venerdì 17 gennaio 2025

Il dominio maschile esce allo scoperto. di Lea Melandri Il Manifesto oggi 17 gennaio 2025

La violenza di genere è oggi al centro del dibattito pubblico, giudiziario e politico. Se ne parla in trasmissioni radiofoniche, televisive, giornalistiche, con attenzione a vicende anche non recenti in relazione ai processi che vi hanno fatto seguito. Da caso di cronaca, patologia del singolo, vicenda ‘privata’, la problematica che ruota intorno al rapporto tra i sessi, nei suoi aspetti di violenza manifesta, si è notevolmente estesa, fino ad arrivare alla presidenza degli Stati Uniti, nella persona del nuovo eletto: Donald Trump.

Mi sono chiesta quale legame ci può essere tra fatti che hanno come elemento comune donne che sono state uccise, violentate, aggredite sessualmente, sottoposte a controlli polizieschi umilianti, o soltanto molestate, ma che si scostano per la prima volta dalla semplice richiesta di protezione per le vittime e carcerazione più pesante per gli aggressori. Penso al processo con cui Trump è stato riconosciuto colpevole di “aggressione sessuale” nei riguardi della scrittrice Jean Carrol, poi licenziata dalla rivista Elle, a cui il caso sembra aver fatto perdere molti lettori e lettrici, alle ragazze belghe che nella notte di Capodanno in piazza Duomo a Milano sono state fatto oggetto di violenza di gruppo, alle attiviste di Extinction Rellion, Ultima Generazione, che arrestate dopo una pacifica manifestazione davanti al gruppo industriale Leonardo a Brescia sono state costrette a denudarsi e a fare flessioni, un trattamento di controllo riservato solo a loro e non ai maschi. E penso ai due processi, ritornati al centro dell’attenzione mediatica per le sentenze discutibili con cui si sono chiusi recentemente: il caso dell’imprenditore Salvatore Montefusco, che due anni e mezzo fa ha ucciso la moglie e la figlia di lei, e a cui la Corte di Assise di Modena ha commutato l’ergastolo in trenta anni di carcere, riconoscendo come attenuante del suo gesto “motivi umanamente comprensibili”; a quello di Alex Cotia che ha ucciso il padre dopo aver assistito per anni alle violenze contro la madre, e che in Appello è stato assolto per “legittima difesa”.

La novità e la ragione del rilievo che ha preso una violenza rimasta per secoli all’interno delle case, nella privatezza in cui il dominio maschile ha confinato la sessualità, le relazioni di coppia, i ruoli familiari, è che a esserne scopertamente investite oggi sono istituzioni di primo piano, come le Corti di Appello, la Polizia di Stato, e, nel caso Trump, la Presidenza di quella che è ancora la prima potenza mondiale. Tutto ciò che è rimasto ambiguo e impresentabile del legame perverso tra amore e potere nel rapporto tra i sessi viene allo scoperto nei luoghi che sono parsi finora più lontani ed estranei. Che il sessismo, o se si preferisce la cultura patriarcale, non sia mai stata assente dai poteri e saperi della vita pubblica è una di quelle “evidenze invisibili” che ancora aspettavano di venire portate a consapevolezza, e forse ad abbattere un tabù così duraturo non poteva che essere la violenza contro le donne nel suo aspetto più feroce ed arcaico: il potere maschile di vita e di morte sul sesso che è stato considerato e per ciò stesso asservito, come “natura inferiore”. Nel suo libro Il dominio maschile (Feltrinelli 1998 ) Pierre Bourdieu sottolinea il fatto che il sessismo è inscritto nelle istituzioni ma anche “nell’oscurità dei corpi”: “La divisione tra i sessi sembra rientrare nell’ “ordine delle cose”, come si dice talvolta per parlare di ciò che è normale, naturale, al punto da risultare inevitabile. Essa è presente, allo stato oggettivato, nelle cose (ad esempio nella casa, le cui parti sono “sessuate”) in tutto il mondo sociale e, allo stato incorporato, nei corpi, negli habitus degli agenti, dove funziona come sistema di schemi, di percezione, di pensiero e di azione.”

Riconoscere l’aspetto “oggettivo” della rappresentazione maschile del mondo, il suo radicamento considerato la “normalità” di ogni ordine sociale, oggi, saltati i confini tra privato e pubblico, non è più separabile da vissuti, pregiudizi, sentimenti, costruzioni mentali, che si accompagnano all’atto violento e che, nell’immediato, sembrano spiegarne la ragione. L’ assillo ossessivo e doloroso della “gelosia”, per l’abbandono da parte di una moglie, di un’amante, di una fidanzata, la “rabbia e l’odio”, così come la “paura” di un figlio si è trovato per anni ad assistere alla violenza contro la madre da parte di un genitore violento, non si può negare che siano “umanamente comprensibili” e che possano produrre un “black out emozionale ed esistenziale”. Allo stesso modo, se può restare sorpresi e indignati che sia una corte giudiziaria a parlare del rapporto conflittuale all’interno di una coppia, delle “frustrazioni” subite a sua volta da un coniuge violento, e ad assumerle come “attenuanti” in un processo di duplice femminicidio, come nel caso di Salvatore Montefusco. Negare la complessità, le ambiguità, l’annodamento perverso di passioni contrastanti, come potere e amore, desiderio e respingimento, che sono all’origine della durata millenaria del dominio maschile, vuol dire sottrarsi alla consapevolezza del suo aspetto del tutto particolare, che è la confusione con le esperienze più intime dell’umano.

