venerdì 20 marzo 2020

grazie a queste donne meravigliose


Smart working, lavoro domestico, cura dei figli, violenze: quanto pesa l’emergenza coronavirus sulle donne con basso reddito di Giada Ferraglioni

Tra un hashtag su twitter e una sessione yoga sul balcone, resistono problemi che, spesso, gravano sulla schiena di donne che non guadagnano abbastanza per liberarsi del lavoro domestico

Quanto è grande una casa? Troppo, per chi deve gestire il lavoro domestico e di cura parallelamente (e contemporaneamente) al lavoro retribuito. Troppo poco, per le persone costrette a lavorare da remoto con tutta la famiglia in casa, senza che si abbia una piano dove isolarsi o una stanza in più nella quale chiudersi qualche ora. L’emergenza coronavirus, che ha imposto lo stop delle scuole, la chiusura delle attività «non essenziali» e che ha incoraggiato il lavoro da remoto è un fardello che pesa ancora una volta sulle donne dai redditi medio-bassi.

Nei giorni che hanno seguito il decreto presidenziale del consiglio dei ministri del 9 marzo – quello che ha reso tutta l’Italia una «zona protetta» – la romanticizzazione della quarantena nelle mura domestiche è diventata il leitmotiv dei social network e dei messaggi televisivi. #Iorestoacasa è l’hashtag del momento: immagini di celebrità che vedono un film e ci ricordano «quanto è comodo il divano di casa», messaggi di atleti professionisti che si allenano nelle sale da pranzo, story di libri sul comodino da leggere nelle lunghe e vuote ore dell’ “isolamento”.

La realtà, però, per una gran fetta del Paese, è ben diversa. Senza scomodare la tragedia di chi una casa dove vivere e lavorare non ce l’ha, alla narrazione ottimistica della quarantena nelle mura domestiche si accosta tutta una serie di problematiche enfatizzate dalla costrizione allo spazio privato. Come ha sottolineato il New York Times, il fardello delle misure emergenziali contro la diffusione del Covid19 ricade «in maniera particolarmente dura sulle donne, che in tutto il mondo sono ancora le maggiori responsabili della cura dei figli».

«Lavoro da casa e lavoro di casa: praticamente lavoro 24 su 24», scrivono su Facebook le attiviste di Non Una di Meno, il movimento femminista che in questo periodo si sta facendo portavoce delle istanze delle donne che non hanno i privilegi economici per poter far fronte all’emergenza. L’eco del problema è arrivato anche al governo, che con il decreto “Cura Italia” del 16 marzo ha stanziato 1,2 miliardi per il voucher baby sitter o, in alternativa, un congedo parentale per le assenze straordinarie di questa fase, pari al 50% della retribuzione.

Se saranno o meno misure sufficienti (oltre che decisioni emergenziali) sarà l’esperienza di milioni di famiglie a testimoniarlo – posto che resterà comunque difficile conciliare smart working e bonus baby sitter in una casa non abbastanza grande da dividere gli spazi. Ma di certo il Covid19 ci mette davanti, ancora una volta, alla necessità di rivedere la divisione dei ruoli nel lavoro di cura, costringendoci a guardare la quantità di lavoro domestico non retribuito portato avanti dalle donne.

A tal proposito, stando a uno studio pubblicato dall’Usb (Unione Sindacale di Base) dal titolo «I lavori delle donne tra produzione e riproduzione sociale», le italiane, insieme alle romene, sono al primo posto nell’Unione Europea per quantità di tempo speso nel lavoro di cura, con una media di 5 ore. Gli uomini occupati, al contrario, dedicano 1 ora e 47 minuti al lavoro domestico e di cura non retribuito. Sono all’ultimo posto, insieme ai greci, nella classifica europea.

E se la casa non è sicura?
A complicare ancora di più il quadro c’è la questione delle violenze domestiche. La standardizzazione di un modello familiare da mulino bianco difficilmente aiuterà le donne che subiscono abusi ad essere tutelate durante il periodo di isolamento. Secondo uno studio dell’Istat, 2 milioni e 800 mila donne hanno subito violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner (il 13,6% delle intervistate). Le forme più gravi di violenza sono esercitate proprio dalle persone più vicine (partner, parenti o amici): gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi dai propri compagni, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici. Anche le violenze fisiche (come gli schiaffi, i calci, i pugni e i morsi) sono per la maggior parte opera dei partner (o ex).

«In questi giorni di emergenza sanitaria ci viene chiesto di rimanere a casa per la nostra e altrui sicurezza», scrive in un appello su Facebook Lucha y Siesta, una delle poche strutture d’assistenza per le donne a Roma, che si occupa anche di dare asilo e supporto a chi è stata vittima di violenze. «Pur convinte che le disposizioni del decreto siano le uniche possibili in questo momento, sappiamo che per alcune donne, la propria casa non è affatto sinonimo di sicurezza, anzi».

