venerdì 20 marzo 2020
Smart working, lavoro domestico, cura dei figli, violenze: quanto pesa l’emergenza coronavirus sulle donne con basso reddito di Giada Ferraglioni
Tra un hashtag su twitter e una sessione yoga sul balcone, resistono problemi che, spesso, gravano sulla schiena di donne che non guadagnano abbastanza per liberarsi del lavoro domestico
Quanto è grande una casa? Troppo, per chi deve gestire il lavoro domestico e di cura parallelamente (e contemporaneamente) al lavoro retribuito. Troppo poco, per le persone costrette a lavorare da remoto con tutta la famiglia in casa, senza che si abbia una piano dove isolarsi o una stanza in più nella quale chiudersi qualche ora. L’emergenza coronavirus, che ha imposto lo stop delle scuole, la chiusura delle attività «non essenziali» e che ha incoraggiato il lavoro da remoto è un fardello che pesa ancora una volta sulle donne dai redditi medio-bassi.
Nei giorni che hanno seguito il decreto presidenziale del consiglio dei ministri del 9 marzo – quello che ha reso tutta l’Italia una «zona protetta» – la romanticizzazione della quarantena nelle mura domestiche è diventata il leitmotiv dei social network e dei messaggi televisivi. #Iorestoacasa è l’hashtag del momento: immagini di celebrità che vedono un film e ci ricordano «quanto è comodo il divano di casa», messaggi di atleti professionisti che si allenano nelle sale da pranzo, story di libri sul comodino da leggere nelle lunghe e vuote ore dell’ “isolamento”.
La realtà, però, per una gran fetta del Paese, è ben diversa. Senza scomodare la tragedia di chi una casa dove vivere e lavorare non ce l’ha, alla narrazione ottimistica della quarantena nelle mura domestiche si accosta tutta una serie di problematiche enfatizzate dalla costrizione allo spazio privato. Come ha sottolineato il New York Times, il fardello delle misure emergenziali contro la diffusione del Covid19 ricade «in maniera particolarmente dura sulle donne, che in tutto il mondo sono ancora le maggiori responsabili della cura dei figli».
«Lavoro da casa e lavoro di casa: praticamente lavoro 24 su 24», scrivono su Facebook le attiviste di Non Una di Meno, il movimento femminista che in questo periodo si sta facendo portavoce delle istanze delle donne che non hanno i privilegi economici per poter far fronte all’emergenza. L’eco del problema è arrivato anche al governo, che con il decreto “Cura Italia” del 16 marzo ha stanziato 1,2 miliardi per il voucher baby sitter o, in alternativa, un congedo parentale per le assenze straordinarie di questa fase, pari al 50% della retribuzione.
Se saranno o meno misure sufficienti (oltre che decisioni emergenziali) sarà l’esperienza di milioni di famiglie a testimoniarlo – posto che resterà comunque difficile conciliare smart working e bonus baby sitter in una casa non abbastanza grande da dividere gli spazi. Ma di certo il Covid19 ci mette davanti, ancora una volta, alla necessità di rivedere la divisione dei ruoli nel lavoro di cura, costringendoci a guardare la quantità di lavoro domestico non retribuito portato avanti dalle donne.
A tal proposito, stando a uno studio pubblicato dall’Usb (Unione Sindacale di Base) dal titolo «I lavori delle donne tra produzione e riproduzione sociale», le italiane, insieme alle romene, sono al primo posto nell’Unione Europea per quantità di tempo speso nel lavoro di cura, con una media di 5 ore. Gli uomini occupati, al contrario, dedicano 1 ora e 47 minuti al lavoro domestico e di cura non retribuito. Sono all’ultimo posto, insieme ai greci, nella classifica europea.
E se la casa non è sicura?
A complicare ancora di più il quadro c’è la questione delle violenze domestiche. La standardizzazione di un modello familiare da mulino bianco difficilmente aiuterà le donne che subiscono abusi ad essere tutelate durante il periodo di isolamento. Secondo uno studio dell’Istat, 2 milioni e 800 mila donne hanno subito violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner (il 13,6% delle intervistate). Le forme più gravi di violenza sono esercitate proprio dalle persone più vicine (partner, parenti o amici): gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi dai propri compagni, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici. Anche le violenze fisiche (come gli schiaffi, i calci, i pugni e i morsi) sono per la maggior parte opera dei partner (o ex).