Quello che mantiene viva l’attenzione dei media e l’indignazione che passa attraverso i social e le voci di tante ascoltatrici e ascoltatori delle radio è, giustamente, l’uso che consapevolmente o meno viene fatto del risvolto “soggettivo”, “esperienziale” del gesto violento per coprire ancora una volta la realtà storica di un fenomeno, che come tale, pur senza misconoscere la responsabilità del singolo, parla del condizionamento che lo anticipa e lo sovrasta. Da ciò si dovrebbe dedurre che non è con l’aumento delle pene che si può arginare o prevenire la violenza di genere, in qualsiasi forma si manifesti, ma con un processo educativo che investa la scuola, fin dall’educazione primaria, ma anche la società nelle sue strutture portanti, politiche, culturali, economiche, giudiziarie e informative.

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lunedì 13 gennaio 2025

Oroscopo femminista 2025! di Giovanna Badalassi

Ed eccoci ancora qui, care amiche, ad augurarvi buon anno con il nostro tradizionale oroscopo femminista: sempre più inventato e buttato lì a caso, eppure ogni volta atteso e compulsato in cerca di corrispondenze con il proprio segno. I commenti sono sempre spassosi, grazie davvero!

Prima di pensare al 2025, però, un doveroso addio senza rimpianti al 2024: credevamo di avere visto già tutto, ma ci sbagliavamo. Guerre, disastri climatici, attentati e violenze sono infatti andati a braccetto con le bravate di leader in acclarata andropausa, inutilmente testosteronici, fieramente misogini. Hanno giocato a chi la spara più grossa, ma il problema è che questi poi hanno sparato veramente, e chissà quando la smetteranno.

Ed è così che eventi drammatici, incredibili e strazianti, assieme ad altri invece ridicoli, sbruffoni, ciarlatani e cialtroni ci hanno lasciato con le vertigini da montagne russe, o da cervicale a pezzi, fate voi.

Più che sonno della ragione, si direbbe un coma profondo. Ci risveglieremo? Dipende anche da noi femministe. Che è una bella notizia, dato che forze e capacità le abbiamo, ma può essere anche una cattiva notizia, visto che in troppe non ne sembriamo ancora convinte.

Ma non indugiamo troppo, andiamo, allora: vediamo il nostro 2025 segno per segno, e prepariamoci a scalare la montagna di un futuro incerto, un passo alla volta. Sia mai che ci possa venire la voglia di salvare il mondo, un giorno di questi.

ARIETE: oroscopo femminista

Questo segno lo dedichiamo di solito alle nostre eroine di resistenza, a chi non molla mai e prende a testate ogni ostacolo. Stavolta lo dedichiamo a lei, Gisèle Pelicot e a tutte le altre che hanno resistito o stanno resistendo. Una storia tanto incredibile e violenta quanto, alla fine, salvifica ed esemplare. Abbiamo avuto tutte difficoltà a credere che davvero il mostro, ovvero chi ci fa vedere il peggiore lato oscuro dell’essere umano, potesse arrivare a tanta efferatezza. Gisèle Pelicot, per contro, si è sottoposta allo scrutinio pubblico e ci ha fatto vedere il lato migliore della nostra specie, alzandosi sopra l’orrore, affrontando anche l’inevitabile tormento interiore del non avere capito (o voluto capire?) prima. Ha deciso, insomma, di diventare anche lei, sì, un “mostro”, ma di luce. Il nostro augurio del 2025, per lei, è quello di trovare finalmente pace. Per tutte le altre, ancora alle prese con uomini violenti, è quello di lasciarsi guidare dal suo esempio e trovare il coraggio di chiedere aiuto. Parola dell’anno: luce