«Per tante donne, andare a lavoro o accompagnare i bambini a scuola – si legge ancora – significa poter sfuggire anche solo per poco alle dinamiche di violenza domestica e di potere nelle quali vivono tutti i giorni, e al momento ciò non è possibile. Sappiamo anche che in periodi di crisi, come quella che stiamo vivendo, le dinamiche violente si acuiscono». Le sfaccettature della vita domestica, dunque, sono molto più problematiche di quanto non si pensi.
https://www.open.online/2020/03/17/coronavirus-smart-working-lavoro-domestico-cura-figli-emergenza-ricade-su-donne-con-basso-reddito/?fbclid=IwAR0byiyVUN_cT1YfavdsCfybwzlAfGyfoJ5xZQbzk1FgDokwQt-TMVQoOYk

giovedì 19 marzo 2020

( Kitty O’Meary. 1839- 1888)

E la gente rimase a casa
E lesse libri e ascoltò
E si riposò e fece esercizi
E fece arte e giocò
E imparò nuovi modi di essere
E si fermò
E ascoltò più in profondità
Qualcuno meditava
Qualcuno pregava
Qualcuno ballava
Qualcuno incontrò la propria ombra
E la gente cominciò a pensare in modo differente
E la gente guarì.
E nell’assenza di gente che viveva
In modi ignoranti
Pericolosi
Senza senso e senza cuore,
Anche la terra cominciò a guarire
E quando il pericolo finì
E la gente si ritrovò
Si addolorarono per i morti
E fecero nuove scelte
E sognarono nuove visioni
E crearono nuovi modi di vivere
E guarirono completamente la terra
Così come erano guariti loro


venerdì 13 marzo 2020

Parità di genere: le scienziate hanno un Piano. E un target


In Lombardia un progetto europeo per promuovere l'uguaglianza nella ricerca biomedica
SONO molte le scienziate in prima linea nella ricerca e nella cura del coronavirus, in Italia e nel mondo. Da Roma a Milano, dagli ospedali e dai centri di ricerca, ne abbiamo visto i volti e ascoltato le voci. Alcune di loro sono molto famose e giustamente adesso spesso interpellate dai media; altre sono uscite dall’ombra – e volte anche dalla precarietà – in seguito all’emergenza in atto. Ma quali sono, in tempi ordinari, gli strumenti e i piani di azione per promuovere la parità di genere nella scienza come negli altri ambiti lavorativi?

Uno di questi si chiama Gep, che sta per “Gender equality plan”. Si tratta di un piano di azione con il quale un’istituzione mette in fila misure, azioni e strumenti per l’implementazione, il monitoraggio e la valutazione di politiche per l’eguaglianza di genere. Il tutto nella convinzione che la parità di genere nella scienza non solo è giusta, ma è utile: da tempo ormai gli studi sulle gendered innovations hanno mostrato che sottovalutare il genere nella ricerca può infatti comportare rischi e mancate opportunità di business. Di recente un Gep è stato adottato, proprio nel campo della ricerca medica, dalla Fondazione Regionale per la Ricerca Biomedica (FRRB) della regione Lombardia, Partner del progetto europeo Target (Taking a reflexive approach to gender equality for institutional transformation), finanziato con fondi europei. Dopo aver riscontrato, in una prima analisi, che nella maggioranza degli enti ospedalieri e degli istituti di ricerca lombardi il Gep (o un documento analogo) non era presente, la Fondazione si è impegnata, nell’ambito del progetto Target e attraverso i suoi bandi di finanziamento alla ricerca biomedica, a sensibilizzare i vertici delle istituzioni sul tema e a stimolare una “riflessione” sull’importanza di tale misura. Uno dei punti dolenti, come spesso succede, riguarda la presenza delle donne negli organi decisionali, quasi sempre minoritaria.

Da questo punto di vista, la struttura della FRRB è una parziale eccezione: il suo staff è composto da sette persone, di cui sei donne. Una donna ricopre la carica di direttore generale. Il Gender equality plan della Fondazione si basa su tre aree principali, ciascuna delle quali comporta azioni specifiche. La prima è nella dimensione interna, e mira alla promozione di una organizzazione inclusiva dal punto di vista di genere; la seconda è nella dimensione esterna, e prevede l’integrazione della dimensione di genere nella ricerca e nella comunità scientifica; la terza di propone di combattere gli squilibri di genere nel processo decisionale.

Il progetto è realizzato con il contributo della Commissione Europea. Dei contenuti editoriali sono ideatori e responsabili gli autori degli articoli. La Commissione non può essere ritenuta responsabile per qualsivoglia uso fatto delle informazioni e opinioni riportate.

mercoledì 11 marzo 2020

I CONSULTORI SPIEGATI ALLE RAGAZZE, ECCO PERCHÈ SONO UNA CONQUISTA DA NON PERDERE

Figli delle lotte femministe sono spesso un avamposto culturale ed educativo per la sessualità

Consultori, alzi la mano la ragazza che sa di cosa si tratta. Eppure sono stati una conquista delle lotte femministe degli anni Settanta, una richiesta pressante di quelle manifestazioni dell'8 marzo dell'epoca. Oggi che la giornata internazionale della donna, l'8 marzo, continua a significare moltissimo è bene ricordare alle giovani di oggi di cosa si tratta e della loro importanza. Sono strutture di ascolto, di prevenzione e cura nate nel 1975, hanno introdotto principi straordinariamente innovativi ancora oggi nell'ambito dell'assistenza sociale e sanitaria con servizi erogati in modo gratuito (o col pagamento di un ticket). Negli anni purtroppo hanno seguito un percorso non lineare e oggi sono almeno la metà del numero minimo stabilito dalla legge. Ad esempio l'offerta gratuita di profilattici viene erogata nel 25% dei centri e gli interventi mirati all'educazione all'affettività e alla promozione della salute nelle scuole riguarda meno della metà dei servizi.Per questo abbiamo fatto una piccola indagine sul territorio. Eccola