«In questi giorni di emergenza sanitaria ci viene chiesto di rimanere a casa per la nostra e altrui sicurezza», scrive in un appello su Facebook Lucha y Siesta, una delle poche strutture d’assistenza per le donne a Roma, che si occupa anche di dare asilo e supporto a chi è stata vittima di violenze. «Pur convinte che le disposizioni del decreto siano le uniche possibili in questo momento, sappiamo che per alcune donne, la propria casa non è affatto sinonimo di sicurezza, anzi».
«Per tante donne, andare a lavoro o accompagnare i bambini a scuola – si legge ancora – significa poter sfuggire anche solo per poco alle dinamiche di violenza domestica e di potere nelle quali vivono tutti i giorni, e al momento ciò non è possibile. Sappiamo anche che in periodi di crisi, come quella che stiamo vivendo, le dinamiche violente si acuiscono». Le sfaccettature della vita domestica, dunque, sono molto più problematiche di quanto non si pensi.
https://www.open.online/2020/03/17/coronavirus-smart-working-lavoro-domestico-cura-figli-emergenza-ricade-su-donne-con-basso-reddito/?fbclid=IwAR0byiyVUN_cT1YfavdsCfybwzlAfGyfoJ5xZQbzk1FgDokwQt-TMVQoOYk
Quanto è grande una casa? Troppo, per chi deve gestire il lavoro domestico e di cura parallelamente (e contemporaneamente) al lavoro retribuito. Troppo poco, per le persone costrette a lavorare da remoto con tutta la famiglia in casa, senza che si abbia una piano dove isolarsi o una stanza in più nella quale chiudersi qualche ora. L’emergenza coronavirus, che ha imposto lo stop delle scuole, la chiusura delle attività «non essenziali» e che ha incoraggiato il lavoro da remoto è un fardello che pesa ancora una volta sulle donne dai redditi medio-bassi.
Nei giorni che hanno seguito il decreto presidenziale del consiglio dei ministri del 9 marzo – quello che ha reso tutta l’Italia una «zona protetta» – la romanticizzazione della quarantena nelle mura domestiche è diventata il leitmotiv dei social network e dei messaggi televisivi. #Iorestoacasa è l’hashtag del momento: immagini di celebrità che vedono un film e ci ricordano «quanto è comodo il divano di casa», messaggi di atleti professionisti che si allenano nelle sale da pranzo, story di libri sul comodino da leggere nelle lunghe e vuote ore dell’ “isolamento”.
La realtà, però, per una gran fetta del Paese, è ben diversa. Senza scomodare la tragedia di chi una casa dove vivere e lavorare non ce l’ha, alla narrazione ottimistica della quarantena nelle mura domestiche si accosta tutta una serie di problematiche enfatizzate dalla costrizione allo spazio privato. Come ha sottolineato il New York Times, il fardello delle misure emergenziali contro la diffusione del Covid19 ricade «in maniera particolarmente dura sulle donne, che in tutto il mondo sono ancora le maggiori responsabili della cura dei figli».
«Lavoro da casa e lavoro di casa: praticamente lavoro 24 su 24», scrivono su Facebook le attiviste di Non Una di Meno, il movimento femminista che in questo periodo si sta facendo portavoce delle istanze delle donne che non hanno i privilegi economici per poter far fronte all’emergenza. L’eco del problema è arrivato anche al governo, che con il decreto “Cura Italia” del 16 marzo ha stanziato 1,2 miliardi per il voucher baby sitter o, in alternativa, un congedo parentale per le assenze straordinarie di questa fase, pari al 50% della retribuzione.
Se saranno o meno misure sufficienti (oltre che decisioni emergenziali) sarà l’esperienza di milioni di famiglie a testimoniarlo – posto che resterà comunque difficile conciliare smart working e bonus baby sitter in una casa non abbastanza grande da dividere gli spazi. Ma di certo il Covid19 ci mette davanti, ancora una volta, alla necessità di rivedere la divisione dei ruoli nel lavoro di cura, costringendoci a guardare la quantità di lavoro domestico non retribuito portato avanti dalle donne.
A tal proposito, stando a uno studio pubblicato dall’Usb (Unione Sindacale di Base) dal titolo «I lavori delle donne tra produzione e riproduzione sociale», le italiane, insieme alle romene, sono al primo posto nell’Unione Europea per quantità di tempo speso nel lavoro di cura, con una media di 5 ore. Gli uomini occupati, al contrario, dedicano 1 ora e 47 minuti al lavoro domestico e di cura non retribuito. Sono all’ultimo posto, insieme ai greci, nella classifica europea.
E se la casa non è sicura?
