lunedì 31 marzo 2014

QUEL MESSAGGIO AI VIOLENTI: DA OGGI NESSUNO PUÒ SPERARE NELL’IMPUNITÀ di Michela Marzano


«La sentenza è giusta. Anche se nulla potrà ripagarmi».
È con queste parole che Lucia Annibali ha commentato la sentenza di condanna del suo ex fidanzato, che aveva pagato due sicari per aggredirla con l’acido. Vent’anni di reclusione per stalking e tentato omicidio, come era stato richiesto dal pubblico ministero. Per punire in modo esemplare un crimine esemplare. E mostrare così, speriamo una volta per tutte, che la violenza contro le donne non può restare impunita, che gli uomini violenti non possono più farla franca, che la giustizia, anche in Italia, può fare il proprio lavoro. Certo, nulla potrà mai ripagare Lucia per la sofferenza e l’umiliazione subite. Nulla potrà mai ridarle quello che ha perso per sempre. Nulla potrà cancellare quei mesi di lotte per non lasciarsi travolgere dal dolore ed andare avanti. Ma, adesso, Lucia non sarà più solo un simbolo delle violenze contro donne. Sarà anche il simbolo di una giustizia che, senza cadere nella trappola della vendetta, riconosce alle vittime della brutalità maschile il diritto di essere prese sul serio. Certo, il dramma delle violenze che tante donne subiscono quotidianamente non si risolve solo attraverso la punizione. Come accade ogni volta che si è di fronte ad un problema strutturale, per affrontare adeguatamente questa piaga contemporanea è necessario anche cominciare ad agire sulle cause, organizzando un serio piano di prevenzione. Si dovrà, prima o poi, affrontare concretamente la questione della riscrittura della grammatica delle relazioni affettive, insegnando a tutti, fin da piccoli, la necessità del rispetto dell’alterità e della dignità di ogni essere umano, indipendentemente dal sesso, dal genere o dall’orientamento sessuale. Si dovranno finanziare i centri anti-violenza e proteggere le vittime. Si dovrà trovare il modo per aiutare quegli uomini che, rendendosi conto della propria incapacità a controllare l’aggressività e la frustrazione, cercheranno il modo per evitare di passare un giorno all’atto. Ma come fare a portare avanti strategie di questo tipo se non c’è prima l’azione effettiva e simbolica della legge che interviene per punire i colpevoli?
Condannare i colpevoli e applicare la legge è il primo passo per lottare contro le violenze di genere. Non tanto e non solo per riparare i torti, perché quelli, molto spesso, non possono essere riparati. Quanto per dare a tutti un segnale chiaro e preciso: ci sono cose che non si fanno, crimini che la nostra società non è disposta a tollerare, gesti che saranno duramente sanzionati. Nulla è peggio del sentimento di impunità, quel “tanto poi non succede niente” che ha fino ad ora permesso a tanti uomini violenti di continuare ad agire come prima, di non rimettersi mai in discussione, di pensare che non ci fosse nulla di male a perseguitare o picchiare una donna, a deturparla col l’acido o ad ucciderla. Troppe volte gli uomini maltrattanti ne sono usciti indenni. Troppe volte le donne vittime non sono state ascoltate. Troppe volte sono state lasciate sole, talvolta anche rese responsabili di quanto stavano subendo.
Lucia Annibali porterà per sempre con sé i segni della violenza subita. Quell’acido ricevuto in pieno viso per deturparne i contorni e le forme. Quella volontà di cancellarne la specificità, costringendola all’anonimato dell’informe. Ma sarà anche, e per sempre, il simbolo della capacità che tante donne hanno di battersi e di andare avanti per riconquistare la propria soggettività. Sarà anche, grazie alla sentenza di ieri, il simbolo di una giustizia che accoglie e riconosce veramente il dolore delle vittime, punendo i carnefici in modo esemplare.

giovedì 27 marzo 2014

La rivoluzione dei papà di Emanuela Trinci


Babbi che ce la mettono proprio tutta per chiudere definitivamente con lo stereotipo che li ha visti come uomini impacciati e goffi (che non fanno vibrare nelle loro corde dell’anima la cura dei figli) relegandoli al ruolo - finché il bambino sia piccolo - di far stare bene la mamma! La metamorfosi che oggi appare è incontrovertibile e trasversale. Altro che padri padroni di antica memoria che consideravano degradante o futile l’accudimento dei propri bebè: David Cameron ha chiesto il congedo di paternità, alcune celebrità come Phil Collins o Brad Pitt hanno scalato le marce del lavoro per crescere i figli, così, al pari di tanti giovani, magari meno belli ricchi e famosi, che si ritrovano serenamente alle prese con tappetini multisensoriali, termometri a distanza, vestitini bio, strilli alla macaco, cacche modello Pollock eccetera ...

