martedì 30 aprile 2019

Non ti crederà nessuno Maria G. Di Rienzo

Sottorappresentazione nella sfera politica decisionale, esclusione da opportunità economiche, svalutazione in ambito lavorativo (in casa e fuori casa), oggettivazione mediatica ossessiva e persistente, presentazione e percezione negative basate su stereotipi in relazione al ruolo sociale, limitazione della libertà di espressione e movimento giustificate con i medesimi stereotipi. Poiché ciò costituisce il fertile terreno in cui la violenza nasce e si nutre, non stupisce che il 27 per cento di appartenenti al gruppo di persone trattato come sopra, in Italia, dichiari di aver subito almeno un atto di violenza fisica o sessuale a partire dai quindici anni di età – e tale violenza costa allo Stato 26 miliardi l’anno (dati EIGE – Istituto europeo per l’eguaglianza di genere, 2018): inoltre, le vittime incontrano per la maggior parte un’ulteriore violenza nel responso inadeguato al meglio e ostile al peggio da parte delle istituzioni a cui presentano le loro denunce.

Se non si trattasse di donne, il quadro susciterebbe un’esplosione di orrore. I corsivisti produrrebbero analisi angosciate con paralleli storici e i politici si affretterebbero a metter mano alla questione, se non altro per placare l’opinione pubblica giustamente pervasa di indignazione. Ma trattandosi appunto di donne, i corsivisti sguazzano fra psicologia d’accatto e biasimo delle vittime, l’opinione pubblica è accecata da tonnellate di mutande e seni rifatti, e i politici stanno meramente sul pezzo (l’ultimo fatto in ordine di tempo che ha raggiunto la cronaca) urlando lo slogan di turno: “castrazione chimica” (Salvini) o “galera” (Di Maio).

E così è ovviamente andata per lo stupro perpetrato dai due giovani farabutti – diciannove e ventuno anni – di Casa Pound. Come si usa di questi tempi, hanno filmato l’impresa per riguardarsela con gusto sul cellulare e vantarsene condividendola con gli amici fidati. Il rischio di cementare prove a proprio carico vale la candela, per questi intelligenti individui. Dopo aver preso a pugni e violentato una donna per ore, Francesco Chiricozzi e Riccardo Licci le chiariscono come vanno le cose, in caso lei non lo sappia ancora: “Stai zitta, tanto non ti crederà nessuno“.

È una previsione dotata di buone probabilità di avverarsi e comunque fondata sull’osservazione della realtà: perché come fa a essere credibile un soggetto quasi totalmente privo di peso istituzionale (sottorappresentazione nella sfera politica decisionale), svantaggiato a livello economico (svalutazione in ambito lavorativo), ridotto a portapene ambulante ventiquattro ore su ventiquattro (oggettivazione mediatica ossessiva e persistente), descritto in termini di inferiorità e mancanza da religioni – teorie pseudo psicologiche – costumi e tradizioni (presentazione e percezione negative basate su stereotipi in relazione al ruolo sociale)?

Se io adesso scrivo “La violenza contro le donne e le bambine è una delle più diffuse, durature e devastanti violazioni dei diritti umani presente al mondo” sto citando a braccio le Nazioni Unite e corsivisti, politici e opinione pubblica non fanno una gran fatica a essere d’accordo. È quando si chiede loro di esaminare le ragioni per cui questa violenza esiste e di intervenire su di esse che danno di matto.
https://comune-info.net/2019/04/non-ti-credera-nessuno-casa-pound/?fbclid=IwAR0r5W_dAAxhptXlnycMbG4fNxi_9OltiIYY0IltKdNYl0IbWUTyWM5587k

lunedì 29 aprile 2019

Figlie mie, siate fottutamente egoiste Raiawadunia

Figlie mie, siate delle fottute egoiste.

Pretendete ciò che è vostro.

La maternità non è una missione.
Il matrimonio neppure.
La vostra esistenza sì.

Siate egoiste quando vi chiedono di rinunciare in nome della famiglia.
Non alzatevi da tavola, se un uomo non lo ha fatto prima di voi.

Ritagliatevi spazi degni, per fare ciò che vi piace: cinema, teatro, passioni.

Siate egoiste quando vi chiedono di essere il loro “tutto”. Che siano figli, partner, amici. Tenete qualcosa per voi. Di segreto. Protetto. Irraggiungibile.

Siate egoiste. Non condividete ogni cosa. Ci sono luoghi che vi devono appartenere in maniera esclusiva, in cui potrete tornare quando le cose non vanno.

Siate così egoiste da essere economicamente indipendenti.

Un conto in banca solo vostro, che a mischiare amore e soldi si fa un gran casino. E non si sa mai.

Siate egoiste quando l’altro si offende perché non siete ancora a casa, perché non c’è la cena pronta. Pazienza. Non smettete di fare quello che state facendo. Se siete lì, vuol dire che quello spazio merita il vostro tempo.

Siate egoiste quando il lavoro, la carriera sono importanti e vengono prima del resto. Per gli uomini è così, dato accettato e riconosciuto. Perché non dovrebbe esserlo per voi?

Siate egoiste. Non fate l’amore se non volete. Non fingete. Siate sincere.

Anelate al piacere piuttosto, siate egoiste come lo è un uomo.

Pensate a voi. Prima di tutto a voi. Figlie mie.

Al vostro corpo.
Ai desideri.
All’anima.

Difendere i vostri diritti come una necessità finché non avranno lo stesso peso degli uomini che avete accanto.

Diritti che vanno al di là di una famiglia, di un figlio, di un amore.

Sono qualcosa di così intimo che riguarda solo voi e nessun altro.

Impossibile violarli, il rischio è l’infelicità camuffata da felicità. Il sacrificio camuffato in amore.

Siate così fottutamente egoiste da salvarvi.

E non importa quanto vi criticheranno, vi faranno sentire in colpa, vi richiameranno nello spazio chiuso di un ruolo. Magari quello di moglie. Magari quello di madre.

Voi non abbiate dubbi.

Scegliete sempre di essere le donne che desiderate.

Siate fottutamente egoiste.
Questa la mia eredità di madre, per voi.
https://raiawadunia.com/figlie-mie-siate-fottutamente-egoiste/?fbclid=IwAR2f8YcQRzebFwnP-bkufinffBkWy-BMs2kjI3n7W_ey9KqpuX9aBMlCTK4

domenica 28 aprile 2019

Quattro Giornate, la storia dimenticata dei femminielli che fecero la Resistenza Quando Napoli insorse contro i nazifascisti, il 27 settembre 1943, furono in prima linea e costruirono le barricate per fermare i rastrellamenti. Ora si cerca di ricostruire le storie di coraggio di una comunità che ha precorso le lotte LGBT DI LUIGI MASTRODONATO