A complicare ancora di più il quadro c’è la questione delle violenze domestiche. La standardizzazione di un modello familiare da mulino bianco difficilmente aiuterà le donne che subiscono abusi ad essere tutelate durante il periodo di isolamento. Secondo uno studio dell’Istat, 2 milioni e 800 mila donne hanno subito violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner (il 13,6% delle intervistate). Le forme più gravi di violenza sono esercitate proprio dalle persone più vicine (partner, parenti o amici): gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi dai propri compagni, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici. Anche le violenze fisiche (come gli schiaffi, i calci, i pugni e i morsi) sono per la maggior parte opera dei partner (o ex).
«In questi giorni di emergenza sanitaria ci viene chiesto di rimanere a casa per la nostra e altrui sicurezza», scrive in un appello su Facebook Lucha y Siesta, una delle poche strutture d’assistenza per le donne a Roma, che si occupa anche di dare asilo e supporto a chi è stata vittima di violenze. «Pur convinte che le disposizioni del decreto siano le uniche possibili in questo momento, sappiamo che per alcune donne, la propria casa non è affatto sinonimo di sicurezza, anzi».
«Per tante donne, andare a lavoro o accompagnare i bambini a scuola – si legge ancora – significa poter sfuggire anche solo per poco alle dinamiche di violenza domestica e di potere nelle quali vivono tutti i giorni, e al momento ciò non è possibile. Sappiamo anche che in periodi di crisi, come quella che stiamo vivendo, le dinamiche violente si acuiscono». Le sfaccettature della vita domestica, dunque, sono molto più problematiche di quanto non si pensi.
https://www.open.online/2020/03/17/coronavirus-smart-working-lavoro-domestico-cura-figli-emergenza-ricade-su-donne-con-basso-reddito/?fbclid=IwAR0byiyVUN_cT1YfavdsCfybwzlAfGyfoJ5xZQbzk1FgDokwQt-TMVQoOYk
giovedì 19 marzo 2020
( Kitty O’Meary. 1839- 1888)
E la gente rimase a casa
E lesse libri e ascoltò
E si riposò e fece esercizi
E fece arte e giocò
E imparò nuovi modi di essere
E si fermò
E ascoltò più in profondità
Qualcuno meditava
Qualcuno pregava
Qualcuno ballava
Qualcuno incontrò la propria ombra
E la gente cominciò a pensare in modo differente
E la gente guarì.
E nell’assenza di gente che viveva
In modi ignoranti
Pericolosi
Senza senso e senza cuore,
Anche la terra cominciò a guarire
E quando il pericolo finì
E la gente si ritrovò
Si addolorarono per i morti
E fecero nuove scelte
E sognarono nuove visioni
E crearono nuovi modi di vivere
E guarirono completamente la terra
Così come erano guariti loro
E la gente rimase a casa
E lesse libri e ascoltò
E si riposò e fece esercizi
E fece arte e giocò
E imparò nuovi modi di essere
E si fermò
E ascoltò più in profondità
Qualcuno meditava
Qualcuno pregava
Qualcuno ballava
Qualcuno incontrò la propria ombra
E la gente cominciò a pensare in modo differente
E la gente guarì.
E nell’assenza di gente che viveva
In modi ignoranti
Pericolosi
Senza senso e senza cuore,
Anche la terra cominciò a guarire
E quando il pericolo finì
E la gente si ritrovò
Si addolorarono per i morti
E fecero nuove scelte
E sognarono nuove visioni
E crearono nuovi modi di vivere
E guarirono completamente la terra
Così come erano guariti loro
venerdì 13 marzo 2020
Parità di genere: le scienziate hanno un Piano. E un target
In Lombardia un progetto europeo per promuovere l'uguaglianza nella ricerca biomedica
SONO molte le scienziate in prima linea nella ricerca e nella cura del coronavirus, in Italia e nel mondo. Da Roma a Milano, dagli ospedali e dai centri di ricerca, ne abbiamo visto i volti e ascoltato le voci. Alcune di loro sono molto famose e giustamente adesso spesso interpellate dai media; altre sono uscite dall’ombra – e volte anche dalla precarietà – in seguito all’emergenza in atto. Ma quali sono, in tempi ordinari, gli strumenti e i piani di azione per promuovere la parità di genere nella scienza come negli altri ambiti lavorativi?