Pietralata, borgata popolosa della periferia romana. Anna è giovane, seduta su una poltrona della nursery con pareti colorate e giocattoli ovunque, stringe la sua bimba al seno per allattarla e sembra una neomamma fiera. Invece improvvisamente scoppia a piangere. “Le mamme sono tanto sole oggi e la depressione perinatale interessa in media il 14% di loro. Da noi cala al 6%. Abbiamo la porta sempre aperta. Ascoltiamo, assistiamo, aiutiamo e creiamo reti di supporto per le donne di tutte le età, - spiega Patrizia Proietti, responsabile delle ostetriche dei consultori della ASL Roma 2, in tutto 21 centri. Livia ha quindici anni e non sa nulla sulla contraccezione. Ai suoi primi rapporti sessuali, aveva letto informazioni distorte in internet sentendosi persa. Patrizia si sfoga perché si sente troppo grassa mentre Giulia è vittima di episodi gravi di bullismo in classe. Anna, Maria e Giovanna arrivano insieme il mercoledì per lo spazio libero interamente dedicato agli adolescenti. Tutte le adolescenti pongono domande agli operatori su temi femminili fra i più delicati, intimi, affettivi, fondamentali per la loro crescita. Un centinaio di queste ragazzine, nell'arco del 2019, è approdato qui per ricorrere all'interruzione di gravidanza ed è per questo che gli operatori della zona intensificano gli interventi di sensibilizzazione di ragazze e ragazzi sui temi della sessualità chiedendo la collaborazione degli istituti scolastici limitrofi. Ragazzine, donne adulte e dei capelli bianchi, di ogni fascia di reddito, nei periodi più fragili della vita varcano la soglia di questa struttura, piccolo miracolo romano che ha anche ottenuto dall’UNICEF il riconoscimento di ‘Comunità amica dei bambini’ ma che purtroppo non costituisce la regola a livello nazionale.

E' in previsione dell'imminente festa delle donne che parliamo di consultori di tutta la penisola perché sono stati una conquista delle ragazze degli anni settanta ma che purtroppo le teenagers di oggi neanche conoscono. Sono destinati all'estinzione?
“In media le adolescenti non sanno dell'esistenza di queste strutture di ascolto né conoscono i servizi offerti di cui loro hanno pienamente diritto. La legge, che ne prevede la diffusione capillare sul territorio, è spesso disattesa, - sottolinea Elisabetta Maiorana, assistente sociale. - Mancano le sedi o hanno poco personale, soprattutto nei quartieri più disagiati dove aumenta il numero delle donne in difficoltà”.

“Abbiamo un consultorio ogni 35.000 cittadini benché dovremmo averne uno ogni 20.000 così come previsto dalla legge 34/96. La differenza tra le regioni è marcata che in sette aree della penisola il numero medio di abitanti per consultorio è superiore a 40.000” - attesta tristemente un report l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) condotto nel 2019. "Su 1.800 strutture emerge che il numero sul territorio nazionale è quasi la metà in rapporto ai bisogni della popolazione. Invece laddove ci sono, nonostante la frequente indisponibilità di risorse dedicate e la carenza di organici, svolgono una insostituibile funzione sociale di informazione e sostegno della donna in tutte le fasi della vita ma anche a coppie, uomini e famiglie intere," - conclude Laura Lauria, responsabile del report.

http://www.ansa.it/canale_lifestyle/notizie/teen/2020/03/01/i-consultori-spiegati-alle-ragazze-ecco-perche-sono-una-conquista-da-non-perdere_0ed1ecaa-e19c-4f95-94a2-329f81810578.html?fbclid=IwAR3fEmxAfB6a1ahSLPeKD3Pc25H_FLgWPedjKf

martedì 10 marzo 2020

SEVEN WOMEN UN FILM ONESTO E DAL CUORE SINCERO CHE SFIORA CON GENTILE LEGGEREZZA I GRANDI TEMI DEL FEMMINISMO. Recensione di Ilaria Ravarino

SEVEN WOMEN
Regia di Yvonne Sciò. Un film con Susanne Bartsch, Alba Clemente, Fran Drescher, Bethann Hardison, Patricia Field, Rula Jebreal, Rosita Missoni. Genere Documentario - Italia, 2018, durata 56 minuti.

Un racconto di storie, talvolta, difficili ma anche di riscatti, di sogni e di passioni; un viaggio privato nella vita delle protagoniste attraverso la loro voce.

Ha l'andamento di un raffinato videoclip, musica elettronica e immagini patinate, le luci di New York by night e una calda voce fuori campo a tenere unite le storie. Sette storie di donne: ma che donne.

Seven Women di Yvonne Sciò - seconda prova da regista per l'artista romana dopo Roxanne Lowit Magic Moments - non rivoluziona la forma del documentario, tutto giocato su un'estetica cool da shooting di moda, ritmo serrato e luce bianca, interviste ora "sedute" ora realizzate nella quotidianità dei soggetti raccontati. Eppure, alla semplicità basica della forma, il film riesce a opporre una grande ricchezza di contenuti, attraverso la selezione di storie di resilienza, resistenza, rivoluzione e dolcezza, capaci di raccontare, senza eccessiva retorica, una parte complessa del mondo femminile.

Giuste le storie e giustissimo l'approccio, con la regista che scompare dietro alle immagini scavando "da invisibile" nei caratteri: il rapporto diretto di fiducia con le intervistate - giornaliste, attrici, stiliste, modelle, artiste - si traduce, in alcuni momenti illuminati, in piccoli, schietti, quadri di straordinaria normalità.