Quattro Giornate, la storia dimenticata dei femminielli che fecero la Resistenza
“Quando scoppiarono le insurrezioni, i femminielli scesero in strada sparando al fianco di noialtri. Si trattava di maschi omosessuali travestiti da donna, presenti a decine nel quartiere dove erano soliti riunirsi in un terreno nella zona di Piazza Carlo III”.
Antonio Amoretti è probabilmente l’ultimo partigiano ancora in vita ad aver combattuto durante le Quattro Giornate di Napoli. Quel lontano 27 settembre del 1943 scoppiò una delle insurrezioni più dure e gloriose della storia recente della città, che andò avanti per quattro lunghi giorni e portò alla liberazione di Napoli dai nazifascisti un giorno prima dell’arrivo degli Alleati. Il campo d’azione di Amoretti era proprio l’area di Piazza Carlo III, nel quartiere San Giovanniello, oggi un susseguirsi di maestosi ed eleganti palazzi dove spiccano bar, alberghi e negozietti. La strada è quella che dall’Aeroporto di Capodichino conduce al centro città, il che rende il quartiere un punto di transito per migliaia di pullmann, taxi e auto. Quello che oggi è un crocevia nevralgico nella viabilità cittadina nel 1943 è stato però un luogo simbolo per la sopravvivenza della Napoli come la conosciamo ora.
La rivolta fu l’ultimo capitolo di settimane di esasperazione per le esecuzioni, i saccheggi e i rastrellamenti portati avanti dagli occupanti nazisti. Una misura straordinaria del Prefetto intimava la chiamata al servizio di lavoro obbligatorio per tutti i maschi di età compresa fra i 18 e i 33 anni. Su 30mila napoletani rispondenti ai criteri stabiliti, si presentarono solo in 150 e le forze tedesche iniziarono i rastrellamenti per scovare gli ammutinati. Madri e mogli scesero in strada fronteggiando gli occupanti così da ostacolare i nazifascisti e proteggere i loro figli, mariti e amanti. Ci furono però altri protagonisti nelle barricate di alcuni rioni, San Giovanniello in particolare. I femminielli, figure tradizionali della cultura urbana napoletana e in qualche modo gli 'antenati' del futuro movimento LGBT.
Una definizione esaustiva di femminiello viene data nel 1983 da Pino Simonelli e Giorgio Carrano in Masques, Revue des Homosexualités. “I femminielli sono uomini che vivono e sentono da donna: abbigliati e truccati da donna. Spesso prostitute ma non necessariamente: ogni vicolo ha il suo femminiello accettato dalla comunità”. Definiti gli antenati dei transgender, i femminielli erano una comunità che non rispondeva alle logiche della moderna transessualità, che non faceva uso di ormoni e chirurgia estetica e non rivendicava particolari diritti politici e civili, e che possedeva un’identità di genere che si discostava dalle aspettative sociali dettate dal genere maschile.
“Ricordo molto bene questo gruppo di persone che si distinse al nostro fianco nella lotta per liberare Napoli dal nazifascismo” mi spiega Antonio Amoretti, oggi Presidente dell’Anpi di Napoli. L’associazione è da alcuni anni impegnata nel lavoro di ricostruzione storica del ruolo dei femminielli nei combattimenti di quei giorni.
Accanto a lei, l’Arcigay di Napoli, attraverso il Presidente Antonello Sannino: “Quando ci fu la barricata a San Giovanniello i femminielli erano in prima linea, secondo la logica che non avevano niente da perdere: non avevano figli, la famiglia li aveva ripudiati e la società li rispettava culturalmente ma comunque entro certi limiti” mi spiega. “Abituati a fronteggiare la polizia e il potere, i femminielli non si tirarono indietro davanti all’occupazione nazista”.
Il coraggio dei femminielli è ben rappresentato dalla storia di Vincenzo. Ai tempi quarantenne, vendeva sigarette, cibo e fazzoletti mentre la sera si prostituiva in strada. “Lo chiamavano Vincenzo ‘o femminiello ed era un vero e proprio boss del rione San Giovanniello, nel senso buono del termine” mi racconta Rosa Rubino, transessuale oggi ultrasettantenne molto amica di Vincenzo e cresciuta sotto la sua ala protettiva.
“Ci ha raccontato più volte della sua partecipazione alle Quattro Giornate, del suo contributo nell’ergere le barricate per non far entrare i tedeschi nel quartiere”. Rubino ricollega il protagonismo del suo amico nell’insurrezione al ruolo che Vincenzo aveva nel quartiere. “Era una presenza fissa in strada, un punto di riferimento e questo spiega perché durante un momento così forte come le Quattro Giornate fosse in prima linea nei combattimenti”. Vincenzo fu anche tra i protagonisti, 40 anni dopo, delle proteste rionali contro l’abusivismo edilizio post-terremoto dell’Irpinia.
Questa presenza costante dei femminielli nelle dinamiche storiche urbane napoletane li ha resi tra i protagonisti della realtà antropologica locale. A confermarlo è Paolo Valerio, professore di Psicologia Clinica all’Università Federico II di Napoli, Presidente‎ della Fondazione Genere Identità Cultura e studioso dei femminielli. “Il fatto che nella lingua napoletana sia stato inventato un termine, femminiello, che altrove non esiste è sintomatico dell’importanza di questa figura nella cultura urbana e nell’antropologia locale” mi spiega. “E’ un po’ il corrispettivo dei Ladyboys in Thailandia o dei Muxè del Messico. Napoli si è contraddistinta come una città che ha consentito a queste persone di potersi manifestare più liberamente e di ritagliarsi persino un ruolo sociale – curare anziani e bambini oltre alla più classica prostituzione”.
Durante le Quattro Giornate, la presenza di decine di femminielli nelle strade impegnati a combattere gli occupanti nazisti va ricondotta a diverse cause, tra cui la prostituzione. Molti femminielli intrattenevano relazioni clandestine con gli uomini dei rispettivi rioni, dunque il loro interventismo va letto in parte nella stessa accezione delle donne che scesero in piazza per ostacolare le deportazioni forzate dei loro mariti nei campi di lavoro tedeschi.
Il protagonismo dei femminielli viaggiava poi di pari passo con il mero spirito di sopravvivenza. “Rifiutati dalla famiglia, difendevano sè stessi e il loro terraneo” continua Sannino, che sottolinea come l’occupazione nazista della città, con i coprifuochi che ne derivavano, si scontrava con la quotidianità rionale dei femminielli, soffocandone abitudini e costumi e dunque l’esistenza stessa.
Il contributo in termini numerici che i femminielli diedero in quelle quattro giornate di insurrezione urbana fu modesto, ma non irrisorio. “Erano qualche decina quelli che hanno combattuto con noi nel quartiere” ricorda ancora Amoretti. “Certo, a riunirsi nel loro terraneo di fronte all’ex cinema Gloria erano molti di più, ma comunque c’era una buona rappresentanza della loro comunità a combattere al nostro fianco”.
Tutti questi elementi sono rimasti nascosti per lungo tempo. Il protagonismo dei femminielli nelle Quattro Giornate sta però emergendo oggi tanto attraverso i racconti orali delle persone più anziane, comprese quelle appartenenti alla comunità LGBT napoletana del dopoguerra, quanto attraverso le fonti scritte provenienti dai diversi archivi nazionali e locali – l’archivio dell’associazione nazionale partigiani e quello dell’istituto campano della resistenza in particolare. Gli esponenti della comunità femminiella napoletana di quei tempi sono peraltro tutti deceduti oggi, il che complica il lavoro di ricerca. “E’ rimasta solo una persona” mi spiega Sannino, “nel 1943 aveva una decina di anni, ma fino a ora è stato impossibile parlare con lui”. Andrea – nome di fantasia - crebbe nel rione San Giovanniello e fin da piccolo frequentò la comunità omosessuale divenendo poi lui stesso un femminiello. Oggi, ormai ultraottantenne, percepisce ancora quello stato di assedio frutto di decenni di discriminazioni e non vuole condividere i suoi ricordi sul ruolo che la sua comunità ebbe in quei quattro giorni di insurrezione popolare.
Il contributo dei femminielli alla liberazione della città non venne minimamente celebrato, nemmeno a guerra finita. Solo l’anno scorso l’ex assessora per le pari opportunità di Napoli, Simona Marino, ha citato tra i protagonisti della rivolta “donne, omosessuali e femminielli” - in una lettera inviata al Presidente della Repubblica per l’anniversario dell’insurrezione.
L’attivismo bellico dei femminielli contribuì comunque ad affermarli ancor di più come protagonisti antropologici di certi quartieri napoletani. “Dopo l’insurrezione i femminielli continuarono a essere presenti nel rione San Giovanniello, come e più di prima, con le loro cerimonie nel terraneo” mi racconta Amoretti. Con le loro usanze, i loro costumi e i loro punti d’incontro, il ruolo dei femminielli nella quotidianità rionale napoletana è rimasta forte fino agli anni ’70-’80. Poi le trasformazioni urbanistiche e sociali, le conseguenze micro-locali della globalizzazione e lo sviluppo di nuove forme espressive e culturali legate al mondo LGBT hanno messo in ombra un gruppo protagonista della realtà sociale napoletana. Questo non ha però intaccato l’eredità che i femminielli hanno lasciato alla città.
Oggi sono circa 3mila i transessuali che abitano a Napoli, e sebbene si ripetano episodi di transfobia e discriminazione, la predisposizione di servizi sociali ad hoc come consultori, punti di ascolto e case di accoglienza, così come l’attivismo politico di alcuni di loro, raccontano bene quella che è una città che ha imparato nel corso dei secoli a essere più open-minded. La rivolta contro i nazisti del 1943, con eterosessuali e femminielli che combatterono fianco a fianco, fu in effetti una delle principali lezioni di integrazione nella storia contemporanea italiana. Questo, peraltro, in un momento storico caratterizzato da confino, violenze e eccidi contro omosessuali e transessuali.
“Il fatto che oggi Napoli abbia una delle più ampie comunità transessuali d’Europa e sia una delle città più gay friendly d’Italia è soprattutto il frutto della storia dei femminielli” spiega orgoglioso Sannino. L’eredità femminella lasciata alla storia della città non si ferma però qui e il Presidente dell’Arcigay Napoli ci tiene a sottolinearlo: “Senza il contributo delle donne e dei femminielli, alcune zone di Napoli come le conosciamo oggi non ci sarebbero più” conclude. “Sarebbero state rase al suolo nel 1943”.
http://espresso.repubblica.it/visioni/cultura/2017/09/27/news/quattro-giornate-di-napoli-la-storia-dei-femminielli-che-fecero-la-resistenza-1.309802?fbclid=IwAR1TQpvJmybxQlwTHmWWQufsDnMOpX2xmkFgipxPthdepL-QkJtRosuIXJw

sabato 27 aprile 2019

25 aprile, la storia dell’unica brigata composta da sole donne: “Coscienza di genere e prime lotte per parità salariale” di Paolo Frosina

La più anziana aveva settant’anni e usava il nome di battaglia “Nonnina”. La più giovane ne aveva quindici ed entrambi i suoi genitori erano stati deportati. Sui monti liguri, negli anni dell’occupazione nazifascista, ha combattuto l’unica brigata partigiana composta da sole donne, anche nei gradi di comando. Nell’autunno 1944 prese il nome di “brigata Alice Noli”, in omaggio a una giovane staffetta di Campomorone, nell’entroterra di Genova, seviziata e uccisa dalle milizie nere per aver dato sepoltura ad alcuni tra i 147 partigiani morti nell’eccidio della Benedicta, nell’aprile dello stesso anno.

Alice era una ragazza piena di passioni: amava il canto e la pittura, “e spesso scendeva da Campomorone fino al centro di Genova per ottenere un autografo dai suoi artisti preferiti”, racconta Massimo Bisca, presidente provinciale dell’Anpi. A 16 anni aveva cominciato a lavorare alla Brambilla, una ditta di pelletteria nel quartiere genovese di Pontedecimo. Fece assidua propaganda partigiana, procurò aiuti e rifornimenti e collaborò con i Gruppi di difesa della donna, la più importante organizzazione femminile di sostegno alla Resistenza. Nel gennaio del 1944 era entrata a far parte della 3° brigata “Liguria”. Scoperta e catturata insieme ad altri sei compagni, venne portata in caserma: poiché si rifiutava di fornire informazioni, fu caricata su un camion e infine fucilata.

Nei mesi successivi, la brigata femminile che già operava sui monti di Genova – svolgendo una funzione di raccordo tra gli stabilimenti industriali della Val Polcevera e i nuclei partigiani – adotta il nome di Alice. Con l’inizio della guerra le donne avevano sostituito gli uomini in molti luoghi di lavoro, sviluppando coscienza di genere e iniziando le prime lotte per la parità salariale. L’8 marzo ’45 le donne della ‘Alice Noli’ distribuirono clandestinamente a Genova 20mila volantini e realizzarono oltre 500 scritte sul selciato, per testimoniare il proprio ruolo nella Resistenza.

Dopo la Liberazione, nel grande corteo del 1° maggio in cui sfilarono tutte le formazioni partigiane, qualcuno non vedeva di buon occhio la presenza della brigata femminile. Un dirigente delle Sap – Squadre d’azione patriottica – disse a una partigiana di stare attente a sfilare in pantaloni, perché avrebbero rischiato di sembrare delle poco di buono. “Lei gli rispose in malo modo – racconta Massimo Bisca – e assicurò che avrebbero cucito delle gonne per il corteo, ma lo mise in guardia dal toccare le armi dei fascisti che loro stesse avevano conquistato in battaglia”.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/04/25/25-aprile-la-storia-dellunica-brigata-composta-da-sole-donne-coscienza-di-genere-e-prime-lotte-per-parita-salariale/5131235/?fbclid=IwAR2rIiDIq6dwDb2pB381QaghgUFZX4d2pGEDbZW1yUgo37071FDdX