Uno di questi si chiama Gep, che sta per “Gender equality plan”. Si tratta di un piano di azione con il quale un’istituzione mette in fila misure, azioni e strumenti per l’implementazione, il monitoraggio e la valutazione di politiche per l’eguaglianza di genere. Il tutto nella convinzione che la parità di genere nella scienza non solo è giusta, ma è utile: da tempo ormai gli studi sulle gendered innovations hanno mostrato che sottovalutare il genere nella ricerca può infatti comportare rischi e mancate opportunità di business. Di recente un Gep è stato adottato, proprio nel campo della ricerca medica, dalla Fondazione Regionale per la Ricerca Biomedica (FRRB) della regione Lombardia, Partner del progetto europeo Target (Taking a reflexive approach to gender equality for institutional transformation), finanziato con fondi europei. Dopo aver riscontrato, in una prima analisi, che nella maggioranza degli enti ospedalieri e degli istituti di ricerca lombardi il Gep (o un documento analogo) non era presente, la Fondazione si è impegnata, nell’ambito del progetto Target e attraverso i suoi bandi di finanziamento alla ricerca biomedica, a sensibilizzare i vertici delle istituzioni sul tema e a stimolare una “riflessione” sull’importanza di tale misura. Uno dei punti dolenti, come spesso succede, riguarda la presenza delle donne negli organi decisionali, quasi sempre minoritaria.
Da questo punto di vista, la struttura della FRRB è una parziale eccezione: il suo staff è composto da sette persone, di cui sei donne. Una donna ricopre la carica di direttore generale. Il Gender equality plan della Fondazione si basa su tre aree principali, ciascuna delle quali comporta azioni specifiche. La prima è nella dimensione interna, e mira alla promozione di una organizzazione inclusiva dal punto di vista di genere; la seconda è nella dimensione esterna, e prevede l’integrazione della dimensione di genere nella ricerca e nella comunità scientifica; la terza di propone di combattere gli squilibri di genere nel processo decisionale.
Il progetto è realizzato con il contributo della Commissione Europea. Dei contenuti editoriali sono ideatori e responsabili gli autori degli articoli. La Commissione non può essere ritenuta responsabile per qualsivoglia uso fatto delle informazioni e opinioni riportate.
mercoledì 11 marzo 2020
I CONSULTORI SPIEGATI ALLE RAGAZZE, ECCO PERCHÈ SONO UNA CONQUISTA DA NON PERDERE
Figli delle lotte femministe sono spesso un avamposto culturale ed educativo per la sessualità
Consultori, alzi la mano la ragazza che sa di cosa si tratta. Eppure sono stati una conquista delle lotte femministe degli anni Settanta, una richiesta pressante di quelle manifestazioni dell'8 marzo dell'epoca. Oggi che la giornata internazionale della donna, l'8 marzo, continua a significare moltissimo è bene ricordare alle giovani di oggi di cosa si tratta e della loro importanza. Sono strutture di ascolto, di prevenzione e cura nate nel 1975, hanno introdotto principi straordinariamente innovativi ancora oggi nell'ambito dell'assistenza sociale e sanitaria con servizi erogati in modo gratuito (o col pagamento di un ticket). Negli anni purtroppo hanno seguito un percorso non lineare e oggi sono almeno la metà del numero minimo stabilito dalla legge. Ad esempio l'offerta gratuita di profilattici viene erogata nel 25% dei centri e gli interventi mirati all'educazione all'affettività e alla promozione della salute nelle scuole riguarda meno della metà dei servizi.Per questo abbiamo fatto una piccola indagine sul territorio. Eccola
Pietralata, borgata popolosa della periferia romana. Anna è giovane, seduta su una poltrona della nursery con pareti colorate e giocattoli ovunque, stringe la sua bimba al seno per allattarla e sembra una neomamma fiera. Invece improvvisamente scoppia a piangere. “Le mamme sono tanto sole oggi e la depressione perinatale interessa in media il 14% di loro. Da noi cala al 6%. Abbiamo la porta sempre aperta. Ascoltiamo, assistiamo, aiutiamo e creiamo reti di supporto per le donne di tutte le età, - spiega Patrizia Proietti, responsabile delle ostetriche dei consultori della ASL Roma 2, in tutto 21 centri. Livia ha quindici anni e non sa nulla sulla contraccezione. Ai suoi primi rapporti sessuali, aveva letto informazioni distorte in internet sentendosi persa. Patrizia si sfoga perché si sente troppo grassa mentre Giulia è vittima di episodi gravi di bullismo in classe. Anna, Maria e Giovanna arrivano insieme il mercoledì per lo spazio libero interamente dedicato agli adolescenti. Tutte le adolescenti pongono domande agli operatori su temi femminili fra i più delicati, intimi, affettivi, fondamentali per la loro crescita. Un centinaio di queste ragazzine, nell'arco del 2019, è approdato qui per ricorrere all'interruzione di gravidanza ed è per questo che gli operatori della zona intensificano gli interventi di sensibilizzazione di ragazze e ragazzi sui temi della sessualità chiedendo la collaborazione degli istituti scolastici limitrofi. Ragazzine, donne adulte e dei capelli bianchi, di ogni fascia di reddito, nei periodi più fragili della vita varcano la soglia di questa struttura, piccolo miracolo romano che ha anche ottenuto dall’UNICEF il riconoscimento di ‘Comunità amica dei bambini’ ma che purtroppo non costituisce la regola a livello nazionale.
