lunedì 29 giugno 2020

Il prezzo più alto lo stiamo già pagando di Martina Bisello, Eleonora Clerici, Martina Campajola, Massimiliano Mascherini

Le misure adottate dai governi per controllare la diffusione del Covid-19 stanno aumentando il divario di genere, non solo in termini di occupazione, ma anche di equilibrio tra vita e lavoro e di sicurezza finanziaria, il tutto a svantaggio delle donne. Lo conferma un'indagine europea

Saranno le prospettive lavorative delle donne a essere maggiormente danneggiate, e le prime statistiche ufficiali sul mercato del lavoro sembrano preannunciarlo. I recenti dati Istat sull’andamento del mercato del lavoro confermano che sono le donne a essere maggiormente esposte alle devastanti conseguenze economiche e sociali innescate dall’attuale crisi. Le variazioni registrate tra marzo e aprile 2020 in termini di riduzione degli occupati sono infatti più evidenti per le donne rispetto agli uomini. Ancora più allarmante è il significativo aumento del numero di donne inattive, che nel lungo periodo rischia di contribuire a un progressivo distacco e ritiro dal mercato del lavoro.

Al di là delle peggiori prospettive lavorative, le donne sembrano risentire maggiormente anche degli effetti avversi che l’attuale crisi sta avendo sull’equilibrio vita-lavoro. Questo è quanto emerge dall’indagine online La vita, il lavoro e la Covid-19 che Eurofound, la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, ha condotto in aprile 2020 per stimare gli effetti e la portata della pandemia sulla qualità della vita e sul lavoro degli europei.

A livello europeo, in risposta alla crisi si è registrato un significativo aumento del telelavoro. È interessante notare come questo sia stato più alto per le donne (39% contro il 35% degli uomini), in particolare quelle con bambini piccoli (46%). Prima della crisi, invece, il 64% delle donne non ha mai lavorato da remoto, contro il 57% degli uomini. Queste tendenze europee risultano essere confermate anche in Italia, con un divario di genere ancora più marcato: il 46% delle donne, contro il 36% di uomini, ha iniziato a telelavorare in seguito alle prime misure di isolamento. Il divario cresce se si considera la presenza o meno di figli piccoli: tra i nuovi lavoratori da remoto con figli piccoli, il 58% sono donne contro il 23% degli uomini.

In tempi normali, un aumento del telelavoro potrebbe essere interpretato come un segnale positivo, indice di maggiore flessibilità, sintomatico di maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata, purché fosse condiviso da uomini e donne. Ma destreggiarsi contemporaneamente tra lavoro, attività domestiche e cura dei propri figli in un periodo in cui scuole e asili sono chiusi può avere conseguenze assai gravose per le donne che continuano a essere maggiormente sovraccaricate di lavoro domestico (40 ore alla settimana dedicate alla cura dei propri figli, contro le 18 ore trascorse dagli uomini, secondo i dati per l’Italia dell’Indagine europea sulla qualità della vita condotta da Eurofound nel 2016).

La concentrazione dell'attività in casa significa anche che i conflitti tra lavoro e vita domestica sono verosimilmente in aumento. I dati Eurofound dell’indagine online confermano un deterioramento dell'equilibrio tra lavoro e vita privata in Italia, come in generale in Europa, in particolare per le donne con figli piccoli. Infatti, il 21% di queste donne sostiene di avere difficoltà a concentrarsi sul lavoro a causa delle responsabilità familiari, contro il 10% per gli uomini, come illustrato nella Figura 1. D’altro canto, anche il lavoro incide negativamente sulla vita familiare: il 48% delle donne di questo gruppo afferma che il proprio impiego impedisce di dedicare il tempo desiderato alla propria famiglia rispetto al 33% degli uomini di questa categoria. Differenze di genere significative si riscontrano anche per altri aspetti: ad esempio, il 32% delle donne con bambini piccoli dichiara di essere troppo stanca dopo il lavoro per occuparsi delle mansioni domestiche, contro il solo 6% degli uomini; il 56% invece continua a preoccuparsi per il lavoro anche quando non sta lavorando (esattamente il doppio degli uomini).

