venerdì 26 giugno 2015

Che genere di Dio L'ideologia che non c'è di Benedetta Selene Zorzi

Una teologa risponde a chi in questi giorni protesta contro una fantomatica "ideologia del gender" spiegando perché non fa bene alla Chiesa e invitando a smettere di costruire prigioni per paura dei propri limiti, nel nome di Dio
Gli studi di genere non intendono affermare che maschi e femmine non esistono o non sono differenti, ma che il sesso non è il genere. Cioè il sesso è un dato con cui si viene al mondo ma il genere è il valore, il colore, il ruolo, il significato, il carattere, i limiti e le aspettative che io attribuisco al sesso. Siccome non c’è un diretto collegamento tra ciò che un neonato racchiude nel pannolino e il futuro stipendio che avrà se uomo o donna, si capisce che il problema avviene in ciò che accade tra quando nasce e quando diventa adulto. Quanto accade nel frattempo si chiama “costruzione sociale”.
Il gender, lungi dall'essere una ideologia chiara, sostenuta da autori precisi con contenuti tematici specifici, è solo un criterio di analisi che smaschera come non ci sia una legge naturale che determini carattere, ruolo e destino di uomini e donne, ma è ciò che crediamo che una persona debba essere, diventare o comportarsi, a seconda del suo sesso. Il genere quindi appartiene alle aspettative sociali e ai valori culturali. Ecco perché si dice che è una “costruzione sociale”. Si tratta piuttosto delle aspettative sociali o delle convinzioni che abbiamo introiettato così in profondità  da sembrarci “naturali” (nel senso di un destino meccanico che viene dalla morfologia). Spiace vedere la confusione che regna in coloro che combattono questo gender (un mostro caricaturale creato ad hoc per combatterlo e che contiene le cose più varie) ritenendo che esso sia una precisa ideologia e poi non sanno distinguere tra i termini maschio, maschilità, maschile, uomo (femmina, femminilità, femminile, donna), per non parlare della confusione che emerge quando si inizia a chiedere loro quali contenuti esso avrebbe.
La cosa grave è che tramite questa sorta di lotta scatenata a questa fantomatica “ideologia del Gender” si rischia di perdere alcune conquiste che sembravano assodate circa i ruoli, la dignità e i diritti delle donne, la maggiore di tutte le minoranze.
Iniziai a occuparmi del tema 'se la donna fosse creata a immagine di Dio' in occasione della stesura della mia tesi di dottorato in teologia, contro la mia volontà. Mi sembrava infatti una questione inutile, superata, perché la Bibbia era lì da sempre a dire che la donna è creata ad immagine di Dio (Gen 1,27).  Studiando però la storia della teologia su questo tema, mi trovai a misurarmi con interpretazioni (che possiamo chiamare 'costruzioni') di quel dato biblico inammissibili e penalizzanti per le donne, interpretazioni di cui si potevano seguire modifiche e sviluppi nel corso della storia, ma anche processi involutivi. Una bimillenaria costruzione di genere, una riflessione teologica sulla donna, sulla spiritualità femminile e sul ruolo delle donne nella Chiesa, che era stata fatta esclusivamente da parte di uomini e impregnata di mentalità patriarcale, tanto più potente sulla costruzione sociale ed ecclesiale quanto più introiettata dalle donne e da esse condivisa. Non si trattava solo di ingenue teorie antiche, perché su tali assunti continuano a fondarsi ancora molte prescrizioni, leggi e istituzioni ecclesiali. Per chi studia teologia come donna la parzialità di una tale prospettiva risulta inaccettabile. Ho anche scoperto però che erano ormai tante le teologhe che si erano misurate già prima di me con una tale storia: un immane sforzo compiuto da tante donne in particolare negli ultimi cinquant’anni nel campo della riflessione storico-religiosa che ha intrecciato la riflessione femminista e gli studi di genere.
Questi studi hanno riguardato le concezioni teologiche sulla donna e il femminile; le metafore maschili e femminili (presenti nella Bibbia) per parlare di Dio; le teologhe hanno riesumato dal silenzio in cui le aveva lasciate la tradizione maschile, donne importanti nella storia della salvezza. È stato evidenziato il rivoluzionario messaggio e il comportamento di Gesù con le donne, ma si è anche smascherato il ruolo delle antiche ideologie patriarcali sulla costruzione dei ruoli femminili nel cristianesimo ideologie che hanno frequentemente soffocato il messaggio evangelico, infine si è ridimensionata l'azione e la missione delle donne cristiane – un imponente lavoro sulla mariologia - fino a toccare le questioni legate alla maschilità di Gesù, su come essa aiuterebbe la costruzione di un modello di maschilità non machista e sia invece stata usata ideologicamente per costruire e giustificare il clericalismo ecclesiale.
