sabato 23 dicembre 2017
venerdì 22 dicembre 2017
Puppato: Finalmente orfani femminicidio tutelati e sostenuti
“Con questa legge a tutela degli orfani di femminicidio concludiamo una legislatura particolarmente ricca sul fronte della tutela dei diritti delle donne. La normativa interviene a sanare due aspetti particolarmente odiosi, prevedendo in caso di femminicidio già prima della sentenza di primo grado da un lato il sequestro dei beni di famiglia per risarcire le vittime minori, dall’altro la sospensione della reversibilità della pensione e della successione per il femminicida, sempre in favore dei figli. Sono norme di civiltà, attese dai 1628 bambini e ragazzi che negli ultimi 15 anni sono rimasti vittime dell’omicidio della madre da parte del padre, feriti due volte e rimasti senza famiglia. Al sostegno di questi ragazzi è dedicato anche il fondo specifico, che è stato aumentato a 4,5 milioni di euro”. Lo dice la senatrice del Pd Laura Puppato, che è intervenuta nell’Aula del Senato.
“Dedico questo successo a due donne speciali – prosegue Laura Puppato – La prima è Nancy Mensa, figlia maggiore e oggi maggiorenne di Antonella Russo, uccisa il 13 agosto del 2013 di fronte ai tre figli, che da allora si mantiene con una borsa di studio e ha deciso di laurearsi in giurisprudenza proprio per difendere donne come sua madre.
La seconda è Stefania Mattioli, mamma di Claudia Ferrari, uccisa dal compagno che si è poi suicidato, che dal femminicidio della figlia si occupa di due bambine di quattro e sei anni e per questo lavora part time. Proprio per loro viene stabilito il principio che i figli vittime di femminicidio devono essere difesi anche dal padre e che vanno sostenuti economicamente dallo Stato, insieme con le persone che se ne prendono cura dopo la tragedia”.
http://www.senatoripd.it/stampa/comunicati-stampa/puppato-finalmente-orfani-femminicidio-tutelati-sostenuti/
“Dedico questo successo a due donne speciali – prosegue Laura Puppato – La prima è Nancy Mensa, figlia maggiore e oggi maggiorenne di Antonella Russo, uccisa il 13 agosto del 2013 di fronte ai tre figli, che da allora si mantiene con una borsa di studio e ha deciso di laurearsi in giurisprudenza proprio per difendere donne come sua madre.
La seconda è Stefania Mattioli, mamma di Claudia Ferrari, uccisa dal compagno che si è poi suicidato, che dal femminicidio della figlia si occupa di due bambine di quattro e sei anni e per questo lavora part time. Proprio per loro viene stabilito il principio che i figli vittime di femminicidio devono essere difesi anche dal padre e che vanno sostenuti economicamente dallo Stato, insieme con le persone che se ne prendono cura dopo la tragedia”.
http://www.senatoripd.it/stampa/comunicati-stampa/puppato-finalmente-orfani-femminicidio-tutelati-sostenuti/
giovedì 21 dicembre 2017
Siete grandi ragazze di Maria G. Di Rienzo
Cat Reynolds stava studiando per gli esami, l’11 dicembre scorso, scorrendo (lei dice pigramente) ricerche sulla zootecnia relative agli animali artici. Nel processo, ha scoperto qualcosa che non sapeva e ha girato la sua “illuminazione”, in tono scherzoso, su Twitter:
“Le renne di sesso maschile perdono le loro corna in inverno e quelle di sesso femminile no. Perciò, la slitta di Babbo Natale è in effetti trainata da una squadra di forti, potenti, sottovalutate femmine! Siete grandi ragazze! Io vi vedo!”.
Il messaggio ha ricevuto oltre 600.000 “mi piace” ed è stato girato 180.000 volte. In questo modo, Cat ha di nuovo imparato un paio di cose: “Primo, c’è un allarmante numero di persone che non sa che le renne sono animali veri. E, secondo, gli uomini diventano davvero, davvero arrabbiati se tenti di portar via loro la rappresentazione delle renne.” In altre parole, l’autrice è stata investita da una massa di messaggi insultanti provenienti da sessisti imbecilli, a cui ha risposto con un lungo spiritoso articolo il 15 dicembre. Ne riporto qualche brano:
“I maschi delle renne perdono le loro corna all’inizio dell’inverno, mentre le femmine non rinnoveranno le loro sino alla tarda primavera, dopo aver dato alla luce i cuccioli. Le renne sono native dell’emisfero nord. E’ comunemente noto che Babbo Natale vive al Polo Nord, perciò l’inverno arriva per lui e per le renne volanti attorno a dicembre. Per il 25 di dicembre, i maschi di renna hanno già perso le loro corna. Le renne che tirano la slitta, quindi, di solito raffigurate con le corna, devono per forza essere femmine!
C’è un’alternativa alla narrazione che prevede le renne femmine, se l’idea di una forte signora renna che porta le gioie del Natale a bambini e bambine ovunque non vi aggrada. Tradizionalmente, le renne che trainano le slitte nelle regioni più fredde sono maschi castrati. La castrazione li rende docili e permette loro di mantenere le corna durante l’inverno. (…)
Ad ogni modo, le renne femmine ci costringono a discutere l’etica delle pratiche in uso nel luogo in cui si lavora per Babbo Natale. L’integrità del suo laboratorio era già stata messa in questione in passato, giacché molti si chiedono quali siano le condizioni di lavoro degli elfi e se ricevono un salario minimo. Le renne femmine mantengono le loro corna in inverno per poter meglio reperire cibo mentre sono gravide, poiché l’inverno segue la stagione degli accoppiamenti per la loro specie.
Ciò significa che queste signore stanno trainando una slitta attorno al mondo, di notte, mentre sono incinte? Sembra che il Polo Nord non abbia legislazione sul congedo di maternità e questo lascia le renne vulnerabili allo sfruttamento sul lavoro. (…)
Nel frattempo, Babbo Natale è contento di prendersi tutto il merito mentre una squadra di forti renne femmine si impegna duramente e fa tutto il lavoro pesante. Certo, accettare le renne femmine significa riconoscere un bel po’ di difetti nel modello adottato da Babbo Natale, ma c’è un difetto anche nel fatto che le renne sono state rappresentate come maschi per un secolo e mezzo, privando le bambine da una raffigurazione necessaria: potenti renne femmine. Non mi importa quanti uomini furiosi mi mandano i loro “tweet”, Rudolph (1) sarà sempre femmina ai miei occhi”.
