’autodeterminazione,
il diritto alla salute fisica, ma anche psichica delle donne.
L’interruzione volontaria di gravidanza non è un gioco in mano a
improvvide scriteriate. Come la stessa legge 194 recita, non si
tratta di un mezzo di controllo sulle nascite.
Le statistiche degli
ultimi 35 anni lo dimostrano in maniera incontrovertibile. E
d’altronde il buonsenso in questo dovrebbe venirci in soccorso,
insieme a una seria educazione sessuale. Hanno anche un ruolo
importante il senso di responsabilità, la sofferenza inopinabile e
intima, le difficoltà sociali ed economiche, e perché no gli
incidenti di percorso. Nulla di tutto questo è appannaggio degli
antiabortisti, né dei movimenti per la vita, né dei medici
obbiettori di coscienza. È patrimonio delle donne. Prima di tutto.
L’interruzione
volontaria di gravidanza, infatti, come d’altronde la gravidanza,
affonda le sue radici in un corpo. Non un corpo qualsiasi, ma nel
corpo delle donne. Non è irrilevante chi abortisce, come la stessa
Cecilia d’Elia scrive nel suo L’aborto e la responsabilità, un
libro di qualche anno fa. Non dimentichiamolo mai. E allora che gli
uomini ci siano in questo dibattito, che si sentano coinvolti, che
facciano sentire la loro parola anche con toni forti. Ma qui non
stiamo parlando di genitorialità tout court, non si tratta della
difesa della famiglia (ammesso che una famiglia sia obbligatoriamente
formata da un uomo, una donna e un eventuale figlio). Si tratta delle
donne, della loro unica indiscutibile libertà di scegliere, di
disegnare la vita anche attraverso il corpo seguendo il loro più
veritiero sentire, non un ineluttabile destino segnato.
E forse proprio perché
è in ballo il corpo e la libertà delle donne, “le ragazze degli
anni Sessanta” si preoccupano, si battono, invitando le più
giovani a prendere il testimone saldamente nelle loro mani. È la
trasmissione di una preziosa eredità da parte di una generazione
battagliera.
Ad alcune potrà
sembrare che “le ragazze degli anni Sessanta” usino un linguaggio
un po’ impolverato, che forse a volte facciano fatica a tirarsi
indietro. Credo sia innegabile, però, che mantengono uno sguardo
attento sul mondo e sulle donne, obbligandoci a volte a non
distrarci. Da parte mia una grande gratitudine.
Il durissimo attacco
che le donne in Spagna stanno subendo deve essere per noi l’occasione
per fare rete, per tenere alta l’attenzione, per avviare un
dibattito ampio. A casa nostra le cose vanno un po’ meglio. Chissà
per quanto tempo. Vorrei che il 1° febbraio fosse un’occasione per
rivederci. Con il mio gruppo informale di “giovani donne”
RosaRosae abbiamo contribuito alla convocazione di un presidio a
Bologna. Quindi, noi ci saremo prima di tutto perché donne, con i
nostri compagni e le nostre compagne, con l’Associazione Orlando e
con molte altre associazioni e donne che a Bologna si stanno
mobilitando. Ci vediamo in piazza del Nettuno alle ore 15.00.
sabato 1 febbraio 2014
Aborto, le donne europee scendono in piazza l’1 febbraio contro la legge spagnola
Obiettivo, il ritiro
della proposta del ministro della Giustizia Gallardón che intende
vietare l'interruzione volontaria di gravidanza tranne nei casi di
violenza sessuale o di grave rischio per la salute della madre.
Un treno che, dalla
Spagna, attraverserà idealmente tutta l’Europa, passando per
l’Italia. Il primo febbraio, da molte città spagnole, partiranno
convogli diretti a Madrid per protestare contro il progetto di legge
del ministro della Giustizia Alberto Ruiz Gallardón, che intende
vietare l’aborto come libera decisione della donna, limitandone il
ricorso ai casi di violenza sessuale o di grave rischio per la salute
della donna.
Il Tren de La Libertad,
divenuto il simbolo di questa protesta, consegnerà il messaggio
‘Porque yo decido‘ al capo del governo Mariano Rajoy, alla
ministra della Salute, servizi sociali e pari opportunità Ana Mato e
al ministro Alberto Ruiz Gallardón, per esigere che venga mantenuta
la legge attuale sulla salute sessuale e riproduttiva e
sull’interruzione volontaria di gravidanza. Una legge che, nel
2012, ha portato alla riduzione di 6mila casi di aborto rispetto
all’anno precedente.