Se c’è un luogo, insomma, in cui la separazione tra sesso e genere è stata all'opera fin da tempi non sospetti, questo luogo è proprio la teologia, il discorso su Dio. Dio non ha sesso e quindi di LUI (maschile?) si parla solo usando categorie di 'genere'. Ecco allora che, dal momento che Dio è per il credente il Bene e tutto il positivo dell'esistenza al massimo grado, sarà detto, immaginato, descritto e dipinto (nelle cattedrali come nel proprio spirito) tramite tutte le nostre convinzioni, valori, significati associati alla positività: allora sarà “lui”. E quando gli vorremo associare caratteristiche positive come la dolcezza, l’accoglienza, la tenerezza allora parleremo delle sue caratteristiche femminili. Ma Dio non ha sesso. Lo sanno i bambini che da come disegnano Dio ci aiuterebbero a uscire dai nostri schemi irrigiditi (si veda R. Torti, Mamma perché Dio è maschio?).
Il genere, entrando come categoria analitica nel campo teologico, smaschera vecchie e nuove ideologie che hanno ricadute sulle concezioni della natura dell'essere umano, del posto e del ruolo della sessualità nella persona, della dignità delle persone nella chiesa e nella società, fino ad aprirci gli occhi sulla misura in cui l'ideologia patriarcale abbia plasmato e rischi di continuare a farlo, la costruzione dottrinale e sacramentale del cristianesimo.
Gli studi di genere risultano fortemente utili per le nuove aperture che il Papa richiede nei confronti delle “giuste rivendicazioni” (Evangelii Gaudium 103-104) delle donne nella chiesa (ecclesiologia). Insomma, c'è molta “costruzione di genere” nella storia della teologia, nella dogmatica, nell'antropologia cristiana e nella sacramentaria: gli studi di genere ci aiutano a vederla e a smascherarla. Il genere fa bene alla teologia.
Il Coordinamento Teologhe Italiane si è costituito proprio per sostenere, valorizzare e dare visibilità agli studi teologici in prospettiva di genere ed è oggi una realtà imprescindibile nel panorama di ricerca italiana e teologica, non soltanto cattolica. Esso raduna teologhe di diverse confessioni e religioni.
Certo che il modo in cui sono fatta, il mio corpo, se sono alta o bassa, se sono bella o brutta, se ho il carattere di mia nonna o di mio padre, influenzerà la mia storia le mie scelte, la mia interazione con altri e in società. Ma non c’è nessun destino, perché appunto l’essere umano, per quanto condizionato dalla sua biologia, dalla sua storia, dal suo peccato o dalle sue buone abitudini, è aperto al futuro di Dio. In questo senso l'uguaglianza di genere non è il fatto che le persone siano tutte uguali o che non si voglia riconoscere che un pene sia diverso da una vagina. L'uguaglianza di genere significa uguaglianza di dignità tra maschio e femmina, di opportunità e di ruoli (responsabilità) da assumere.
La specie umana si trova davanti a nuove sfide sociali, culturali e scientifiche per le quali non ha ancora maturato forze etiche, spirituali e schemi mentali adeguati. La creazione del mostro “ideologia del gender" sembra piuttosto nascondere un problema più ampio: è il nome delle nostre paure, dei nostri limiti mentali, di quegli schemi introiettati che invece di aiutarci a trovare una conformazione e una identità plastica e relazionale diventano una prigione in cui catturare noi stessi, gli altri e imprigionare le nostre migliori possibilità.
Come ci insegna la storia biblica e la psicologia, non si scappa dalle proprie zone di ombra proiettandole fuori di noi e combattendole come mostri, ma solo tramite il riconoscimento che qualcosa di quel nemico è anche in me. Il mostro “gender” così come è stato costruito da chi lo combatte, in fondo è l'altro lato di quella libertà incoercibile e indeterminabile che il cristianesimo riconosce ad ogni persona indipendentemente dal suo sesso.
Gli schemi di genere hanno radici storicamente antiche e sono profondamente iscritti in ciascuno di noi per questo: ma sono sorti a favore della felicità della persona e della società e devono continuare a funzionare a favore della libertà, dignità e valorizzazione delle persone. Quando essi diventeranno un randello per limitare, denigrare o condannare qualcuno, allora non hanno più senso e vanno velocemente abbandonati.
Sarebbe un peccato per noi teologhe e per la teologia tutta essere costrette ad abbandonare questa feconda categoria teologica che studiamo da molti decenni solo a causa di una campagna politica iniziata da poco e che probabilmente finirà presto, non appena si troverà una soluzione alle nuove sfide sociali: ma se non si esce dalla contrapposizione la Chiesa avrà perso il suo ennesimo treno di dialogo con la società moderna che invece ha contribuito essa stessa a costruire e alle istanze della quale non è estranea.
Sono i valori cristiani che portano a batterci per un riconoscimento della sessualità nella struttura umana della persona intera, per una educazione alla affettività, per una lotta alla discriminazione.
Ecco perché mi auguro che dalla contrapposizione tra cattolicesimo e “ideologia del Gender” si passi al dialogo e alla riflessione profonda sulle nuove questioni, molto differenti tra loro, che si affacciano alla cultura e alla società, come anche alla legislazione: una delle strade maestre che oggi si offe alla Chiesa è la teologia fatta dalle donne. Ma anche qui: bisognerà che la Chiesa si dimostri disposta a cambiare molti schemi di genere.

