mercoledì 30 settembre 2020

L’addio in piazza non è solo un ricordo Rossa ciao. In tanti a Roma per salutare Rossana in una serata di impegno, commozione e ricordi Eleonora Martini



Mancava solo il mare, l’amato mare, a raccontare qualcosa di lei. E forse solo il mare, in cui nuotava per ore da sola perdendosi all’orizzonte, e che è stato l’ultimo (esaudito) desiderio, avrebbe potuto restituire l’intera essenza di una donna che «stava stretta a qualsiasi definizione», che «non era di nessuno», «inappropriabile perché sfuggiva ad ogni identità certificata che ingabbiasse la sua irriducibile singolarità».

Studiosa famelica di filosofia ancora prima che diventasse «Miranda», partigiana «perché c’è bisogno anche di intervenire», marxista «ortodossa» come amava definirsi, comunista, dirigente politica, organica del Pci e radiata dal Pci, fondatrice del manifesto, letterata, scrittrice, saggista, giornalista. Intellettuale e militante.

Era tutto questo, Rossana Rossanda, come hanno ricordato almeno tre generazioni di compagni e amici ieri a Roma, in una Piazza Ss. Apostoli che più di così, dati i tempi, non poteva proprio riempirsi, ricostruendo un puzzle lungo un secolo.

Una grande storia. Eppure «non apparteneva al Pci, né al manifesto, e neppure alla sinistra italiana. Solo al mondo, perché nel mondo si muoveva e del mondo era curiosa, insaziabile». E non c’è per lei altra definizione che le contenga tutte, altra parola che la rappresenti meglio se non «libera e libertaria».

«APPASSIONATA SOSTENITRICE dell’assioma marxiano che la libertà di uno vale la libertà di tutti, altro che algida e fredda come chi non la conosceva abbastanza l’ha definita», ricorda Franco Cavalli, medico oncologo e socialista svizzero che di lei, come pure ha fatto Antonio Bassolino, ha evocato la grande generosità dimostrata accompagnando Lucio Magri nel suo ultimo viaggio verso il suicidio assistito in Svizzera: «Loro due insieme – ha raccontato Cavalli – fino all’ultimo secondo hanno discusso del futuro della sinistra italiana».

Un’immagine potente e struggente insieme, come le tante regalate dal piccolo palco dove campeggiava il bel volto di Rossana Rossanda, per un «funerale atipico senza bara e con tanti ricordi», come lo ha definito Luciana Castellina che insieme a Filippo Maone e Norma Rangeri ha srotolato il filo della storia, portandoci insieme a Rossanda dal secolo scorso al futuro.

UNA PIAZZA DI SINISTRA che si è di nuovo riempita e non solo per ricordare (tra i tanti hanno voluto portare un saluto anche il ministro Giuseppe Provenzano, Vincenzo Vita, Nichi Vendola, Nicola Fratoianni, e tanti tanti compagni e giornalisti passati nelle stanze di via Tomacelli).

Una manifestazione, resa possibile dall’impegno del deputato di Sel e consigliere capitolino Stefano Fassina e dalla disponibilità del Comune di Roma (presente anche il vicesindaco Luca Bergamo), che è stata seguita in streaming sul sito e sulla pagina Facebook del manifesto da oltre 70 mila persone, che hanno lasciato centinaia di saluti e commenti.

Ninetta Zandegiacomi, che insieme a Luciana Castellina e Filippo Maone è tra i soli sopravvissuti del nucleo storico dei fondatori del manifesto, ricorda gli anni «duri, difficili, entusiasmanti ma non proprio belli» della Resistenza, della «lotta per prenderci la libertà, per dare la democrazia a questo Paese». Rossana? «Un tesoro», mormora con gli occhi che le si riempiono di lacrime rispondendo alla domanda della cronista, prima di salire sul palco.

ROSSANDA È TANTO, troppo per raccontarla. Filippo Maone parla dell’«attrattiva che ha esercitato su diverse generazioni», dovuta ad «un’energia interiore» e ad una «spiccata sensibilità artistica» che l’ha fatta diventare punto di riferimento per «una straordinaria moltitudine, sua figliolanza». Anche se lei, che figli non ne ha avuti, forse non ne era consapevole.

Rossanda è la dirigente che al Pci ha dato un punto di vista culturale altissimo, «una rivoluzionaria che ha fatto onore al comunismo che altri hanno infangato», nelle parole di Aldo Tortorella. Il contrario del fanatismo, nessun dogma da propinare.