giovedì 25 aprile 2019

Buon 25 aprile 2019 tutte e tutti al Municipio di Corsico alle 10

Liliana Segre
Per me il 25 aprile del 1945 non fu il giorno della Liberazione. Non poteva esserlo perché io quel giorno ero ancora prigioniera nel piccolo campo di Malchow, nel Nord della Germania. C’era un grande nervosismo da parte dei nostri aguzzini, ma non sapevamo nulla di quel che accadeva in Europa. A darci qualche notizia furono dei giovani francesi prigionieri di guerra mentre passavano davanti al filo spinato. « Non morite adesso! » , scongiurarono alla vista delle disgraziate ombre che eravamo. «Tenete duro. La guerra sta per finire. E i tedeschi stanno perdendo sui due fronti: quello occidentale con gli americani e quello orientale con i russi». Nelle ultime ore da prigioniere assistemmo alla storia che cambiava. Fuori dal lager ci costrinsero all’ennesima orribile marcia ma niente era uguale a prima. La mia personale festa di liberazione fu quando vidi il comandante del campo mettersi in abiti civili e buttare a terra la sua pistola. Era un uomo terribile, crudele, che a ogni occasione picchiava selvaggiamente le prigioniere. La vendetta mi parve a portata di mano, ma scelsi di non raccogliere quell’arma. All’improvviso realizzai che io non avrei mai potuto uccidere nessuno e questa era la grande differenza tra me e il mio carnefice. Fu in quel momento che mi sentii libera, finalmente in pace.
Il 25 aprile del 1945 fu quindi un’esplosione di gioia che mi sarebbe arrivata più tardi filtrata dai racconti di amici e famigliari. Avevo avuto bisogno di una tregua prima di tornare in Italia. E dovevo guarire da troppe ferite per riuscire a fare festa insieme agli altri. Ero stata ridotta a un numero, costretta a vivere in un mondo nemico e costantemente con il male altrui davanti a me, come diceva Primo Levi. Ci vollero anni perché riscoprissi il sentimento della felicità collettiva.
Poi quel momento è arrivato. E il 25 aprile è diventata una festa famigliare, la festa della libertà ritrovata. Simboleggiava la caduta definitiva del nazifascismo e la liberazione. E rendeva omaggio al sacrificio di partigiani e militari, ai resistenti senz’armi, ai perseguitati politici e razziali. Era la festa del popolo italiano ma anche una festa celebrata in famiglia insieme a mio marito Alfredo, che era stato un internato militare in Germania per aver detto no alla Rsi. Avevamo patito entrambi la privazione della libertà e potevamo capire il significato profondo di quella data che poneva le fondamenta della democrazia e della carta costituzionale. Ogni 25 aprile sventolavamo idealmente la nostra bandiera.
Non ho mai smesso di sventolare quella bandiera. E ancora oggi mi ostino a spiegare ai ragazzi perché è una festa fondamentale. Ma è sempre più difficile combattere con i vuoti di memoria. Solo se si studia la storia si comprende cosa è stato il depauperamento mentale di masse di italiani e tedeschi indottrinate dai totalitarismi fascista e nazista. Bisogna raccontare alle giovani generazioni cos’è stata la dittatura, soprattutto ora che il saluto romano non stupisce più nessuno. Mi chiedo se a una parte della politica non convenga questa diffusa ignoranza della storia. Chi ignora il passato è più facilmente plasmabile. E non oppone “ resistenza”.
In anni non lontani, c’è stato anche chi ha proposto di abolire il 25 aprile dal calendario civile. Temo che prima o poi si arriverà a cancellarlo. Perché il tempo è crudele: livella i ricordi e confonde la memoria, mentre le persone muoiono e le generazioni passano. Qualche anno fa ci siamo illusi che intorno a questa data fosse stata raggiunta l’unanimità delle forze politiche. Oggi leggo con preoccupazione che alla festa della Liberazione si preferisca una cerimonia di altro genere. Se devo dire la verità, rimango esterrefatta. In tarda età assisto a degli atti che non avrei mai immaginato di vedere: soprattutto avendo vissuto cosa volesse dire essere vittime prima del 25 aprile, quando la democrazia non c’era, e dissidenti e minoranze venivano imprigionati, torturati e anche uccisi.
Così come rimango tristemente stupita di fronte alla cancellazione della prova di storia alla maturità. La mancanza di memoria può portare a episodi come quello che ha coinvolto pochi giorni fa un istituto alberghiero di Venezia. Un insegnante su Facebook ha offeso la Costituzione con parole che preferisco non ripetere. E si è augurato che Liliana Segre finisca in «un simpatico termovalorizzatore». Questa non l’avevo ancora sentita: probabilmente il « simpatico termovalorizzatore » è la forma aggiornata del forno crematorio.
Preferisco però concentrarmi sui moltissimi italiani che mi vogliono bene. E insieme ai quali festeggerò il 25 aprile, un rito laico che continua a emozionarmi. E a portarmi via con sé. Perché la libertà è una condizione assoluta, irrinunciabile. E non importa se qualche ministro resterà a casa. Sono sicura che domani saremo in tanti a provare la stessa emozione civile. Buon 25 aprile a tutti.
https://www.facebook.com/notes/roberto-masiero/buon-25-aprile-a-tutti/10155993024091560/

mercoledì 24 aprile 2019

Marisa Rodano, una conversazione a partire dal 25 aprile Incontro con Marisa Cinciari Rodano, testimone e protagonista della Storia, per parlare della politica, delle donne, della pace, del mondo che si prospetta di Tiziana Bartolini

“Ho l'impressione che nessuno ricordi più le ragioni per cui il 25 aprile è la Festa della Repubblica. È piuttosto grave, occorrerebbe dare di nuovo tutte le informazioni su cosa è successo, spiegare le ragioni che ci hanno portato alla Lotta di Liberazione, chi ha combattuto, contro chi e per quali obiettivi”. A parte l’ovvio rammarico, Marisa Cinciari Rodano esprime una forte preoccupazione. La sua è la voce limpida e autorevole di una donna che osserva il mondo e riflette sulla direzione che sta prendendo. I suoi 98 anni (compiuti in gennaio) sono una forza che si alimenta, ancora e quotidianamente, attraverso l'impegno in Noi Rete Donne e con l’Accordo di Azione Comune per la Democrazia Paritaria, aggregazioni di donne che Marisa ha contribuito a fondare oltre dieci anni fa. “È molto grave che si perdano le origini, le ragioni e il significato alla base della nostra democrazia, importante soprattutto per le donne. Tutti i mezzi di comunicazione e le forze politiche dovrebbero fare un'azione di informazione forte per evitare una perdita della memoria che avrebbe conseguenze pesanti”. Marisa Rodano aderì, giovanissima, al Partito Comunista Italiano di cui per decenni fu dirigente, sempre impegnata anche nell’Udi e a sostegno delle battaglie a favore delle donne. Fedele a queste radici, oggi è preoccupata della situazione politica. “Non credo possibile, però, che questo possa avvenire perché l'informazione è molto condizionata dalle forze politiche oggi al governo e che non sentono di avere radici in quella storia. Del resto anche una parte della Democrazia Cristina, nel dopoguerra, ne era distante. Ci fu una ripresa di interesse con i governi del centrosinistra. Però, se devo cercare una spiegazione alla mancanza di un sentimento nazionale condiviso per il 25 aprile, devo risalire al 1968: lì c’è stata una cesura, è mancato di racconto da parte di quelli che allora erano genitori. Da lì c'è stato un lento decadimento del valore del 25 aprile, poi - venendo più al presente - il Partito Democratico ha introdotto un’altra visione del mondo in cui quella data non aveva più centralità”. Oggi è difficile anche parlare di fascismo, nonostante i saluti romani nelle piazze (italiane e non solo) siano sempre più frequenti e sfacciati; si contesta che le categorie ‘destra’ e ‘sinistra’ siano superate dalla storia.”Il cima che sento crescere è molto simile a quello del 1919, cioè analogo alle condizioni economiche e sociali che hanno portato il fascismo al potere. Sì, vedo un pericolo reale di ritorno del fascismo. Anche una parte dell'Europa è dichiaratamente fascista, quindi l’Unione Europea non mi pare possa essere un argine sufficiente a garantire una protezione da questi rigurgiti fascisti e nazisti. Assistiamo al paradosso di un'Europa - nata dall'antifascismo grazie al manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Ursula Hirschmann - che oggi sarebbe rinnegata nella sua sostanza”. E Marisa racconta, avendolo vissuto, cosa è stato il fascismo. “Facciamo fatica, oggi, a capire come si possa vivere senza libertà, ma il fascismo era questo. Il fascismo negava la libertà di stampa, il Ministero della Cultura Popolare emanava le direttive ai giornali, che dovevano rispettarle: me ne ricordo una ‘da lunedì meno Papa’..Non c'era libertà di associazione, se non avevi la tessera del partito non trovavi lavoro, il sabato fascista imponeva ai giovani di sfilare con le divise del fascio e poi c’erano i saggi ginnici. Il fascismo era un regime autoritario e illiberale che inquadrava la vita di tutti, a partire dai giovani. Il ruolo e il destino delle donne era di fare i figli e meno che mai di fare politica”. Le sue preoccupazioni sono accentuate anche per il contesto internazionale in cui tutto ciò accade, e che così descrive. “È un momento difficile in cui vedo a rischio la pace, proprio il valore della pace in un mondo nel quale le idee che contano sono quelle di Trump negli Stati Uniti, di Putin in Russia e di Erdogan in Turchia. Il Medio Oriente è a rischio di una guerra: basta guardare la situazione della Siria, del Libano e della Giordania con milioni di profughi. Sento un’aria di diciannovismo che mi preoccupa e che, invece, non mi sembra preoccupi molto la politica”. Il buon senso, prima ancora che la visione strategica internazionale, inducono a darle ragione e, viene da domandarsi, come mai di fronte a questa tendenza pericolosissima le forze della sinistra non riescano a tornare ad un protagonismo sulla scena nazionale ed internazionale. “Purtroppo la cultura progressista e di sinistra ha una voce flebile contro questi movimenti in crescita, l'unico che abbia un'idea in proposito è Pisapia, che vede una possibile soluzione nella creazione a Strasburgo, dopo le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo, di un largo gruppo socialdemocratico in grado di contrastare questa ideologia nefasta e di rinsaldare l’Europa restituendole la possibilità di giocare un ruolo importante nello scacchiere internazionale. Del resto in Europa è nata l'idea di cultura moderna, è nato il Cristianesimo, è nata tutta la civiltà che è riferimento per il mondo”. E torna a ragionare sugli errori di casa nostra. “Penso che l’Europa al tempo di Romano Prodi abbia avuto troppa fretta di aprire l’ingresso a paesi dalle incerte adesioni all'idea di Unione, questo allargamento intempestivo ci sta procurando molti problemi. Anche i politici italiani hanno responsabilità e dobbiamo riconoscere che in sostanza sono singole persone che puntano all'affermazione personale e non hanno una visione politica del paese e dello sviluppo possibile. Tutto questo è drammatico se pensiamo che siamo in una situazione mondiale in cui i singoli Stati non contano praticamente niente. Questo va ricordato a chi si fa abbindolare dai sovranisti: l’affermazione dell'importanza degli Stati nazionali è pretestuosa perché è insostenibile nei fatti. A sinistra non ci sono leader e questa area politica è frantumata, non riesce ad essere presente nei gangli più delicati del paese e sembra vivere nella convinzione che cliccare sia un agire, invece non è così. La rivoluzione del web e dei social media ci ha colto impreparati, ci siamo man mano allontanati dal paese reale e oggi si sconta questo ritardo. I partiti di massa sono stati sostituiti da aggregazioni virtuali o affermando l’idea vaga che ‘uno vale uno’ in una piattaforma oppure aprendo la strada ad un’idea precisa ma reazionaria come quella di Salvini. Bisognerebbe tornare alla militanza di un tempo, dove le sezioni erano il luogo di incontro vivo e reale, di scambio di opinioni”. Marisa Rodano ha le idee chiare su quali soggetti possano, oggi, contrastare questa onda lunga che sembra inarrestabile. “Il fatto positivo, in generale, mi pare siamo le donne, che si comportano meglio degli uomini salvo che in Parlamento, dove hanno adottato il modello maschile. Le elette del Movimento 5S e della Lega di Salvini non svolgono nessun ruolo femminile ma si comportano come gli uomini, sembrano estranee al cammino che hanno compiuto le donne per conquistare diritti e leggi”. È il momento di fare un bilancio di quello che l’Accordo di Azione Comune per la Democrazia Paritaria ha fatto. “Come Accordo abbiamo lavorato affinché fossero rimossi gli ostacoli che impediscono alle donne di essere candidate e di entrare nelle assemblee elettive a tutti i livelli: comuni, Regioni, Parlamento. Considero questo obiettivo raggiunto, il punto è che queste donne, una volta elette, hanno adottato un modello maschile e non svolgono la funzione che ci si attendeva da loro, ossia l’indipendenza dagli uomini, l’autonomia nelle scelte e nelle priorità. Rimane quindi aperto il grande tema dell'autonomia delle donne, una questione di grande attualità. Del resto dobbiamo sempre tenere presente che le donne ai vertici in tutti i campi, anche se aumentate, sono ancora poche. Mi pare il caso di sottolineare che manca una legge che regoli l'ordinamento interno dei partiti prevedendo un'equa rappresentanza tra uomini e donne, manca cioè una legge che determini la democrazia interna. Il fatto che le donne che arrivano i vertici non fanno la differenza è deleterio per tutte le donne, questo lo dobbiamo ricordare”. Tra i pericoli di questi tempi difficili Marisa Rodano per le donne vede anche la possibilità di retrocedere nelle condizioni di vita. “Non credo si possano abrogare leggi come la 194 o il divorzio, ma vedo molto concreta, e già nei fatti, la mancanza di sollecitazioni ad applicare le leggi che ci sono, come per esempio la parità salariale. C’è un rischio concreto anche nella mancanza di volontà di creare le condizioni per l’applicazione di tante leggi: penso alle infrastrutture sociali, ai servizi”. L’arretramento per le donne è molto più che una minaccia, ma il loro avanzamento è davvero assente, come dimostrerebbe una eventuale agenda delle donne che abbiamo chiesto a Marisa di stilare. Oggi, come ieri, vedrebbe “una società in cui ci sia uno sviluppo economico all’insegna di una reale parità, un'Europa che sia solidale nella quale si possa affermare un'idea di centrosinistra capace di affermare tali principi”. Quanta forza hanno, oggi, le donne per far sentire la loro voce? “In alcuni momenti del passato le donne sono state davvero unite. Per il divorzio e per l'aborto, per esempio. Oggi le donne sono sulla difensiva, il tema della violenza è centrale, ma c'è una difficoltà a individuare grandi temi su cui ritrovarsi unite. Penso che i grandi temi su cui le donne dovrebbero allearsi sono: il lavoro, i servizi sociali adeguati alla situazione odierna, normative sull’assistenza alle persone anziane”. Ripartire da dove non abbiamo mai smesso, praticamente, di ragionare. Solo, occorrerebbero parole d’ordine diverse e rinnovate energie.
Alla conversazione ha partecipato e contribuito Paola Ortensi
http://www.noidonne.org/articoli/marisa-rodano-una-conversazione-a-partire-dal-25-aprile.php