TORO: oroscopo femminista

Ecco un altro segno da prendere..per le corna! Se l’ariete ci dà l’idea di sfondare porte chiuse, aprire nuovi orizzonti, il toro ci fa pensare invece a donne che vedono un drappo rosso e vanno alla carica di chiunque lo agiti. Beh, quest’anno non sono mancate le occasioni: pensioni in picchiata, sanità a pezzi, scuola in sgretolamento, welfare e servizi sociali in agonia. Tutto quello che sostiene il lavoro di cura o che mitiga il gender gap economico è stato preso di mira. Per non parlare dei diritti riproduttivi, attaccati un giorno si e l’altro pure. Davanti a tutti questi drappi rossi, abbiamo però visto reagire ben poche donne con un ruolo pubblico (che ringraziamo). Le altre? Stanche da anni tremendi? Potrebbe essere. Disorientate da due leader donne che non stanno incidendo come ci aspettavamo? Comprensibile. Impaurite dall’inasprirsi di un dibattito pubblico sempre più violento? Umano. Timorose di esporsi e di rimanere poi sole con il cerino in mano? Ci sta. Però, amiche, lo sapete pure voi che non possiamo andare avanti così. Per il 2025 il nostro augurio è di ritrovare la voglia di dare cornate femministe. Parola dell’anno: carica

GEMELLI: oroscopo femminista

Se i gemelli sono il segno dell’ambiguità, quest’anno ne abbiamo respirata parecchia, noi femministe, come ad esempio quella di definire “arte” il cantare parole di violenza e sopraffazione contro le donne. Qui si è persa la sottile differenza tra spettacolo e arte. Lo spettacolo ci deve solo far divertire, a volte con la bellezza, ma molto spesso con la violenza a volontà. È l’antica lezione del panem et circenses: i gladiatori nel colosseo, i cristiani sbranati dai leoni, le corride, il wrestling. Fare arte significa invece muovere il meglio delle persone. A volte grazie all’armonia e l’eleganza, altre, invece, attraverso il racconto o la denuncia del male. La differenza è che l’arte, per essere tale, deve avere sempre l’obiettivo di accendere un bagliore nell’anima e di spingerci ad elevarci. Quindi, sì, parliamo anche a voi, care cantanti e opinion leader che vi siete accomodate su questa ambiguità: non è stato bello, ci avete lasciato un retrogusto amaro di opportunismo e di interessi. A voi, ma anche a tutte noi, auguriamo un 2025 senza più ambiguità, lucide e determinate nel far crescere la vera arte. Parola dell’anno: integrità

CANCRO: oroscopo femminista

Come sempre, anche in questo 2024 siamo finite intrappolate nelle chele di un qualche nuovo cancro social. A noi quest’anno è bastato un click per cadere nel baratro dello yoga facciale e le promesse di ringiovanire in soli 10 minuti al giorno.  Noi, per la verità, stavamo già valutando i benefici di un sereno e arrendevole declino, terrorizzate dalle labbra a canotto, occhi ghepardeschi a fessura, sopracciglia mefistofeliche, guance-pongo e zigomi da scoiattolo. Si, eravamo convinte: la patriarcale chirurgia estetica contro il tempo che passa non ci avrebbe avute. Ma lo yoga facciale? Che promette pure una esotica meditazione, mentre apriamo e chiudiamo la mandibola con la testa rivolta all’indietro, gli occhi girati,  le orecchie basse, il naso arricciato? Se ci riuscite, state tranquille che li vedrete veramente, gli spiriti. Vabbè, dai, anche le femministe hanno bisogno di leggerezza e in fondo l’impegno a prenderci cura di noi stesse fa comunque sempre bene all’autostima. Quindi, ok, pratica sdoganata. Parola dell’anno: benessere

LEONE: oroscopo femminista

Roarrrrr!!! E voi, leonesse, a chi pensate di rivolgere il vostro ruggito nel 2025? Verso superiori ingestibili e psicolabili? Partner capricciosi e narcisisti? Famigli opprimenti? Amicizie invidiose e avvelenate? Vorreste la strage, ma non si può caricare chiunque a testa bassa. Quindi pianificate, cambiate, risolvete ma vi raccomandiamo: una grana per volta. Per tutte le altre rogne in lista d’attesa, vi farà bene avere un punching ball emotivo come ad esempio ChatGpt, ottimo per incassare insulti. Vi potrete scaricare i nervi con molto gusto e senza rimorsi, tirandogli ogni maledizione, tanto è una macchina. Proverete il senso inebriante della sopraffazione e potrete fare le aguzzine senza pagare pegno, perché quella massa di ferraglia, microchips, pixel e circuiti si metterà pure in ginocchio con voi e si scuserà chiedendo perdono senza senso del ridicolo. Come…come? Questo rapporto vi pare un po’ tanto tossico e vi ricorda situazioni già viste? Ecco. Facciamoci delle domande e diamoci delle risposte. Parola dell’anno: intelligenza