giovedì 25 giugno 2015

Una campagna diffamatoria contro la scuola pubblica e il suo ruolo determinante nello sviluppare rispetto per le differenze, consapevolezza e uguaglianza nelle nuove generazioni


In questi giorni sui social network e su whatsapp è stato diffuso da insegnanti di religione e genitori cattolici UN MESSAGGIO ALLARMISTICO sulla salute psicofisica dei bambini e delle bambine e sull’obbligo a frequentare corsi di educazione sessuale nelle scuole pubbliche.
Il messaggio si conclude con un appello alla partecipazione alla manifestazione di Roma del 20 giugno, promossa da gruppi religiosi in difesa del modello cattolico di famiglia.
Noi - genitori, insegnanti, docenti universitari, associazioni laiche e democratiche – ti invitiamo a riflettere con la tua testa e a non seguire il gregge.
Ti inviamo questo messaggio per rassicurarti che NON ESISTONO corsi come quelli descritti lì e che bambini e bambine non stanno correndo alcun pericolo.
La parte più retriva del mondo cattolico sta mettendo in atto UNA CAMPAGNA DIFFAMATORIA CONTRO LA SCUOLA PUBBLICA e il suo ruolo determinante nello sviluppare rispetto per le differenze, consapevolezza e uguaglianza nelle nuove generazioni e sta inventando una presunta “dittatura gender” per farlo, GENERANDO CONFUSIONE E PREOCCUPAZIONE.
Grazie alle trasformazioni sociali e culturali degli ultimi decenni, la nostra società è cambiata, offrendo maggiore libertà e consapevolezza. Le misure dirette a combattere le disparità tra donne e uomini promuovono LIBERTÀ, INFORMAZIONE, SICUREZZA E INCLUSIONE SOCIALE. Mentre campagne allarmistiche e ideologiche in difesa di un unico modello di famiglia producono ODIO ED ESCLUSIONE.
Sono finiti i tempi della caccia alle streghe, in cui la morale cattolica poteva imporsi su tutte le altre concezioni etiche e decidere cosa è giusto e cosa è bene per tutti e tutte. Molte vite sono state sacrificate per costruire oggi un ordinamento democratico, laico e rispettoso delle pluralità, dove convivono religioni e morali diverse.
Non cadremo nel tranello di chi usa la sessualità come TABU E SPAURACCHIO per difendere un modello culturale arretrato e chiuso. E non vogliamo assecondare chi vuole ingaggiare UNA GUERRA MENZOGNERA TRA SCUOLE E FAMIGLIE.
Nostro obiettivo è difendere la scuola pubblica e valorizzare tutte le attività che hanno l’obiettivo di PREVENIRE E CONTRASTARE DISCRIMINAZIONI E VIOLENZE DI GENERE, BULLISMO E OMOFOBIA. Sono queste le iniziative che AIUTANO I NOSTRI FIGLI E LE NOSTRE FIGLIE A CRESCERE IN MODO SERENO E APERTO, non l’appello a manifestazioni improbabili e a un modello di vita e di famiglia che non si può più imporre, ma che ognuno sceglie o non sceglie individualmente.
Le famiglie italiane sono già in difficoltà, per crisi economica e mancanza di lavoro. E’ una grave colpa tentare di sovraccaricarle anche con preoccupazioni infondate e falsi problemi.
Aiutaci a diffondere questo messaggio di libertà e democrazia.
Passaparola!
foto di Se Non Ora Quando.