Sono quelli che Gianni Biondillo e Severino Colombo (Manuale di sopravvivenza del padre contemporaneo, ed. Guanda, pagine 252, euro 15), in pagine a dir poco esilaranti, hanno definito i Pa3, «padri autonomi di terza generazione», ovvero padri al cubo. E diciamo pure che fra i babbi o papà odierni, scartati gli spartani, i trendy o i marpioni, i Pa3 sono quelli che esprimono fieri la convinzione che la loro vita ruoti attorno a quella del proprio rampollo. Loro provano gusto, davvero, a cantare le ninne nanne la sera, e pur litigando spesso con la lavatrice o con le geometrie imperfette del rifare un letto, e pur faticando, arrancando, fra mestieri di casa, supermercati e pediatri, sono orgogliosi del loro nuovo ruolo, duro, ma essenziale.

Dopo essersi lasciati alle spalle il modello «tradizionale» di padre, ma anche quello in trasformazione, i Pa3 vivono la fase creativa della post-trasformazione: pronti a mettere in discussione comportamenti scelte e aspettative consolidate sull'argomento paternità all'interno della funzione dell’«essere genitori». Ma sia chiaro che il loro intento non è certo quello di sostituirsi alle mamme né tanto meno essere definiti «mammi». Essere scambiati con i mammi finisce, infatti, per non garantire un’identità autonoma. Significa, piuttosto, mutuarla dalle madri, diventandone solamente una versione maschile. In qualche maniera - è l’opinione espressa anche da Chiara Saraceno - le tante declinazioni, buffe curiose dissacranti, esplose con manualetti, film eccetera, attorno alla figura del mammo hanno trasmesso un messaggio poco chiaro sui ruoli di genere, minando la credibilità dell’uomo accudente, come se questi non fosse uomo, quindi non un padre «davvero», ma solo un uomo poco uomo, e alla fine persino poco virile!

E dunque, mentre i nuovi padri si scambiano opinioni, approfondiscono le questioni nei loro daddy blogger o cinguettano su Twitter, così da creare un gruppo di scambio e di reciproco sostegno, i dati ISTAT registrano il cambiamento in atto: l’85,4% degli uomini italiani è convinto che educazione e cura dei figli siano equamente distribuiti, e l’87% delle donne è convinto che i padri siano più collaborativi e partecipi dei padri di ieri.

Ma non solo. I babbi, ormai è cosa certa, sono coinvolti nella crescita del bambino anche a livello biologico. Alcune indagini di brain imaging, permettendo di osservare i cambiamenti a livello cerebrale, hanno mostrato come, in risposta allo stimolo del pianto del proprio bambino, anche il cervello del babbo riorganizza, riplasma - proprio come il cervello di una donna - le proprie aree cognitive, per il nuovo ruolo «curativo» che è chiamato a svolgere. Senza considerare come cullare il proprio cucciolo provochi nei padri una discesa del testosterone e una produzione maggiore di ossitocina e prolattina: ormoni questi che agiscono sul centro emotivo del cervello (amigdala). Un cambiamento ormonale significativo, certo meno intenso, ma simile a quello che accade nella madre.