Ne è un esempio il rapporto che Sciò costruisce con Fran Drescher, ex parrucchiera diventata negli anni Novanta star del telefilm La Tata, la cui vita, proprio all'apice del successo, fu sconvolta da una terribile rivelazione: seguendola nel tour promozionale di Hotel Transylvania 2, mentre prepara la sua cena a base di papaia, uovo e bacon (incredibile come l'estetica flou del film riesca a rendere accattivante persino questa ricetta), Drescher parla di sé e della propria intimità con una serenità quasi disarmante, innegabile frutto della complicità instaurata con la regista.

Più severa Rula Jebreal, la giornalista palestinese incontrata e conosciuta da Sciò ben prima che Sanremo la catapultasse nelle case degli italiani, con la sua storia di rivincita legata all'istruzione: "L'alternativa sarebbe stata sposarmi - racconta nel documentario - O diventare uno strumento nelle mani di qualche fazione politica".

L'approccio di Sciò, amichevole e "dal basso", riesce a umanizzare storie di grandissimo successo, come quella di Rosita Missoni, che ripercorre la nascita dell'azienda fondata col marito Ottavio, o di Patricia Field, la rossa costumista di Meryl Streep, pur mantenendo il fuoco anche su storie di femminilità combattente: così viene raccontata la prima top model di colore, Bethann Hardison, attivista e amica di Andy Warhol - personaggio che ricorre anche nei ricordi di un'altra donna, Alba Clemente, musa e modella per la Factory.

Un film onesto, dal cuore sincero, che sfiora con gentile leggerezza i grandi temi del femminismo senza pretese di womensplaining - un feel good movie su sette grandi donne arrivate a ricoprire esattamente il posto che volevano nella storia.
https://www.mymovies.it/film/2018/7-women/#recensione

domenica 8 marzo 2020

8 Marzo 2020 – S-Corteo Transfemminista Per #lottomarzo era previsto il grande corteo cittadino in occasione dello sciopero globale transfemminista 2020, in contemporanea a 80 città in Italia e migliaia in tutto il mondo.




#LottoMarzo: S-Corteo transfemminista!
 Per #lottomarzo era previsto il grande corteo cittadino in occasione dello sciopero globale transfemminista 2020, in contemporanea a 80 città in Italia e migliaia in tutto il mondo.

La Lombardia, che trascina con sé anche Milano, è l’epicentro dell’emergenza Coronavirus in Europa: non vogliamo costruire una manifestazione che escluda i soggetti più vulnerabili ed esposti ai pericoli reali del virus, per questa ragione non potremo trovarci tutte, tutti e tuttu insieme come avremmo desiderato.

Non possiamo però rinunciare a questa giornata di lotta: contro la violenza maschile sulle donne e di genere, contro le aggressioni omotransfobiche, per un welfare e un reddito di autodeterminazione per non lasciare indietro nessun*.

Leggi il testo di lancio dell’8M 2020
Leggi perchè abbiamo scelto lo S-Corteo

Ecco perché #lotto marzo non sarà Corteo ma S-CORTEO!
S-corteo è non restare sol* chiusa in casa
S-corteo È NON rimanere isolat* con la propria paura
S-corteo è un invito, a tutte le persone che l’8 marzo nel pomeriggio vorranno attraversare il centro cittadino, a farlo indossando qualcosa di fucsia così da riconoscerci a vicenda
S-corteo è combattere la violenza maschile sulle donne e di genere
S-corteo è non rinunciare a #LottoMarzo per alimentare un esperimento sociale che approfitta di un virus per attaccare diritti e libertà
S-corteo è denunciare i responsabili del clima di angoscia e paura
S-corteo è puntare il dito contro chi alimenta xenofobia e razzismo
S-corteo è delegittimare la caccia all’untore, l’inseguimento forcaiolo del paziente numero 0 e la ricerca di capri espiatori
S-corteo è opporsi con forza alla devastazione ambientale e al genocidio degli animali
S-corteo è smascherare chi ha ridotto la sanità pubblica in ginocchio e sostenuto solo i privati
S-corteo è pretendere welfare e reddito di autodeterminazione per tutt*, contro la violenza economica
S-corteo è per chi è costrett* a casa senza entrate economiche
S-corteo é per chi è mess* in ferie obbligate
S-corteo è per le persone che lavorano nelle imprese di pulizia e sanificazione, costrette a straordinari mal pagati
S-corteo è denunciare le morti a cui ormai siamo così tanto abituat* da sembrare la norma: 1 donna* uccisa ogni 3 giorni
S-corteo è non dimenticare chi in “quarantena” ci finisce per la propria stessa esistenza, magari in un CPR di imminente apertura o in un campo di detenzione per profughi
S-corteo è ribellarsi alla chiusura delle frontiere dinnanzi a chi fugge da guerre e sofferenze
S-corteo è urlare a gran voce che ci vogliamo viv*, san* e anche liber* e felici
S-corteo é disegnare insieme la città transfemminista

Sì, ma nella pratica che cos’è uno S-Corteo?
È la creatività transfemminista che esorcizza la paura, che prende precauzioni contro il virus, ma anche contro violenza e solitudine.