Figura 1. Percentuale di donne e uomini con figli piccoli che riportano contrasti tra vita privata e professionale in Italia



Nota: Il grafico mostra le percentuali di donne e uomini con figli d’età compresa tra 0 e 11 anni che hanno risposto “Sempre” o “La maggior parte del tempo” alle affermazioni qui sopra riportate. Fonte: indagine online Eurofound ‘La vita, il lavoro e la Covid-19'.

La tensione innescata da questi contrasti potrebbe incidere maggiormente sul benessere mentale delle donne, specialmente quelle con figli piccoli, sebbene una ricerca più approfondita sia necessaria per confermarlo. Secondo i dati dell’indagine online di Eurofound, ad aprile 2020 in Italia le donne con figli tra gli 0 e gli 11 anni si sono sentite più tese (25% vs 19%), più sole (19% vs 1%) e più depresse (13% vs 2%) rispetto agli uomini con figli della stessa età. La stessa tendenza si presenta anche tra donne e uomini con figli d’età compresa tra i 12 e i 17 anni, sebbene le differenze siano meno accentuate.

È verosimile poi che la situazione di minore sicurezza finanziaria vissuta dalle donne in Italia possa contribuire ad aggravare la posizione di maggiore vulnerabilità. Infatti, tra coloro che hanno figli piccoli, il 14% degli uomini afferma di avere abbastanza risparmi da poter mantenere il proprio stile di vita per più di 12 mesi, contro il 10% delle donne. Questo dato è ancora più accentuato tra coloro che hanno figli tra i 12 e i 17 anni, dove le percentuali sono rispettivamente il 28% degli uomini rispetto al 15% delle donne. Sebbene tra coloro che non hanno figli questa differenza di genere sia nulla (entrambi 20%), vi è comunque una percentuale più alta di donne che non ha risparmi (18%) rispetto agli uomini (9%).

Nonostante alcune delle disparità di genere qui riportate possano essere transitorie e legate all’attuale crisi, altre potrebbero avere conseguenze più incisive nel lungo periodo. È essenziale, pertanto prestare maggiore attenzione alle diverse situazioni vissute da donne e uomini durante la pandemia, per assicurare che il supporto sia diretto efficacemente alle categorie più colpite. È importante inoltre che l’inclusione economica e sociale delle donne sia al centro delle misure di ripresa. Questo non è solo per difendere i traguardi ottenuti negli ultimi decenni in termini di parità di genere o per correggere le ineguaglianze più radicate, ma anche per costruire un mondo più giusto e resiliente a beneficio di tutte e tutti.

Nota

Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle degli autori e non riflettono necessariamente quelle della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.
http://www.ingenere.it/articoli/il-prezzo-piu-alto-stiamo-gia-pagando?fbclid=IwAR22fqdRC3PkydPpe3sGZwF2YKRfOZuz0VXJc4EEpRgrIqx8XWgGtfYrny4

venerdì 26 giugno 2020

Lavoro: in un anno si sono dimesse 37mila neo mamme Ispettorato del Lavoro, sono il 73% del totale. Papà che lasciano sono circa 14mila


Lavoro: in un anno si sono dimesse 37mila neo mamme

Ispettorato del Lavoro, sono il 73% del totale. Papà che lasciano sono circa 14mila

"37mila mamme lasciano il lavoro", allarme dei sindacati

Il dato dell’Ispettorato del lavoro sul boom di dimissioni volontarie di neo mamme nel 2019 (oltre 37mila pari al 73% del totale) è "l'’ennesima allarmante conferma della difficoltà di essere madri e lavoratrici e di quanto siano necessarie forme positive di flessibilità del lavoro". Lo affermano la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti e la responsabile Politiche di genere della Cgil nazionale Susanna Camusso. "Chiediamo un incontro al governo - affermano le sindacaliste - perché l’occupazione femminile deve essere al centro dell’agenda per la ripartenza del Paese”.