Il suo insegnamento, sottolinea Emanuele Macaluso, è ancora materia prima per le nuove generazioni. «La sua vita – per Fabio Mussi – è un monumento politico che le è valso il rispetto anche degli avversari».

Maurizio Landini parla della sua capacità di coniugare cultura e curiosità intellettuale con la capacità di leggere la realtà di tutti i giorni, di registrare le condizioni materiali delle persone.

Argiris Panagopulos porta il saluto e la gratitudine di Tsipras, Doriana Ricci, che di Rossanda è stata la segretaria per 31 anni, racconta il loro «stra-ordinario rapporto, tra due persone libere che si sono scelte e si sono volute molto bene». È grazie a lei – lo sottolinea Luciana Castellina – che Rossana ha potuto fare un ultimo bagno al mare, stesa su una lettiga, pochi giorni prima di morire.

Ida Dominijanni ha ricordato la «vita da incanto» vissuta da RR, come la chiamavamo a volte in redazione, noi che in via Tomacelli siamo arrivati per ultimi, la sua «sensorialità per l’arte, il cinema», la musica, la danza…

«SFUGGIVA AD OGNI IDENTITÀ certificata», ricorda Dominijanni che aggiunge: «Niente è comprensibile nel suo essere, al di fuori della passione per la libertà. Per lei “quotidiano comunista” voleva dire il contrario dell’ideologia, del conformismo, dell’autoritarismo».

Amava i giovani e aveva profonda sorellanza per le donne, testimonia Maria Luisa Boccia. «Era una comunista a cui non piaceva né obbedire né mentire», aggiunge Ginevra Bompiani.

Il giovane amico Stefano Iannillo ricorda come «a volte, anche negli ultimi mesi della sua vita, sembrava che passasse le giornate in giro, a conversare con gli operai e gli studenti».

E Gabriele Polo, che del manifesto è stato direttore, ricorda che «ci ha insegnato la categoria politica dell’accoglienza», a «far parte di una comunità senza essere settari. Un insegnamento che forse siamo ancora in tempo a mettere in pratica».

Perché Rossana è anche il nostro futuro.

https://ilmanifesto.it/laddio-in-piazza-non-e-solo-un-ricordo/?fbclid=IwAR2Tj-svTcK0USDKqtlmgRO1ztOvbUwuGMjCDu0OLcGLRNCDAPJK_44fsyU

martedì 29 settembre 2020

La sociologa Graziella Priulla: «Nel web parole tossiche e insulti sessisti: si è aperta la pattumiera del risentimento»

Lunedì 28 Settembre 2020 di Valentina Venturi
Graziella Priulla

«Noi siamo le parole che usiamo, la lingua ci fa dire le parole cui la società l’ha abituata. Può essere usata per rispettare o per disumanizzare, per stimolare comportamenti civili o incivili. Di questi ultimi tutti, prima o poi, paghiamo il prezzo». Parole come pietre, parole violente che sui social restano e spesso influiscono sulle identità fragili di chi le subisce. Di questo e di molto altro tratta la sociologa Graziella Priulla che insegna all’Università di Catania nel Dipartimento di scienze politiche e sociali, nel suo ultimo libro "Parole tossiche. Cronache di ordinario sessismo" edito Settenove. 

Cosa sono le parole tossiche?
«Stiamo molto attenti all’alimentazione dei bambini, temendo che i cibi cattivi intossichino il loro stomaco; lo stesso facciamo per preservare i loro polmoni dall’aria inquinata; ci preoccupiamo molto meno del loro cervello, che viene continuamente intossicato da un linguaggio trucido, violento, offensivo, che si è diffuso senza riprovazione sociale. Da antimodello scandaloso, da fuga trasgressiva ed eccezionale verso una dimensione carnale del linguaggio, il parlar sboccato si è trasformato in abitudine quotidiana e in canone ufficiale, penetrando nella pubblicità, nei media, perfino nei luoghi istituzionali della politica. La volgarità attira e instaura una vicinanza perché parla direttamente alla parte del cervello che gestisce le emozioni più primitive e le pulsioni più elementari».
 