Probabilmente per molte/i di voi, come per me, il sesso delle renne di Babbo Natale non è materia di interesse e l’Autrice è palesemente ironica quando dice che abbiamo bisogno di “potenti renne femmine”: ma questa vicenda ribadisce per l’ennesima volta come le rappresentazioni sociali in cui i maschi dirigono tutto – persino una slitta che non esiste – siano fondamentali e intangibili per gli uomini che costruiscono su di esse il loro senso di superiorità e legittimazione.
(1) La renna dal naso rosso nel folklore natalizio statunitense.
* Giornalista, formatrice e regista teatrale femminista, autrice del prezioso blog lunanuvola. Ha autorizzato Comune a pubblicare i suoi articoli.
https://comune-info.net/2017/12/renne-siete-grandi-ragazze/
“Le renne di sesso maschile perdono le loro corna in inverno e quelle di sesso femminile no. Perciò, la slitta di Babbo Natale è in effetti trainata da una squadra di forti, potenti, sottovalutate femmine! Siete grandi ragazze! Io vi vedo!”.
Il messaggio ha ricevuto oltre 600.000 “mi piace” ed è stato girato 180.000 volte. In questo modo, Cat ha di nuovo imparato un paio di cose: “Primo, c’è un allarmante numero di persone che non sa che le renne sono animali veri. E, secondo, gli uomini diventano davvero, davvero arrabbiati se tenti di portar via loro la rappresentazione delle renne.” In altre parole, l’autrice è stata investita da una massa di messaggi insultanti provenienti da sessisti imbecilli, a cui ha risposto con un lungo spiritoso articolo il 15 dicembre. Ne riporto qualche brano:
“I maschi delle renne perdono le loro corna all’inizio dell’inverno, mentre le femmine non rinnoveranno le loro sino alla tarda primavera, dopo aver dato alla luce i cuccioli. Le renne sono native dell’emisfero nord. E’ comunemente noto che Babbo Natale vive al Polo Nord, perciò l’inverno arriva per lui e per le renne volanti attorno a dicembre. Per il 25 di dicembre, i maschi di renna hanno già perso le loro corna. Le renne che tirano la slitta, quindi, di solito raffigurate con le corna, devono per forza essere femmine!
C’è un’alternativa alla narrazione che prevede le renne femmine, se l’idea di una forte signora renna che porta le gioie del Natale a bambini e bambine ovunque non vi aggrada. Tradizionalmente, le renne che trainano le slitte nelle regioni più fredde sono maschi castrati. La castrazione li rende docili e permette loro di mantenere le corna durante l’inverno. (…)
Ad ogni modo, le renne femmine ci costringono a discutere l’etica delle pratiche in uso nel luogo in cui si lavora per Babbo Natale. L’integrità del suo laboratorio era già stata messa in questione in passato, giacché molti si chiedono quali siano le condizioni di lavoro degli elfi e se ricevono un salario minimo. Le renne femmine mantengono le loro corna in inverno per poter meglio reperire cibo mentre sono gravide, poiché l’inverno segue la stagione degli accoppiamenti per la loro specie.
Ciò significa che queste signore stanno trainando una slitta attorno al mondo, di notte, mentre sono incinte? Sembra che il Polo Nord non abbia legislazione sul congedo di maternità e questo lascia le renne vulnerabili allo sfruttamento sul lavoro. (…)
Nel frattempo, Babbo Natale è contento di prendersi tutto il merito mentre una squadra di forti renne femmine si impegna duramente e fa tutto il lavoro pesante. Certo, accettare le renne femmine significa riconoscere un bel po’ di difetti nel modello adottato da Babbo Natale, ma c’è un difetto anche nel fatto che le renne sono state rappresentate come maschi per un secolo e mezzo, privando le bambine da una raffigurazione necessaria: potenti renne femmine. Non mi importa quanti uomini furiosi mi mandano i loro “tweet”, Rudolph (1) sarà sempre femmina ai miei occhi”.
Probabilmente per molte/i di voi, come per me, il sesso delle renne di Babbo Natale non è materia di interesse e l’Autrice è palesemente ironica quando dice che abbiamo bisogno di “potenti renne femmine”: ma questa vicenda ribadisce per l’ennesima volta come le rappresentazioni sociali in cui i maschi dirigono tutto – persino una slitta che non esiste – siano fondamentali e intangibili per gli uomini che costruiscono su di esse il loro senso di superiorità e legittimazione.
(1) La renna dal naso rosso nel folklore natalizio statunitense.
* Giornalista, formatrice e regista teatrale femminista, autrice del prezioso blog lunanuvola. Ha autorizzato Comune a pubblicare i suoi articoli.
https://comune-info.net/2017/12/renne-siete-grandi-ragazze/
martedì 19 dicembre 2017
Il più noto dizionario Usa ha scelto la parola dell'anno: è "femminismo"
Nella lista di dieci parole più significative del 2017 compaiono 'empatia' e 'complicità'
Per il Merriam-Webster la parola dell'anno è femminismo. È una scelta importante che sottolinea come, durante tutto il 2017, le battaglie combattute dalle donne abbiano contrassegnato la cronaca e l’attualità, diversi reportage e molti eventi. Dalla marcia delle donne di Washington alla campagna #MeToocontro le molestie, dall’uscita di film incentrati su eroine come Wonder Woman alla serie tv, The Handmaid's Tale, ispirata al romanzo del 1985 scritto dalla femminista Margaret Atwood.
L'agenzia Agi ricorda che sul significato di femminista si è scatenato un dibattito dopo la famosa intervista rilasciata da Kellyanne Conway che, pur agendo in favore delle donne, non si considerava tale. Sul Merriam-Webster si leggono due definizioni diverse di femminismo, una più teorica e una più pratica:
“La teoria dell'uguaglianza politica, economica e sociale dei sessi"
"L'attività organizzata a favore dei diritti e degli interessi delle donne”
Le altre parole
Il dizionario ha pubblicato anche la consueta lista delle 10 parole che hanno contraddistinto questo 2017 che si avvia alla sua conclusione. Dietro femminismo ci sono:
2) Complicity. Nel senso di aiutare qualcuno a commettere un crimine o qualcosa di sbagliato. L’amministrazione Trump ha contribuito fortemente alla diffusione di questa parola.
3) Recuse. Rinunciare autonomamente a giudicare o a partecipare a eventi specifici a causa di manifesti conflitti di interesse. Il caso Jeff Sessions è un esempio.