Ovunque tu sia, per casa o per la via, ecco come partecipare:   

Indossa il panuelo (trovi le istruzioni per farlo tra i materiali da scaricare – qui sotto)
Crea il tuo cartello #IoLottoPerché
Se puoi esci e portalo davanti a un luogo per te simbolico – nel bene o nel male – della città.
Possono essere luoghi classici da difendere o denunciare o luoghi sconosciuti che raccontano la tua lotta personale.
Scatta una foto e condivila con @nonunadimenomilano e mandaci la storia via audio sulla mail nonunadimenomilano@gmail.com o sui canali social
Sciopera dai consumi e non fare la spesa – se per l’emergenza si ferma tutto tranne la grande distribuzione, fermiamola noi
Ferma, rallenta o condividi il lavoro di cura – riprenditi un po’ del tuo tempo
Appendi uno striscione/qualcosa di fuxia alla tua finestra
Indossa qualcosa di fuxia
Condividi foto/video/messaggi vocali con noi
Collegati alla nostra radio e raccontaci la tua lotta: http://abbiamoundominio.org:8000/lottomarzo.mp3
https://nonunadimenomilanoblog.wordpress.com/

sabato 7 marzo 2020

L'8 marzo al tempo del virus

Strano questo 8 marzo 2020 quando un virus si aggira per il mondo, colpisce corpi individuali e corpi collettivi, rischia di aggiungere a muri concreti muri virali.

Ha una lunga storia la “Giornata internazionale della donna”, un secolo di protagonismo femminile diversamente connotato ed agito.

Quest'anno in alcune parti del mondo l'8 marzo sarà silenziato.

Un emergente virus invisibile ma globale blocca “prudentemente” ogni forma di raggruppamento. Nelle piazze non risuoneranno le voci delle donne che richiedono diritti economici, politici, sociali, culturali. Niente sciopero femminista. Niente dibattiti e riflessioni comuni. Niente feste private o pubbliche.

Un brutto 8 marzo ed un brutto momento.

Accanto al virus influenzale che infetta i corpi individuali, rischia di circolare un altro virus che infetta anche il corpo sociale. Un virus che ci fa chiudere in casa, ci fa diffidare di chi ci sta attorno, ci fa vedere untori dappertutto e ci fa erigere nuovi muri che dovrebbero difenderci da un “nemico” che sta fuori da noi. Ed il nostro pensiero va a quanto sta succedendo a Lesbo, isola greca oggi tristemente famosa per i brutali respingimenti di migliaia di uomini, donne, bambini e bambine che provenienti dalla Siria e dall'Afghanistan chiedono di entrare in Europa.

Un 8 marzo in un tempo sospeso, tempo che potrebbe essere utilizzato per pensare e ripensare con resilienza alla nostra civiltà, ai rapporti sociali, al lavoro, all'economia, alla scuola ed alla sanità pubblica, alle migrazioni restando UMANE ed UMANI.

Anche noi abbiamo congelato il nostro 8 marzo centrato quest'anno sul racconto del talento delle donne che nei primi venti anni del XXI secolo hanno raggiunto traguardi storicamente negati infrangendo tabù, pregiudizi, stereotipi che la società maschilista e patriarcale ha loro imposto per secoli.

In questo clima di preoccupazione, senza trionfalismi, crediamo doveroso ricordare il team di scienziate ricercatrici guidate da Concetta Castilletti che all'Istituto Spallanzani di Roma ha isolato la sequenza  del Coronavirus ed il considerevole numero di donne, ricercatrici, mediche, infermiere impegnate con competenza e professionalità negli ospedali, nei laboratori e negli studi.

Un grazie a tutta la Comunità Scientifica, donne e uomini di scienza, che con la ricerca e la cura cercano di arginare la diffusione del virus che rischia di infettare i corpi e grazie anche alle donne ed agli uomini della politica non urlata e non  legata all'interesse partitico che cercano di fermare il diffondersi del virus dell'intolleranza che rischia di infettare il vivere civile e la democrazia.

Corsico 8 marzo 2020

La violenza contro le donne: una pandemia globale. Presentato il rapporto di UN Women di Tiziana Ferrario

A un quarto di secolo dalla conferenza di Pechino sui diritti delle donne nel mondo, i dati presentati alle Nazioni Unite sono chiari: siamo lontani dalla parità di genere

Alla vigilia della festa internazionale della donna dell'8 Marzo, al Palazzo di Vetro dell'ONU la direttrice di UN Women Phumzile Mlambo Ngcuka ha presentato il rapporto "Gender Equality: Women's Rights in Review 25 Years After Beijing", e poi ha dichiarato ai giornalisti: "Non c’è paese immune dalla violenza contro le donne"

Il rapporto di UN Women

Sono passati 25 anni da quella prima conferenza di Pechino sui diritti delle donne piena di buoni propositi e speranza, ma è un compleanno triste. I dati presentati oggi dalle Nazioni Unite mostrano che quanto conquistato con tante battaglie è sotto minaccia. I progressi fatti verso la parità stanno subendo una battuta di arresto se non addirittura di arretramento. Quello slogan, diventato il leit motiv di tante manifestazioni, lanciato da Hillary Clinton a Pechino” i diritti delle donne sono diritti umani, i diritti umani sono i diritti delle donne” appare sempre più polveroso davanti alle nuove emergenze che rendono la vita delle donne sempre più difficile. La sfida del cambiamento climatico, le disuguaglianze, i conflitti e l’allarmante ascesa di politiche che escludono i più deboli, impediscono una parità reale.

“Nessuno Stato sinora l’ha raggiunta” ha dichiarato la direttrice di UN Women Phumzile Mlambo Ngcuka. “Parità non  è solo avere un posto su 4 al tavolo del potere. Questa purtroppo è la reale rappresentazione delle donne nel mondo. Gli uomini detengono il 75 % dei posti nei Parlamenti, Il 73 % nei vertici delle aziende, il 70% tra i negoziatori sul clima e nelle trattative di pace. Questo non è un mondo inclusivo e paritario. Dobbiamo agire per crearne uno che non discrimini le donne, chiede  Phumzile Mlambo Ngcuka. Solo META’ è una divisione equa e paritaria  e solo Metà può considerarsi sufficiente”.