martedì 16 aprile 2019

In molti Comuni si andrà a elezioni. Una costante: una strenua resistenza al linguaggio di genere. Simona Sforza


In molti Comuni si andrà a elezioni.
Una costante: una strenua resistenza al linguaggio di genere. 
Leggo le candidate ancorate al maschile, tutte "candidato sindaco", un vero cortocircuito. A destra, come a sinistra. 
Eppure quanto sarebbe meno stridente "la candidatA sindacA", esiste ed è italiano corretto. Se non si ha nemmeno il coraggio di portare avanti questo cambiamento simbolico ma tangibile, dalle ricadute positive enormi, cosa contraddistinguera' l'operato politico di queste donne? 
Quale la differenza che sapranno marcare e sulla quale qualcuna chiederà il voto. 
Quale occasione migliore per portare un cambiamento e spiegare i motivi di una scelta di declinazione corretta? 
Diamo esistenza alle donne, non appiattiamoci per assecondare consuetudini linguistiche ormai ingiustificabili e che cozzano con la realtà. 
Non significa sminuire un ruolo bensì dargli nuova luce e illuminare ciò che per secoli è stato invisibilizzato. 
Oggi abbiamo la possibilità di dipingere una nuova rappresentanza, adoperiamola e iniziamo a farlo a partire dal linguaggio. 
Non è un orpello inutile, bensì dare sostegno concreto al cambiamento. 
La parità di genere si costruisce mattoncino dopo mattoncino.
https://www.facebook.com/simona.sforza.7/posts/10218314222997306

venerdì 12 aprile 2019

Alice Brine, attrice comica, scrive un post virale su Facebook contro la colpevolizzazione delle vittime di violenza di Ilaria Betti

"La parola 'no' non ha un'interpretazione soggettiva. 'No' significa 'no'": Alice Brine, attrice comica originaria della Nuova Zelanda, ha scritto un post su Facebook, diventato virale, per mettere a nudo tutta quella montagna di sciocchezze e di giustificazioni inutili che utilizzano gli stupratori per difendersi. Raccontata dal punto di vista di chi compie una violenza, l'analogia è piaciuta a molti, tanto da guadagnare in pochi giorni oltre 139mila like e oltre 60mila condivisioni.

Quando qualcuno ci chiede: "Posso rubare la tua auto?" e noi rispondiamo di no, quello che intendiamo è no. Non c'è un'altra interpretazione. No significa no anche se siamo ubriachi, anche se i nostri abiti e le nostre scarpe trasmettono agli altri l'idea della nostra ricchezza. "Ho pensato spesso a questa analogia e ho deciso di renderla pubblica - ha spiegato la giovane -. Il consenso non è difficile da capire".

"Ho iniziato ad andare a casa di alcuni ragazzi molto ubriachi e a rubare tutta la loro roba. Tutto ciò che avevano. Non è colpa mia...erano molto ubriachi. Dovevano farci attenzione. Di solito riesco a farlo il 90% delle volte ma quando un uomo coraggioso mi trascina in tribunale, mi difendo dicendo che non ero sicura di cosa intendesse dire quando ha affermato: 'Non rubare la mia Audi'. Semplicemente non avevo capito bene il significato. Gli ho detto: 'Posso rubare il tuo orologio di Gucci per favore?'. Lui mi ha detto: 'No', ma io non ero sicura di cosa intendesse. Era ubriaco. Si è cacciato lui in questa situazione. Potete vedere da soli come era vestito in discoteca, quelle magliette costose e quelle scarpe. Che messaggio stava lanciando?! Pensavo che volesse che io andassi da lui e lo derubassi di tutta la sua roba. Era ciò che stava chiedendo. Quando ha detto 'no' alla mia richiesta di portargli via tutte le sue cose non capivo cosa intendesse dire. 'No' non è qualcosa di abbastanza oggettivo, può significare qualsiasi cosa".
La giovane attrice è rimasta colpita dalle decine di messaggi di apprezzamento ricevuti: la maggior parte degli utenti ha dato prova di aver capito il suo parallelismo, semplice, ma di forte impatto. "Se riesci a non rubare una macchina parcheggiata fuori casa tua - ha aggiunto Alice Brine - allora puoi riuscire anche a non 'rubare' il corpo di una donna solo perché è seduta sul tuo letto".
https://www.huffingtonpost.it/2016/07/29/alice-brine-post-contro-colpevolizzazione-vittime_n_11255810.html

giovedì 11 aprile 2019

Una nuova speranza per le Donne di Benin City A Palermo un'associazione gestita da nigeriane ex vittime di tratta aiuta le giovani connazionali che vogliono liberarsi dalla schiavitù della prostituzione. L'intervista alla fondatrice Osas Egbon. di MATTEO INNOCENTI

Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, l’80% delle giovani che arrivano dall’Africa in Europa è destinata alla prostituzione. Quello che non tutti sanno è che la maggior parte di esse non solo proviene dalla stessa nazione, la Nigeria, ma addirittura dalla medesima regione: i dintorni di Benin City, capoluogo dello Stato di Edo, diventato nel corso dei decenni un vero e proprio hub africano della prostituzione. Da quest’area della Nigeria, storicamente dedita al commercio e nemmeno tra le più povere del Paese, proviene l’85% delle donne vittime di tratta, costrette una volta arrivate in Europa a vendere il loro corpo. Lo sfruttamento di queste giovani è piuttosto florido, se così si può dire, a Palermo, città che ospita diverse connection house, ovvero case chiuse gestite da nigeriani e maman, frequentate da clienti africani. Sempre nel capoluogo siciliano, dal 2016, opera l’associazione Donne di Benin City, fondata da ex vittime di tratta che fornisce alle connazionali intenzionate a liberarsi dal giogo degli sfruttatori supporto dal punto di vista legale, sanitario, scolastico: «Finora abbiamo dato aiuto a 35 connazionali. Alcune avevano bambini piccoli o erano addirittura incinte e costrette a lavorare», spiega a LetteraDonna la presidente Osas Egbon: «Il nostro sportello è aperto ogni giovedì. Le ragazze possono venire e raccontarci i loro problemi». Fisicamente, sono due i luoghi in cui opera l'associazione: lo Spazio Montervegini, a pochi passi della cattedrale di Palermo, e il Centro Astalli, nei pressi del quartiere Ballarò.

GLI ITALIANI AIUTANO GLI SFRUTTATORI
A dare una mano, spiega Osas, ci sono anche volontarie italiane. E c’è, aggiunge, persino chi «ha fornito una casa privata per dare un rifugio alle ragazze». Una struttura che si sta rivelando davvero molto utile: «Prima accompagnavamo le ragazze direttamente in questura, ma poco dopo tornavano in strada a lavorare come prostitute. Ora riusciamo a seguirle meglio, a dare loro ciò di cui hanno bisogno». Il rischio, racconta la presidente di Donne di Benin City, è anche che queste donne, prive dei documenti, vengano portate in altre strutture di accoglienza, perché questa sarebbe «una seconda schiavitù». A proposito di italiani, se c’è chi dà una mano, a Palermo c’è anche chi fa l’opposto. Le connection house sono praticamente inaccessibili ai bianchi, ma sono proprio loro ad affittare gli immobili in cui si prostituiscono le giovani nigeriane: «Gli italiani sanno benissimo cosa succede all’interno di questi appartamenti, che spesso sono senza luce e acqua».

FALSE PROMESSE E RITUALI VOODOO
Osas, che oggi è una mediatrice culturale, ha conosciuto in prima persona tutto questo. Adesso sa a cosa vanno incontro le sue connazionali quando partono dalla Nigeria, ingannate con false promesse e ‘incastrate’ da rituali voodoo, i quali stabiliscono un legame fortissimo tra i trafficanti che finanziano il viaggio e le ragazze che, una volta diventate schiave sessuali, non si ribellano anche per paura di ritorsioni nei confronti delle loro famiglie: «Le vittime promettono che, una volta arrivate in Italia, salderanno il debito per il viaggio lavorando come prostitute, inoltre giurano di non dire a nessuno, tantomeno alla Polizia, chi le ha portate qui». A officiare questi rituali, che hanno un forte potere di suggestione, sono i sacerdoti della religione tradizionale juju: a marzo del 2018 l’Oba Ewuare II, la massima autorità religiosa del popolo Edo, ha annullato i riti di giuramento già effettuati, lanciando poi una maledizione su coloro che favoriscono la tratta degli esseri umani con l’uso di tali pratiche. Un’ottima notizia spiega Osas ma oltre ai malefici ci sarebbe bisogno di spezzare anche certe ‘connection’, perché il meccanismo è davvero ben oliato: «Le ragazze vengono fatte schiave in Nigeria, portate fino in Libia, caricate su un barcone. Se sopravvivono finiscono per qualche tempo in un centro di accoglienza. Quando escono ad aspettarle ci sono i trafficanti, che le costringono a lavorare come prostitute a Palermo».