4) Emphaty. La capacità di capire ciò che provano gli altri e condividerne gli stati d’animo. Anche grazie a campagne come #MeToo
5) Dotard. Il significato qui è più complesso. Identifica una determinata persona attraverso l’interpretazione del suo personaggio. Indovinate? L’esempio è ancora Trump.
6) Syzygy. Deriva dal greco e significa, più o meno, "la configurazione quasi rettilinea di tre corpi celesti (come il sole, la luna e la terra durante un'eclissi solare o lunare) in un sistema gravitazionale”.
7) Gyro. C’entra il cibo. “È un panino di agnello e manzo, pomodoro, cipolla e salsa allo yogurt su pane pita”. Molto greco. Ha avuto fortuna grazie a show televisivi come The Tonight Show.
8) Federalism. Ovvero ”la distribuzione del potere in un'organizzazione (in politica, ad esempio, un governo) con un'autorità centrale e diverse altre unità costituenti”.
9) Hurricane. Qui non c’è bisogno di spiegare nulla se non ricordare la stagione, particolarmente drammatica, vissuta dai paesi dei Caraibi, il Messico e gli Usa.
10) Gaffe. Esattamente con il significato con cui la usiamo in Italia. Un errore, una brutta figura, evidente e spesso deprecabile.
http://www.globalist.it/world/articolo/2017/12/15/il-piu-noto-dizionario-usa-ha-scelto-la-parola-dell-anno-e-femminismo-2016425.html
Per il Merriam-Webster la parola dell'anno è femminismo. È una scelta importante che sottolinea come, durante tutto il 2017, le battaglie combattute dalle donne abbiano contrassegnato la cronaca e l’attualità, diversi reportage e molti eventi. Dalla marcia delle donne di Washington alla campagna #MeToocontro le molestie, dall’uscita di film incentrati su eroine come Wonder Woman alla serie tv, The Handmaid's Tale, ispirata al romanzo del 1985 scritto dalla femminista Margaret Atwood.
L'agenzia Agi ricorda che sul significato di femminista si è scatenato un dibattito dopo la famosa intervista rilasciata da Kellyanne Conway che, pur agendo in favore delle donne, non si considerava tale. Sul Merriam-Webster si leggono due definizioni diverse di femminismo, una più teorica e una più pratica:
“La teoria dell'uguaglianza politica, economica e sociale dei sessi"
"L'attività organizzata a favore dei diritti e degli interessi delle donne”
Le altre parole
Il dizionario ha pubblicato anche la consueta lista delle 10 parole che hanno contraddistinto questo 2017 che si avvia alla sua conclusione. Dietro femminismo ci sono:
2) Complicity. Nel senso di aiutare qualcuno a commettere un crimine o qualcosa di sbagliato. L’amministrazione Trump ha contribuito fortemente alla diffusione di questa parola.
3) Recuse. Rinunciare autonomamente a giudicare o a partecipare a eventi specifici a causa di manifesti conflitti di interesse. Il caso Jeff Sessions è un esempio.
4) Emphaty. La capacità di capire ciò che provano gli altri e condividerne gli stati d’animo. Anche grazie a campagne come #MeToo
5) Dotard. Il significato qui è più complesso. Identifica una determinata persona attraverso l’interpretazione del suo personaggio. Indovinate? L’esempio è ancora Trump.
6) Syzygy. Deriva dal greco e significa, più o meno, "la configurazione quasi rettilinea di tre corpi celesti (come il sole, la luna e la terra durante un'eclissi solare o lunare) in un sistema gravitazionale”.
7) Gyro. C’entra il cibo. “È un panino di agnello e manzo, pomodoro, cipolla e salsa allo yogurt su pane pita”. Molto greco. Ha avuto fortuna grazie a show televisivi come The Tonight Show.
8) Federalism. Ovvero ”la distribuzione del potere in un'organizzazione (in politica, ad esempio, un governo) con un'autorità centrale e diverse altre unità costituenti”.
9) Hurricane. Qui non c’è bisogno di spiegare nulla se non ricordare la stagione, particolarmente drammatica, vissuta dai paesi dei Caraibi, il Messico e gli Usa.
10) Gaffe. Esattamente con il significato con cui la usiamo in Italia. Un errore, una brutta figura, evidente e spesso deprecabile.
http://www.globalist.it/world/articolo/2017/12/15/il-piu-noto-dizionario-usa-ha-scelto-la-parola-dell-anno-e-femminismo-2016425.html
lunedì 18 dicembre 2017
Le riunioni inutili, gli straordinari e mio figlio da Invece Concita
Grazie a Stefania, che lavora nella Pubblica Amministrazione, Roma
"Ti scrivo dalla mia postazione di lavoro anche se il mio orario sarebbe terminato circa due ore fa. Non immaginarmi, però, in affanno tra telefonate e email, o sommersa da carte, documenti o faldoni. Sono qui a disposizione, nel caso in cui qualcuno dei miei capi dovesse avere bisogno, di cosa non l'ho ancora ben capito, anche quando non ci sono lavori da fare per quanto mi compete".
"Scrivo a te, ma in realtà mi piacerebbe tanto che questa lettera venisse letta dalla mia ministra. Purtroppo la mentalità diffusa nel mio ambiente di lavoro, in una Pubblica Amministrazione, è che il merito si guadagni con la disponibilità temporale (almeno 10/11 ore al giorno in ufficio, facendo finta che fuori la vita non esista e che tutto il mondo stia tra queste quattro mura di un palazzo antico nel centro di Roma). Così i tempi sono dilatati. Un lavoro che si potrebbe svolgere in un'ora viene fatto in quattro. Le riunioni sono delle scuse per parlare di calcio o di altre banalità che nulla hanno a che fare con questioni professionali. Tanto poi si deve restare fino a tardi, naturalmente con gli straordinari pagati".
"Da quando sono diventata mamma, ho rivalutato ancora di più il valore del tempo. Ogni minuto sprecato sul posto di lavoro è un minuto in meno con mio figlio. Ogni giorno, quando alle 16,30 (orario in cui dovrebbe terminare la giornata lavorativa) mi accingo a dire al mio capo diretto che sto per andare a casa ricevo uno sguardo di sufficienza mista a disappunto. E’ il momento più umiliante della giornata. Umiliante come lavoratrice, che onestamente fa il suo lavoro, perché oso il più spesso possibile uscire in orario; è umiliante come donna, perché in quello sguardo il messaggio è: se fossi uomo non ti permetteresti mai di andare via a quest'ora. Soprattutto è umiliante come mamma, perché il mondo del lavoro considera la maternità un ostacolo: la cosa principale che ci aspetta in ufficio è la disponibilità temporale, bisogna esserci anche se non vi sono pratiche da sbrigare".