mercoledì 24 giugno 2015

Cosa si nasconde dietro la difesa della famiglia tradizionale di Lea Melandri,

La piazza piena di San Giovanni, in occasione della manifestazione del 20 giugno in difesa della famiglia tradizionale, non deve trarci in inganno: il cambiamento è già avvenuto e saranno proprio i figli, per la difesa dei quali padri e madri hanno deciso di manifestare, a viverlo con minori traumi e incertezze.
Dietro le proteste per l’apertura della scuola alle tematiche riguardanti la sessualità e le differenze di genere, non c’è solo il timore di veder crollare quelli che sono stati finora i fondamenti della genitorialità e dei ruoli famigliari. Ben più profonda, radicata nell’atto fondativo delle civiltà a cui ha dato vita una comunità storica di soli uomini, è l’incertezza di una posizione “virile” perennemente minacciata dallo stesso impianto sociale che dovrebbe sostenerla: un legame di interessi, amicizie, amori, ideali condivisi tra simili. L’esclusione delle donne dalla scena pubblica non ha impedito che il “femminile” continuasse ad abitare questo impianto sociale, in quanto allo stesso tempo cemento indispensabile e mina vagante all’interno di una collettività omosociale.
Le “identità di genere”, considerate destino “naturale” di un sesso e dell’altro, sono state finora il baluardo materiale e ideologico di una cultura maschile preoccupata prima di tutto della stabilità e della durata del suo dominio. Non c’è da meravigliarsi perciò se la rivoluzione delle coscienze che ha sovvertito, nell’arco di un mezzo secolo, convinzioni e abitudini ancestrali, incontra oggi la reazione agguerrita di chi vede comparire alla luce del sole ansie e fantasmi tenuti faticosamente in ombra, e mai del tutto sconfitti.
 Donne single, donne che non vogliono figli e che cercano “qualcosa per sé”, omosessuali e lesbiche, transgender e queer, a dispetto di un’educazione famigliare e scolastica che ancora stentano a riconoscere il cambiamento, hanno preso cittadinanza visibile e largo consenso nella grande piazza pubblica. La “guerra”, che si poteva temere già negli anni settanta quando sono comparsi i movimenti destinati a ridefinire la politica sulla base di tutto ciò che ha confinato altrove (corpo, sessualità, maternità, divisione sessuale del lavoro, eccetera), è arrivata. Ma con la guerra è arrivata anche la prevedibile resistenza di una soggettività che si è venuta scoprendo capace di riappropriarsi di una molteplicità di manifestazioni di vita umana.
In un articolo pubblicato nel 1973 sulla rivista L’erba voglio e poi nel libro Il bambino dalle uova d’oro, Elvio Fachinelli scriveva:
Ma che cosa c’è alla radice del rifiuto dell’omosessualità maschile (giacché quella femminile propone un discorso, per ora, e per ragioni connesse alla condizione storica della donna molto diverso e meno significativo)? C’è sostanzialmente, da parte del maschio eterosessuale, la paura di perdere, nel contatto con l’omosessuale, la propria virilità, intesa qui molto profondamente come identità personale. Di fronte all’omosessuale, è come se ciascuno sentisse messa in discussione la sua posizione stessa di maschio e ciò che lo differenzia come individuo; come se quella posizione si rivelasse improvvisamente precaria, o incerta, più di quanto succede di solito. Di qui le reazioni di rifiuto e disprezzo; di qui anche i vari e ben noti comportamenti di ipervirilità aggressiva…
La manifestazione che ha richiamato a Roma un numero considerevole di famiglie intere deve giustamente preoccupare, tenuto conto che non a caso l’obiettivo polemico è la scuola, il luogo dove si confronteranno, all’interno di un comune processo formativo, bambini di sesso, condizione sociale e culturale diversa, e dove vige ancora – ma non si sa per quanto – la libertà di insegnamento garantita dalla costituzione. Il corpo a scuola è sempre stato presente, ma è rimasto finora il “sottobanco”, il “mare ribollente delle cose non dette” e che non riusciamo a nominare per lunga repressione, pregiudizi, paure inconfessabili da parte degli stessi insegnanti.
Portare l’educazione alle radici dell’umano è oggi l’intento, dichiarato o implicito, del discorso sulle identità del maschile e del femminile, e di conseguenza sui rapporti ambigui di amore, potere e violenza su cui si sono costruiti. Una materia enorme di esperienza, consegnata finora al chiuso delle case e delle relazioni parentali, esce allo scoperto, il “fuori tema” della cultura e della storia trasmessa finora dalle discipline scolastiche diventa “il tema”.
Espropriata di quello che ha considerato un suo inalienabile appannaggio, la famiglia tradizionale si “arma”, ma è costretta a farlo contro se stessa, contro i cedimenti che avverte al proprio interno, nei rapporti di coppia, nelle inclinazioni sessuali dei propri figli, nella libertà a cui le donne sono sempre meno disposte a rinunciare. Come tutte le guerre, reali o simboliche, farà nascere conflitti, lascerà ferite, ma ci sono acquisizioni della coscienza da cui non si torna indietro.