E se «questa è la paternità, bellezza», bisogna convenire che fra ironie e picaresche avventure, quella dei padri è una rivoluzione silenziosa che sta cambiando il volto nonché i ruoli sociali delle famiglie occidentali, del rapporto fra genitori e figli e tra uomini - molti di loro padri separati, quando non gay - e donne.

martedì 18 marzo 2014

“Così questa riforma è incostituzionale bisogna dare le stesse chance a tutti”


Quote rosa? «Definizione inaccettabile»
. Donne elette? «Lo garantisce la Costituzione».
 Le soluzioni proposte? «Non me ne piace nessuna».
 La costituzionalista Lorenza Carlassare ha la “sua”, doppio capolista con possibilità di preferenza per chi vota.
Quote rosa, siamo dentro o fuori la Costituzione?
«Mi sono sempre battuta contro questa stupida denominazione di “quote rosa”, usata per abbassare la serietà e l’importanza di un discorso che riguarda la democrazia e l’integrazione della rappresentanza».
Una quota per le donne viola o è conforme alla Carta?
«La Consulta si è già pronunciata sul tema. Con la sentenza 49/2003 ha fugato ogni dubbio e ha respinto il ricorso del governo su una legge della Val d’Aosta che prevedeva la presenza obbligatoria di entrambi i sessi nelle liste elettorali».
Dalla Corte donne per forza in lista?
«Certamente sì, per garantire la parità di chance e d’elezione tra uomo e donna. Lo impongono importanti documenti internazionali e l’articolo 51 della Costituzione, rafforzato dalla modifica del 2003».
Una legge priva di questo sarebbe incostituzionale?
«Ritengo proprio di sì, perché l’articolo 51 è chiarissimo nel voler assicurare la parità di chance».
Alternanza uomo-donna, capilista alternati, il 40% di essi alle donne, quale promuove?
«Francamente nessuna perché non rispettano la parità di chance. L’alternanza non serve perché potrebbe essere eletto solo il capolista, e se è maschio il discorso è chiuso. La seconda è veramente stravagante, perché non vedo come si possano comparare collegi del tutto diversi tra loro. La terza è uguale alla seconda, ma ulteriormente peggiorata».
La sua soluzione?
«Se le liste non fossero bloccate andrebbe consentito il doppio capolista e la doppia preferenza. L’ha adottata la Regione Campania, il governo è ricorso alla Consulta, ma ha perso».
I vantaggi?
«Ci sarebbe la piena parità di chance perché all’elettore verrebbe consentito di esprimere una seconda preferenza per un candidato di sesso diverso. La preferenza, poi, eviterebbe il maggior vizio di incostituzionalità, un elettore cui viene negata qualsiasi possibilità di scelta».

venerdì 14 marzo 2014

La vergognosa disinformazione che cavalca le "quote rosa" e ne fa armi da guerra: contro le donne


Esce oggi sul Corriere, nella sezione "interventi & repliche", e sulla 27ora, una (molto opportuna) precisazione dell'Acccordo di Azione Comune per la Democrazia Paritaria: non si tratta di quote rosa. Facciamo chiarezza.
Si, facciamola: e scopriremo che
 

1. gli emendamenti per il riequilibrio di genere richiesti alla Legge elettorale niente hanno a che vedere con le "quote rosa" [di per sè, peraltro, ottima cosa];
2. approfondita la faccenda, semmai di quote azzurre, da sempre obbligatorie, si dovrebbe parlare.

Ma i  partiti e (spiace dirlo), compattamente anche la maggior parte dei media, hanno evidentemente interesse a sguazzare nella confusione: tanto da fare delle "quoterosa" un (velenoso) mantra ridicolizzante che vanifica tutti gli sforzi delle donne. Benché ciò che è davvero ridicolo siano solo le obiezioni maschili:
Ed eccco il testo completo del comunicato:
Il 10 marzo i deputati italiani si sono nascosti dietro al voto segreto per respingere emendamenti alla nuova legge elettorale volti a consentire anche alle donne un vero accesso alle candidature. Non si tratta, dunque, di "quote rosa": come portato quasi ovunque all'attenzione dell'opinione pubblica.