"Purtroppo questa mentalità è diffusa in tutti i capi, anche quelli che da poco hanno compiuto 40 anni e che dovrebbero essere sensibili su temi come la flessibilità e l'importanza di conciliare lavoro e famiglia, o consapevoli che la produttività non si misura in ore di presenza. Le conseguenze di tale gestione sono poi aggravate dall'inadeguatezza dei servizi per la famiglia. Nel mio caso gli orari del nido per il bimbo coincidono con i miei orari di lavoro (senza considerare lo straordinario) e se non esistessero i nonni e la babysitter non saprei come fare".
"Naturalmente, non secondario è il fatto che, lavorando in una Pubblica Amministrazione, le tante ore di straordinario fatte senza un'esigenza reale sono un vero furto dalle tasche di tutti i contribuenti...".
"Ogni sera, quando il mio bimbo si addormenta lo guardo e gli chiedo scusa per non esserci come vorrei a causa dell'ottusità dei miei capi e mi vergogno di non essere abbastanza forte per cambiare questa realtà che tiene lontano, più del dovuto, una mamma e un figlio. La sola alternativa è gettare la spugna e lasciare il posto ad altri".
http://invececoncita.blogautore.repubblica.it/articoli/2017/12/16/le-riunioni-inutili-gli-straordinari-e-mio-figlio/
"Ti scrivo dalla mia postazione di lavoro anche se il mio orario sarebbe terminato circa due ore fa. Non immaginarmi, però, in affanno tra telefonate e email, o sommersa da carte, documenti o faldoni. Sono qui a disposizione, nel caso in cui qualcuno dei miei capi dovesse avere bisogno, di cosa non l'ho ancora ben capito, anche quando non ci sono lavori da fare per quanto mi compete".
"Scrivo a te, ma in realtà mi piacerebbe tanto che questa lettera venisse letta dalla mia ministra. Purtroppo la mentalità diffusa nel mio ambiente di lavoro, in una Pubblica Amministrazione, è che il merito si guadagni con la disponibilità temporale (almeno 10/11 ore al giorno in ufficio, facendo finta che fuori la vita non esista e che tutto il mondo stia tra queste quattro mura di un palazzo antico nel centro di Roma). Così i tempi sono dilatati. Un lavoro che si potrebbe svolgere in un'ora viene fatto in quattro. Le riunioni sono delle scuse per parlare di calcio o di altre banalità che nulla hanno a che fare con questioni professionali. Tanto poi si deve restare fino a tardi, naturalmente con gli straordinari pagati".
"Da quando sono diventata mamma, ho rivalutato ancora di più il valore del tempo. Ogni minuto sprecato sul posto di lavoro è un minuto in meno con mio figlio. Ogni giorno, quando alle 16,30 (orario in cui dovrebbe terminare la giornata lavorativa) mi accingo a dire al mio capo diretto che sto per andare a casa ricevo uno sguardo di sufficienza mista a disappunto. E’ il momento più umiliante della giornata. Umiliante come lavoratrice, che onestamente fa il suo lavoro, perché oso il più spesso possibile uscire in orario; è umiliante come donna, perché in quello sguardo il messaggio è: se fossi uomo non ti permetteresti mai di andare via a quest'ora. Soprattutto è umiliante come mamma, perché il mondo del lavoro considera la maternità un ostacolo: la cosa principale che ci aspetta in ufficio è la disponibilità temporale, bisogna esserci anche se non vi sono pratiche da sbrigare".
"Purtroppo questa mentalità è diffusa in tutti i capi, anche quelli che da poco hanno compiuto 40 anni e che dovrebbero essere sensibili su temi come la flessibilità e l'importanza di conciliare lavoro e famiglia, o consapevoli che la produttività non si misura in ore di presenza. Le conseguenze di tale gestione sono poi aggravate dall'inadeguatezza dei servizi per la famiglia. Nel mio caso gli orari del nido per il bimbo coincidono con i miei orari di lavoro (senza considerare lo straordinario) e se non esistessero i nonni e la babysitter non saprei come fare".
"Naturalmente, non secondario è il fatto che, lavorando in una Pubblica Amministrazione, le tante ore di straordinario fatte senza un'esigenza reale sono un vero furto dalle tasche di tutti i contribuenti...".
"Ogni sera, quando il mio bimbo si addormenta lo guardo e gli chiedo scusa per non esserci come vorrei a causa dell'ottusità dei miei capi e mi vergogno di non essere abbastanza forte per cambiare questa realtà che tiene lontano, più del dovuto, una mamma e un figlio. La sola alternativa è gettare la spugna e lasciare il posto ad altri".
http://invececoncita.blogautore.repubblica.it/articoli/2017/12/16/le-riunioni-inutili-gli-straordinari-e-mio-figlio/
venerdì 15 dicembre 2017
Cosa cambia in Italia in tema di stereotipi di genere e violenza Simona Sforza
Dopo l'ondata del 25 novembre, prendiamoci del tempo per riflettere. Per cercare di capire in che contesto viviamo, quale sia il punto di vista degli italiani e delle italiane sul tema, che tipo di cultura permea le relazioni e la nostra società, per fare il punto su quali leve e aspetti lavorare.
Il 23 novembre sono stati presentati i risultati di una indagine "La percezione della violenza contro le donne e i loro figli", condotta da Ipsos per conto di WeWorld Onlus, organizzazione non governativa che da quasi 20 anni promuove e difende i diritti dei bambini e delle donne a rischio in Italia e nel mondo. È stata l'occasione a distanza dalla precedente ricognizione, del 2014, per fare un bilancio dell'opinione di un campione di 1000 persone (49% uomini, 51% donne tra i 18 e i 65 anni) intervistate nel mese di ottobre 2017, su una serie di affermazioni in tema di stereotipi di genere (tra parentesi la somma delle percentuali di chi è molto d'accordo o abbastanza d'accordo):
La donna è capace di sacrificarsi per la famiglia molto più di un uomo (65%)
Per una donna è molto importante essere attraente (62%)
Tutte le donne sognano di sposarsi (37%)
In presenza di figli piccoli è sempre meglio che il marito lavori e la moglie resti a casa con i bambini (36%)
Per l'uomo più che per le donne è molto importante avere successo nel lavoro (35%)
La maternità è l'unica esperienza che consente a una donna di realizzarsi completamente (32%)
È soprattutto l'uomo che deve mantenere la famiglia (28%)
Avere un'istruzione universitaria è più importante per un ragazzo che per una ragazza (17%)
È giusto che in casa sia l'uomo a comandare (13%)
Gli stereotipi sono duri a scomparire, soprattutto è evidente che sono patrimonio delle stesse donne che li trasmettono: il 33% di loro si dichiara d'accordo con l'affermazione che tutte le donne sognano di sposarsi, per il 12% il successo nel lavoro è più importante per gli uomini. Per una grossa percentuale di uomini e donne la maternità viene considerata l'unica esperienza che permette una piena realizzazione.