martedì 23 giugno 2015

Di piazze, famiglie e bugie d Giorgia Serughetti

La sfortunata coincidenza di date, che ha visto in parallelo nelle piazze di Roma le manifestazioni per la Giornata mondiale per il rifugiato e la manifestazione del Family Day, sollecita qualche riflessione sui diritti che vada oltre le singole rivendicazioni. Cos’avevano in comune le due piazze? Quella antistante il Colosseo, dove si riuniva il presidio contro le stragi di migranti nel Mediterraneo, e quella di San Giovanni, in cui si gridava alla difesa dei bambini contro i pericoli dell’“ideologia gender”? 
In comune non avevano niente. 
Niente, perché la prima chiedeva diritti per tutti e tutte, qualunque sia la nazionalità e il colore della pelle, giovani e non giovani, lavoratori e lavoratrici migranti e non, chiedeva di abbattere i muri delle nostre fortezze e di fermare i nuovi muri che si vorrebbero costruire, chiedeva accoglienza e protezione per chi fugge dalle guerre.
L’altra dichiarava guerra ai diritti delle minoranze, era una piazza d’odio verso le diversità, la cui copertura ideologica, la battaglia contro un fantomatico “pericolo gender”, altro non è che bugia concordata e vuotamente ripetuta. Questa seconda piazza ha piuttosto molto in comune con le manifestazioni e i presidi anti-immigrati o anti-rom o anti-prostitute, fomentati da forze politiche xenofobe e razziste.

Nel finale del film Selma di Ava DuVernay, che racconta la grande marcia del 1965 per i diritti civili e politici dei neri in Alabama, Martin Luther King a Montgomery rivolge alla folla queste parole: “Vediamo uomini bianchi governare il mondo, e tenere a bada i bianchi poveri con una crudele bugia. E quando il figlio dell’uomo bianco piange per la fame e lui non ha niente da dargli, lo nutre con la stessa crudele bugia. Una bugia che gli sussurra: qualsiasi sorte ti sia toccata nella vita, puoi almeno esultare nel sapere che il tuo essere bianco ti rende superiore al nero. Ma noi sappiamo la verità, e noi seguiremo quella verità, verso la libertà”.

I discorsi e la manifestazioni d’odio e pregiudizio, quelle che vedono scendere in piazza cittadine e cittadini spaventati dalla crisi, che li spingono a stringersi in comunità del rancore e dell’esclusione, servono a questo, a placare la rabbia e le difficoltà quotidiane di un paese malconcio e impoverito con delle bugie che sussurrano loro: comunque vadano le cose, potrai almeno esultare sapendoti superiore ai gay, ai trans, o ai migranti, agli africani, ai rom, ai musulmani.

C’è una posta in gioco nella “guerra sul gender” che viene sapientemente condotta da gruppi integralisti cattolici con il supporto di una parte delle gerarchie ecclesiastiche. Riguarda la libertà di insegnamento, la libertà dalla violenza di genere, dagli stereotipi, dall’omofobia

Su Femministerie ne abbiamo parlato qui, qui, e qui. Ma prima ancora, in queste piazze del rancore, quelle delle Sentinelle in piedi o del Family Day, c’è una parte di società disposta a farsi raccontare e a raccontare a propria volta delle menzogne per difendere una presunta supremazia (quella del modello eterosessuale tradizionale) contro l’avvento di ciò che è diverso da sé, contro ogni altra forma di amore. Spetta a tutte e tutti gli altri, che sono la maggioranza del paese, svelare queste menzogne e raccontare la verità.