Ma proprio brandire in modo fuorviante lo spauracchio di presunte "quote rosa" ha consentito di ignorare il vero concetto da mettere a tema, confondendo l’opinione pubblica e dando un alibi a questo comportamento. Non è stata messa debitamente in luce la necessità, invece, di rompere meccanismi chiusi, oggi costruiti in modo da negare alle donne opportunità di candidature in posizioni di eleggibilità.
E attenzione - questo vigliacco copione si è già ripetuto in diversi consigli regionali, dalla Puglia alla Sardegna, per affossare leggi per la doppia preferenza: mentre nelle interviste, a parole, i politici inneggiano alla partecipazione delle donne, sottilmente adombrano forzature e poi la stroncano con un uso indebito del voto segreto.
Poco possono le donne contro questo sbarramento: nella consolidata tendenza alla cooptazione reciproca tra uomini (sia nelle cariche politiche, sia nel girotondo tra "poltrone decisionali" di vario tipo), le donne hanno oggettivamente un accesso ai media molto più scarso rispetto ai colleghi maschi (del resto quante segretarie di partito abbiamo? quanti direttrici di testate nazionali?) e assai minori mezzi economici in campagna elettorale (elemento trascurato di correttezza). E in conclusione: molto scarse possibilità di essere conosciute dall’elettorato. Se aggiungiamo che le donne vengono generalmente candidate in posizioni di facciata, senza eleggibilità, non è questo un meccanismo che garantisce semmai “quote azzurre”?
In tutto ciò le donne di oggi (non diversamente dalle "suffragette" dell’800) vengono sarcasticamente presentate, nelle interviste, da certa satira e da molta stampa, come figure ridicole: mezze calzette che pretenderebbero posti garantiti senza averne titolo. Visione molto opportuna, ma solo per la compagine maschile che con le donne non intende competere.
E il risultato è quanto avvenuto nell'aula di palazzo Montecitorio, proprio in concomitanza con l'8 marzo: uno schiaffo a tutte le donne del Paese, e un passo indietro nella Storia. Per uno scarto di pochi voti.
Vanificare la battaglia portata avanti dalle donne e dagli uomini alla Camera dei deputati, che hanno promosso e votato emendamenti per la rappresentanza (anche) di genere, è una ferita insanabile: non solo per il cammino delle donne, ma per l’avanzamento di un Paese in crisi.
Riteniamo doverosa questa denuncia, e di offrire un punto di vista più ampio all'opinione pubblica. Le donne, fuori e dentro il Parlamento, non si arrendono.
Con l’augurio all’Italia che la partita per uscire dall'anacronismo, che si riapre ora in Senato, si risolva positivamente.
12 marzo 2014, Acccordo di Azione Comune per
la Democrazia Paritaria
per info e contatti: danielacarla2@gmail.com

giovedì 13 marzo 2014

LETTERA alle PARLAMENTARI: LOTTA DURA SENZA ALCUNA PAURA



Chi siede alla Camera, da noi eletto ed eletta, in questo momento tenga a mente che è lì a rappresentare non solo adulti e adulte forti, ma in particolare le fasce deboli della popolazione, i ragazzi, le ragazze, i bambini le anziane tra gli altri: coloro che non hanno spesso parole per dire il loro talvolta insopportabile disagio.
Ci ricorda Giuseppe De Rita, direttore del Censis, che le donne dopo i 50 anni,se non dispongono di un alto reddito, cosa comune nel nostro Paese, vanno spesso incontro ad una vita faticosissima fatta di cura dei nipoti, cura degli anziani, cura dei malati fino ad arrivare ad un vero e proprio burn out, sindrome di esaurimento fisico ed emotivo, che le annienta. Chi ha provato a doversi occupare di un malato di Alzheimer o di demenza, sa cosa intendo.
Nelle fasce deboli rientrano anche le bambine, le ragazzine in questi anni preda di giornali e televisioni voyeur che indagano senza pietà né comprensione sulle loro abitudini sessuali, come nel caso delle baby prostitute, per nutrire la curiosità malata di adulti annoiati, senza tenere conto della loro giovanissima età e del loro bisogno di essere protette nel rispetto del patto intergenerazionale.
Ci sono poi le donne che devono abortire, esperienza devastante, che non trovano uno straccio di dottore disposto a rispettare la legge 194, aggiungendo così disagio all’immenso dolore.
Ci sono le ragazzine e i ragazzini che lasciano la scuola troppo presto, avendo noi italiani uno dei più alti tassi di abbandono scolastico in Europa.
Ci sono i centri antiviolenza che chiudono,abbandonando nel terrore donne e bambini che lì trovavano riparo.
DI queste fasce deboli ogni rappresentante politico onesto e serio può e deve farsi carico.
Ma è certo che i disagi che coinvolgono le donne e i bambini sono più facilmente presi in carico dalle donne, sia per conoscenza diretta del problema o per un sentire comune.