Insomma, persiste un immaginario di donna accudente, ancora fortemente legata ai ruoli di cura, domestici, familiari, di supporto e welfare gratuito e dato per scontato. Resta forte l'idea di una donna che per "natura" è più portata e idonea a svolgere questi compiti. "L'uomo non è immune dal doversi occupare delle faccende domestiche certo, ma è la donna ad essere capace di sacrificarsi per la famiglia, molto più di quanto sappia fare l'uomo, soprattutto in presenza di figli".
Una subordinazione evidente e persistente, accompagnata da una sminuizione del ruolo delle donne nella comunità, non solo nella vita privata. Radicati e forti certi stereotipi, anche se la facciata tende a una "parità", si parla di equità ma la realtà riporta altro: di fatto si registra questa dicotomia e questo tipo di gap, in particolar modo quando si parla di ripartizione dei tempi di cura e di lavoro domestico. Certo dei passi in avanti sono stati fatti, ma siamo abbastanza lontani dal raggiungere la parità, come emerge anche dall'ultimo report del Wef.
In un contesto in cui permane questo tipo di mentalità è facile che si considerino normali atteggiamenti e prassi tutt'altro che innocue.
ALCUNI COMPORTAMENTI DISCRIMINATORI NEI CONFRONTI DELLA DONNA SONO CONSIDERATI TUTTORA ACCETTABILI SEMPRE O IN ALCUNE CIRCOSTANZE:
Fare battute e prese in giro a sfondo sessuale (19%)
Fare avances fisiche esplicite (17%)
Obbligare la donna a lasciare il lavoro o a cercarne uno (10%)
Impedire a una donna qualsiasi decisione sulla gestione dell'economia familiare (9%)
Controllare o impedire le amicizie di una donna con altre persone (8%)
Umiliare verbalmente (8%)
Rinchiudere una donna in casa o controllare le sue uscite o le sue telefonate (7%)
Minacciare o insultare (6%)
Sottrarre alla donna il suo stipendio (5%)
Solo il 49% degli italiani intervistati pensa che le colpe della violenza di genere non siano in alcun modo imputabili alla donna, mentre un italiano su sei ritiene che la donna sia responsabile della violenza che le viene inflitta. Il 35% è più restio a considerare la donna vittima e si appella alla prudenza nel giudicare i fatti quando afferiscono all'ambito familiare. Preoccupa non poco la rilevazione a proposito di coloro che sono più propensi ad assolvere il maschio violento: "sono soprattutto uomini, giovani adulti (18-29 anni), che vivono soli, residenti al centro-sud, per i quali la violenza è la naturale e istintiva reazione a una provocazione della donna."
Chiaramente la percezione delle persone intervistate è fortemente influenzata dal momento in cui avviene la rilevazione, dalle notizie trasmesse dai mass media e da come vengono diffuse, insomma dal contesto informativo e dal clima sociale in cui si è immersi e che determina la visione su un fenomeno.
LA VIOLENZA È ANCORA GIUSTIFICATA
Per il 16% degli intervistati se un uomo viene tradito è normale che diventi violento.
Per il 14% le donne non dovrebbero indossare abiti provocanti.
Per il 26% se una donna picchiata non lascia il marito, e verrà picchiata di nuovo, sarà anche per colpa sua.
Per il 14% può capitare che gli uomini diventino violenti per il "troppo amore".
GLI ITALIANI CONSIDERANO PIÙ GRAVI LE VIOLENZE FISICHE E SESSUALI, MENTRE GLI ABUSI VERBALI E LA VIOLENZA ECONOMICA SONO VISSUTE COME ESPRESSIONI SECONDARIE DELLA VIOLENZA.
PERCHÉ NON SI DENUNCIA?
Per il 66% per paura delle conseguenze, il 49% pensa che ci sia poca fiducia nelle Istituzioni.
COME INTERVENIRE?
Secondo il campione si deve intervenire sull'educazione: per l'87% si devono insegnare le pari opportunità e i diritti, per l'85% si devono avviare specifici percorsi di sensibilizzazione nelle scuole. Il 77% auspica una legge contro la discriminazione sessuale. Per prevenire e contrastare la violenza, i centri e le organizzazioi dedicate all'assistenza svolgono un ruolo fondamentale per il 67% degli intervistati.
Ancora da annotare come si riponga poca fiducia nei confronti dei percorsi di rieducazione e reinserimento dei maltrattanti, molto probabilmente a causa di una scarsa conoscenza delle buone pratiche che comunque sono già in uso, anche se non in modo sistematico.
Sul tipo di intervento da mettere in campo, c'è sicuramente la necessità di rendere l'azione diffusa, con un approccio trasversale, sistemico, organico e non frammentario. Le politiche di prevenzione e contrasto dell violenza non possono che essere complesse e articolate, così come è il fenomeno sul quale devono incidere.
LA VIOLENZA ASSISTITA
Quando la violenza colpisce anche i bambini, spettatori involontari della violenza domestica. Quest'anno la ricerca Ipsos-WeWorld si concentra lungamente su questo aspetto. Secondo l'ultima indagine Istat del 2015 il numero delle violenze a cui sono esposti i figli è pari al 65,2% e nel 25% dei casi sono stati in prima persona vittime della violenza. Quanto è conosciuto questo fenomeno? A quanto pare poco, se il 49% del campione dichiara di non esserne al corrente, soprattutto nella fascia 30-41 anni. Scarsa conoscenza del fenomeno, che però viene percepito come assai grave: secondo l'84% i bambini sono vittime al pari delle donne e secondo l'83% possono sviluppare disturbi psicologici, emotivi o relazionali. Purtroppo si tende ad ascrivere il problema della violenza assistita intrafamiliare maggiormente agli ambienti degradati a livello socio-culturale o economico, non ne si percepisce la trasversalità. Intervenire per tempo nei casi di violenza assistita significa interrompere la trasmissione intergenerazionale della violenza, perché gli effetti come sappiamo sono permanenti e influenzano i comportamenti da adulti.