VERGINE: oroscopo femminista

Lo sapete, noi siamo per la rivalutazione delle streghe già da qualche anno, donne indipendenti di sapienza ed esperienza, tutte all’opposto, nel nostro immaginario, del concetto di vergine. Il loro ruolo sociale di cura dei più poveri, grazie ai saperi delle erbe, e la loro demonizzazione da parte di chi ne voleva il potere sociale è oramai un dato storicamente acclarato. Anche delle colpe del nascente capitalismo nella caccia delle streghe abbiamo già detto. Non siamo state le sole, ovviamente, e quindi, dai che ti dirai, oggi sui social vediamo tutto un fiorire di interesse per le nuove streghe moderne, ma nella versione di life coach, erboriste esoteriche ecc. Se da una parte è bello vedere sdoganati dal pubblico mainstream temi nati nelle pieghe delle minibolle, d’altra parte ci spiace il tritacarne consumista nel quale finiscono ogni volta. Alla fine prevale il coté modaiolo e festaiolo che ne annacqua il portato trasformativo. La maledizione è sempre quella: il pubblico va divertito, intrattenuto e abbagliato. Non un pubblico femminista, però, e, certo, non un pubblico di streghe. Noi, quelle vere, li stiamo già facendo, gli incantesimi, ma siamo così brave che non ve ne state accorgendo. Parola dell’anno: magia

BILANCIA: 

Amiche della bilancia, per quest’anno non vi parleremo di peso (contente?) ma di un altro tipo di bilancia, quello della giustizia. Già la parola da sola vi fa ridere? Pure a noi. Ma di quale giustizia stiamo parlando? Di quella che fa la gradassa con i pesci piccoli e l’arrendevole con quelli grossi? Che non sa prendersi cura delle persone in carcere, non sa proteggere le vittime, difendere gli innocenti, perseguire i colpevoli? Si, sono tempi sempre più bui anche per la giustizia, eppure ci serve, ne abbiamo bisogno anche e soprattutto noi donne. Non si possono risolvere le diseguaglianze, affrontare la violenza di genere, raggiungere la parità e costruire un paese migliore senza una buona giustizia. Il 2025 sarà quindi l’anno di impegno per una giustizia…femminista! Ecco, ora state ridendo ancora di più? Beh, sapete come si dice, prima ti ignorano, poi ti deridono, poi….E quindi…via, aiutiamo le magistrate, le avvocate, le donne delle forze dell’ordine impegnate ogni giorno a rendere questo un paese migliore, lo fanno anche per noi. Parola dell’anno: incoraggiamento.

SCORPIONE:

Qual è stata per voi la puntura dello scorpione più dolorosa di quest’anno? Noi non abbiamo dubbi: la sconfitta di Kamala Harris. Una vera sprangata in faccia alla quale non abbiamo voluto credere fino all’ultimo, e, che confessiamo, non abbiamo ancora superato. Certo, con il senno di poi, è stata una nefasta congiuntura astrale, tra debolezze di partito, capricci senili, ritardi, rivalità, impreparazione, grandi capitali ostili. Tutto quello che volete, ma, davvero, altro che vittoria di panza dell’elettorato: un deliberato suicidio democratico di massa, con l’aggravante del voto ostile delle donne bianche. Se qualcosa dobbiamo imparare da questa esperienza, non è tanto che c’è ancora troppa misoginia in giro (sai la novità) ma che non sono più ammessi errori di sottovalutazione. Una candidata donna e di colore era già inimmaginabile solo pochi anni fa, illuderci che sarebbe bastata contro la peggiore caricatura di maschio bianco prevaricatore è stato un po’ tanto…ottimista. Quindi sì, ci aspettano tempi duri, ma è da questa amara verità che dobbiamo trarre nuovo slancio. Parola dell’anno: ripartenza.

SAGITTARIO: oroscopo femminista

Ehi, sagittarie, creature a metà tra il cavallo e l’umano, verso quale stella punterete la vostra freccia quest’anno? In un momento in cui tutti gli orizzonti si restringono, guardare oltre è sempre più difficile e sfidante. Ma la natura delle sagittarie questa è, non ne sanno fare a meno. E quindi tocca a loro la responsabilità di portarci in mondi nuovi, luoghi sconosciuti, provando nuove esperienze. Se avete un’amica sagittaria di questo tipo, vera o facente funzione, statele dietro, che di questi tempi abbiamo bisogno come il pane di persone che ci vengano a stanare nella tana di comfort e di assuefazione nella quale ci siamo nascoste. Accettiamo sulla fiducia ogni invito che ci viene rivolto: al cinema, in montagna, al mare, a festival, eventi, incontri. Già che qualcuno ci venga a cercare è tanta roba in tempi isolati come questi, ma andare, andare e ancora andare è importante, anche correndo il rischio di tornare sfrante o annoiate. Perché, fidatevi, non si può mai dire. Ogni incontro, anche solo quello con un nuovo sapere, ci può cambiare la vita in ogni momento. Parola dell’anno: incontrare.