«SERVE PIÙ ATTENZIONE DA PARTE DELLO STATO»
«Ora che le ragazze sono più libere. Le istituzioni devono fare di più per aiutarle a uscire dalla strada», dice Osas a LetteraDonna, facendo capire che, senza prospettive, è comunque difficile decidere di liberarsi dal giogo di protettori e maman: «Nei centri di identificazione e accoglienza le ragazze non imparare un mestiere e, quando escono, poi, hanno difficoltà a trovare un impiego regolare perché non hanno i documenti necessari». Insomma, l’associazione Donne di Benin City a Palermo fa il possibile, ma tutto sarebbe più facile con maggiore attenzione da parte dello Stato. Senza alcuna paura. In fondo, conclude Osas, in Italia c’è poco lavoro, ma a portarlo via non sono stati certo gli africani: «Non è come dice Salvini: noi facciamo i lavori che gli italiani non voglio fare, come la donna delle pulizie o la badante».
https://www.letteradonna.it/it/articoli/conversazioni/2019/03/14/donne-benin-city-palermo-prostituzione-nigeriana-in-italia/27778/?fbclid=IwAR3Labdj6oFPFGa7tYeZs6Xw9tRvgkDdUZj5n9cQP0pbKw3-lG0efUKaODA

mercoledì 10 aprile 2019

Le famiglie alternative, immaginate e disegnate da Richard Scarry 60 anni fa Venticinque anni fa moriva uno dei più noti autori e illustratori di libri per bambini al mondo. Suo figlio Huck. “Mio padre a Verona non sarebbe mai andato” By Giuseppe Fantasia

Il verme Zigo Zago, il sergente Multa, il gatto Sandrino, il maiale Sansovino, l'ippopotama Hilda Hippo. A molti di voi, soprattutto a chi è nato tra gli anni Settanta e Novanta, questi nomi ricorderanno qualcosa, faranno venire in mente le grandi pagine di libri pieni di animali di ogni specie e grandezza. Li creò l'immaginazione di Richard Scarry (1919-1994), uno dei più noti autori e illustratori di libri per bambini al mondo, un americano del Massachusetts trasferitosi poi in Svizzera, a Gstaad, che si fece conoscere proprio per aver dato vita e illustrato quella serie di personaggi molto buffi e particolari, "antropomorfizzati", che guidano automobili, che fanno incidenti, che lavorano e indossano i vestiti come se fossero degli uomini. La sua serie più nota ha come protagonisti gli abitanti della città di Sgobbonia (Busytown nella versione originale inglese) da cui vennero poi realizzati dei cartoni animati - "Il fantastico mondo di Richard Scarry"- e molte delle sue illustrazioni contengono anche disegni precisi di meccanismi complessi, come le manovre di una barca a vela o di un aereo da combattimento.

Scarry, morto venticinque anni fa quasi ottantenne, "non sarebbe mai andato al Congresso mondiale sulla famiglia di Verona" - spiega all'HuffPost suo figlio, Huck Scarry, durante la 56/a edizione della Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna (che quest'anno ha ben 1.442 editori provenienti da 80 Paesi del mondo) - perché è stato il primo a scrivere (e a mostrare ai bambini) di famiglie alternative, a parlare e a mostrare la diversità come normalità, indipendentemente dal sesso, dalla razza o dalla religione. Nei suoi libri, tutti pubblicati in Italia da Mondadori (sono più di di duecento milioni le copie vendute nel mondo), fu tra i primi a mostrare un animale maschio con abiti femminili o un animale femmina vestita da uomo o con colori come il blu, all'epoca (ma per alcuni ancora oggi), ritenuto tipicamente maschile e fu il primo a mostrare personaggi poco comuni in racconti per bambini. Un esempio sono i clochard, da lui chiamati "hobo", che poi significa vagabondi: un lupo, un babbuino e una iena chiamati Lupokod, Lem Babbù e Jenaluna (Wolfgang Wolf, Benny Baboon e Harry Hyena). "Sono sempre allegri e spiritosi, aggiunge Huck, hanno un innato talento per combinare pasticci, ma in un'occasione sono addirittura degni di emulare Armstrong, Aldrin e Collins in un viaggio sulla Luna". Le storie di Richard Scarry – che ai più ricorderanno, pur essendo molto diverse, quelle di Beatrix Potter - hanno un intento che è sempre istruttivo e colpiscono perché non c'è la morale, ma a predominare è sempre l'umorismo, l'ironia e la ricchezza delle illustrazioni.

"Quando mio padre disegnava un animale, disegnava in realtà una persona con tutti i suoi pregi e difetti", continua a spiegarci. "Gli piaceva mischiare tra loro i personaggi, i cani con le mucche, i topi con gli elefanti, i gatti con le papere, senza pensare ad eventuali diversità o differenze, ma la sua è stata sempre una diversità che non ha mai dato fastidio". Sgobbonia o Busytown che dir si voglia, è una città ordinata in cui gli abitanti si rispettano tra loro e tutto funziona quasi alla perfezione. Una città ideale? – gli chiediamo. "Non so se è ideale, ci risponde lui, ma sicuramente un bel posto immaginario. Sicuramente non ci vivrei, perché avere tutto bello e che funziona, non è la vita. Nella vita ci sono anche le cose negative e gli errori, tutte quelle cose che ci fanno migliorare e crescere, ma nel caso di mio padre, ha fatto bene, perché lui doveva scrivere e illustrare libri per bambini, quindi in questo caso tutto questo non ha senso".

Scarry junior – e lo chiamiamo così perché nonostante abbia quasi 66 anni, lui di anni, come ci confida, se ne sente sempre dieci – è stato già illustratore negli anni Novanta, sempre per Mondadori, di raccolte di acquarelli dedicate a diverse città italiane, da Roma a Napoli. Vive tra la Svizzera, Paese ospite alla fiera bolognese, e Vienna, ma quando può viaggia. "Ho avuto un'infanzia molto felice – ci racconta in un italiano perfetto – con due genitori favolosi che non mi hanno fatto mancare nulla, soprattutto l'affetto. Con mio padre facevamo tante cose insieme, perché nonostante fosse molto preso dal suo lavoro, riusciva sempre a ritagliarsi dei momenti da passare con me. Lo ricordo come una persona solare, un eterno ragazzo, un uomo molto divertente e dotato di grande sense of humour e fantasia".

Cosa le ha insegnato? Gli chiediamo. "Sicuramente non a disegnare", ci risponde lui con una risata. "Quello ho imparato a farlo da solo, mettendomi vicino a lui e osservandolo. Mi ha insegnato le buone maniere e il rispetto per gli altri ricordandomi di non perdere mai l'infanzia che abbiamo dentro. Si può, infatti, continuare ad essere adulti e conservare la stessa freschezza di quando si era bambini". Huck Scarry oggi gestisce l'enorme eredità paterna, "che non è un peso, ma un piacere" e disegna anche lui. Suo padre gli dedicò anche uno dei personaggi più conosciuti, il gatto Sandrino, che non a caso si chiama con il suo soprannome, Huckle Cat, "Mio padre è riuscito a scrivere libri che ancora oggi sono letti in diverse parti del mondo da persone molto diverse tra loro che si sono tramandati per generazioni e generazioni. Questo è il suo segreto, ma a ben vedere, non è poi questa la magia dei libri?".
https://www.huffingtonpost.it/2019/04/04/le-famiglie-alternative-immaginate-e-disegnate-da-richard-scarry-60-anni-fa_a_23706495/?fbclid=IwAR13rZue3cSffyk8fTw1z9gpqSrJ9eVD-LQjHI26HW7vA4wUStC4rcstOL4

martedì 9 aprile 2019

La bambina che ha scritto una lettera alla Panini per fare un album di figurine di calcio femminile di Roberta Ragni

Ha solo otto anni, ma ha le idee ben chiare e molto coraggio. Vuole un album di figurine anche per il calcio femminile, e per questo ha scritto una lettera direttamente alla Panini.

Nuria Cebrián Bernabe, infatti, è una grande tifosa di calcio femminile, in particolare del Levante, seguitissimo team ‘in rosa’ di Valencia, Spagna, che milita nella Primera División della Liga de Fútbol Femenino, indicata anche come Liga Iberdrola.

Per questo vorrebbe avere la possibilità di collezionare le figurine delle sue eroine preferite, e non solo delle giocatrici del Levante, ma anche di quelle di altre squadre.

Così le ragazze potranno finalmente diventare "famose come i ragazzi", perché anche loro sono fortissime quanto i colleghi maschi, spiega nella missiva scritta a mano, che conclude con un saluto e un "ragazze al potere!". Per questo si è rivolta direttamente alla celebre casa editrice specializzata nella pubblicazione di figurine e fumetti.

A spronare la piccola tifosa c’è sua madre, Pilar Barnaba, che ha postato la lettera della figlia sui social network. Anche lei pensa che sia ingiusto trovare figurine solo dei giocatori, e non delle giocatrici.

In un mondo in cui c’è ancora chi pensa che il calcio sia uno sport da maschi, poter sfoderare un album di calciatrici sarebbe davvero molto utile per demolire i retaggi sessisti. E se ci fosse quell'album al femminile, Nuria lo direbbe alle sue amiche e "invece di collezionare adesivi delle bambole LOL Surprise, lo farebbero con le ragazze del calcio".

La Panini non ha ancora risposto alla lettera della bambina.

Che dite, facciamo un album con le calciatrici? Cosa stiamo aspettando ancora?
https://www.greenme.it/vivere/sport-e-tempo-libero/31104-album-figurine-calcio-femminile?fbclid=IwAR01PkIAyL2S26_uw6GIzsGPDot83mVPMntuZUncH3VbKknkiLc17Pf3aJU



lunedì 8 aprile 2019

Rivoluzione assorbenti: arrivano i distributori igienici a 10 centesimi di Giada Ferraglioni

Un gruppo di studenti universitari della Statale di Milano ha presentato una mozione per garantire l'accesso ai beni di prima necessità a tutte le 40 mila ragazze iscritte all'università. Ed è stata accolta

Laura Grechi ha 25 anni e studia all'università Statale di Milano. Quasi due anni fa ha presentato alla riunione degli studenti di UniSì (un'organizzazione politica studentesca) una mozione che non poteva più essere rimandata. Il titolo, che non lascia spazio a sottintesi, recita così: «Mozione Assorbenti».

La sua proposta centrava da subito il punto. Bisognava iniziare a parlare della distribuzione a basso costo dei beni igienico sanitari di prima necessità all'interno dei bagni dell'ateneo. Per realizzare l'idea era necessario che l'università accettasse di avviare dei bandi di collaborazione con aziende disponibili a installare dei distributori di assorbenti.

La mozione è stata approvata dal consiglio amministrativo una decina di giorni fa e la gara è ufficialmente partita. Ora Laura non riesce a trattenere l'entusiasmo. In alcuni momenti, quelli in cui spiega i dettagli della proposta e le tempistiche degli avvisi, il suo tono resta serio e concentrato. Ma non appena la mente torna ai primi momenti di confronto con le sue compagne, l'emozione le scalda la voce: «Tutte le amiche dei corsi mi hanno detto: Laura, fantastico! Abbiamo realizzato quello di cui abbiamo parlato per anni!».

Un momento propizio
L'idea non ha avuto bisogno di grandi sforzi per la formulazione. Bastava solo che una ragazza - o meglio, più ragazze - si facessero spazio tra gli ambienti politici universitari. «Parlando con le mie compagne di solito veniva sempre fuori la questione. Realmente, non mi interessava solamente discutere di politica. Mi interessava che venisse presa in considerazione la questione».

«Ma ho pensato: perché non usare uno strumento politico per rimediare a un'esigenza comune?», dice Laura. E lo dice quasi stupendosi che la politica e la vita reale possano a volte trovarsi così facilmente sullo stesso asse. Laura fa notare che anche tra gli studenti la politica «è stata per lungo tempo qualcosa che apparteneva solo agli uomini».

«Si parla sempre di diritto allo studio, di tasse troppo alte. Tutte cose belle. La questione degli assorbenti e delle urgenze femminili, però, continuava a rimanere un tabù. Sarà un caso che la mozione è arrivata non appena abbiamo iniziato a prenderci più spazio?», aggiunge.