E' in previsione dell'imminente festa delle donne che parliamo di consultori di tutta la penisola perché sono stati una conquista delle ragazze degli anni settanta ma che purtroppo le teenagers di oggi neanche conoscono. Sono destinati all'estinzione?
“In media le adolescenti non sanno dell'esistenza di queste strutture di ascolto né conoscono i servizi offerti di cui loro hanno pienamente diritto. La legge, che ne prevede la diffusione capillare sul territorio, è spesso disattesa, - sottolinea Elisabetta Maiorana, assistente sociale. - Mancano le sedi o hanno poco personale, soprattutto nei quartieri più disagiati dove aumenta il numero delle donne in difficoltà”.
“Abbiamo un consultorio ogni 35.000 cittadini benché dovremmo averne uno ogni 20.000 così come previsto dalla legge 34/96. La differenza tra le regioni è marcata che in sette aree della penisola il numero medio di abitanti per consultorio è superiore a 40.000” - attesta tristemente un report l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) condotto nel 2019. "Su 1.800 strutture emerge che il numero sul territorio nazionale è quasi la metà in rapporto ai bisogni della popolazione. Invece laddove ci sono, nonostante la frequente indisponibilità di risorse dedicate e la carenza di organici, svolgono una insostituibile funzione sociale di informazione e sostegno della donna in tutte le fasi della vita ma anche a coppie, uomini e famiglie intere," - conclude Laura Lauria, responsabile del report.
http://www.ansa.it/canale_lifestyle/notizie/teen/2020/03/01/i-consultori-spiegati-alle-ragazze-ecco-perche-sono-una-conquista-da-non-perdere_0ed1ecaa-e19c-4f95-94a2-329f81810578.html?fbclid=IwAR3fEmxAfB6a1ahSLPeKD3Pc25H_FLgWPedjKf
Consultori, alzi la mano la ragazza che sa di cosa si tratta. Eppure sono stati una conquista delle lotte femministe degli anni Settanta, una richiesta pressante di quelle manifestazioni dell'8 marzo dell'epoca. Oggi che la giornata internazionale della donna, l'8 marzo, continua a significare moltissimo è bene ricordare alle giovani di oggi di cosa si tratta e della loro importanza. Sono strutture di ascolto, di prevenzione e cura nate nel 1975, hanno introdotto principi straordinariamente innovativi ancora oggi nell'ambito dell'assistenza sociale e sanitaria con servizi erogati in modo gratuito (o col pagamento di un ticket). Negli anni purtroppo hanno seguito un percorso non lineare e oggi sono almeno la metà del numero minimo stabilito dalla legge. Ad esempio l'offerta gratuita di profilattici viene erogata nel 25% dei centri e gli interventi mirati all'educazione all'affettività e alla promozione della salute nelle scuole riguarda meno della metà dei servizi.Per questo abbiamo fatto una piccola indagine sul territorio. Eccola
Pietralata, borgata popolosa della periferia romana. Anna è giovane, seduta su una poltrona della nursery con pareti colorate e giocattoli ovunque, stringe la sua bimba al seno per allattarla e sembra una neomamma fiera. Invece improvvisamente scoppia a piangere. “Le mamme sono tanto sole oggi e la depressione perinatale interessa in media il 14% di loro. Da noi cala al 6%. Abbiamo la porta sempre aperta. Ascoltiamo, assistiamo, aiutiamo e creiamo reti di supporto per le donne di tutte le età, - spiega Patrizia Proietti, responsabile delle ostetriche dei consultori della ASL Roma 2, in tutto 21 centri. Livia ha quindici anni e non sa nulla sulla contraccezione. Ai suoi primi rapporti sessuali, aveva letto informazioni distorte in internet sentendosi persa. Patrizia si sfoga perché si sente troppo grassa mentre Giulia è vittima di episodi gravi di bullismo in classe. Anna, Maria e Giovanna arrivano insieme il mercoledì per lo spazio libero interamente dedicato agli adolescenti. Tutte le adolescenti pongono domande agli operatori su temi femminili fra i più delicati, intimi, affettivi, fondamentali per la loro crescita. Un centinaio di queste ragazzine, nell'arco del 2019, è approdato qui per ricorrere all'interruzione di gravidanza ed è per questo che gli operatori della zona intensificano gli interventi di sensibilizzazione di ragazze e ragazzi sui temi della sessualità chiedendo la collaborazione degli istituti scolastici limitrofi. Ragazzine, donne adulte e dei capelli bianchi, di ogni fascia di reddito, nei periodi più fragili della vita varcano la soglia di questa struttura, piccolo miracolo romano che ha anche ottenuto dall’UNICEF il riconoscimento di ‘Comunità amica dei bambini’ ma che purtroppo non costituisce la regola a livello nazionale.