Secondo Marco Chiesara, presidente di WeWorld Onlus, il "Paese è sostanzialmente spaccato a metà, tra coloro che si schierano in modo deciso a favore delle donne, e chi invece considera il fenomeno della violenza un fatto eminentemente privato".
Oggi se ne parla sempre di più, questo incrementa la consapevolezza sul tema della violenza di genere, ma non è sufficiente, perché solo l'11% delle donne che hanno subito un abuso poi trova la forza di denunciare. Il sommerso è un gravissimo problema da affrontare e da analizzare a fondo, andando a lavorare sui fattori che dissuadono o rendono complicata la possibilità di intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla violenza.
Una soluzione c'è: stare vicino alle donne e ascoltarle, nel loro quotidiano, da vicino, nei quartieri e nei luoghi in cui vivono, conoscendo le esperienze e le loro storie, comprendendo che i percorsi di ciascuna non sono assimilabili, sono differenti e che per questo occorre parlare un linguaggio e mettere in campo un'azione in grado di coinvolgere tutte davvero. Dare il tempo giusto alle donne e non considerarle una massa unica, ma multiforme e per questo occorre lavorare in modo mirato, in punta di piedi, senza voler forzare nulla e senza giudicare. A questo proposito a breve vi parlerò degli Spazi Donna, ideati e sostenuti da WeWorld Onlus.
n.b. Le immagini e i grafici presenti in questo articolo sono ricavati dalla ricerca "La percezione della violenza contro le donne e i loro figli", condotta da Ipsos per conto di WeWorld Onlus. © WeWorld Onlus - fonte
http://www.mammeonline.net/content/cosa-cambia-italia-tema-stereotipi-genere-violenza
Il 23 novembre sono stati presentati i risultati di una indagine "La percezione della violenza contro le donne e i loro figli", condotta da Ipsos per conto di WeWorld Onlus, organizzazione non governativa che da quasi 20 anni promuove e difende i diritti dei bambini e delle donne a rischio in Italia e nel mondo. È stata l'occasione a distanza dalla precedente ricognizione, del 2014, per fare un bilancio dell'opinione di un campione di 1000 persone (49% uomini, 51% donne tra i 18 e i 65 anni) intervistate nel mese di ottobre 2017, su una serie di affermazioni in tema di stereotipi di genere (tra parentesi la somma delle percentuali di chi è molto d'accordo o abbastanza d'accordo):
La donna è capace di sacrificarsi per la famiglia molto più di un uomo (65%)
Per una donna è molto importante essere attraente (62%)
Tutte le donne sognano di sposarsi (37%)
In presenza di figli piccoli è sempre meglio che il marito lavori e la moglie resti a casa con i bambini (36%)
Per l'uomo più che per le donne è molto importante avere successo nel lavoro (35%)
La maternità è l'unica esperienza che consente a una donna di realizzarsi completamente (32%)
È soprattutto l'uomo che deve mantenere la famiglia (28%)
Avere un'istruzione universitaria è più importante per un ragazzo che per una ragazza (17%)
È giusto che in casa sia l'uomo a comandare (13%)
Gli stereotipi sono duri a scomparire, soprattutto è evidente che sono patrimonio delle stesse donne che li trasmettono: il 33% di loro si dichiara d'accordo con l'affermazione che tutte le donne sognano di sposarsi, per il 12% il successo nel lavoro è più importante per gli uomini. Per una grossa percentuale di uomini e donne la maternità viene considerata l'unica esperienza che permette una piena realizzazione.
Insomma, persiste un immaginario di donna accudente, ancora fortemente legata ai ruoli di cura, domestici, familiari, di supporto e welfare gratuito e dato per scontato. Resta forte l'idea di una donna che per "natura" è più portata e idonea a svolgere questi compiti. "L'uomo non è immune dal doversi occupare delle faccende domestiche certo, ma è la donna ad essere capace di sacrificarsi per la famiglia, molto più di quanto sappia fare l'uomo, soprattutto in presenza di figli".
Una subordinazione evidente e persistente, accompagnata da una sminuizione del ruolo delle donne nella comunità, non solo nella vita privata. Radicati e forti certi stereotipi, anche se la facciata tende a una "parità", si parla di equità ma la realtà riporta altro: di fatto si registra questa dicotomia e questo tipo di gap, in particolar modo quando si parla di ripartizione dei tempi di cura e di lavoro domestico. Certo dei passi in avanti sono stati fatti, ma siamo abbastanza lontani dal raggiungere la parità, come emerge anche dall'ultimo report del Wef.
In un contesto in cui permane questo tipo di mentalità è facile che si considerino normali atteggiamenti e prassi tutt'altro che innocue.
ALCUNI COMPORTAMENTI DISCRIMINATORI NEI CONFRONTI DELLA DONNA SONO CONSIDERATI TUTTORA ACCETTABILI SEMPRE O IN ALCUNE CIRCOSTANZE:
Fare battute e prese in giro a sfondo sessuale (19%)
Fare avances fisiche esplicite (17%)
Obbligare la donna a lasciare il lavoro o a cercarne uno (10%)
Impedire a una donna qualsiasi decisione sulla gestione dell'economia familiare (9%)
Controllare o impedire le amicizie di una donna con altre persone (8%)
Umiliare verbalmente (8%)
Rinchiudere una donna in casa o controllare le sue uscite o le sue telefonate (7%)
Minacciare o insultare (6%)
Sottrarre alla donna il suo stipendio (5%)
Solo il 49% degli italiani intervistati pensa che le colpe della violenza di genere non siano in alcun modo imputabili alla donna, mentre un italiano su sei ritiene che la donna sia responsabile della violenza che le viene inflitta. Il 35% è più restio a considerare la donna vittima e si appella alla prudenza nel giudicare i fatti quando afferiscono all'ambito familiare. Preoccupa non poco la rilevazione a proposito di coloro che sono più propensi ad assolvere il maschio violento: "sono soprattutto uomini, giovani adulti (18-29 anni), che vivono soli, residenti al centro-sud, per i quali la violenza è la naturale e istintiva reazione a una provocazione della donna."
Chiaramente la percezione delle persone intervistate è fortemente influenzata dal momento in cui avviene la rilevazione, dalle notizie trasmesse dai mass media e da come vengono diffuse, insomma dal contesto informativo e dal clima sociale in cui si è immersi e che determina la visione su un fenomeno.
LA VIOLENZA È ANCORA GIUSTIFICATA
Per il 16% degli intervistati se un uomo viene tradito è normale che diventi violento.
Per il 14% le donne non dovrebbero indossare abiti provocanti.