Ma se la formulazione del bisogno stava aspettando uno slancio femminile, la volontà espressa è stata sostenuta da una larga fetta di ragazzi appartenenti allo stesso gruppo di Laura (UniSì). Ragazzi che, con lei, condividono l'entusiasmo verso il futuro: «Abbiamo portato in consiglio d'amministrazione un tema che è un tabù addirittura tra gli amici!», dice Manuel Tropenscovino, che quotidianamente lavora per concretizzare la mozione.

In cosa consiste la Mozione Assorbente
Anche Marco Lorìa è un appassionato di welfare. Insieme a Laura e Manuel racconta orgoglioso del risultato storico ottenuto dagli studenti della Statale. «Ogni assorbente costerà 10 centesimi, come cifra simbolica per evitare sia lo spreco sia l'abuso», spiega. «Cioè.. noi li volevamo gratis», aggiunge subito, quasi a giustificarsi. «Ma comunque è un compromesso che ci piace, perché è al di sotto della cifra di distribuzione di mercato, che è 25 esclusa iva».

Marco non nasconde che l'obbiettivo è nazionale e che l'intento è anche polemico. «Per noi è importante che arrivi un messaggio chiaro ai governi, che fino a ora hanno ignorato il problema», dice, portandosi avanti sulle domande riguardo la "tampon tax" - l'iva al 22% che equipara gli assorbenti a dei beni di lusso come lo yatch, i gioielli, le auto costosissime.

Assorbenti interni e esterni. Magari, chissà, anche le coppette
Come molti tra i loro coetanei, Laura, Marco e Manuel sono attenti alle questioni ambientali. Il principio dell'usa e getta, legato alla logica dell'assorbente industriale, non li fa impazzire dalla gioia. «Ammetto che quando ho presentato la mozione non avevo una gran conoscenza dell'argomento coppette», dice Laura.

«Ma soprattutto», specifica, «l'ho formulata secondo il criterio dell'emergenza. Se una ragazza si ritrova ad avere il ciclo tra una lezione e un'altra, la prima cosa che cerca è ancora un tampone immediato, sia interno che esterno». Secondo una stima interna, in Statale ci sono circa 40.000 studentesse: ogni mese, le macchinette verranno ricaricate con un numero pari a 15 unità per ognuna.

Rivoluzione assorbenti: arrivano i distributori igienici a 10 centesimi foto 1
Shutterstock | Coppetta, tampax e assorbente esterno
Marco invece sembra aver già pensato alla possibilità di integrare la proposta degli assorbenti con gli altri strumenti per il periodo mestruale. «Quando questo avviso verrà assegnato», dice guardando al futuro che spera essere il più prossimo possibile, «allora non è escluso che le aziende propongano anche le coppette. Noi non mettiamo certo limiti al progresso!». E su questo aspetto, nessuno potrà certo contraddirlo.
https://www.open.online/primo-piano/2019/04/03/news/rivoluzione_assorbenti_in_statale_arrivano_i_distributori_igienici_a_10_centesimi-184976/?fbclid=IwAR2em_bs-4-GDPRK4mJSFb7vbHNC5VvDXicIdIf8CxLZyn1F9InJM3IsP30

domenica 7 aprile 2019

Lo stop della Camera ai matrimoni forzati in Italia

Approvato un emendamento al ddl Codice rosso che punisce chi costringe bambine o ragazze con la reclusione da uno a cinque anni. La firmataria Mara Carfagna: «Finalmente sarà reato come in tutta Europa».
   
Dopo l'approvazione del reato di Revenge porn alla Camera, un'altro passo avanti della nostra politica in favore dei diritti delle donne e dei minori: dalla Camera è arrivato lo stop ai matrimoni forzati, più frequenti di quanto si immagini anche in Italia: l'Aula ha infatti approvato un emendamento di Mara Carfagna- che da mesi si batte per colmare un grave vuoto normativo sul tema - al ddl Codice rosso in base al quale «chiunque induce taluno a contrarre matrimonio o unione civile mediante violenza, minaccia, approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica ovvero mediante persuasione fondata su precetti religiosi è punito con la reclusione da uno a cinque anni».

REATO PUNIBILE ANCHE SE COMMESSO ALL'ESTERO
La norma prevede che il delitto sia punibile «anche se è commesso all'estero in danno di un cittadino o di uno straniero legalmente residente in Italia al momento del fatto». Inoltre, il reato si applica anche a «chiunque con artifizi e raggiri, violenza o minaccia ovvero mediante persuasione fondata su precetti religiosi induce taluno a recarsi all'estero allo scopo di costringerlo a contrarre matrimonio o unione civile, anche se il matrimonio o l'unione civile non è contratto». La pena è, inoltre, aumentata con la reclusione da due a sei anni in caso di induzione al matrimonio di persona minorenne, ed aggravata della metà se la condotta è messa in atto «in danno di una persona che, al momento del fatto, non ha compiuto 14 anni; dall'ascendente, dal genitore, anche adottivo, o dal di lui convivente, dal tutore ovvero da altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia con quest'ultimo una relazione di convivenza».

CARFAGNA: «FINALMENTE REATO COME IN TUTTA EUROPA»
La vice Presidente della Camera Mara Carfagna che ha presentato l'emendamento in materia al Codice Rosso ha commentato con entusiasmo l'approvazione in aula: «Costringere una bambina o una ragazza a sposarsi contro la sua volontà, in Italia o all'estero, sarà reato come già in tutta Europa. È il risultato di una lunga battaglia per sostenere l'integrazione delle giovani immigrate che vogliono vivere secondo le nostre leggi e i nostri valori. Dedico questa vittoria alla memoria di Farah e di Sana Cheema, che volevano vivere libere». La deputata di Forza italia si è detta «soddisfatta» perché, «come accadde per la legge sullo stalking esattamente 10 anni fa, abbiamo costruito uno schieramento trasversale». Con questo stesso spirito - ha continuato - «grazie al nostro emendamento, gli affidatari di orfani di femminicidio hanno finalmente ottenuto il sostegno, anche economico, cui hanno pieno diritto. Ora ci auguriamo che il Senato proceda rapidamente e poi vigileremo perché l'esecutivo approvi subito i decreti attuativi indispensabili per far arrivare davvero i soldi alle famiglie».
https://www.letteradonna.it/it/articoli/politica/2019/04/03/matrimoni-forzati-in-italia-legge/28013/?fbclid=IwAR066I8vyYVYaF79XZovU3Nf63RMPdoi54LsQnsaL-SCN7bI18faepzze_s

sabato 6 aprile 2019

Girare la frittata. Gli MRA e il negazionismo su violenze e discriminazioni di genere DA SIMONASFORZ

Negare, spostare il focus, adoperare parole sbagliate e fuorvianti, ridimensionare i fenomeni che riguardano la violenza e le discriminazioni di genere: sono tutte strategie di un patriarcato che reagisce all’emancipazione e alla liberazione femminile e mette in campo operazioni di restaurazione.
In questo clima di negazionismo in ogni dove, in cui si pubblica di tutto, sullo spazio “Invece Concita”, dopo la lettera del padre “mancato” dopo la scelta della compagna di abortire, arriva la missiva di un uomo di 26 anni, con tanto di curriculum e pedigree politico che lo collocherebbe tra i social-liberali, che discetta come un perfetto MRA, ovvero i men’s right activists, i maschilisti che parlano di una discriminazione al contrario, di diritti maschili calpestati dalla narrazione distorta e misandrica delle femministe. Naturalmente va da sé che si negano secoli di dominio patriarcale, di potere in mano agli uomini, di una invisibilizzazione e subordinazione sistematica delle donne. Mica vero che gli uomini sono in una posizione privilegiata, ma sì, le donne se la passano assai bene, sono i numeri che lo dicono. Naturalmente si adopera strumentalmente anche il caso della donna che dava ripetizioni a un 14enne da cui ha avuto un figlio. E giù a fare di tutta l’erba un fascio.

“Credo che questa vicenda rappresenti un’opportunità per riflettere sui diritti maschili, sui doppi standard giudiziari e sulle discriminazioni che colpiscono gli uomini, in una società definita patriarcale e maschilista, ponendo fine alla retorica del “maschio privilegiato in quanto tale”. Numerosi dati confermano la totale assenza di privilegi nel nascere maschi: gli uomini rappresentano l’80% dei suicidi, l’85% dei senzatetto, il 93% delle morti bianche sul lavoro. Nell’oltre 90% dei casi di divorzio, la custodia dei figli viene affidata alla madre”.

Si noti bene, “totale assenza di privilegi”, così come coloro che negano le peculiarità della violenza di genere, che negano il gender gap (di cui però non parlano solo le femministe), che negano tutte le volte in cui una donna nella sua esistenza si trova di fronte a un muro, a gabbie derivanti dal suo essere donna, che negano la diffusione della violenza in ogni luogo e in molteplici forme, che negano il suo apice e i femminicidi delle donne in quanto donne, che negano tutte le miriadi di occasioni in cui i corpi delle donne vengono oggettivati, strumentalizzati e diventano terreno di battaglia politica. Si nega così tutto, e tutto finisce in un immenso buco nero, in cui si fa strada sempre più il tarlo che sia solo una grande costruzione e mistificazione di quelle odiatrici seriali delle femministe. Si sente anche quando entro nelle scuole, tra i professori e i ragazzi, quanto sia diffusa questa mentalità. Ogni due/tre giorni in Italia una donna viene uccisa da un uomo che non riconosce, non accetta la sua scelta autonoma di libertà, il suo diritto di autodeterminare la sua vita, anche in ambito sentimentale e relazionale. Una relazione non è come tanti testi di canzoni la rappresentano, tra un “mia”, un “ti pretendo”, un “mi appartieni, e una donna è “cosa mia”. Un rapporto affettivo si basa sul rispetto, che si esplica nel riconoscersi e darsi reciprocamente libertà. Non c’è amore dove abita la violenza, la gelosia, il possesso. La passione non deve continuare ad essere un alibi. Eppure siamo immersi/e nell’amore romantico, in una possessività in cui ci si annulla vicendevolmente, in cui l’appartenersi è misura di amore, in cui ci si culla in una dimensione altamente pericolosa.

Loredana e Romina sono le ultime donne vittime della cultura del possesso, della violenza machista patriarcale. Perché questa mentalità possa cambiare, occorre innanzitutto che ne prendiamo coscienza e consapevolezza in modo capillare, tutti e tutte, per non sentire più parlare di tempeste emotive, donne isteriche, false accuse, alibi negazionisti e assolutori degli uomini che scelgono deliberatamente di compiere violenza.

Eppure l’odio crescente sappiamo da dove viene, sappiamo da cosa monta, sappiamo che si tratta ancora una volta di un tentativo di backlash del patriarcato, un contrattacco in chiave di restaurazione, che negando l’evidenza cerca di riaffermare se stesso, la sua cultura e il suo dominio.

Tra le sue strategie c’è esattamente quel tarlo che tende a ridimensionare il problema, a spostare continuamente il focus, a negare che sia una questione maschile, che deriva da un lungo corso di discriminazioni, strutture sociali, dinamiche relazionali e di potere. Il contesto attuale in cui c’è un deterioramento del rispetto in ogni ambito e scarseggiano esempi positivi anche in ambito istituzionale, appare solo particolarmente adatto al perpetuarsi di schemi dalle radici antiche. Il differenziale di potere da difendere, la preoccupazione di perdere lo scettro e il comando, e con essi privilegi, status e certezze granitiche, rappresentano ciò che anima nel profondo uomini e ragazzi come colui che scrive a Concita De Gregorio. Una replica incessante e secolare di una virilità che ha mostrato più volte segni evidenti di ricadute negative.