E' in previsione dell'imminente festa delle donne che parliamo di consultori di tutta la penisola perché sono stati una conquista delle ragazze degli anni settanta ma che purtroppo le teenagers di oggi neanche conoscono. Sono destinati all'estinzione?
“In media le adolescenti non sanno dell'esistenza di queste strutture di ascolto né conoscono i servizi offerti di cui loro hanno pienamente diritto. La legge, che ne prevede la diffusione capillare sul territorio, è spesso disattesa, - sottolinea Elisabetta Maiorana, assistente sociale. - Mancano le sedi o hanno poco personale, soprattutto nei quartieri più disagiati dove aumenta il numero delle donne in difficoltà”.
“Abbiamo un consultorio ogni 35.000 cittadini benché dovremmo averne uno ogni 20.000 così come previsto dalla legge 34/96. La differenza tra le regioni è marcata che in sette aree della penisola il numero medio di abitanti per consultorio è superiore a 40.000” - attesta tristemente un report l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) condotto nel 2019. "Su 1.800 strutture emerge che il numero sul territorio nazionale è quasi la metà in rapporto ai bisogni della popolazione. Invece laddove ci sono, nonostante la frequente indisponibilità di risorse dedicate e la carenza di organici, svolgono una insostituibile funzione sociale di informazione e sostegno della donna in tutte le fasi della vita ma anche a coppie, uomini e famiglie intere," - conclude Laura Lauria, responsabile del report.
http://www.ansa.it/canale_lifestyle/notizie/teen/2020/03/01/i-consultori-spiegati-alle-ragazze-ecco-perche-sono-una-conquista-da-non-perdere_0ed1ecaa-e19c-4f95-94a2-329f81810578.html?fbclid=IwAR3fEmxAfB6a1ahSLPeKD3Pc25H_FLgWPedjKf
martedì 10 marzo 2020
SEVEN WOMEN UN FILM ONESTO E DAL CUORE SINCERO CHE SFIORA CON GENTILE LEGGEREZZA I GRANDI TEMI DEL FEMMINISMO. Recensione di Ilaria Ravarino
SEVEN WOMEN
Regia di Yvonne Sciò. Un film con Susanne Bartsch, Alba Clemente, Fran Drescher, Bethann Hardison, Patricia Field, Rula Jebreal, Rosita Missoni. Genere Documentario - Italia, 2018, durata 56 minuti.
Un racconto di storie, talvolta, difficili ma anche di riscatti, di sogni e di passioni; un viaggio privato nella vita delle protagoniste attraverso la loro voce.
Ha l'andamento di un raffinato videoclip, musica elettronica e immagini patinate, le luci di New York by night e una calda voce fuori campo a tenere unite le storie. Sette storie di donne: ma che donne.
Seven Women di Yvonne Sciò - seconda prova da regista per l'artista romana dopo Roxanne Lowit Magic Moments - non rivoluziona la forma del documentario, tutto giocato su un'estetica cool da shooting di moda, ritmo serrato e luce bianca, interviste ora "sedute" ora realizzate nella quotidianità dei soggetti raccontati. Eppure, alla semplicità basica della forma, il film riesce a opporre una grande ricchezza di contenuti, attraverso la selezione di storie di resilienza, resistenza, rivoluzione e dolcezza, capaci di raccontare, senza eccessiva retorica, una parte complessa del mondo femminile.
Giuste le storie e giustissimo l'approccio, con la regista che scompare dietro alle immagini scavando "da invisibile" nei caratteri: il rapporto diretto di fiducia con le intervistate - giornaliste, attrici, stiliste, modelle, artiste - si traduce, in alcuni momenti illuminati, in piccoli, schietti, quadri di straordinaria normalità.
Ne è un esempio il rapporto che Sciò costruisce con Fran Drescher, ex parrucchiera diventata negli anni Novanta star del telefilm La Tata, la cui vita, proprio all'apice del successo, fu sconvolta da una terribile rivelazione: seguendola nel tour promozionale di Hotel Transylvania 2, mentre prepara la sua cena a base di papaia, uovo e bacon (incredibile come l'estetica flou del film riesca a rendere accattivante persino questa ricetta), Drescher parla di sé e della propria intimità con una serenità quasi disarmante, innegabile frutto della complicità instaurata con la regista.