Per il 26% se una donna picchiata non lascia il marito, e verrà picchiata di nuovo, sarà anche per colpa sua.
Per il 14% può capitare che gli uomini diventino violenti per il "troppo amore".
GLI ITALIANI CONSIDERANO PIÙ GRAVI LE VIOLENZE FISICHE E SESSUALI, MENTRE GLI ABUSI VERBALI E LA VIOLENZA ECONOMICA SONO VISSUTE COME ESPRESSIONI SECONDARIE DELLA VIOLENZA.
PERCHÉ NON SI DENUNCIA?
Per il 66% per paura delle conseguenze, il 49% pensa che ci sia poca fiducia nelle Istituzioni.
COME INTERVENIRE?
Secondo il campione si deve intervenire sull'educazione: per l'87% si devono insegnare le pari opportunità e i diritti, per l'85% si devono avviare specifici percorsi di sensibilizzazione nelle scuole. Il 77% auspica una legge contro la discriminazione sessuale. Per prevenire e contrastare la violenza, i centri e le organizzazioi dedicate all'assistenza svolgono un ruolo fondamentale per il 67% degli intervistati.
Ancora da annotare come si riponga poca fiducia nei confronti dei percorsi di rieducazione e reinserimento dei maltrattanti, molto probabilmente a causa di una scarsa conoscenza delle buone pratiche che comunque sono già in uso, anche se non in modo sistematico.
Sul tipo di intervento da mettere in campo, c'è sicuramente la necessità di rendere l'azione diffusa, con un approccio trasversale, sistemico, organico e non frammentario. Le politiche di prevenzione e contrasto dell violenza non possono che essere complesse e articolate, così come è il fenomeno sul quale devono incidere.
LA VIOLENZA ASSISTITA
Quando la violenza colpisce anche i bambini, spettatori involontari della violenza domestica. Quest'anno la ricerca Ipsos-WeWorld si concentra lungamente su questo aspetto. Secondo l'ultima indagine Istat del 2015 il numero delle violenze a cui sono esposti i figli è pari al 65,2% e nel 25% dei casi sono stati in prima persona vittime della violenza. Quanto è conosciuto questo fenomeno? A quanto pare poco, se il 49% del campione dichiara di non esserne al corrente, soprattutto nella fascia 30-41 anni. Scarsa conoscenza del fenomeno, che però viene percepito come assai grave: secondo l'84% i bambini sono vittime al pari delle donne e secondo l'83% possono sviluppare disturbi psicologici, emotivi o relazionali. Purtroppo si tende ad ascrivere il problema della violenza assistita intrafamiliare maggiormente agli ambienti degradati a livello socio-culturale o economico, non ne si percepisce la trasversalità. Intervenire per tempo nei casi di violenza assistita significa interrompere la trasmissione intergenerazionale della violenza, perché gli effetti come sappiamo sono permanenti e influenzano i comportamenti da adulti.
Secondo Marco Chiesara, presidente di WeWorld Onlus, il "Paese è sostanzialmente spaccato a metà, tra coloro che si schierano in modo deciso a favore delle donne, e chi invece considera il fenomeno della violenza un fatto eminentemente privato".
Oggi se ne parla sempre di più, questo incrementa la consapevolezza sul tema della violenza di genere, ma non è sufficiente, perché solo l'11% delle donne che hanno subito un abuso poi trova la forza di denunciare. Il sommerso è un gravissimo problema da affrontare e da analizzare a fondo, andando a lavorare sui fattori che dissuadono o rendono complicata la possibilità di intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla violenza.
Una soluzione c'è: stare vicino alle donne e ascoltarle, nel loro quotidiano, da vicino, nei quartieri e nei luoghi in cui vivono, conoscendo le esperienze e le loro storie, comprendendo che i percorsi di ciascuna non sono assimilabili, sono differenti e che per questo occorre parlare un linguaggio e mettere in campo un'azione in grado di coinvolgere tutte davvero. Dare il tempo giusto alle donne e non considerarle una massa unica, ma multiforme e per questo occorre lavorare in modo mirato, in punta di piedi, senza voler forzare nulla e senza giudicare. A questo proposito a breve vi parlerò degli Spazi Donna, ideati e sostenuti da WeWorld Onlus.
n.b. Le immagini e i grafici presenti in questo articolo sono ricavati dalla ricerca "La percezione della violenza contro le donne e i loro figli", condotta da Ipsos per conto di WeWorld Onlus. © WeWorld Onlus - fonte
http://www.mammeonline.net/content/cosa-cambia-italia-tema-stereotipi-genere-violenza
giovedì 14 dicembre 2017
Islanda, la nuova premier è un’ecologista di sinistra. E donna. Ancora una volta
L’Islanda ha scelto una donna, di nuovo. L’ultima tornata elettorale ha affidato la poltrona da premier dell’isola a Katrin Jakobsdottir, del partito dei Verdi. Guiderà una coalizione tripartitica composta da Partito dell’Indipendenza (centrodestra), Partito Progressista (centro) e i Verdi (sinistra). È successo pochi giorni fa e questo sarà il suo primo mese al timone delle istituzioni a Reykjavik. La prima cosa che ha detto è stata che avrebbe investito nella sanità pubblica, nell’educazione e nei trasporti, perché è in questi settori che si misura la prosperità di un paese. Dopo scandali finanziari, cadute e ricadute, l’isola nordica ha letto la speranza nei lineamenti di questa islandese che si batte da sempre per la causa ecologista. Katrin ha 41 anni, è l’ex ministra dell’Istruzione ed è riuscita a battere il partito di destra degli indipendenti di Bjarni Benediktsson. È nata in una famiglia di poeti, si è laureata all’Università d’Islanda in letteratura, ha tre figli. È stata votata particolarmente dalle donne e dai giovani tra i 18 e i 29 anni.
Il precedente governo si era dimesso a settembre 2016 a causa di uno scandalo in cui era coinvolto il padre di Benediktsson, che ha tentato di “riabilitare l’onore” di un suo amico, un pedofilo colpevole di un terribile crimine. L’uomo si chiama Hjalti Sigurjon Hauksson e ha violentato tutti i giorni per dodici anni la sua figliastra. Quando il governo si è sciolto per “mancanza di fiducia”, in seguito ad un altro scandalo in cui era coinvolto il primo ministro Sigmundur David Gunnalaugsson, il cui nome è sbucato nei documenti dei Panama Papers, l’isola è scesa per strada a protestare contro sesso e soldi, abuso e potere della sua politica. Gli islandesi poi sono tornati per la seconda volta alle urne e hanno capito che problemi creati da uomini, li potevano risolvere delle donne.