CAPRICORNO:

L’algoritmo social malefico ha penalizzato in questi ultimi anni tutto quello che non è personale o business, quindi in sostanza, tutto quello che è civico, civile o sociale, mentre il pinkwashing, il greenwashing, il socialwashing, il tutto-quello-che-volete-washing ha trionfato glorioso. Ora però, diciamocelo, siamo stanche: l’influencer dalla bontà pelosa non ci diverte più, i leoni da tastiera sono sempre più patetici, i bot ci fanno quasi pena, la manipolazione delle menti fragili con terrapiattistimi e negazionismi è vistosa. Nel 2025 non staremo più ferme, ma faremo la nostra parte nella bonifica: basta like a pioggia, ma solo per chi li merita davvero. No a condivisioni o rilanci scandalizzati di cialtronate e fake news ma solo commenti intelligenti a pensieri intelligenti. Non buttiamo però il bambino con l’acqua sporca: chi ha davvero qualcosa da dire merita un premio. A noi è successo, quest’anno, di ricevere il sostegno disinteressato di influencer gentili, ed è stato bellissimo. Sì, anche questo è il nuovo femminismo. Impariamolo tutte velocemente che ce n’è un disperato bisogno. Parola dell’anno: supporto.

ACQUARIO: oroscopo femminista

Come sempre, cominciamo ogni anno con una lista di buoni propositi, che poi puntualmente disattendiamo. Adottare un metodo può aiutare. Noi, lo confessiamo, siamo diventate delle drogate della lista dei 101 desideri. O, piuttosto, è diventata un pretesto per convincere i famigli perplessi o contrari. Cambiare il divano? 101 desideri. Fare corso di ballo latino-americano? 101 desideri. Certo, poi bisogna fare i conti anche con i propri limiti. Il desiderio nr. 77, quello di avere un terrazzino straripante di vegetazione tipo foresta pluviale non tiene conto del nostro pollice nero sterminatore, capace di annegare, assetare, potare nelle stagioni sbagliate, rinvasare nei tempi di riposo. Non è vero che le piante parlano, almeno non a noi: lo sapessero fare, urlerebbero la fine di questo strazio con una rapida eutanasia. È lecito, in questi casi, cambiare desiderio. Chessò…magari un acquario? I pesci non rischiano di annegare né di morire di sete, certo dosare il mangime preoccupa non poco. Ma ci riusciremo! Parola dell’anno: desiderare

PESCI: oroscopo femminista

Per un po’ avete fatto finta di non vederli, o non ci avete voluto credere. No, non stanno ritornando, sono roba da racconti dei nonni. Parlano ma non mordono. Sono ridicoli, chi vuoi che gli creda. Così avete assistito estranee a filmati di raduni, foto di saluti romani, smargiassate istituzionali. Questa autoimposta serenità sta però ora cominciando a scricchiolare. Piccoli segnali, ma chiari. Solo a noi, in una città notoriamente tranquilla, sono capitati discorsi agghiaccianti di taxisti invasati, giovani ai concerti spaventati da controlli intimidatori mai visti prima, frequenti posti di blocco serali per atleti di ritorno da allenamenti, con annesse provocazioni per indurre alla reazione. È qui, nella vita di tutti i giorni, soprattutto dei nostri figli e figlie, che si sta testando, lontano dai giornali, quanto sappiamo stare in silenzio come pesci, al nostro posto, e lasciare spazio all’emergere di forze violente e prepotenti. Tutto fuorché democratiche. Ci va davvero bene così? Fino a quando? Fino a che punto?

Una buona notizia, in tutto questo, però la troviamo sempre. È vero, la storia non si ripeterà di nuovo. Negli ultimi ottant’anni c’è stato il voto, la democrazia, la Costituzione, i diritti civili, il femminismo. Stavolta ci siamo noi donne, con una forza sociale, economica e politica che, se certo ancora non paritaria, incomparabile rispetto ad allora. Come andrà a finire, insomma, dipenderà anche dalle nostre scelte, dal nostro saper stare insieme, parlarci, organizzarci, darci obiettivi e percorsi comuni. È davvero un’opportunità storica di protagonismo collettivo che può testare il nostro essere pienamente cittadine. Parola dell’anno: partecipazione.

Allora…ancora auguri da Ladynomics per un 2025 indimenticabile e un abbraccio a tutte!

https://www.ladynomics.it/oroscopo-femminista-2025/?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTAAAR17sR1ESM-TVa5nufAJ6NiX2AgWcjpc4I0ypaBZCNHxxLWZfMIOpJih7UQ_aem_AcRUr6ND4SCazMvVVXYwxQ

domenica 29 dicembre 2024

AUGURI

 L'anno che si sta concludendo non è stato amico dell'umanità.