"Oltre alla difficoltà di bilanciare occupazione e maternità- aggiungono Scacchetti e Camusso -, non solo in termini di giornate di congedo, emerge poi in modo evidente il cronico disinvestimento nella scuola per l'infanzia (0-6). Un servizio non sufficiente, con costi spesso troppo alti, e addirittura assente in alcune parti del Paese. La politica dei bonus non riduce questo divario: occorrono forti investimenti strutturali".

Per la Cgil “sarebbe però importante conoscere e utilizzare pienamente le informazioni che possono emergere da un’analisi compiuta dei dati sulle dimissioni volontarie, e per questo sollecitiamo un confronto urgente con Ministero del Lavoro, Ministero delle Pari opportunità e Inl. Non nascondiamo infatti la nostra preoccupazione che tra gli effetti della crisi covid 19 vi sia un pesante arretramento delle possibilità di ingresso e permanenza delle donne nel mercato del lavoro. Proprio perché qualche effetto è già visibile - sottolineano - riteniamo indispensabile che il lavoro femminile sia assunto come prioritario per la definizione dell'agenda per la ripartenza. Se così non fosse a rimetterci non sarebbero soltanto le donne, ma l'intero Paese, che già deve recuperare un divario negativo rispetto agli altri stati europei".

"I dati resi noti oggi dall'Ispettorato del lavoro sulle dimissioni volontarie delle donne madri del 2019 sono inaccettabili: è assurdo, nel 2020, constatare come la maternità, pur essendo tutelata dalla legge, rimanga una delle cause principali di allontanamento delle donne dal mondo del lavoro", dichiarano in una nota congiunta il Segretario confederale della Cisl, Giorgio Graziani, con delega a Donne e giovani e Liliana Ocmin, Responsabile Coordinamento Donne della Cisl.

"Come Cisl richiamiamo ancora una volta il Governo ad avere più coraggio nell’approntare strategie di rilancio del lavoro femminile, della maternità e soprattutto della condivisione della cura familiare ancora troppo sbilanciata sulle donne. Il Family Act della Ministra Bonetti, approvato di recente dal Consiglio dei Ministri rappresenta un buon punto di partenza ma va necessariamente migliorato ed attuato in tempi più rapidi, altrimenti si rischia di comprometterne l’efficacia", proseguono.

"Se vogliamo tutelare e proteggere il lavoro delle mamme lavoratrici e sostenere il desiderio di maternità delle coppie, occorre investire in servizi più adeguati alle esigenze delle famiglie e promuovere forme di organizzazione del lavoro più flessibili, soprattutto attraverso incentivi alla contrattazione", concludono.
https://www.adnkronos.com/soldi/economia/2020/06/24/mamme-dimettono-allarme-addio-lavoro-cgil-chiede-incontro-governo_HAqUXeBEWo3jbEvf6wxvhN.html?fbclid=IwAR2LgfNEhFyNbdnhLCVNf2aCUf_xzGLwKZPsN8jvRLnprkqF6pMdJR4eEyw

sabato 20 giugno 2020

Leosini agisce la rivittimizzazione secondaria in TV. La RAI applichi le raccomandazioni del GREVIO

Comunicati Stampa
“Un concentrato di insinuazioni, stereotipi sessisti, giudizi moralistici, colpevolizzazioni per la violenza subita, e giustificazioni del maltrattante in prima serata Tv. Si chiama vittimizzazione secondaria, succede ancora continuamente nelle aule dei tribunali, dove le donne che denunciano la violenza non sono credute”, nota Antonella Veltri, presidente di D.i.Re, Donne in rete contro la violenza. “Ieri questo trattamento è stato imposto a Sonia Bracciale, condannata a 21 anni e 2 mesi di carcere come mandante dell’omicidio del marito che per anni l’ha riempita di botte, umiliata, maltrattata, da Franca Leosini nel suo programma Storie maledette su RAI 3”.

“Da anni i centri antiviolenza subiscono le richieste da parte giornalistica di dare storie delle donne, meglio se le donne stesse, chiedendoci di fare da tramite per raggiungerle”, afferma Manuela Ulivi, presidente di CADMI, Casa di accoglienza delle donne maltrattate di Milano. “Lo scopo è sempre lo stesso: mostrare gli orrori subiti, le miserie vissute, ma con tutte le “precauzioni” del caso: anonimato, volto coperto, voce alterata, finendo per nascondersi loro come se dovessero vergognarsi, o peggio fossero responsabili della violenza subita dagli uomini”.