Il rapporto presentato a New York non è solo un elenco di fatti negativi. Per fortuna in questi 25 anni sono stati fatti anche progressi, ma troppo lenti. Più bambine vanno a scuola anche se 32 milioni ne sono ancora escluse,meno donne muoiono di parto, il numero delle parlamentari è raddoppiato nel mondo. 131 paesi hanno approvato leggi a favore della parità e le donne oggi hanno più ascolto quando denunciano le violenze compiute contro di loro. Quello della violenza è un capitolo doloroso con numeri  agghiaccianti.1 donna su 5 l’ha subita per mano di  un partner nell’ultimo anno, quasi il 18 %. Le nuove tecnologie,inoltre,  favoriscono nuove forme di violenza come il cyberbullismo contro il quale ancora non sono state trovate  soluzioni appropriate.

“Non c’è paese immune dalla violenza contro le donne. E’ una pandemia globale ha affermato Phumzile Mlambo Ngcuka. Accade ovunque e non c’è differenza tra paesi  ricchi o poveri. Avviene in ogni società e in ogni cultura. Se fossero stati gli uomini ad essere picchiati scommetto che qualcosa sarebbe cambiato. Non è un problema trattato con la serietà che richiederebbe. Una situazione che pesa sulla salute delle donne  e determina anche una crisi economica per le cure che le donne devono affrontare .E’ una violazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze.

C’era grande entusiamo a Pechino 25 anni fa quando fu fissata una Piattaforma d’Azione  per l’uguaglianza, il piano  più visionario mai fatto per i diritti delle donne, che  rimane però ad oggi in gran parte disatteso. Incredibili sono anche i pregiudizi  che continuano a rimanere radicati nella mente non solo degli uomini ma anche delle  donne intervistate per la compilazione del  nuovo rapporto Gender Social Norms index.

Circa la metà degli intervistati ritiene che gli uomini siano leader politici migliori; il 40% pensa che siano più bravi negli affari e siano più adatti ad avere incarichi quando l’economia rallenta. Ben il 28 % ritiene che  un uomo sia giustificato se picchia la moglie. Serve più istruzione per cambiare questo tipo di mentalità e servono investimenti che consentano di  alleggerire le donne del peso della famiglia e del lavoro insieme. Serve fare in modo che le ragazze si preparino per entrare in settori dove c’è una prevalenza di uomini, dalle forze armate all’informatica all’Information Technology. Un mondo diverso è possibile ma bisogno volerlo realmente e  lo possono costruire solo uomini e donne insieme.
http://www.lavocedinewyork.com/onu/2020/03/05/la-violenza-contro-le-donne-una-pandemia-globale-presentato-il-rapporto-di-un-women/?fbclid=IwAR3CG7G9kWzFbFRK6m3ZUGc1UB2vUDxnkdJr8LS5vpoYsP5ldWu3XB7LRvw



giovedì 5 marzo 2020

In Spagna il sesso senza consenso sarà sempre stupro. L’Italia prenda esempio di Giulia Torlone

Dopo le proteste scaturite dal caso della violenza sessuale in branco, noto come “La Manada”, la Spagna si appresta a riformare il termine giuridico di stupro nel quale rientrerà ogni forma di sesso senza consenso. Il Paese iberico si aggiunge a Gran Bretagna, Svezia e Germania dove questa riforma già esiste.

Il sesso senza consenso è stupro. Non ci sono più “se” o “ma”, non c’è nulla a cui appellarsi. È quanto annunciato dal Governo spagnolo, dove la coalizione di sinistra ha approvato la proposta di legge per riformare il codice penale in materia di violenza sessuale. Con questa riforma, quindi, si modifica il termine giuridico di stupro, nel quale rientrerà ogni caso di sesso non consenziente, aumentando in modo sostanziale la pena rispetto a quella di abuso sessuale. Impossibile non notare che il lavoro del Parlamento spagnolo sia andato in questa direzione dopo il caso “La Manada”, che fece scaturire una serie di proteste che si propagarono per tutto il Paese.

Lo stupro del branco: il caso "La Manada"
Nel 2015 a Pamplona, durante la festa di San Fermìn, una diciottenne fu trascinata in un portone, aggredita e violentata da cinque uomini. I magistrati, in quell’occasione, descrissero l’episodio con queste parole: “Siamo davanti uno scenario intimidatorio, in cui la vittima non è in nessun momento consenziente agli atti sessuali”. Il tribunale di Navarra però, si espresse in maniera tristemente sorprendente: il caso rientrava tra quelli di abuso sessuale, non di violenza sessuale. Una differenza che, in gergo giudiziario, vuol dire pene nettamente inferiori. Si è arrivati al ribaltamento della sentenza solamente lo scorso anno quando il Tribunale Supremo ha riconosciuto l’episodio come violenza sessuale di gruppo con aggravanti. Nei quattro anni passati tra una sentenza e l’altra, la Spagna è stata attraversata da una marea di indignazione. Moltissime persone sono scese in strada con lo slogan “Hermana, yo sì te creo”, (Sorella, io ti credo). Circa 130 collettivi femministi, tra cui Comisión 8M, hanno attaccato la sentenza sia a livello giuridico che politico definendolo un atto di “giustizia patriarcale che non difende né crede alle donne”.