L’Italia e il resto
d’Europa hanno risposto all’appello spagnolo, organizzando
manifestazioni, presidi e assemblee pubbliche, nelle piazze ma anche
davanti alle ambasciate spagnole, ai consolati e alle prefetture. Il
messaggio ‘Perché io decido‘, tradotto in differenti lingue, tra
cui l’italiano, rimbalzerà così di città in città e il primo
febbraio segnerà l’inizio di una grande mobilitazione unitaria
delle donne europee, in difesa della libertà di scelta e del diritto
all’autodeterminazione.
Nel nostro paese la
rete WomenareEurope (Wae), nata su iniziativa di alcune associazioni
fiorentine, sta facendo da catalizzatore per tutte queste iniziative
e, attraverso l’appello “Per un’altra Europa, laica e dei
diritti” vuole costruire le basi per una rete europea delle donne
che porti a una grande manifestazione il prossimo 8 marzo. Il
documento di Wae, sottoscritto già da centinaia di associazioni e
singoli, parte dal presupposto che dopo la bocciatura della
risoluzione Estrela da parte del parlamento europeo e dopo
“l’antiproyecto de ley” del governo spagnolo “si è sentita
la necessità di costruire una rete delle donne europee per affermare
i diritti all’autodeterminazione e per dare attuazione alla
convenzione di Istanbul”.
L’appello sottolinea,
tra l’altro, che “quanto accade oggi in Spagna potrebbe avvenire
anche in Italia, dove registriamo un attacco costante alla legge 194
a causa dell’obiezione di coscienza”. E se a Bologna
l’associazione Orlando, in piazza del Nettuno insieme ad altre
organizzazioni, sottolinea come “l’interruzione volontaria di
gravidanza e con essa i diritti delle donne non devono essere messi
in discussione nella forma e nei fatti in nessun luogo”, a Milano
le associazioni hanno stilato un documento “per esigere, da chi ci
governa, il rispetto dell’autonomia morale di ciascuno e la
garanzia della pluralità degli interessi”. A Firenze le donne
distribuiranno l’appello “Io decido” sotto al consolato
spagnolo mentre a Roma, decine di associazioni (Udi, Casa delle
donne, associazione Punto D, Differenza donna, Snoq,
Zeroviolenzadonne e altre), andranno in presidio davanti
all’ambasciata di Spagna.
In quella occasione
leggeranno una lettera in cui si denuncia “la proposta Gallardón è
un chiaro attacco alla libertà delle donne e al loro diritto di
cittadinanza, la cui primaria manifestazione è l’autodeterminazione
nel diritto alla salute e nelle scelte riproduttive. Chiediamo per
questo che il progetto di legge venga ritirato prima di essere
portato alla discussione delle Cortes e che qualsiasi proposta simile
sia condannata quale grave violazione della libertà delle donne”.
Il messaggio si rivolge in particolare agli eletti e alle elette al
Parlamento europeo, perché assumano una presa di posizione che
garantisca alle donne il diritto di decidere sul proprio corpo. La
rete Wae ha infine lanciato una proposta di mail bombing
all’ambasciata spagnola, pubblicando sul blog gli indirizzi email e
il testo da inviare, che corrisponde a quello che le donne spagnole
consegneranno al Parlamento.
LE INIZIATIVE CITTA’
PER CITTA’
Roma: piazza di Spagna,
ore 15 sotto all’ambasciata spagnola
Milano: via
Fatebenefratelli 26, dalle ore 14. sotto al consolato spagnolo
Firenze: via de’
Servi 13, alle 15.30, sotto al consolato spagnolo vestite di nero con
sciarpe colorate rosse o viola
Pistoia: arriveranno a
Firenze con il “Vagon de la libertad” per unirsi alla
manifestazione al consolato
Siena: piazza
Salimbeni, ore 16
Reggio Calabria: corso
Garibaldi, di fronte al teatro Cilea, alle ore 16:30
Cosenza: assemblea
pubblica per parlare della legge spagnola e libertà di scelta delle
donne
Vercelli: via Cavour,
ore 16
Bologna: piazza del
Nettuno, ore 15
Ravenna: piazza Andrea
Costa ore 16
Catania: Sotto la
prefettura, ore 11
Cagliari: piazza
Costituzione ore 16
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