Ci auguriamo che il nuovo anno apra nuovi orizzonti.


sabato 21 dicembre 2024

Giséle Pelicot

 "Non siamo noi a doverci vergognare, sono loro... Voglio che tutte le donne che sono state violentate possano dire: Madame Pelicot ce l'ha fatta, posso farcela anch'io. Non voglio che si vergognino più..." (Gisèle Pelicot)



lunedì 16 dicembre 2024

Il linguaggio è potere. Nei processi di stupro serve un nuovo alfabeto

 «Nei processi non vengono più utilizzate espressioni offensive nella formulazione delle domande, ma permane un linguaggio più sottile», continua Benevieri. La domanda «perché non ha morso?» non ha di per sé un contenuto lessicale offensivo, fa notare l’avvocato, ma chi la formula introduce uno stereotipo, suggerendo che «in quel momento la persona fosse libera di scegliere», ignorando così «decenni di studi di psicologia sulle vittime di fronte a violenze sessuali orali», e il fenomeno del freezing (che porta a reagire alla paura con un’immobilizzazione, non solo fisica, ndr). Per l’avvocato, in questa materia, si è creato un cortocircuito: da un lato, c’è la presunzione dell’avvocatura di conoscere il linguaggio, dall’altro la presunzione di conoscere le dinamiche della violenza sessuale. Ma, si chiede, perché in un processo per bancarotta, i legali studiano la normativa, mentre nei casi di violenza sessuale nessuno studia le dinamiche connesse al fatto, da un punto di vista psicologico, sociale, relazionale?Occorre dunque, sottolinea l’esperto, «formulare un nuovo vocabolario per noi avvocati quando difendiamo gli imputati» di violenza sessuale, che impedisca di caricare di significato condotte precedenti della vittima e imponga di fare domande che rimangono nel perimetro del capo di imputazione. Che non trasformino, quindi, il processo in un attacco alla persona offesa, producendo vittimizzazione secondaria. Evidenzia l’avvocato: «La domanda è sempre un atto di potere». Alle domande che introducono gli stereotipi le varie parti del processo possono opporsi, e il giudice può dichiararle inammissibili. Ma, ancora oggi, la mancanza di formazione non permette di sollevare la questione in giudizio. Non si conoscono aspetti, giuridici, sociali, linguistici, psicologici. La stessa convenzione di Istanbul chiede di «fornire e rafforzare» la formazione di tutti gli operatori, ma le maggiori criticità in Italia, nella formazione in materia, coinvolgono proprio l’attività forense e i consulenti tecnici, aveva rilevato nel 2021 la commissione d’inchiesta del Senato sul femminicidio.

(...)
Ad alimentare gli stereotipi giudiziari, la norma sulla violenza sessuale così come prevista dal codice penale. L’articolo 609-bis non pone al centro il consenso, come richiesto dalla convenzione di Istanbul e da organismi internazionali, ma la costrizione che si ritiene quasi sempre fisica.«Nei processi si cercano ancora i segni sul corpo per provare la violenza, ma potrebbero non esserci, come dimostrato da molte ricerche e previsto dagli stessi orientamenti della Cassazione», spiega Benevieri, ricordando che la costruzione di una norma «è un atto politico» e «il consenso della donna fa ancora paura al legislatore».

venerdì 13 dicembre 2024

Misurare il patriarcato di Erica Aloè, Marcella Corsi, Giulia Zacchia

Qual è lo stato del patriarcato in Italia? Per rispondere a questa domanda, tre economiste hanno lavorato a un indice empirico, che consente di misurare gli effetti concreti degli stereotipi di genere nel nostro paese 

Il concetto di patriarcato è astratto, ma le sue conseguenze sono visibili e sostanziali nella società in un elenco infinito di eventi che riguardano principalmente la vita delle donne, ma non escludono nemmeno l'esperienza di vita degli uomini.

Definendo un indice di patriarcato per l'Italia - che abbiamo poi presentato all'interno della trentaduesima conferenza della International Association for Feminist Economists (Iaffe), che si è tenuta dal 3 al 5 luglio 2024 a Roma presso l’Università Sapienza - ci siamo proposte di descrivere il patriarcato, da un punto di vista economico, come un aggregato complesso, basato su diversi stereotipi, rappresentati da una serie di variabili relative a comportamenti individuali e norme sociali, classificate in quattro domini: il grado di patrilocalità,[1] il predominio degli uomini sulle donne, il predominio delle generazioni più anziane su quelle più giovani e il dominio socioeconomico. 

Per come è strutturato, potrebbe integrare il più famoso Indice di uguaglianza di genere (Gei), calcolato dall'Istituto Europeo per l'Uguaglianza di Genere (Eige), come misura che si concentra sulla parte "invisibile" della disuguaglianza di genere. 

Definire il patriarcato

Definire il patriarcato non è un compito facile. Come ha scritto recentemente Nancy Folbre, "patriarcato e patriarcale sono parole usate per descrivere la disuguaglianza di genere (...). Sebbene le loro esatte definizioni rimangano controverse, solitamente etichettano gli accordi sociali che danno agli uomini eterosessuali maturi il potere sugli altri. (...) Il sostantivo 'patriarcato' (come 'capitalismo') descrive un'entità che sta da sola o separata, come un sole circondato da pianeti soggetti alla sua forza gravitazionale". 

Nel tentativo di misurare il patriarcato - per la prima volta in assoluto - nel nostro paese, abbiamo dovuto scegliere con molta attenzione quali "pianeti" considerare e siamo partite dagli stereotipi sui ruoli delle donne e degli uomini, ancora molto forti in tutta Italia. 