venerdì 19 giugno 2015

Lettera aperta a Selvaggia Lucarelli

Vorrei rispondere ufficialmente a Selvaggia Lucarelli, semmai vorrà leggerci, che si lamenta di soprannomi da cartomanti baresi* e soprattutto dei suoi contatti su fb che salutano il rientro di Samantha Cristoforetti, quando c'è tanta gente che lavora per mesi sulle petroliere che rientra senza "tutta 'sta melassa spaccacoglioni".
Non ce l'ha chiesto, ma vorremmo raccontarle un attimino due cosette, perché il suo pensiero è anche quello di tante altre persone e perché è una buona occasione per ricordare certe questioni. Se vi sembreremo troppo bruschi, perdonateci.
Samantha Cristoforetti è un essere umano eccezionale per le sue doti, le sue capacità e i risultati conseguiti – su questo nessuno avrà da obiettare, spero.
Lei è anche un simbolo di ciò che si può ottenere con l’impegno, dei traguardi che si possono raggiungere in vita, è un’astronauta e ingegnere. Una donna che con il suo esempio e la sua testimonianza, assieme a molte altre, ha scardinato lo stereotipo della donna concepita come casalinga o come velina (anche se qualcuno la voleva solo dietro ai fornelli).
Sa parlare anche inglese, francese, tedesco e russo ed è stata selezionata tra i primi 6 come astronauta fra una rosa di 8000 candidati.
Scusate se è poco.
L’ESA e l’ASI, con la missione Futura42 e i progetti intorno alla ISS hanno mandato una persona nello spazio a produrre scienza. Nello spazio, non sull'Isola dei Famosi. Un’impresa degna di nota già di per sé, sia per l’eccezionalità tecnica che per il progresso scientifico puro e le ricadute tecnologiche applicate che ne conseguono.
Ma non è solo questo. Oltre al suo lavoro e ai suoi esperimenti, Samantha si è interfacciata tantissimo con il pubblico per mostrare il suo lavoro e cosa vuol dire essere un astronauta: per divulgare, far appassionare all’astronautica e alla scienza.
Per ISPIRARE le persone.
Ecco, ispirare. Generare consapevolezza, coinvolgere.
Gli scienziati, gli ingegneri, i ricercatori… sono come minatori che scavano le pepite d’oro in una miniera, al buio, con i calli alle mani; il divulgatore invece è colui che trasforma queste pepite in lingotti per rivenderle a 100 volte di più al mercato.
Lei fa entrambe le cose.
Anche questo, scusate se è poco.
Siamo in un paese dove la scienza è bistrattata e il 90% delle notizie riguardano il calciomercato, i flirt dei personaggi dello spettacolo, i segnali di recupero dalla crisi che da un lustro a questa parte cesseranno l’anno prossimo, la Juventus che macellava clandestinamente in Campania badanti e lavoratori in nero causando 5 arresti tra cui 8 veterinari.
In un anno, la RAI dedica circa il 2% del tempo dei suoi servizi televisivi alla scienza (e quasi solo della famiglia Angela, che resiste nonostante l’accerchiamento) e quasi il 20% allo sport.
Quotidiani di tiratura nazionale pubblicano articoli che affermano che Samantha non è un modello da seguire perché dovrebbe stare in cucina a far figli e che le sue uniche performances consistano nel fare le capriole nello spazio.
Selvaggia, se per un giorno uno devi sorbirti una notizia che non ti interessa, perfavore, potresti chiudere Facebook, non è un dramma. Approfittane per portare il tuo bambino a un planetario, gli farai un regalo bellissimo!
Noi per tutto l’anno dobbiamo sorbirci i limoni&peperoncini, le comete del TG4, le interrogazioni parlamentari sulle scie chimiche, le farfalline argentine, gli F-35 della Forestale che spengono incendi, il miracolo della moltiplicazione degli incursori di marina, Edoardo Stoppa che attacca Roberto Caminiti, eccetera.
Ecco perché seguiamo Samantha Cristoforetti e ne salutiamo il rientro quasi come fosse una star di Hollywood o una idol giapponese.
Quanto appena detto vale anche per tutti coloro che si lamentano che è inutile mandare persone nello spazio, che Samantha non ha fatto nulla o che la sua attività non ha niente di eccezionale, casomai capitassero da queste parti.
Cara Selvaggia, ti lamenti che l’operaio nel cantiere in Nepal non riceve altrettanta celebrazione? Attivati per far sì che sia anche lui celebrato, senza bisogno di attenzione mediatica flammando sul rientro di un'astronauta!
Se i riflettori sono puntati solo su di una persona, porta anche le altre sul palcoscenico, non si chiude il sipario.
Forse che dovremmo eclissare tutte quelle poche notizie legate alla scienza? L'alternativa è continuare a sorbirci le farfalline e i commenti dei fan di certi "giornalisti" (che non linkiamo per non regalargli visite, se non con DoNotLink) che ci ritengono un “popolo bue di provinciali accontentati da un pagliaccio funambolico per conformarsi alla massa borghese e comunista” (sic!).
Un abbraccio cara Selvaggia. Siamo sicuri che semmai leggerai avrai da riflettere con attivo piacere su tutto questo e trarne qualcosa di utile.