Il cambio di marcia del Governo spagnolo

Oggi, invece, questa proposta azzera le differenze. Pedro Sanchez, quando non era ancora presidente, in occasione del ribaltamento della sentenza sul caso  “La Manada" si era espresso così su Twitter:
Fu una violenza. La sentenza del tribunale sulla Manada lo conferma. Solo sì è sì. La Spagna continua a muoversi nella protezione dei diritti e le libertà delle donne e non si fermerà. Perché ci abbiamo creduto, perché ti crediamo. Perché ti vogliamo VIVA, LIBERA, SENZA PAURA.
Guardando a oggi possiamo bene dire che l’impegno di Sanchez è stato portato avanti, non è rimasto carta bianca per mero scopo elettorale. In occasione di questa storica decisione si è espressa Monica Costa Ria, campaigner di Amnesty International:
Apprezziamo l’annuncio del governo spagnolo, che rappresenta una vittoria delle sopravvissute allo stupro e delle innumerevoli donne che, con le loro proteste e azioni, hanno richiamato l’attenzione sulla necessità di riforme legislative, politiche e di prassi.

L'Italia prenda esempio dalla lezione di civiltà che arriva da Madrid
Le nazioni che già riconoscono come stupro qualunque caso di sesso consenziente sono Gran Bretagna, Svezia e Germania. La Spagna e la Danimarca stanno varando leggi per farlo. E l’Italia? Il nostro Paese è tra quelli che ancora non ha riformato il termine giuridico di stupro. È piuttosto assurdo pensare che dei termini giuridici possano cambiare le sorti di una donna abusata. Eppure, in un Paese giustamente garantista come il nostro, è giusto che le parole in giurisprudenza abbiano dei pesi differenti. Ne va della libertà di ogni cittadino. Nel caso della violenza sessuale però, la linea di demarcazione si fa più netta. Dove non c’è consenso è stupro. Senza un sì è stupro. La violenza per arrivare all’atto sessuale è stupro. Che la lezione spagnola arrivi presto anche in Italia.
https://donna.fanpage.it/in-spagna-il-sesso-senza-consenso-sara-sempre-stupro-litalia-prenda-esempio/

martedì 3 marzo 2020

Loretta Napoleoni racconta la storia e il significato politico del lavoro a maglia di GIUSI FERRÉ

Loretta Napoleoni racconta la storia e il significato politico del lavoro a maglia
Nel suo libro "Sul filo di lana", l’economista racconta il passato e il presente dell’arte della maglia, dai codici segreti nascosti nelle coperte, alla protesta pacifica hippie contro il consumismo. Altro che mite attività femminile da focolaio. A colpi di diritto e rovescio si può fare la rivoluzione
Lavorare a maglia non è sempre solo un hobby
Dice Loretta Napoleoni di avere scoperto il linguaggio della maglia leggendo Le due città di Charles Dickens, che alla storia della Rivoluzione Francese intreccia quella di madame Defarge. Nella coperta che sta lavorando per il matrimonio della figlioccia, con abilità e senso dell’invenzione questo straordinario personaggio inserisce in un gioco di punti i nomi degli aristocratici decapitati per conservarne la memoria. Su una cosa Dickens, che aveva lasciato correre la fantasia, ha dimostrato però di avere ragione: è un alfabeto che può capire soltanto chi lo sa scrivere.

A raccontare questa verità alla nipote mentre le insegnava a sferruzzare, è la nonna di Loretta Napoleoni all’inizio degli anni Settanta. «Nel modello però puoi metterci qualsiasi cosa: un nome, una storia, una preghiera, una poesia. Poi mi mostrò come aveva inserito un suo saggio consiglio sul matrimonio nella coperta che stava preparando. Mi prese un dito e lo guidò sopra punti diritti e rovesci, nascosti in un angolo del tessuto leggendo ad alta voce la frase: L’amore è una vittoria quotidiana e un tesoro per la vita».

Sono insegnamenti che un’economista e scrittrice specializzata nello studio dei sistemi finanziari ed economici attraverso cui il terrorismo si finanzia, non ha mai trascurato. «Dal momento che stiamo navigando in acque inesplorate, dobbiamo trovare metodi alternativi per affrontare questo viaggio. In altre parole, bisogna pensare in modo creativo», spiega Loretta Napoleoni nel suo sorprendente libro Sul filo di lana (Mondadori).

 Non un’autobiografia, anche se si mescolano ricordi ed esperienze familiari, ma la ricostruzione di una storia antichissima (il più remoto frammento di maglia mai scoperto, scovato in una grotta di Israele, risale al 6500 a.C.) e trascurata. Forse perché prerogativa delle donne e dei ceti più poveri, per i quali rappresentava una vera economia di sussistenza.

Ed è qui che la studiosa ha riconosciuto i meccanismi che muovono lavoro e cambiamenti sociali in un quadro più ampio dell’economia che affidava il commercio quotidiano alle donne, per le quali sferruzzare sempre – dunque, essere produttive – era un dovere istintivo.

Realizzavano calze, guanti, sciarpe e berretti frigi, che vendevano alla fine del triste spettacolo, le tricoteuses sedute in Place de la Révolution, oggi Place de la Concorde, durante le esecuzioni. Ed erano così popolari questi gruppi femminili che presto il governo rivoluzionario se ne sentì minacciato e proibì loro di partecipare ad assemblee politiche e accedere alle gallerie dei tribunali durante i processi agli aristocratici.