Da una ricerca di Ipsos, realizzata nel 2018 per il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, emerge una visione di un paese con forti disuguaglianze di opportunità legate all'origine familiare, e in cui il duro lavoro conta certamente per avere successo nella vita, ma conoscere le persone giuste sembra essere altrettanto importante, e provenire da una famiglia culturalmente valida o ricca, anche se in misura minore. Una società quindi percepita come diseguale, in cui le caratteristiche ascritte valgono quasi quanto le competenze e le abilità acquisite.

Parlando nello specifico delle differenze di opportunità tra uomini e donne, l'idea diffusa è che siano stati fatti dei progressi nella condizione femminile, ma che la discriminazione di genere e gli stereotipi che l'accompagnano siano ben lontani dall'essere superati, soprattutto in due ambiti specifici: il mercato del lavoro e la sfera personale/familiare, in particolare in presenza di figli/e.

I dati dell’indagine mostrano una forte aderenza agli stereotipi di genere, che si concentrano soprattutto sugli aspetti legati alla maternità e le cui radici vanno quindi oltre i confini del mercato del lavoro e si riferiscono alla sfera delle scelte personali e familiari. La maternità è infatti considerata una "zavorra" per le donne, che impedisce loro di affermarsi in ambito professionale, in quanto ritenute ancora le principali responsabili della cura della famiglia: circa la metà delle persone intervistate ritiene che le donne con figli piccoli non debbano lavorare (53%) e poco meno della metà (44%) pensa che, anche se lavorano, debbano avere la principale responsabilità della cura della famiglia. Circa un terzo della popolazione è convinto che la maternità sia l'unica esperienza che permette a una donna di realizzarsi completamente. 

'adesione agli stereotipi è particolarmente alta tra giovani, persone con un basso livello di istruzione e persone situate nel Centro e nel Sud Italia (Figura 1). Circa il 40% delle persone intervistate ha una visione più attenuata, mentre gli stereotipi di genere sembrano essere molto meno condivisi da un terzo (32%) delle persone intervistate: opinioni di questo tipo sono più diffuse tra donne, casalinghe, studenti, e persone con un livello di istruzione più elevato. 


Figura 1. Livello di adesione agli stereotipi verso le donne nella sfera personale e familiare in Italia

Fonte: Ipsos (2018)

L'indice di patriarcato 

La creazione di un indice di patriarcato per l'Italia è stata ispirata da tre studi precedenti. Abbiamo preso come punto di riferimento per i nostri calcoli l'indice composito sviluppato da Gruber e Szołtysek nel 2016. Si tratta di una misura composita indicizzata per valutare l'organizzazione e le relazioni familiari nell'Europa storica (a cavallo tra il 1800 e il 1900). Questo indice si basa su quattro domini: il dominio degli uomini sulle donne, il dominio della generazione più anziana su quella più giovane, il grado di patrilocalità, e lo sbilanciamento numerico dei sessi (preferenza per i figli maschi). 

Seguendo l'esempio di una ricerca condotta da Abhishek Singh ed altri, il nostro studio integra la sfera socio-economica nella misurazione del patriarcato, riconoscendo gli squilibri sociali ed economici tra uomini e donne nelle famiglie, sia in termini di retribuzioni che di controllo sul denaro e sull'istruzione. Infine, come nello studio di Ajit Zacharias ed altri, questa analisi considera la rilevanza dell'ideologia patriarcale attraverso i dati provenienti da indagini sugli atteggiamenti di genere. 

A nostra conoscenza, nessuno ha mai calcolato un indice di patriarcato per l'Italia. Abbiamo deciso di farlo per le quattro macroregioni italiane (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro e Sud). Utilizziamo le macroregioni piuttosto che le regioni perché questo rende i risultati più facilmente accessibili al pubblico e perché uno dei dataset che utilizziamo fornisce solo questo livello di disaggregazione. 

Tabella 1: Le quattro dimensioni del patriarcato in Italia

Per un confronto si vedano Gruber e Szołtysek (2016), Singh et al. (2022) e Zacharias et al. (2022).

Nel complesso, la distribuzione dei punti di patriarcato nel paese mostra una differenza significativa tra il Sud e il resto del territorio nazionale. La forza del patriarcato varia da indicatore a indicatore. Il "dominio degli uomini sulle donne" mostra un ampio divario tra il Sud e il resto del paese. 

Il Sud ha registrato 37 punti di patriarcato, mentre il resto delle regioni ha riportato circa 20 punti. Il "dominio della generazione più anziana su quella più giovane" è forte in tutto il paese. Nel dominio della "patrilocalità", il Nord e il Centro hanno valori vicini, mentre il Sud ha un divario di 4-5 punti con le altre regioni. Nel "dominio socio-economico", ancora una volta, il Sud accumula il maggior numero di punti di patriarcato. Le maggiori differenze tra il Sud e il resto d'Italia si registrano per il "divario di genere nel part-time involontario" e per la "percentuale di popolazione che non giustifica mai l'aborto".