giovedì 18 giugno 2015

L’italiana che cambierà i sogni delle bambine di Silvia Avallone




Nessun genitore ha potere di fronte ai sogni di un figlio. Potrà rimanerne sorpreso o tacitamente deluso. Vorrà incoraggiare alcune aspirazioni e ostacolarne altre, ma la verità è che non potrà farci nulla se non restare in disparte e osservare una vita che chissà quale direzione deciderà di prendere; nulla eccetto ascoltare, motivare, e non giudicare mai.
«Cosa vuoi fare da grande?» lo chiedono tutti i genitori, a volte con apprensione, ai figli. C’è chi si augura un posto di lavoro sicuro e nient’altro, chi ha immense aspettative per potersi riempire la bocca, e poi ci sono la mamma e il papà di Samantha Cristoforetti che dal Trentino a un certo punto si sono ritrovati la figlia tra le stelle.
Che genere di sogno è per una bambina diventare astronauta? È un sogno scappato di mano, che non t’immagini come possa attecchire e germogliare.
Un sogno come in Italia non ce ne sono, o non sono mai stati raccontati. Ci ha colto tutti impreparati, Samantha, quando è sbucata fuori con la sua tuta enorme, i capelli neri tagliati corti. Una ragazza con un curriculum di studi straordinario, una professionalità inflessibile e rigorosa, che però è lì e sorride sempre, con semplicità disarmante, pronta a spiccare il volo per una stazione spaziale. Pronta a rimanerci 200 giorni. E, con questo, a sparigliare le carte dei sogni.
È partita da Malè, 2.150 abitanti. La provincia della provincia, in mezzo alle montagne. Da bambina guardava le stelle e voleva raggiungerle – impossibile dire perché, è sempre un mistero da dove sbucano i sogni. Per riuscirci ci si è messa d’impegno per anni, fino a compierne trentasette. Lauree, prove continue, esami. Un viaggio interstellare a bordo di un razzo. Ma il primo saluto, appena arrivata nello spazio, è per la mamma. La voce che si spezza per l’emozione è per chi è rimasto a Terra e da Terra la guarda in video e forse neppure riesce a crederci che quella lassù, più in alto persino dell’atmosfera, è sua figlia.
«È come te lo immaginavi?» le chiede, ed è la sua prima preoccupazione. Che è come dire: sei felice? Che è, per chi ti ha accompagnata ogni giorno a scuola, l’unica cosa che conta.
Uno degli aspetti che più mi ha appassionata della storia di Astrosamantha è che non è una favola. E che in quel prefisso mirabolante – “Astro” – non c’è alcun scintillio, alcuna stellina, alcuna starlette, ma solo sassi. Giganteschi sassi infuocati, o spenti da millenni. C’è materia dura, tenace, c’è fatica, c’è studio, c’è lavoro. Né i cinque minuti di gloria facile, né i colpi di fortuna finti a cui la pubblicità ci ha abituati, e specialmente abituate, negli ultimi decenni.
Ecco, Astrosamantha con il suo percorso di gavette, esercitazioni su caccia AM-X e perseveranza, chiude un’epoca e ne apre un’altra. Dimostra, una volta per tutte, che se vuoi realizzare un sogno non servono né le scorciatoie né Mister McFatum (come ha chiamato Nabokov la Fortuna). Devi essere libero di costruire la tua storia, invece, che sarà tua e solo tua, che nessuno ti potrà mai togliere, perché l’avrai cementata con le tue forze. Che è possibile. Di più: che sarebbe un delitto rinunciarci.
Ma non si tratta solo di questo, per quanto “merito” e “competenze” siano due parole di cui c’è quotidiano bisogno. Si tratta anche di quell’altra parola: “sogno”, che per troppe ragazze e ragazzi rischia oggi di suonare vuota, persino beffarda. Un sogno non è quello che ti dicono gli altri, quello che va di moda. Un sogno non ha mai, in realtà, l’articolo indeterminativo. È sempre il sogno, il tuo: quel che vuoi diventare, il pezzo di mondo che vuoi esplorare, e non sarà mai bizzarro abbastanza se ti impegni nei giorni, negli anni, anche se nessuno ci è riuscito prima di te.
Samantha Cristoforetti è stata più forte, più creativa, più lungimirante della società in cui è nata. Ci ha dimostrato che possiamo esserlo tutti, e tutte. «Per me non c’è differenza tra maschi e femmine» aveva dichiarato nel 2009, molto prima di partire e di battere ogni record. «L’unica differenza è tra chi è competente e chi, invece, non lo è». Adesso che è tornata con i piedi per Terra, che ha portato a compimento la sua missione, ha dato anche un colpo mortale a tanti vecchi sogni usurati per l’universo femminile. Non ho mai creduto nelle astrazioni, anzi: è il particolare di una donna nell’universo che cambia le cose. E noi ne eravamo assetati, di nuovi Esempi. Di nuovi sogni. Come fai a crescere, altrimenti? Come fai a credere che sia possibile, se nessuno con le sue mani, con il suo sorriso, te lo insegna?