Credo dunque che le deputate che si sono trovate ieri a dovere affrontare la vergogna del boicottaggio del decreto sull’alternanza di genere- a scrutinio segreto quindi da parte di individui miserabili incapaci di affrontare le conseguenze del loro gesto, dei troll della politica insomma-debbano emanciparsi velocemente da ogni logica di partito per fare gli interessi di chi rappresentano, nulla è più importante.
Ogni mezzo è lecito: si tratti di bloccare l’Italicum al Senato, di occupare il Parlamento o di rinnegare i compagni di partito: la Missione a cui sono chiamate è un salto culturale definitivo per il Paese che dia giusta rappresentanza a quell’enorme numero di donne, la MAGGIORANZA della popolazione, che sono ingiustamente sottorappresentate in Parlamento.
E’ necessario compiere l’ultimo faticoso passo che è l’emancipazione dall’approvazione maschile, il vero scoglio da superare per una reale parità di diritti.
Superare la paura di sentirsi dire: “non è il momento, ci sono questioni vitali per il Paese, il tema delle quote verrà dopo.”
Non c’è tema più urgente di questo. La questione di genere va affrontata ora con coraggio facendosi carico di un tema che, se non risolto, allontanerebbe moltissime elettrici da partiti che non possiamo più definire democratici.

martedì 11 marzo 2014

IL CARTELLO DEI SESSISTI (Chiara Saraceno)



Non è passata l’alternanza uomo-donna nelle liste elettorali. La curiosa neutralità del governo e del decisionista Renzi su questo punto e il voto segreto hanno lasciato libero il campo al “cartello” che da sempre e trasversalmente difende strenuamente la quota azzurra. Anche parte del Pd, in contrasto con lo statuto e le dichiarazioni ufficiali, si è schierata a difesa del mantenimento dello status quo.
Una situazione che lascia alla discrezione delle segreterie dei partiti se e quante donne mettere in condizione di essere elette di fatto proteggendo lo status quo in cui gli uomini sono maggioranza. Perché solo di questo si tratta. È un errore, infatti, parlare di quote rosa ogni volta che si cerca di scalfire il monopolio maschile, di ridurre le “quote azzurre”, che molti uomini (ed anche qualche donna) continuano a ritenere un naturale diritto divino in tutti i luoghi di potere politico ed economico. Sarebbe molto più corretto parlare di norme antimonopolistiche, che impediscano la formazione di un “cartello” basato sul sesso. Sarebbe più chiaro qual è la posta in gioco e chi sta difendendo che cosa. E forse molte donne smetterebbero di sentirsi in colpa, o“panda”, ogni volta che si chiede una correzione. Perché la categoria (auto–) protetta, molto strenuamente, è quella degli uomini, che sono riusciti a far passare come ovvia e meritevole la loro presenza, mentre quella delle donne è sempre frutto o di usurpazione indebita, o di graziosa concessione, non di meccanismi che consentano di correre alla pari.
Renzi ha dichiarato che la “vera parità” c’è quando le donne che fanno lo stesso lavoro degli uomini sono pagate come loro. Ma questa è solo una parte del problema. La questione è che le donne, nel lavoro come in politica partecipano a corse con handicap. Non mi riferisco solo al peso del doppio lavoro, ma proprio al fatto che sono corse truccate da chi detiene le chiavi di ingresso e dagli arbitri. Che di “cartello” si tratti è evidente ovunque, che si tratti di consigli di amministrazione delle società quotate in borsa, di Corte costituzionale, di presidenze e membership nelle Authority, di presidenze dei vari enti pubblici e parapubblici, in generale di nomine nei posti che contano, chiunque sia chi ha il potere di nomina. È ancora più evidente nel caso delle liste bloccate. Perché, esattamente come era nel Porcellum, nulla è lasciato al caso e tanto meno alla scelta degli elettori (con in più la beffa delle candidature multiple. L’elezione o meno di un numero congruo di donne non dipende né dalla disponibilità degli elettori a votarle, né dalla disponibilità di un numero adeguato di donne con le competenze e riconoscibilità necessarie. Dipende esclusivamente dalla posizione in cui saranno in lista. Solo perché il Pd alle ultime elezioni ha messo molte donne in posizione alta nelle proprie liste, la percentuale di donne oggi presente in Parlamento è la più alta di sempre. Bene che ne siano diventate consapevoli anche molte parlamentari di altri partiti. Meno, apparentemente, le neo-ministre, stranamente silenti sul punto, come se la cosa non le toccasse e non ne sentissero alcuna responsabilità e con loro gran parte delle vecchie e nuove “renziane”. Sosterranno che pur di far passare l’Italicum si possono anche sacrificare le “quote rosa”, senza rendersi conto di difendere così quella azzurra e in ogni caso di aver contribuito ad ulteriormente indebolire la credibilità del loro partito, sempre più inaffidabile nella difesa dei propri principi, quanto disposto a tutti i compromessi sulle richieste altrui (si veda anche l’accettazione delle candidature multiple). Chi si è opposto all’alternanza uomo-donna in lista non ha fatto altro che difendere la quota maschile, che, nel caso di alcuni partiti (ad esempio la Lega), può arrivare al cento per cento. Certo, ci sono molte altre cose discutibili in questa nuova legge elettorale dal punto di vista della democrazia e della rappresentanza. La democrazia non si risolve con una presenza equilibrata di uomini e donne nelle liste elettorali. Le donne come tali, inoltre, non sono necessariamente meglio degli uomini come tali. Allargare il pool degli eleggibili, tuttavia, potrebbe, chissà, persino far riflettere un po’ meglio sulle caratteristiche necessarie, mettere in moto dinamiche differenti, dentro e fuori i partiti e nella definizione delle priorità nelle cose da fare. Diverse ricerche hanno mostrato che una presenza consistentedidonneneiconsiglidiamministrazionemiglioralaperformancedelle aziende. Perché non dare questa chance anche alla gestione del Paese?