Più severa Rula Jebreal, la giornalista palestinese incontrata e conosciuta da Sciò ben prima che Sanremo la catapultasse nelle case degli italiani, con la sua storia di rivincita legata all'istruzione: "L'alternativa sarebbe stata sposarmi - racconta nel documentario - O diventare uno strumento nelle mani di qualche fazione politica".
L'approccio di Sciò, amichevole e "dal basso", riesce a umanizzare storie di grandissimo successo, come quella di Rosita Missoni, che ripercorre la nascita dell'azienda fondata col marito Ottavio, o di Patricia Field, la rossa costumista di Meryl Streep, pur mantenendo il fuoco anche su storie di femminilità combattente: così viene raccontata la prima top model di colore, Bethann Hardison, attivista e amica di Andy Warhol - personaggio che ricorre anche nei ricordi di un'altra donna, Alba Clemente, musa e modella per la Factory.
Un film onesto, dal cuore sincero, che sfiora con gentile leggerezza i grandi temi del femminismo senza pretese di womensplaining - un feel good movie su sette grandi donne arrivate a ricoprire esattamente il posto che volevano nella storia.
https://www.mymovies.it/film/2018/7-women/#recensione
Regia di Yvonne Sciò. Un film con Susanne Bartsch, Alba Clemente, Fran Drescher, Bethann Hardison, Patricia Field, Rula Jebreal, Rosita Missoni. Genere Documentario - Italia, 2018, durata 56 minuti.
Un racconto di storie, talvolta, difficili ma anche di riscatti, di sogni e di passioni; un viaggio privato nella vita delle protagoniste attraverso la loro voce.
Ha l'andamento di un raffinato videoclip, musica elettronica e immagini patinate, le luci di New York by night e una calda voce fuori campo a tenere unite le storie. Sette storie di donne: ma che donne.
Seven Women di Yvonne Sciò - seconda prova da regista per l'artista romana dopo Roxanne Lowit Magic Moments - non rivoluziona la forma del documentario, tutto giocato su un'estetica cool da shooting di moda, ritmo serrato e luce bianca, interviste ora "sedute" ora realizzate nella quotidianità dei soggetti raccontati. Eppure, alla semplicità basica della forma, il film riesce a opporre una grande ricchezza di contenuti, attraverso la selezione di storie di resilienza, resistenza, rivoluzione e dolcezza, capaci di raccontare, senza eccessiva retorica, una parte complessa del mondo femminile.
Giuste le storie e giustissimo l'approccio, con la regista che scompare dietro alle immagini scavando "da invisibile" nei caratteri: il rapporto diretto di fiducia con le intervistate - giornaliste, attrici, stiliste, modelle, artiste - si traduce, in alcuni momenti illuminati, in piccoli, schietti, quadri di straordinaria normalità.
Ne è un esempio il rapporto che Sciò costruisce con Fran Drescher, ex parrucchiera diventata negli anni Novanta star del telefilm La Tata, la cui vita, proprio all'apice del successo, fu sconvolta da una terribile rivelazione: seguendola nel tour promozionale di Hotel Transylvania 2, mentre prepara la sua cena a base di papaia, uovo e bacon (incredibile come l'estetica flou del film riesca a rendere accattivante persino questa ricetta), Drescher parla di sé e della propria intimità con una serenità quasi disarmante, innegabile frutto della complicità instaurata con la regista.
Più severa Rula Jebreal, la giornalista palestinese incontrata e conosciuta da Sciò ben prima che Sanremo la catapultasse nelle case degli italiani, con la sua storia di rivincita legata all'istruzione: "L'alternativa sarebbe stata sposarmi - racconta nel documentario - O diventare uno strumento nelle mani di qualche fazione politica".
L'approccio di Sciò, amichevole e "dal basso", riesce a umanizzare storie di grandissimo successo, come quella di Rosita Missoni, che ripercorre la nascita dell'azienda fondata col marito Ottavio, o di Patricia Field, la rossa costumista di Meryl Streep, pur mantenendo il fuoco anche su storie di femminilità combattente: così viene raccontata la prima top model di colore, Bethann Hardison, attivista e amica di Andy Warhol - personaggio che ricorre anche nei ricordi di un'altra donna, Alba Clemente, musa e modella per la Factory.