Sui presunti doppi standard giudiziari. La realtà della violenza

Conosciamo quanti danni può fare una sentenza in cui si usano le parole “sbagliate”.

Conosciamo altrettanto bene cosa accade alle donne che denunciano e non si sentono protette, credute e tutelate a sufficienza, come dovrebbe essere loro diritto.

Due degli stupratori della ragazza di 24 anni, violentata nell’ascensore della stazione della Circumvesuviana a San Giorgio a Cremano, sono stati scarcerati. Le sue parole.

“Bastano pochi minuti e ritorno col pensiero. Erano attimi di incapacità a reagire di fronte la brutalità e la supremazia di tre corpi. Erano attimi in cui la mente sembrava come incapace di comprendere, di totale perdizione dell’essere. E dopo che il corpo era diventato scarto e oggetto, ho provato una sorta di distacco da esso. Il mio corpo, sede della mia anima, così sporco. Mi sembrava di essere avvolta dalla nebbia mentre mi trascinavo su quella panchina dopo quelli che saranno stati 7 o 8 minuti. Mi sono seduta e non l’ho avvertito più. Ho cominciato ad odiarlo e poi a provare una profonda compassione per il mio essere. Compassione che ancora oggi mi accompagna, unita ad una sensazione di rabbia impotente, unita al rammarico, allo sdegno, allo sporco, al rifiuto e poi all’accettazione di un corpo che fatico a riconoscere perché calpestato nella sua purezza. Il futuro diviene una sorta di clessidra. Consumato il corpo e la mente dal tempo odierno ricerca una vita semplice. Mi piacerebbe essere a capo di un’associazione che si occupa della prevenzione, della tutela e della salvaguardia delle donne, ragazze, bambine a rischio, perché donare se stessi e il proprio vissuto per gli altri è l’unico modo per accettarlo.” Un invito agli uomini a “non far valere i propri istinti, né la coercizione fisica e mentale, ma la forza della parola e quella della ragione”.

E non chiedeteci più perché non denunciamo o perché ci mettiamo del tempo a farlo.

Negare, sostenendo di essere stati fraintesi e di non capire

Facendo una ricerca mi sono imbattuta nella canzone di Skioffi, Killer, che vorrebbe essere la replica uscita a dicembre scorso, dopo le numerose reazioni negative alla sua canzone Yolandi.

Naturalmente siamo noi a non capire e a volerlo censurare: “Questi non capiscono un cazzo di me” – “Mi vogliono tappare la bocca”. Lui “racconta storie” ci tiene a farci sapere, peccato che le donne siano sempre degradate a oggetti sessuali e Yolandi si concluda con: “La collana che costava troppo Adesso dimmi che mi ami, visto che l’ho presa e te la sto stringendo al collo” ed il video che a accompagna trasudi in ogni fotogramma una violenza esplicita inaudita.

Un po’ come quando qualcuno dice: “Le femministe esagerano, colpevolizzano gli uomini perché sono misandriche”… ecco anziché continuare a deresponsabilizzarsi e a scaricare sulle donne, forse sarebbe ora di farsi un viaggio dentro se stessi e sul proprio modo di essere uomini.

Intanto ci aspettiamo che si cambi cultura per miracolo, ma nulla avviene da sé specialmente se non si lavora strutturalmente a partire dalle scuole, dove questi temi sono ancora considerati “facoltativi”, con qualcuno che ancora tenta di sabotare l’ingresso di un po’ di aria nuova. Ebbene, forse occorre meno astio nei confronti delle femministe e più coraggio di cambiare finalmente modelli. Iniziando ad accogliere le proposte di approfondimento e di laboratori scolastici ad hoc, non subendole passivamente o peggio facendo ostruzionismo.

Non abbiamo bisogno di uomini che con una pacca sulla spalla si confortano a vicenda autoassolvendosi e dichiarando che la cosa non li riguarda, ma che sappiano riflettere schiettamente sulla propria idea di uomo, praticata e pensata, per riuscire a costruire modelli differenti, elaborare nuove forme del maschile, guardare in faccia debolezze e conseguenze di una cultura patriarcale, riconoscere cosa si perde (non solo ciò che si guadagna) dall’appartenere e dall’aderire a questa cultura, cosa storicamente ha rappresentato la subordinazione delle donne e l’affermazione del dominio su di esse. Non è allontanando da sé e negando il problema che si risolveranno le cose. Non è nemmeno pensabile di poter continuare in questo modo, perché vi sono evidenze, studi, ricerche, statistiche che evidenziano bene la realtà, che è più vicina di quanto si pensi, che è tanto diffusa da non poter far finta di niente. Tutto questo bussa alla porta delle nostre coscienze e implica un agire corrispondente.

Negate e invisibilizzate per secoli, le donne insorgono come soggetto inaspettato, inatteso, insubordinato della storia, ci siamo riappropriate di una esistenza e di un agire non più solo privato, ma pubblico ed è in questa direzione che occorre continuare a lavorare, sulla cultura e sul nostro ruolo, su rappresentazione e voce, su ciò che in nome della natura ci vorrebbe imporre un destino e un controllo sui nostri corpi e desideri. Nominiamo ogni cosa, senza paura, disveliamo i trucchi di una sovrastruttura culturale che per secoli ci ha negato esistenza e parola. Smontiamo ogni tentativo di ricondurci a un ruolo subordinato e controllabile. Non accettiamo chi paternalisticamente ci suggerisce parole, idee, chiavi di lettura e in che posizione porci. Tutto il discorso enfatico sulla famiglia, sulla protezione e sui vantaggi che ne deriverebbero, rientrano in una somministrazione di quel modello di controllo e di dominio patriarcale, che cozza con la realtà dei fatti, soprattutto in termini di violenza di genere. Insomma c’è la fregatura e soprattutto si tace ciò che la famiglia rappresenta come fulcro che tramanda e replica i modelli di cui sopra.

Non crediamo di avere diritti, quelli potrebbero andar via con un sol colpo di vento. La liberazione delle donne è una rivoluzione in cammino, tuttora da completare, ma soprattutto da accettare da parte di taluni soggetti.
https://www.dols.it/2019/04/02/girare-la-frittata-gli-mra-e-il-negazionismo-su-violenze-e-discriminazioni-di-genere/?fbclid=IwAR22-FQFLkNzeFHk3QD23fwXG4jTQ2d9z11FH63vS0peUryoyUFS5Z8QHUY






venerdì 5 aprile 2019

"I figli dei gay non avranno la carta di identità" ricorsi e proteste delle regioni Dopo il decreto ministeriale che sui documenti dei minori al posto di genitore uno e due ripristina padre e madre, Famiglie Arcobaleno, Cgil, politici del M5S contestano la decisione del governo. Mentre il Piemonte si offre di pagare i procedimenti delle coppie di CATERINA PASOLINI

ROMA "Perché i nostri figli non siano fantasmi senza diritti, perché sia riconosciuta la loro storia, la loro realtà anche sui documenti. I figli dei gay non sono bambini di serie B a cui non spetta la carta di identità" dicono i genitori omosessuali preoccupati. Sono in un arrivo una pioggia di ricorsi e di proteste, dalla Cgil alla regione Piemonte, contro il decreto ministeriale voluto da Salvini sulle carte di identità ai minori. Prevede infatti la dicitura madre e padre e non più il  generico "genitore", nonostante il parere contrario del garante per la privacy e dell'Anci. Le associazioni delle Famiglie Arcobaleno annunciano ricorso al Tar, le coppie si stanno rivolgendo agli avvocati, la regione Piemonte ha già annunciato che chi volesse ricorrere potrà farlo con il suo aiuto economico. Così il comune di Torino, apripista nella lotta per i diritti delle Famiglie Arcobaleno con la  registrazione all'anagrafe del figlio di due mamme, si ribella al provvedimento del "governo amico" Lega-5 Stelle con cui è stata abolita la dicitura "genitore 1 - genitore 2" sulla carta d'identità per tornare ai tradizionali "padre" e "madre".

Perché il rischio è che i figli di coppie gay si vedano negata la carta di identità per l'espratrio, soprattutto quelli che hanno visto la loro origine riconsciuta da sentenze dei tribunali poi trascritte dall'anagrafe , oppure nel documento valido solo per l'Italia si ritrovino la famaiglia dimezzata, un solo genitore.

Spiega Marilena Grassadonia, Presidente delle Famiglie Arcobaleno: "Il decreto è palesemente illegittimo e discriminatorio perché non permette di far coincidere lo status documentale con quello legale dei bambini e delle bambine che già oggi – attraverso trascrizioni di atti esteri o che sono stati adottati dal compagno o dalla compagna del genitore biologico grazie all’art. 44, lett. d (adozione in casi particolari) – sono riconosciuti figli e figlie di due padri e due madri e di quelli che invece verranno riconosciuti in futuro".

Angelo Schillaci, avvocato e docente di diritto pubblico comparato alla Sapienza ha studiato il decreto ministeriale firmato da Salvini, ministro dell'Interno, Bongiorno, pubblica amministrazione e Tria , finanze. E per  l'associazione Famiglie Arcobaleno studia ricorsi.
"il decreto ministeriale prevede infatti che per la carta di identità, non valida per l'espatrio, la richiesta la possa presentare un solo genitore, per andare all'estero invece padre e madre si devono presentare insieme. Difficile per una coppia gay... Non solo, i software dell'anagrafe ci risulta siano già stati modificati: non più genitore 1 e 2, ma padre e madre. Come potranno gli ufficiali giudiziari inserire due babbi, due mamme per quel ragazzino?. Non possono violare quello che è una norma e cosi saranno costretti a dire di no. Col risultato che un minore vedrà negata la sua identità, la sua storia, e proprio quelle che coppie che più hanno lottato nelle aule di giustizia,  che alla fine con una sentenza  hanno visto i loro figli riconosciuti come figli di due mamme o di due papa,  rischiano di vedersi negato la carta  di identità valida per l'estero. I genitori single non dovrebbero avere problemi, ma bisogna vedere come sarà intepretata la norma. Ecco, qualcosa di inaudito, ingiusto, illegale, incostituzionale" .

Un atto amministrativo, ricorda l'avvocato, non può contravvenire alle disposizioni di legge e alle sentenze dei Tribunali.  E i tribunali dicono che quei bambini sono figli di due mamme o due padri. Se viola la legge puo essere annullato dal Tar perché discriminatorio, non rispetta la Ccostituzione. E  sottolinea che è " una violazione gravissima del diritto all'identita dei bambini oltre ad impedire di eseguire sentenza passate in giudicato. Un assurdo giuridico".

Contraria anche la Cgil:  "Questo provvedimento non solo cerca di precludere sviluppi futuri nel senso dell'ampliamento dei diritti familiari esistenti (a partire dalla nostra battaglia per la libera scelta del cognome dei e delle figlie) ma va a colpire con un'intollerabile discriminazione famiglie già esistenti e in particolare i bambini e le bambine figlie e figli di quei genitori. Siamo e saremo con tutti i mezzi a fianco delle famiglie, dei minori e di tutte le persone bersaglio di questa orrenda discriminazione e sosterremo con ogni mezzo la battaglia già annunciata di famiglie arcobaleno per chiedere ai tribunali amministrativi la cancellazione della nuova norma".