Cos'è volgare? 
«L’idea di volgarità si associa all’esibizione di qualcosa che andrebbe tenuto riservato. Quali questioni private, esposte in pubblico, ingenerano l’effetto di volgarità? I rapporti erotici tra le persone; le propensioni, le pratiche e i gusti sessuali; i temi attinenti l’aspetto fisico, la salute, l’intelligenza, il livello della famiglia, il successo nel lavoro, le capacità sessuali, le funzioni fisiologiche, i propri meriti a confronto con gli altrui demeriti; l’esibizione di nudità non giustificata da nessuna necessità (per esempio artistica o scientifica), l’uso sprezzante o strumentale del corpo umano e in specie femminile. Ovviamente il grado di volgarità cresce con l’espandersi della platea cui questi temi vengono esposti».

E con pudore?
«Intendiamo qualcosa di contrario ed opposto alla pruderie, con cui è solitamente confuso. In materia sessuale - il più discusso ma non il solo degli ambiti possibili - il pudore non va confuso con la censura moraleggiante, con i centimetri di pelle esposti o con il numero di rapporti: è piuttosto domanda di un più raffinato processo di simbolizzazione degli sguardi, di contro alla sguaiataggine e al ciarpame del voyeurismo e dell’esibizionismo».
 
Come si degenera dal turpiloquio alla violenza?
«Esiste un rapporto circolare per cui parola, pensiero e comportamento si rafforzano a vicenda: è molto probabile che chi parla male pensi male e viva male. Si inizia di solito attaccando la vittima con commenti di discredito e disprezzo del suo aspetto, per arrivare al post sessista che aggredisce solo e specificatamente per il genere e raggiungere infine la meta della minaccia a sfondo sessuale, con auguri di stupri e violenze fisiche di vario tipo». 
 
La pratica del dissenso come si mette in pratica?
«Il contrario di assuefazione è ‘reazione’. Mentre ci abituiamo all’uso feroce del linguaggio il nostro palato si fa più insensibile, la nostra soglia di disagio si abbassa. Alla fine, sopporteremo di tutto. Il rimedio non sta nel galateo, e tantomeno nella censura: ci vorrebbe l’addestramento a un consapevole impiego della parola come portatrice di significati e costruttrice di relazioni, a partire dalla famiglia e dalla scuola». 
 
In epoca di social media cosa significa “ragionare sulle parole”?
«In nome del “Rinascimento del web” si è aperta una specie di pattumiera del risentimento. Gli utenti della rete si esprimono molto spesso con un registro aggressivo che sta diventando lo stile della nostra società: è ormai accettato o considerato “normale” da quasi la metà degli utenti, secondo una ricerca SWG. Non è un caso se l’edizione 2018 del dizionario Zingarelli ha incluso tra i nuovi termini d’uso hater, odiatore. Nei social però arriva, magari amplificato, ciò che è già presente nella società e in questo senso essi mandano segnali che è necessario cogliere».
 
Come mai, nonostante la rivoluzione femminista, gli insulti sessisti non sono spariti?
«Gli insulti sessisti avrebbero dovuto sparire, perdere potenzialità offensiva; invece sono ancora lì, come i pregiudizi che li mantengono in vita. Siamo cambiati e siamo cambiate ma non più di tanto; anzi negli ultimi anni siamo tornati/e indietro, con una involuzione di cultura e di riconoscimento di diritti».
 
Perché al centro degli insulti sessisti c’è l’attrazione o l'odio per le donne?
«La volontà di denigrare una categoria, e in questo caso più della metà del genere umano, passa per i linguaggi e i comportamenti quotidiani. Nel complesso di discorsi che ha costruito la nostra storia la donna è apparsa sempre come un’entità da tenere a bada con le buone o con le cattive e soprattutto come una creatura di tale imperfezione da rappresentare un pericolo costante».

Perché contro le donne gli insulti sessuali sono sempre pronti?
«In questo modo si (ri) mettono al posto più basso della catena di potere, si ribadisce che, anche se la modernità talvolta si deve piegare ad annetterle in luoghi diversi dalla cucina e dalla camera da letto, sempre lì dovrebbero stare, come pretendono millenni di cultura patriarcale. Non si tratta solo di non picchiare e non stuprare. La cultura machista che alimenta e sostiene la violenza contro le donne è fatta anche di tutta una lunga serie di doppi sensi, risate, scherzi, commenti pesanti, luoghi comuni pruriginosi che affollano le conversazioni». 
 
Nel testo precisa: “Le parole del sesso sono dei jolly linguistici”. Come mai?
«Il sesso è una delle zone più misteriose e perturbanti del nostro essere, luogo di conflitti profondi, di turbamenti e di paure; la pulsione sessuale è stata collocata dalle religioni monoteiste tra i bisogni bassi, tra le forze malvage e predatorie presenti nell’uomo: intrattiene quindi con il peccato un rapporto di particolare vicinanza e per questo è associata al fascino e al timore, come ogni trasgressione e ogni tabù».
 