Un film onesto, dal cuore sincero, che sfiora con gentile leggerezza i grandi temi del femminismo senza pretese di womensplaining - un feel good movie su sette grandi donne arrivate a ricoprire esattamente il posto che volevano nella storia.
https://www.mymovies.it/film/2018/7-women/#recensione
domenica 8 marzo 2020
8 Marzo 2020 – S-Corteo Transfemminista Per #lottomarzo era previsto il grande corteo cittadino in occasione dello sciopero globale transfemminista 2020, in contemporanea a 80 città in Italia e migliaia in tutto il mondo.
#LottoMarzo: S-Corteo transfemminista!
Per #lottomarzo era previsto il grande corteo cittadino in occasione dello sciopero globale transfemminista 2020, in contemporanea a 80 città in Italia e migliaia in tutto il mondo.
La Lombardia, che trascina con sé anche Milano, è l’epicentro dell’emergenza Coronavirus in Europa: non vogliamo costruire una manifestazione che escluda i soggetti più vulnerabili ed esposti ai pericoli reali del virus, per questa ragione non potremo trovarci tutte, tutti e tuttu insieme come avremmo desiderato.
Non possiamo però rinunciare a questa giornata di lotta: contro la violenza maschile sulle donne e di genere, contro le aggressioni omotransfobiche, per un welfare e un reddito di autodeterminazione per non lasciare indietro nessun*.
Leggi il testo di lancio dell’8M 2020
Leggi perchè abbiamo scelto lo S-Corteo
Ecco perché #lotto marzo non sarà Corteo ma S-CORTEO!
S-corteo è non restare sol* chiusa in casa
S-corteo È NON rimanere isolat* con la propria paura
S-corteo è un invito, a tutte le persone che l’8 marzo nel pomeriggio vorranno attraversare il centro cittadino, a farlo indossando qualcosa di fucsia così da riconoscerci a vicenda
S-corteo è combattere la violenza maschile sulle donne e di genere
S-corteo è non rinunciare a #LottoMarzo per alimentare un esperimento sociale che approfitta di un virus per attaccare diritti e libertà
S-corteo è denunciare i responsabili del clima di angoscia e paura
S-corteo è puntare il dito contro chi alimenta xenofobia e razzismo
S-corteo è delegittimare la caccia all’untore, l’inseguimento forcaiolo del paziente numero 0 e la ricerca di capri espiatori
S-corteo è opporsi con forza alla devastazione ambientale e al genocidio degli animali
S-corteo è smascherare chi ha ridotto la sanità pubblica in ginocchio e sostenuto solo i privati
S-corteo è pretendere welfare e reddito di autodeterminazione per tutt*, contro la violenza economica
S-corteo è per chi è costrett* a casa senza entrate economiche
S-corteo é per chi è mess* in ferie obbligate
S-corteo è per le persone che lavorano nelle imprese di pulizia e sanificazione, costrette a straordinari mal pagati
S-corteo è denunciare le morti a cui ormai siamo così tanto abituat* da sembrare la norma: 1 donna* uccisa ogni 3 giorni
S-corteo è non dimenticare chi in “quarantena” ci finisce per la propria stessa esistenza, magari in un CPR di imminente apertura o in un campo di detenzione per profughi
S-corteo è ribellarsi alla chiusura delle frontiere dinnanzi a chi fugge da guerre e sofferenze
S-corteo è urlare a gran voce che ci vogliamo viv*, san* e anche liber* e felici
S-corteo é disegnare insieme la città transfemminista
Sì, ma nella pratica che cos’è uno S-Corteo?
È la creatività transfemminista che esorcizza la paura, che prende precauzioni contro il virus, ma anche contro violenza e solitudine.
Ovunque tu sia, per casa o per la via, ecco come partecipare:
Indossa il panuelo (trovi le istruzioni per farlo tra i materiali da scaricare – qui sotto)
Crea il tuo cartello #IoLottoPerché
Se puoi esci e portalo davanti a un luogo per te simbolico – nel bene o nel male – della città.
Possono essere luoghi classici da difendere o denunciare o luoghi sconosciuti che raccontano la tua lotta personale.
Scatta una foto e condivila con @nonunadimenomilano e mandaci la storia via audio sulla mail nonunadimenomilano@gmail.com o sui canali social
Sciopera dai consumi e non fare la spesa – se per l’emergenza si ferma tutto tranne la grande distribuzione, fermiamola noi
Ferma, rallenta o condividi il lavoro di cura – riprenditi un po’ del tuo tempo
Appendi uno striscione/qualcosa di fuxia alla tua finestra
Indossa qualcosa di fuxia
Condividi foto/video/messaggi vocali con noi
Collegati alla nostra radio e raccontaci la tua lotta: http://abbiamoundominio.org:8000/lottomarzo.mp3
https://nonunadimenomilanoblog.wordpress.com/
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