Ma non è la prima volta che accade, in Islanda. «Volevo solo mostrare a tutti che una donna poteva vincere». Vigdis Finnbogadottir era una madre single divorziata, quando decise di candidarsi nel 1980 come presidente di uno dei paesi più freddi del mondo, l’Islanda. Lassù a nord, fino ad allora, solo il 5% dei parlamentari era donna. Sfidando percentuali e potere maschile, solo per provare che una donna poteva farlo, nell’agosto di 37 anni fa, diventò la prima donna presidente d’Islanda. Ma anche la prima donna al mondo eletta Capo di Stato.
«Le donne pensarono “se lei l’ha fatto, posso farlo anche io”. La chiave per l’emancipazione femminile è l’educazione», dice oggi, a 87 anni. Allora, nel 1980, Vigdis fece la storia e rese il suo parlamento e il suo popolo – oggi di 340mila abitanti – il più equo dell’epoca. Da allora, i passi compiuti verso l’eguaglianza sull’isola sono stati tanti. L’Islanda oggi è il paese dove le donne vengono trattate più equamente rispetto agli uomini, secondo il World economic forum, e la gelida nazione è il miglior posto al mondo dove lavorare se sei donna, secondo l’Economist. Ma è uno stato discreto, che non finisce mai sulle prime pagine dei giornali, che in questo dicembre però ha lanciato un ennesimo segnale di progresso. Ma in pochi l’hanno notato.
Anche quando il sistema delle banche collassò nel 2008, gettando l’Islanda in una crisi finanziaria profondissima, con tre delle maggiori banche del paese con le casse vuote, ad essere eletta per risolvere la situazione nel 2009 fu una donna, Johanna Sigurdardottir, e, insieme a lei, abbastanza donne da detenere il 43% dei seggi in Parlamento. Da allora ad oggi la ripresa economica e sociale è stata qualcosa che gli analisti non riescono ancora a spiegarsi, la crescita è stata pari al 7,2% nel 2016 e la disoccupazione non supera il 3%.
Intanto la settimana scorsa a Reykjavik, la capitale, si è tenuto uno dei più grandi forum di leader donne in politica, un summit solo al femminile per promuovere il potere delle donne nelle sfere occupate principalmente dagli uomini. Vigdis Finnbogadottir, la prima donna presidente del mondo, che sconfisse nel 1980 tre candidati maschi, ha ricordato che oggi solo il 7% dei leader mondiali sono donne. Adesso nel 2017 nella sua patria è tornata ad esserci una donna a capo dell’isola, una femminista, perché la lezione che hanno appreso gli abitanti della terra del ghiaccio, del fuoco, dell’uguaglianza è questa: se vince una donna, vincono tutti.
https://left.it/2017/12/08/islanda-la-nuova-premier-e-unecologista-di-sinistra-e-donna-ancora-una-volta/
Il precedente governo si era dimesso a settembre 2016 a causa di uno scandalo in cui era coinvolto il padre di Benediktsson, che ha tentato di “riabilitare l’onore” di un suo amico, un pedofilo colpevole di un terribile crimine. L’uomo si chiama Hjalti Sigurjon Hauksson e ha violentato tutti i giorni per dodici anni la sua figliastra. Quando il governo si è sciolto per “mancanza di fiducia”, in seguito ad un altro scandalo in cui era coinvolto il primo ministro Sigmundur David Gunnalaugsson, il cui nome è sbucato nei documenti dei Panama Papers, l’isola è scesa per strada a protestare contro sesso e soldi, abuso e potere della sua politica. Gli islandesi poi sono tornati per la seconda volta alle urne e hanno capito che problemi creati da uomini, li potevano risolvere delle donne.
Ma non è la prima volta che accade, in Islanda. «Volevo solo mostrare a tutti che una donna poteva vincere». Vigdis Finnbogadottir era una madre single divorziata, quando decise di candidarsi nel 1980 come presidente di uno dei paesi più freddi del mondo, l’Islanda. Lassù a nord, fino ad allora, solo il 5% dei parlamentari era donna. Sfidando percentuali e potere maschile, solo per provare che una donna poteva farlo, nell’agosto di 37 anni fa, diventò la prima donna presidente d’Islanda. Ma anche la prima donna al mondo eletta Capo di Stato.
«Le donne pensarono “se lei l’ha fatto, posso farlo anche io”. La chiave per l’emancipazione femminile è l’educazione», dice oggi, a 87 anni. Allora, nel 1980, Vigdis fece la storia e rese il suo parlamento e il suo popolo – oggi di 340mila abitanti – il più equo dell’epoca. Da allora, i passi compiuti verso l’eguaglianza sull’isola sono stati tanti. L’Islanda oggi è il paese dove le donne vengono trattate più equamente rispetto agli uomini, secondo il World economic forum, e la gelida nazione è il miglior posto al mondo dove lavorare se sei donna, secondo l’Economist. Ma è uno stato discreto, che non finisce mai sulle prime pagine dei giornali, che in questo dicembre però ha lanciato un ennesimo segnale di progresso. Ma in pochi l’hanno notato.
Anche quando il sistema delle banche collassò nel 2008, gettando l’Islanda in una crisi finanziaria profondissima, con tre delle maggiori banche del paese con le casse vuote, ad essere eletta per risolvere la situazione nel 2009 fu una donna, Johanna Sigurdardottir, e, insieme a lei, abbastanza donne da detenere il 43% dei seggi in Parlamento. Da allora ad oggi la ripresa economica e sociale è stata qualcosa che gli analisti non riescono ancora a spiegarsi, la crescita è stata pari al 7,2% nel 2016 e la disoccupazione non supera il 3%.
Intanto la settimana scorsa a Reykjavik, la capitale, si è tenuto uno dei più grandi forum di leader donne in politica, un summit solo al femminile per promuovere il potere delle donne nelle sfere occupate principalmente dagli uomini. Vigdis Finnbogadottir, la prima donna presidente del mondo, che sconfisse nel 1980 tre candidati maschi, ha ricordato che oggi solo il 7% dei leader mondiali sono donne. Adesso nel 2017 nella sua patria è tornata ad esserci una donna a capo dell’isola, una femminista, perché la lezione che hanno appreso gli abitanti della terra del ghiaccio, del fuoco, dell’uguaglianza è questa: se vince una donna, vincono tutti.
https://left.it/2017/12/08/islanda-la-nuova-premier-e-unecologista-di-sinistra-e-donna-ancora-una-volta/
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