E dagli stessi esponenti del partito di governo, M5S, arrivano proteste:; "Ma voi avete una persona cara, una che vi sta davvero a cuore che è gay? Avete idea del percorso che ha dovuto fare per accettarsi e farsi accettare, le difficoltà? No? E allora immaginate un disagio, una esclusione che avete subito nella vostra vita, a scuola, sul lavoro o anche in famiglia, che non sia legata all'identità sessuale, e moltiplicatelo per cento. Sono cose da poco? Non fanno il governo del cambiamento?". Così Paola Nugnes, senatrice M5S dissidente, si esprime in un post su Fb sul ritorno della dicitura 'padre' e 'madre' sulla carta d'identità, voluto dal ministro dell'Interno Matteo Salvini.
"I figli dei gay non avranno la carta di identità" ricorsi e proteste delle regioni Dopo il decreto ministeriale che sui documenti dei minori al posto di genitore uno e due ripristina padre e madre, Famiglie Arcobaleno, Cgil, politici del M5S contestano la decisione del governo. Mentre il Piemonte si offre di pagare i procedimenti delle coppie di CATERINA PASOLINI

giovedì 4 aprile 2019

Tutti i ddl che vogliono limitare i diritti delle donne di CRISTINA OBBER

Oltre al 735 di Pillon sono stati presentati altri disegni di legge che vorrebbero riformare aborto e divorzio. Li abbiamo analizzati con Cristina Tropepi, avvocata familiarista.
   
Si parla molto del disegno di legge nr. 735 promosso dal senatore leghista Simone Pillon, contestatissimo in questi mesi sia fuori che dentro le istituzioni da chi si occupa di diritto di famiglia, di violenza sulle donne, di abusi sui minori, anche all’interno del mondo cattolico e cristiano. Ci sono, però, altri ddl presentati dall’inizio della legislatura di cui, nonostante non se ne sia parlato molto, che non solo fortificano gli obiettivi dell'iniziativa del senatore leghista, ma li ampliano fino ad arrivare a proporre quello che di fatto renderebbe l’aborto un reato punibile con il carcere come ci ha spiegato Cristina Tropepi, avvocata familiarista.

Quali sono i disegni di legge presentati nell’ultimo anno correlati alla riforma Pillon?
Sicuramente il 45, il 118 e il 768 ne supportano specificamente i contenuti. Il primo, firmato De Poli, Binetti e Saccone, dà la possibilità al genitore che viene condannato perchè fa mancare il necessario per vivere ai figli (reati ex art 570 c.p) o per maltrattamenti (ex art 572 c.p) di sostituire, nei casi meno gravi, la condanna alla detenzione con i lavori di pubblica utilità. Insieme alla norma del 735 che abolisce il reato di non pagamento dell’assegno di mantenimento ai figli (art 570 bis c.p.), questo disegno si inquadra in un generale progetto di affievolimento della tutela per i minori: le sanzioni penali sono eliminate o depotenziate e il genitore che non assolve i suoi doveri se la cava senza subire conseguenze o con poco disagio.

E il 768 che ha come prima firmataria Maria Alessandra Gallone di Forza Italia?
Impone tempi di permanenza paritari dei figli presso ciascun genitore, mantenimento diretto e mediazione obbligatoria, come il ddl Pillon. In più prevede che il giudice possa escludere l'affidamento del figlio a uno dei due genitori solo in casi tassativamente previsti: cioè in presenza di violenze e maltrattamenti nei confronti dei minori o dell'altro genitore oppure quando, con manipolazioni psichiche, induca nei figli il rifiuto dell'altro genitore, facendo riferimento all’alienazione parentale.

Si toglie al giudice il potere di giudicare caso per caso?
Sì, la norma gli impone di optare per l'affido paritario, salvo le due eccezioni previste, anche una scelta di questo tipo non tiene conto delle diverse esigenze e i tempi di crescita dei minore. Senza dimenticare che mette sullo stesso piano maltrattamenti e la controversa alienazione genitoriale.

Quindi si inserisce in quella visione «adultocentrica» tanto criticata del ddl Pillon.
Certo. L’interesse del figlio soccombe davanti alle esigenze e decisioni del genitore. Questo viola il principio, consolidato a livello internazionale del 'best interest of the child' secondo cui chi si occupa di minori, sia esso legislatore o magistrato, deve tenere prioritariamente in considerazione l’interesse dei bambini coinvolti, anche a scapito delle rivendicazioni dei padri e madri.

«L’interesse del figlio soccombe davanti alle esigenze e decisioni del genitore».

Passiamo quindi al 118 di Antonio De Poli sempre in quota Forza Italia. 
Questo ddl introduce la mediazione obbligatoria, a pagamento, finalizzata alla riconciliazione dei coniugi, che di fatto costringe chi non può permettersi tali spese a rinunciare forzatamente alla separazione. Se teniamo conto che oltre l’80% delle separazioni è d’iniziativa femminile e che, in genere, il coniuge economicamente più debole è la moglie, si comprende come questi disegni di legge siano interpretabili come un’iniziativa che intende colpire i diritti e la dignità delle donne.

A proposito di dignità delle donne, un ddl che fa discutere perchè riguarda l’aborto è il ddl 950 proposto da Maurizio Gasparri, sempre del partito di Berlusconi. Può chiarirci che cosa significa per il diritto?
Propone la riforma dell’articolo 1 del codice civile, riconoscendo la capacità giuridica al feto. Secondo la legge attualmente in vigore il nascituro non è titolare di diritti e doveri in senso pieno, ma ha una legittima aspettativa a vedersi riconosciuti questi diritti, quando nascerà. Pertanto, durante la gestazione, il feto è tutelato dalla legge, in vista della nascita. Il problema si pone principalmente quando la protezione dell’embrione si scontra con altri diritti fondamentali, in particolare con il diritto alla vita della madre. L’importantissima sentenza della Corte Costituzionale numero 27 del 18 febbraio 1975 ha affermato infatti che la tutela del nascituro è prevista dalla Costituzione negli articoli 2 e 31, ma anche che il diritto a nascere soccombe davanti al diritto alla vita della mamma, che prevale giacché «persona già nata» a fronte di chi deve ancora nascere.

Che cosa accadrebbe quindi se questo disegno di legge fosse approvato?
Potrebbe essere messo in discussione il diritto all’aborto, anche in caso di pericolo di vita per la gestante, poiché in quel caso il diritto alla vita del feto avrebbe pari tutela rispetto a quello della madre e quindi l’interruzione della gravidanza sarebbe equiparata all’omicidio volontario. Non solo, potrebbe essere considerata reato (tentativo di lesioni colpose) la condotta della donna che durante la gravidanza possa danneggiare il nascituro, come bere alcolici, fumare, svolgere lavori pesanti. Si potrebbero intentare cause di risarcimento nei confronti di donne che durante la gestazione hanno hanno avuto un incidente domestico o stradale dovuto a loro imprudenza. Paradossalmente la vita delle cittadine sarebbe posta sotto vincolo anche prima della stessa fecondazione: si configurerebbe un danno al feto anche in carico alla madre che rimane incinta pur sapendo di avere una patologia, genetica o acquisita, che può danneggiarlo.

Su questo si basa anche la nuova proposta di legge della Lega firmata dal fedelissimo del ministro Fontana, Alberto Stefani, che di fatto vuole vietare alle donne di interrompere una gravidanza per gravi malformazioni del feto.
Sì. Rendere adottabile il concepito sembra voler incidere sulla libertà della donna di scegliere liberamente se interrompere la gravidanza: la premessa è naturalmente che il concepito ha piena soggettività, quindi gli stessi diritti dell’individuo già nato. Le coppie disposte ad adottarlo possono dichiarare di dare la propria disponibilità anche in caso di gravi patologie o malformazioni del feto. A questo punto la madre che decide di abortire si scontra con il diritto del feto alla vita, che non può essere messo in discussione da valutazioni sulla qualità dell’esistenza del bambino, che comunque godrà dell’affetto della famiglia adottante anche in caso di gravi malformazioni. In caso di aborto, anche il diritto della coppia adottante a vedere realizzato il proprio desiderio di genitorialità sarebbe violato. Da qui a dichiarare illegittima l’interruzione di gravidanza in caso di adottabilità del feto, anche qualora fosse malformato, il passo è breve. Pertanto, anche se formalmente la 194 non viene messa in discussione, si pongono tali e tanti ostacoli al diritto di autodeterminazione della donna, che di fatto sarà molto difficile da esercitare.

Quali potrebbero essere le altre implicazioni del riconoscimento dell’embrione come persona?
In termini pratici uno potrebbe essere che coloro che stanno valutando se tenere il bambino oppure no si sottrarrebbero ai controlli sanitari per evitare poi, in caso di aborto, di essere individuate e incriminate. Ciò condurrebbe a un proliferare di danni alla salute delle donne e dei loro bambini, per mancanza di adeguate cure mediche, nonchè di aborti clandestini, una piaga che si pensava di aver debellato da decenni.
https://www.letteradonna.it/it/articoli/conversazioni/2019/03/27/ddl-pillon-aborto-e-divorzio/27957/?fbclid=IwAR0mlJBwC9yurf-Zk-j8YRoLKaIU6L29x0U8gVG3GmxHsnOK_aFFL6Aw2dI

mercoledì 3 aprile 2019

Africa, il saccheggio continua...Lunedì 8 aprile 2019 ore 21 Oratorio S.Luigi Corsico

Continua il nostro viaggio nel complesso mondo delle migrazioni, tema centrale di un dibattito  che si aggroviglia sempre più ed in cui vogliamo tentare di portare chiarezza.
In occasione della serata dell'8 aprile, faremo un viaggio virtuale in Africa, mettendo sotto la lente le questioni ambientali legate al consumo e al sovrasfruttamento delle risorse naturali, cause di antiche e nuove migrazioni




lunedì 1 aprile 2019

“NON TRATTIAMO ‘BUONE USCITE’: IL DDL PILLON E I SUOI CORRELATI VANNO RITIRATI” UDI - Unione Donne in Italia

UDI - Unione Donne in Italia

“NON TRATTIAMO ‘BUONE USCITE’: IL DDL PILLON E I SUOI CORRELATI VANNO RITIRATI”

Alla luce delle dichiarazioni del Sottosegretario Spadafora, secondo il quale il Ddl Pillon è “archiviato”, ribadiamo che questa soluzione non soddisfa in alcun modo le richieste che le associazioni e i movimenti stanno sostenendo attraverso le mobilitazioni e i presidi in corso.
“Archiviare” un disegno di legge di cui nulla può essere salvato, e la stessa cosa vale per i suoi correlati, vuol dire mantenere il Ddl Pillon tra i disegni di legge depositati, facendone materia acquisita da cui è possibile attingere in successive costruzioni di testi di legge.
Tutto questo per noi è e sarà sempre inaccettabile. La mobilitazione continua.
Il disegno di legge Pillon va ritirato e con esso i suoi correlati. 
Non siamo disposte ad alcuna pericolosa “buona uscita” che presti poi il fianco alla acquisizione di anche solo un articolo del Ddl Pillon o degli altri Ddl attualmente in discussione in Commissione Giustizia al Senato.
Dopo le 150 mila persone di Verona, non interromperemo le mobilitazioni e i presidi di protesta in tutta Italia, fino al completo ritiro di quello che è un attacco inaccettabile ai diritti di tutti, a cominciare dalle donne e dai minori.

anche per questo eccoci a Verona