“La responsabilità ce l’ha anche lei come tutte le donne che non mollano il marito al primo schiaffone, ha detto Leosini ieri sera a Sonia Bracciale”, ricorda Ulivi.

“Al di là dell’incompetenza con cui una giornalista si permette di parlare a una donna che ha subito violenza senza avere una formazione e gli strumenti di base per affrontare un discorso tanto delicato, quanto complesso”, prosegue Ulivi, “ciò che emerge prepotente e insopportabile è l’eterno giudizio verso le donne che non se ne sono andate per tempo dal violento. Neppure quanto vengono ammazzate, si smette di giudicarle”.

“Un programma del genere non sarebbe andato in onda se la RAI applicasse le raccomandazioni del GREVIO, il Gruppo di esperte sulla violenza contro le donne del Consiglio d’Europa, che nel suo Rapporto sull’applicazione della Convenzione di Istanbul in Italia ha segnalato quanto i media continuino a perpetrare stereotipi e pregiudizi nei quali affondano le radici della violenza maschile contro le donne”, conclude Veltri.
https://www.direcontrolaviolenza.it/leosini-agisce-la-rivittimizzazione-secondaria-in-tv-la-rai-applichi-le-raccomandazioni-del-grevio/?fbclid=IwAR0M4idZrfFDg1uNgubqHv1tNURvhixQEhexr9lApME5P7T1VQps4PiLLCc

martedì 16 giugno 2020

Il prezzo carissimo del lockdown di donne e giovani lavoratori. Sabbadini (Istat): «Situazione drammatica» di Giovanni Ruggiero

Nel calo generale dell’occupazione durante il blocco delle attività economiche, i più colpiti sono stati gli under 35 e le donne

Uno dei prezzi più cari che l’Italia sta già pagando, dopo tre mesi di lockdown per l’emergenza Coronavirus, riguarda il crollo drastico dei posti di lavoro. E il conto più salato lo stanno pagando le donne e i giovani. L’analisi su Repubblica di Linda Laura Sabbadini, a capo della direzione centrale dell’Istat, conferma numeri alla mano la realtà durissima che sta vivendo una parte importante della popolazione italiana, non solo per entità, ma soprattutto per il suo peso specifico sul futuro del Paese, a questo punto seriamente compromesso.

Tra marzo e aprile, ricorda Sabbadini, ci sono stati 400 mila occupati in meno, 274 mila solo ad aprile. Una cifra però che non include i cassintegrati, esclusi dal dato statistico della disoccupazione. Il passaggio del lockdown è stato un vero e proprio tifone sociale, che si è abbattuto sul mercato del lavoro italiano ribaltando i rapporti tra occupati giovani e anziani, donne e uomini.

«L’occupazione è calata per uomini e donne, giovani e adulti. Ma al tempo stesso ha colpito di più donne e giovani di 25-34 anni.
Nella recessione degli inizi degli anni ’90 e tra il 2008 e il 2009 ad essere colpiti furono di più gli uomini, perché l’industria e le costruzioni furono i settori che più ne risentirono. Le donne, tradizionalmente più inserite nei servizi, persero, sì, anche loro occupazione, ma in percentuale più bassa. Ora la situazione si è capovolta (-2,3% di occupate, -1,3% di occupati)».

È l’effetto del crollo economico per settori come quello alberghiero e della ristorazione, compreso tutto il comparto turistico, dove fisiologicamente lavorano più donne e più giovani. Ed è proprio per loro che la situazione «appare veramente drammatica», sottolinea Sabbadini:

«Alla vigilia del Covid dovevano ancora recuperare 8 punti percentuali rispetto ai tassi di occupazione del 2008. E ora ne hanno persi altri 2 in due mesi. Allora i giovani presentavano un tasso di occupazione superiore ai 50-64enni di 23,7 punti percentuali. In aprile 2020 i 50-64enni li superano (60,7 contro 60,4 per cento). I giovani di 25-34 anni sono sempre di meno tra gli occupati, solo il 17 per cento».