mercoledì 17 giugno 2015

SE UNA DONNA SU TRE È VITTIMA DI VIOLENZA (di Chiara Saraceno)

Oltre quattro milioni di donne — l’11,3% del totale — hanno subito violenza fisica e/o sessuale negli ultimi cinque anni. Il 31,5% (quasi una donna su tre) ha subito violenza nel corso della vita. È la stima che emerge dall’ultima indagine sulla violenza contro le donne effettuata dall’Istat. Sono cifre che si aggiungono a quelle sui femminicidi. Mostrano come esercitare violenza sulle donne sia un fenomeno diffuso, di cui i femminicidi sono la punta drammatica dell’iceberg. Oltre un terzo di chi ha subito violenza fisica o sessuale nel corso della vita è stata vittima di un fidanzato, marito, compagno, attuale o, soprattutto, passato.
Mettere fine ad un rapporto che non funziona e magari è violento non sempre protegge le donne dalla rabbia di chi non riconosce loro questo diritto, come troppo spesso documenta anche la cronaca nera. Partner ed ex partner sono presenti in maggiore misura nella violenza che non lascia tracce sul corpo, ma incide sulla consapevolezza della propria dignità e valore, minando il senso di sicurezza e mantenendo chi ne è oggetto in uno stato di tensione permanente: la violenza psicologica fatta di insulti, sistematiche squalificazioni, limitazioni dell’autonomia. Gli ex partner costituiscono anche un terzo degli stalker, cioè di chi opera vere e proprie persecuzioni nella vita quotidiana. Non stupisce, allora, che siano le donne separate o divorziate ad essere oggetto più spesso di violenza. Non sembra, invece, ci sia differenza tra autoctone e straniere nella esposizione al rischio di violenza. Ma le straniere subiscono più violenze fisiche e più stupri o tentati stupri, meno molestie sessuali delle italiane.
Dall’indagine emergono alcuni dati a prima vista sorprendenti. Le donne laureate e con posizione professionale elevata sono oggetto di violenza più spesso di quelle meno istruite, in posizione professionale più bassa o non occupate, quasi che le maggiori risorse di affermazione e riconoscimento di sé, più che avere un effetto protettivo, avessero l’effetto di scatenare l’aggressività di chi non ammette l’autonomia femminile.
Ci sono tuttavia importanti segnali positivi, come ha sottolineato Linda Laura Sabbadini, cui si deve in larga misura che l’Italia sia, con l’Istat, uno dei Paesi che monitora periodicamente questo fenomeno. Rispetto al quinquennio precedente il 2006, quando fu fatta la precedente indagine, negli ultimi anni è diminuita la violenza da parte dei partner e degli ex partner e in generale la percentuale di chi ha subito violenza fisica, sessuale e psicologica, soprattutto tra le più giovani. Sono anche aumentate le denunce e il ricorso ai centri antiviolenza, anche se il fenomeno continua a rimanere largamente sommerso.
La maggiore consapevolezza delle donne circa l’inaccettabilità di rapporti violenti, la maggiore sensibilità al fenomeno nell’opinione pubblica, che ha anche prodotto maggiori competenze e attenzione in chi deve affrontarlo professionalmente e aiutare le vittime — tutto questo concorre sia a ridurre il fenomeno sia a fornire aiuto a chi lo subisce. Vuol dire che ci si è mossi nella direzione giusta. Non si deve tuttavia trascurare il fatto che contestualmente sono aumentate le violenze più gravi, sia fisiche che sessuali, da parte di partner, ex partner ed estranei. Così come sono aumentati gli episodi in cui gli atti di violenza vedono come vittime donne con figli e questi ultimi come testimoni, passando dal 60,3% del 2006 al 65,2% del 2014. È come se l’accresciuta consapevolezza individuale e collettiva avesse ridotto il fenomeno nei suoi aspetti meno gravi, frenando i violenti meno incalliti, senza tuttavia scalfire il nocciolo duro. La strada è ancora lunga. Troppe donne continuano ad essere a rischio e troppi minori continuano a sperimentare la violenza contro le donne, contro le loro madri e sorelle, come un fatto tragicamente normale.