Il termine “femminicidio” ha sempre una valenza?
«Il termine - ormai riconosciuto dal diritto e dalla criminologia, pur se contestato da alcune frange - introduce un’ottica di genere su crimini prima ritenuti “neutri” e così facendo ne rende visibile la matrice strutturale».
 
Da quando finalmente si usa?
«In Italia ha avuto un utilizzo massiccio a partire dal 2008, è attestato in Devoto-Oli 2009, in Zingarelli a partire dal 2010 e nel Vocabolario Treccani online; è riconosciuto dall’Accademia della Crusca e definisce "qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte". Dal luglio 2019 è in vigore nel codice penale il c.d. “Codice rosso”, una misura speciale che stabilisce una serie di norme contro il femminicidio e ogni altra violenza nei confronti delle donne».
 
La donna ha degli strumenti per riappropriarsi della sua identità linguistica?
«Non è una questione per sole donne: è una condizione fondamentale per dar vita per tutti a una società libera dall’oppressione. Sono innumerevoli le iniziative di contrasto agli stereotipi sessisti e alla violenza verbale ad opera di scuole, università, associazioni, movimenti. Dar loro maggior voce e rappresentazione in modo integrato tra tutte le agenzie sociali è un lavoro concreto, un’azione propositiva che anche il mondo dell’informazione si può intestare».

https://www.ilmessaggero.it/mind_the_gap/web_insulti_sessisti_risentimento_sociologa_graziella_priulla-5490557.html?fbclid=IwAR3nWcvRWmEszxJUN2Y_4aTDYQxUVHFw5aqBaagwZDcB4oSvuUY1y57ZTzQ
 

La stanza dello scirocco Corsico


 

lunedì 28 settembre 2020

Donne ai vertici? Anche le ultime Regionali confermano la rimozione di genere Costanza Hermanin IL BLOG

 I risultati del voto regionale del 2020 sanciscono la continuità di quanto già sapevamo sulla possibilità delle donne italiane di fare una carriera politica di successo: scarse, in particolare a livello locale. Su un totale di 286 tra consiglieri regionali e governatori eletti nell’ultima tornata, le donne sono 67, pari al 23%. Nessuna governatrice: rimangono in 2 nelle 20 regioni. Pochissime le candidate presidenti, tutte in posizioni non eleggibili.

Non si pensi che sia tratti solo delle regioni del Sud. Se in una Puglia in cui il governo ha dovuto esercitare i poteri sostitutivi per imporre la doppia preferenza di genere, le donne sono solo il 16% delle elette, il record negativo lo detiene la nordicissima Valle d’Aosta, con un consiglio composto quasi al 90% di uomini. Campione assoluto di parità la Toscana, con il 40% di donne, seguita dal Veneto (34).

I politici navigati hanno buon gioco ad assolvere gli obblighi di legge sulle giocando con collegi e preferenze. I risultati si vedono soprattutto a livello locale, dove anche i sindaci sono all’87% uomini. Le quote funzionano quando sono “di risultato”, come nei CDA in cui è obbligatoria una composizione al 40% maschile, e in alcune giunte locali. Ma il top -amministratori delegati, presidenti, primi ministri, le leader dei partiti- rimane sostanzialmente maschile. 

In un’Italia in cui, da più parti, ci si riempie la bocca di parità, dovrebbero far riflettere questi dati, insieme alle polemiche sui comitati di esperti. Da quello di Coalo a quello di Cottarelli sulla riforma fiscale, le donne sono state completamente “rimosse”. Si potrebbe proseguire col CSM e col Consiglio di Stato… Eppure, anche solo statisticamente, se si seguisse un criterio meritocratico, non si dovrebbero avere difficoltà a trovare persone competenti, in un’Italia in cui le donne laureate sono più dei laureati, le magistrate più dei magistrati. 

Le donne sono disinteressate alla politica, o alla carriera? Un sondaggio di EMG Acqua effettuato per +Europa a marzo rivelava che sia uomini che donne pensano che il cameratismo in politica conti quanto il peso del lavoro familiare per spiegare l’insuccesso delle carriere politiche al femminile. Non il disinteresse.

Servono più donne in politica? Sì, perché come le aziende che privilegiano la diversity aumentano i fatturati, i paesi guidati da donne hanno affrontato meglio il Covid e le amministrazioni locali hanno migliori politiche sociali.