Davanti a queste cifre da brividi, Sabbadini si interroga: «Se non investiamo una volta per tutte, decisamente su di loro e sulle donne, come rilanceremo il nostro Paese?».
https://www.open.online/2020/06/07/prezzo-carissimo-lockdown-donne-giovani-lavoratori-sabbadini-istat-situazione-drammatica/?fbclid=IwAR3WSfpmzOAdk3Cawyrh4aYbynorWI-ydkz3UG7YDN1kBRAQimSEMKyYb_8

domenica 14 giugno 2020

Naufragio in Tunisia, nessun superstite è strage di donne di Carlo Lania

Migranti. La Marina tunisina recupera 48 salme, tra le quale anche quelle di due bambini. Le ong: «Basta morti, serve una missione europea»

Una strage di donne. Più passano i giorni e più assume le dimensioni di una immane tragedia il naufragio del barcone carico di migranti affondato sei giorni fa davanti alle coste tunisine. Della 53 persone che si trovavano a bordo, la maggior parte della quali migranti subsahariani, nessuna sarebbe sopravvissuta. Le autorità tunisine ieri hanno comunicato di avere recuperato 48 cadaveri, ma c’è chi parla di 52 salme.

E la maggior parte dei corpi appartiene a donne e ragazze – una delle quali incinta – che cercavano di raggiungere l’Italia. Molti, anche se il numero rimane per ora imprecisato, anche i bambini che si trovavano sul vecchio peschereccio partito dalla città di Sfax nella notte tra il 4 e i 5 giugno scorsi. «Questo naufragio ci colpisce anche perché ha causato la morte di molte donne, ragazze subsahariane partite dalla Tunisia e alcune di loro probabilmente potenziali vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale o domestico» commenta Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim).

Si deve probabilmente alle cattive condizioni meteorologiche l’ultimo naufragio del Mediterraneo. I problemi il barcone, che aveva a bordo molte più persone di quante avrebbe potuto portarne, sarebbero cominciati non molto dopo la partenza, quando si trovava nello specchio di mare compreso tra El Louza e Kraten, al largo delle isole Kerkannah. Le partenze dalle coste tunisine hanno avuto un ulteriore incremento a partire dall’inizio dell’anno, più 156% rispetto al 2019 secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (ieri un gruppo di 49 tunisini, a bordo di un barcone di circa 15 metri, è approdato a Lampedusa).

E a partire, oltre a tunisini, sono migranti provenienti dall’area subsahariana tra i quali molte donne, in particolare ivoriane, 260 delle quali registrate nel nostro Paese dal primo gennaio al 31 maggio. Per tutti la mèta è sempre l’Europa, con l’Italia, e in particolare l’isola di Lampedusa, come primo approdo. Viaggi che troppo spesso si trasformano in tragedie. Sempre l’Oim parla di almeno 157 persone morte dall’inizio dell’anno nel tentativo di attraversare il Mediterraneo centrale, che si conferma come la rotta più pericolosa del mondo.

Dopo mesi, da pochi giorni le navi delle ong hanno ripreso a pattugliare il mare pronte a soccorrere le imbarcazioni dei migranti in difficoltà. E’ così per la nave Sea Watch dell’omonima ong tedesca, seguita dalla Mare Jonio della piattaforma Mediterranea, mentre è in procinto di partire la Ocean Viking della francese Sos Mediterranée. Una flotta di soccorritori privati che colmano il vuoto lasciato dall’Unione europea. «Siamo stanchi di contare i morti nella grande fossa comune che il Mediterraneo è diventato», ha ricordava ieri Valeria Carlini, portavoce del Cir, il Consiglio italiano per i rifugiati tornando ancora una volta a chiedere che «venga ripristinata una missione di ricerca e soccorso che coinvolga i paesi dell’Unione europea».