La norma imposta dalle norvegesi più di un secolo fa: un’azione da tener presente » Quale democrazia? paritaria, di genere o rappresentativa?



Il confuso dibattito su legge elettorale e scarsa presenza di donne, manca proprio di fondamenta e perciò svolazza a caso su parole senza senso: che vuol dire democrazia paritaria? che vuol dire democrazia di genere? e perchè non usare il termine collaudato di Democrazia rappresentativa?

Preferisco questa ultima locuzione e spiego perché.

Quando le donne norvegesi -ben più di un secolo fa - ottennero (prime al mondo) il riconoscimento del loro diritto di voto attivo e passivo, la democrazia era già detta a suffragio universale, quando tutti i maschi avessero il voto e nemmeno mezza donna.

Per questo le norvegesi, ragionando sulla realtà e non su astratte definizioni di principio, si dissero che -se avessero lasciato fare alle cose così com’erano - verso il 3300 sarebbero arrivate al 4% circa, sicché si proposero di trovare uno strumento provvisorio, tale da agire sulla cultura che aveva prodotto una rappresentanza solo maschile o quasi, in modo che il mutamento (sarebbe più giusto dire la mutazione) diventasse alla fine culturale e irreversibile, senza innestare revanscismi e rappresaglie e vendette.

Fecero dunque approvare dal parlamento una "clausola di non sopraffazione sessuale" per la quale le liste debbono sempre essere confezionate in modo che nessun genere abbia più del 60% di candidature, nessuno meno del 40%. La norma rimane in vigore fino a che questa partizione non meccanica nè solo aritmetica, ma equilibata sia divenuta abituale: é ancora in vigore anche in Norvegia, tradotta in italiano da chi non capisce nè il norvegese, nè la logica "quote rosa": invece essa impedisce sia la presentazione di liste solo maschili, sia di liste solo femminili, agendo su due generi e offrendo spazi modificabili e non burocratici, in altri termini è antipatriarcale, ma non intende avviare il matriarcato.

Troppo compllcato per i nostri Soloni? ripassino un po’ la grammatica, per favore, e poi parlino: se no tacciano, che fa lo stesso.

09|03|14  Lidia Menapace