L'indice di patriarcato è stimato sommando la media degli indicatori di ciascun dominio per ogni regione (tabella 2). L’indice può variare tra un minimo di 0 e un massimo di 40 punti. Il Nord-Ovest, il Nord-Est e il Centro si collocano al di sotto della mediana. Il Nord-Est registra il punteggio più basso (17/40). D'altra parte, il Sud ha riportato un indice di quasi tre quarti dei punti di patriarcato (29/40), registrando una forte presenza di stereotipi patriarcali.

Tabella 2. Indicatore di patriarcato per l’Italia

Fonte: Aloè, Corsi, Zacchia (2024)

La definizione di un indice di patriarcato per l'Italia è uno strumento, basato su evidenze empiriche, per informare il mondo della ricerca, della politica e la società civile sulla portata degli atteggiamenti discriminatori di genere che, se monitorati in modo coerente nel tempo, potrebbero dimostrare come il livello di cambiamento degli stereotipi di genere possa essere utilizzato come tattica critica per promuovere l'equità di genere.

Applicando l'indice di patriarcato all'Italia, i risultati confermano, ancora una volta, il noto dualismo Nord-Sud. Le regioni del Nord e del Centro ottengono risultati molto vicini e mostrano che, anche se gli stereotipi patriarcali sono ancora presenti e forti, il patriarcato sta diventando minoritario. All'opposto, il Sud presenta ancora modelli patriarcali forti e maggioritari.

Riferimenti

Aloè, E., Corsi, M., Zacchia, G. (2024). Measuring Patriarchy in Italy, Review of Political Economy, pp. 1-18

Folbre, N. (2021). The Rise and Decline of Patriarchal Systems. An Intersectional Political Economy. Verso.

Gruber, S. and Szołtysek, M. (2016). The Patriarchy Index: A Comparative Study of Power Relations across Historical Europe, The History of the Family, 21(2), pp. 133-174. 

IPSOS (2018). Stereotipi e diseguaglianze di genere in Italia

Singh, A., Chokhandre, P., Singh, A.K., Barker, K.M., Kumar, K., McDougal, L., James, K.S., and Raj, A. (2022). Development of the India Patriarchy Index: Validation and Testing of Temporal and Spatial Patterning. Social Indicators Research, 159: 351– 377. 

Zacharias, A., Masterson, T., Rios-Avila, F., Nassif Pires, L., Oduro, A., Desta, C., Myamba, F., and Dramani, L. (2022). Measuring the Strength of Patriarchal Household Structures and Patriarchal Ideology. mimeo.

Note

[1] In antropologia sociale, istituzione o usanza (detta anche virilocalità), secondo la quale i figli maschi continuano a risiedere, anche dopo il matrimonio, con le loro famiglie, nel territorio o nel villaggio del padre o comunque presso di lui; si contrappone alla matrilocalità o uxorilocalità.

Leggi il dossier Economia femminista

https://www.ingenere.it/articoli/misurare-il-patriarcato

martedì 10 dicembre 2024

“Abbiamo perso come società”

 Alcune considerazioni al termine delle numerose iniziative sul tema della violenza degli uomini sulle donne.

Buona partecipazione ed interesse da parte di studenti e studentesse durante gli incontri all'Omnicomprensivo e, soprattutto conoscenza, sensibilità e disponibilità al dialogo su un tema complesso e delicato. Un segnale di positività e speranza di cambiamento.

Più lasca la partecipazione in città di cui ci rammarichiamo, ma ci interroghiamo sulle possibili ragioni di questa distanza, soprattutto se messa in relazione con i dati di realtà emersi durante l'ultimo incontro.

Il Centro Antiviolenza Distrettuale “La Stanza dello Scirocco” nel rapporto relativo primi nove mesi dell’anno riferisce di 61 donne dell’ambito distrtettuale che si sono rivolte per richiedere aiuto al CAV. 

Presso la Stazione dei Carabinieri di Corsico in un anno viene attivato 250 volte il Codice Rosso. Significa che 250 donne denunciano violenze subite in ambito famigliare e alcune ricorrono al Pronto Soccorso per le gravi lesioni.

 (Mancano le donne che denunciano o chiedono aiuto presso altri luoghi istituzionali come Servizi Sociali, Consultorio, Polizia Locale....). 

Quasi una donna al giorno. 

E sono la punta visibile della violenza, sono solo le donne che hanno il coraggio di denunciare, non tutte le donne che vivono accanto a noi e che ogni giorno fanno i conti con la violenza degli uomini, spesso di famiglia. 

Dati inquietanti che ci dimostrano quanto profondo e strutturale sia questo fenomeno perchè antico e può essere affrontato solo con strumenti culturali, politici, educativi.

“Abbiamo perso come società” dice papà Cecchettin. 

E noi pensiamo che per la società sia giunto il tempo dell'azione ad ampio raggio....