Ci voleva coraggio, insomma, e determinazione per arrivare fino in fondo. Lo stesso coraggio e determinazione degli uomini e delle donne che agirono da spie nel corso delle due Guerre Mondiali. «Perché il lavoro a maglia è ideale – racconta Napoleoni, che attraverso questo hobby ha trovato un’alternativa per muoversi in frangenti difficili – per nascondere messaggi in codice. Come nel Morse, che è binario. Ci sono soltanto due punti, il diritto e il rovescio. Posizione delle truppe, numero delle armi, movimento di treni. Tutto si può nascondere visto che spesso, a chi non pratica quest’arte, perfino i modelli normali sembrano scritti in un cifrario segreto. E questo spiega perché nell’ultima Guerra il governo del Regno Unito abbia vietato la stampa di qualsiasi modello di maglia, temendo che potesse essere usato per trasmettere informazioni ai tedeschi».

Diritti e rovesci: filosofia hippie
Alle esperienze drammatiche fa seguito, negli anni Sessanta, l’innamoramento hippie per il knitwear, interpretato come protesta contro l’omologazione e lo sperpero, quasi farsi da sole gli abiti fosse diventato un gesto di ribellione gentile, non violenta, contro il consumismo dell’Occidente.

Possiamo ritrovare questi temi anche nel Duemila quando entra in azione il Revolutionary Knitting Circle, un gruppo di protesta nato a Calgary, che faceva parte del craftivism, un movimento globale di artigianato attivista contro il sistema.

Commenta Loretta Napoleoni, con la chiarezza di pensiero che la contraddistingue, che «l’uso del lavoro a maglia come strumento politico ed economico di lotta sociale, per sfidare il lato oscuro della globalizzazione, per denunciare dalle diseguaglianze economiche all’implosione della democrazia sociale, è forse uno dei segreti meglio custoditi della nostra epoca. Non si sa come, l’establishment è riuscito a convincere i media che soltanto un numero molto limitato di persone lavora a maglia e uno ancora più insignificante di magliaie e magliai eccentrici e anche un po’ matti lo fa come protesta politica. Invece è vero il contrario».

Ma è anche un’espressione di protesta politica, che parla attraverso l’arte, come dimostrano l’artista danese Marianne Jorgenson e l’americana Lisa Anne Auerbach, che rappresentano l’avanguardia del movimento politico globale del lavoro a maglia, del quale fanno parte – secondo la scrittrice – «milioni di persone».

«Tutti sferruzzano da soli o in gruppo e ricuciono insieme un mondo frammentato, riparando i buchi aperti quotidianamente dai politici, infilando diritti e rovesci il più rapidamente possibile». Intanto, giusto per restare in allenamento, possiamo cominciare a prepararci un cappello frigio. Che ci crediate o meno, tutte le istruzioni, disegno compreso, si trovano a pagina 70.
https://www.iodonna.it/attualita/costume-e-societa/2020/02/06/loretta-napoleoni-racconta-la-storia-e-il-significato-politico-del-lavoro-a-maglia/?fbclid=IwAR11qQSCUTrFaodEq_9GipdGUdgXevSCA9QrUyQt-xSQ35fb5Kig-BgaVmg

lunedì 2 marzo 2020

Leggo spesso uomini chiedersi "come aiuto le donne? Come posso, da uomo, essere un alleato?"

Leggo spesso uomini chiedersi "come aiuto le donne? Come posso, da uomo, essere un alleato?"
Ecco cosa dovete fare: dovete alzare la voce contro i vostri compari quando si permettono di mancare di rispetto alle donne. Tutto il resto è fuffa.
È inutile cantarsela e suonarsela con le femministe, tanto per fare i belli.
È con i vostri amici, parenti, colleghi, conoscenti, che dovete scontrarvi.

Il signore con il cappello è un giornalista, per lungo tempo corrispondente RAI da Londra. Si chiama Antonio Caprarica. Anche se è passato assolutamente inosservato ieri ha compiuto un gesto importante durante la diretta di "Quelli che il calcio" (la trovate su RAI Play, intorno alle due ore e dieci minuti). Argomento: ritiro dall'attività sportiva a 32 anni di una famosa, bravissima e bellissima tennista russa, Maria Sharapova. Siparietto obbligatorio con l'esperto di tennis, Adriano Panatta, 69 anni, che spiega che a lui la Sharapova non è mai piaciuta molto, non l'ha conosciuta ma "sembrava che ce l'avesse solo lei". Risate, finto imbarazzo, altra battutina, assist del conduttore Luca Bizzarri ad un altro ospite per un intervento più tecnico. Il signor Max Giusti parla dei contratti che imponevano agli sparring partner uomini (ché a quel livello ti alleni con ragazzi inseriti in posizioni alte nel ranking mondiale maschile) di non innamorarsi della tennista; ma se si fosse innamorata lei? Il contratto veniva stracciato... Tadan, rullo di tamburi e tintinnar di piatti.

A questo punto interviene il Signor, con la maiuscola, Antonio Caprarica, che sorridente e tranquillo dice di avere conosciuto la Sharapova giovanissima, alla sua prima vittoria a Wimbledon (17 anni). Gli aggettivi che usa per lei sono spettacolare e brava. Non nasconde la sua ammirazione per la persona, per il talento, la forza e il carattere. E dice, testuale: "Adesso qui parla una tribù di MASCHI, depressi e REPRESSI. Di questa donna capace di incutere TERRORE per la sua forza fisica e per il suo appeal sessuale. La stanno demolendo. Invece no: viva la Sharapova".

Si può fare, lo possiamo fare. Tutti. Non voltare la testa davanti ai commenti machisti, dare uno spazio al rispetto, irridere questo patetico club di maschi che si sentono tali solo se possono bullizzare una donna.

Chapeau, Signor Caprarica!
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