Anche perché abbiamo di fronte un’estate durante la quale è sicura una ripresa in massa delle partenze. «La fuga via mare sembra ancora essere l’unica soluzione per le persone intrappolate in Libia», sottolinea Medici senza frontiere ricordando come nel Paese nordafricano oltre alle organizzazioni criminali, a spingere i migranti a prendere il mare ci sono anche la guerra e la pandemia di coronavirus. «Pur riconoscendo l’importanza delle azioni di salvataggio condotte da vari attori della società civile, l’Oim ribadisce la richiesta di rafforzare il ruolo degli Stati nelle operazioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo, il cui attraversamento rimane il più mortale nel mondo», è invece l’appello dell’organismo dell’Onu.

Appello al quale in serata si è associata anche Emma Bonino: «Altre persone morte nel silenzio generale», ha detto la senatrice di +Europa. «Erano su una barca, non ci sono foto e nemmeno video. Lontano dagli occhi, invisibili al cuore. Nessun superstite. Tra i morti anche donne e bambini di 2-3 anni. Di quante altre morti dobbiamo leggere per capire che si tratta di esseri umani?».
https://ilmanifesto.it/naufragio-in-tunisia-nessun-superstite-e-strage-di-donne/?fbclid=IwAR3wm-v1nraEVS4KEw3IS5ns_9EnVlu7IdyasE0EYxLLRnCzXN9QXnv8BY8

venerdì 12 giugno 2020

Ecco le MUM (Mamme Ufficialmente Malmesse)

La nuova "didattica a distanza" è conosciuta come DAD, che in inglese vuol dire papà. Avremmo dovuto chiamarla MUM (Mamme Ufficialmente Malmesse). Sono le madri italiane, infatti, che hanno retto la baracca educativa e familiare nei mesi della pandemia. E continuano a farlo. Sentiamo parlare di plexiglass, orari flessibili, classi ridotte. Una cosa è certa: siamo stati i primi a chiudere, saremo gli ultimi a riaprire. Si può dire? Per le famiglie con bambini qualcosa di più si sarebbe dovuto fare. Non si capisce perché i bimbi possano trovarsi nei parchi, nei centri estivi, presto sulle spiagge. A scuola, no. Abbiamo sottovalutato l'impatto della chiusura su bambini e ragazzi. L’attenzione - della politica, dei media, dell'opinione pubblica - era su altre due generazioni: quella dei nonni, vulnerabile dal punto di vista sanitario; e quella dei genitori, alle prese con il crollo del reddito. Ai figli abbiamo pensato meno. Ci sembravano fisicamente e psicologicamente forti, se la sarebbero cavata. Con senno di poi, possiamo dirlo: che sciocchezza.  Ai bambini e agli adolescenti è stato sottratto il lato sociale e divertente della scuola, lasciando il resto (studio, compiti, voti). Il peso delle novità s'è scaricato in parte sui docenti, costretti a reinventarsi (molti ci sono riusciti, alcuni non ce l’hanno fatta, qualcuno non ci ha nemmeno provato). Ma sopratutto sulle mamme, che hanno dovuto combinare lavoro da casa, lavoro in casa e aiuto scolastico ai figli. Una conferma? Il 72% delle persone rientrate al lavoro nella Fase 2 erano uomini.  Alessia Mosca e Francesco Luccisano hanno ricordato sul "Foglio" che, di 8 milioni di studenti italiani, 850mila non hanno gli strumenti per la didattica a distanza; degli altri, il 57% li condivide con altri membri della famiglia. E questo modo d'insegnamento taglia fuori i più vulnerabili: disabili, studenti a rischio d'abbandono, famiglie a basso livello di alfabetizzazione (per elementari e medie, la distanza richiede il contributo dei genitori). E poi c'è la sensazione d'abbandono. Paola A., insegnante alle elementari, mi ha raccontato di una bimba che si rifiuta di fare i compiti se non le piazzano davanti una fotografia della maestra.  A settembre vogliamo chiuderla dentro il plexiglass?
http://italians.corriere.it/2020/06/08/ecco-le-mum-mamme-ufficialmente-malmesse/?fbclid=IwAR3h2aKHOoJ4QXuuhEkFW_En9HcfykSaZmlwXBc1iaIMMjaNaKCcQ7k1uQ0