Un dato che dovrebbe far riflettere politici ed elettori.

Da : https://www.huffingtonpost.it/entry/donne-ai-vertici-anche-le-ultime-regionali-confermano-la-rimozione-di-genere_it_5f6c4450c5b6e2c912612935?fbclid=IwAR0uHAB094ByfdPIwerS9JTvJ56iR4czKJLSSc4jy0aMkYmTk3vofqf-v_A


venerdì 18 settembre 2020

 


Ricordiamo

 con la doppia preferenza  di genere

si possono votare una donna ed un uomo della stessa lista

un primo passo verso la democrazia paritaria nella quale uomini e donne dovrebbero avere pari rappresentanza, presupposto di una società aperta e plurale

 

 

Votiamo le donne

per avere un numero consistente di

rappresentanza di genere in Consiglio Comunale

per dare vita ad una stagione di protagonismo politico femminile

nella progettazione e nella gestione della città post covid

 

Alle donne candidate ed alle, speriamo numerose, elette l'augurio di

 essere promotrici di una politica amministrativa rinnovata.

 

Passi di donne verso una compiuta democrazia paritaria e partecipativa agita dalle donne nell'interesse delle donne e degli uomini della nostra città.

 


Buon voto a tutte da   ventunesimodonna

lunedì 7 settembre 2020

Elezioni comunali Corsico 2020

 

VOTARE LE DONNE AL TEMPO DEL COVID

Eleggere numerose donne in Consiglio Comunale

per dare vita ad una stagione di protagonismo politico femminile

 

Il covid19 oltre a mettere in evidenza fragilità sanitarie ed economiche e colpire corpi fisici, ha cambiato vite individuali, ha eretto confini nelle relazioni sociali, rischia di allentare la democrazia.

Stiamo attraversando una inedita campagna elettorale, difficile e sofferta: allocata nei mesi estivi, in distanziamento sociale, in città svuotate e svolta prevalentemente on line, con una popolazione anziana spesso con scarsa dimestichezza con la rete.

Il virus continua ad aggirarsi tra di noi e dalle sue spire può emergere un mondo peggiorato o come noi speriamo migliorato.

E' il momento di ri-definire, ri-progettare e ri-disegnare le città che devono diventare luoghi di sicurezza, capaci di trovare regole nuove di comportamento per convivere con il virus, capaci di affrontare le difficoltà anche in caso di riproposizione di emergenze sanitarie. Servono nuovi valori per favorire la sostenibilità ambientale, ricercare nuove norme di convivenza sociale, riorganizzare i tempi di vita e di lavoro, declinare democrazia e partecipazione, garantire una buona qualità della vita per cittadine e cittadini di tutte le età.

Questo Rinascimento, che dovrebbe far emergere un mondo nuovo solidale ed umano, ha bisogno dei pensieri e dei saperi delle donne nei luoghi in cui si progetta, si decide e si governa.

Abbiamo competenze e preparazione, lo abbiamo ampiamente dimostrato anche durante questa pandemia, meglio gestita nei paesi nei quali le donne ricoprono ruoli strategici.

A Corsico abbiamo l'occasione di dare vita ad una stagione di protagonismo politico femminile per progettare le trasformazioni sociali e politiche del futuro, anche prossimo, della città.

 

Votiamo le donne per avere in Consiglio Comunale un numero consistente di

rappresentanza di genere


Dal 2012 è stata istituita una legge che permette con la doppia preferenza di genere

 di votare una donna ed un uomo della stessa lista

un avvicinamento verso la democrazia paritaria nella quale uomini e donne hanno

pari rappresentanza in tutti i luoghi in cui si decide.

 

Sarà difficile organizzare, come avremmo desiderato, un dibattito ”in presenza” con le donne progressiste candidate per un confronto su politiche di genere e progetto di città post-covid.

In attesa di poter realizzare il nostro auspicato incontro

  auguriamo alle donne candidate ed alle speriamo numerose elette di

 essere protagoniste di una politica amministrativa rinnovata

dall'ascolto e dal confronto con cittadine e cittadini sulle questioni rilevanti per la vita della città e

 costruire reti sulle politiche di genere

 capaci di riconoscere e valorizzare i saperi e le competenze delle donne.

Passi di donne verso una compiuta democrazia paritaria e partecipativa agita dalle donne nell'interesse delle donne e degli uomini della nostra città.