giovedì 30 luglio 2015

Perché sono un uomo femminista di Byron Hurt*

Come un uomo  è  passato da aggressore a difensore dei diritti delle donne.

Quando ero piccolo, mio padre e mia madre discutevano molto. Certe mattine mi svegliavo al suono allarmante delle grida dei miei genitori.La discussione continuava fino a quando mio padre urlava: "E' questo è tutto!Non voglio continuare più a parlare di questo". La disputa finiva lì. Mia madre non ha mai avuto l'ultima parola. Le urla di mio padre facevano rabbrividire mi madre; io volevo fare qualcosa per fermare la furia contro di lei. In quei momenti, mi sentivo impotente perché ero troppo giovane per affrontare mio padre. Ho imparato presto che la forza e il potere intimidivano mia madre. Non ho mai visto mio padre colpirla, ma ho assistito ai dannosi colpi verbali che cadevano sulla psiche di mia madre.
Mio padre non maltrattava sempre di mia madre, ma quando lo faceva, mi identificavo con il suo dolore,non con l'aggressività di lui. Quando le faceva male, faceva male anche a me. Con mia madre avevamo un legame molto speciale. Era divertente, intelligente, amorevole e bella. Era un'ottima ascoltatrice e mi faceva sentire importante. Ogni volta che le cose si mettevano male, lei era la mia roccia e il mio pilastro.
Una mattina, dopo le grida di mio padre durante una discussione,lei ed io, ci siamo chiusi in bagno, soli, preparandoci per il giorno davanti a noi. La tensione nella casa era spessa come una nube di fumo nero. Sapevo che mi madre era nauseata. " Ti voglio bene mamma,ma vorrei che tu avessi un pò più di coraggio quando discuti con papà", le dissi a voce bassa, perché non potesse sentirmi.Lei mi guardò, mi accarezzò la schiena e si sforzò di sorridere.
Avevo tanto desiderio che mia madre difendesse se stessa...Non capivo perché doveva arrendersi ogni volta che discutevano. Chi era lui per mettere le regole in casa? Che cosa lo rendeva tanto speciale?
 Sono cresciuto risentito del dominio di mio padre in casa, anche se gli volevo tanto bene quanto ne volevo a mia madre. La sua rabbia e la sua intimidazione impedirono che mia madre, mia sorella ed io, potessimo esprimere la nostra opinione ogni qualvolta fosse in contrasto con la sua. Qualcosa nella disuguaglianza della loro relazione  mi sembrava ingiusta, ma in un'età  così giovane,non sapevo dire cosa.
Un giorno, mentre eravamo seduti al tavolo della cucina dopo una delle loro discussioni, mia madre mi disse: "Byron mai, trattare una donna come tuo padre tratta me." Vorrei averla ascoltata.

Quando  sono diventato grande ed ho avuto le mie relazioni con le ragazze e le donne,a volte, mi sono comportato come ho visto comportare mio padre. Anch'io sono diventato verbalmente aggressivo ogni volta che una ragazza o una donna con le quali uscivo, mi criticava o sfidava. Screditavo le mie compagne controllando il loro peso o l'abbigliamento che avevano scelto di indossare. In una relazione in particolare, ai tempi dell'università, usavo spesso la mia corpulenza per intimidire la mia ragazza, gettandomi su di lei e urlandole per difendere il mio punto di vista.
Avevo assimilato ciò che avevo visto a casa e mi stavo lentamente trasformando in ciò che avevo disprezzato fin da piccolo. Anche se mia madre aveva cercato di insegnarmi  il meglio io, come molti ragazzi ed uomini,mi sentivo in diritto di maltrattare il genere femminile.
Dopo la laurea,avevo bisogno di un lavoro. Seppi di un nuovo programma di sensibilizzazione che si stava lanciando. Si chiamava i Mentori  nel Progetto di Prevenzione della Violenza. Essendo uno studente-atleta avevo fatto sensibilizazione comunitaria in precedenza e questo Progetto mi sembrava un buon piano,mentre aspettavo di lavorare nel mio campo, il giornalismo.
Fondato da Jackson Katz, il progetto MPV fu creato per usare il prestigio degli atleti nel  rendere inaccettabile la violenza di genere. Quando mi incontrai con Katz non sapevo che il progetto era un programma di prevenzione della violenza di genere. Se lo avessi saputo, probabilmente non sarei andato al colloquio.
Così quando Katz mi spiegò che stava cercando un uomo per aiutarlo ad istituzionalizzare il progetto  basato sulla prevenzione della violenza di genere, nelle scuole ed università di tutti i paesi, quasi me ne stavo andando da dove ero venuto. Però durante l'intervista,Katz, mi pose una interessante domanda: “Byron, secondo te,quali vantaggi può ricevere la nostra comunità,dalla violenza degli afro-americani sulle afro-americane?"
Nessuno mai  mi aveva posto questa domanda. Come uomo afro-americano profondamente preoccupato delle questioni di razza, non avevo mai pensato del come l'abuso emotivo, le percosse, le violenze sessuali, le molestie per strada e le violazioni, colpissero un'intera comunità così come il razzismo.
Il giorno dopo, partecipai ad un seminario sulla prevenzione alla violenza di genere organizzato da Katz, il quale pose agli uomini in sala, la seguente domanda: " Che cosa avete fatto per proteggervi dall'essere violentati o aggrediti sessualmente?"
Non un solo uomo, me compreso, potè rispondere prontamente alla domanda. Infine,un uomo alzò la mano e disse: "Niente."
Poi,  Katz domandò alle donne: " Che cosa avete fatto per proteggervi dall'essere violentate o aggredite sessualmente? Quasi tutte le donne in sala alzarono la mano. Una dopo l'altra ciascuna donna testimoniò:
"Non stabilisco nessun contatto visivo con uomini, quando cammino per la strada" disse una.

"Non lascio incustodito il mio bicchiere alle feste" disse un'altra.
"Attraverso la strada quando vedo un gruppo di ragazzi che vengono verso di me"
"Uso le mie chiavi come una potenziale arma"
 

" Porto con me uno spray da difesa"
" Guardo ciò che mi metto".

Le donne hanno continuato per qualche minuto, fino a quando la parte della loro lavagna era  completamente riempita. Mentre il lato della lavagna degli uomini era totalmente bianco.
Ero sbalordito. Non avevo mai sentito un gruppo di donne dire queste cose. Ripensai a tutte le donne della mia vita (compresa mia madre, mia sorella, la mia fidanzata) e mi resi conto che avevo molto da imparare riguardo al genere.
Giorni dopo, Katz mi offrì il lavoro di specialista consigliere-formatore ed io lo accettai. Anche se non ero ben informato, da un punto di vista professionale, imparai rapidamente sul lavoro. Lessi libri e saggi di Bell Hooks, Patricia Hill Collins, Angela Davis ed altre scrittore feministe.
Come la maggior parte degli uomini avevo assorbito lo stereotipo che tutte le femministe erano bianche, lesbiche, attacca-maschi, poco attraenti, che odiavano gli uomini. Ma dopo aver letto le opere di tutte queste femministe nere, mi resi conto che ciò era lontano dalla realtà. Dopo aver indagato a fondo il loro lavoro, arrivai a rispettare davvero l'intelligenza, il coraggio e l'onestà di queste donne.
Le femministe non odiavano gli uomini. Infatti li amavano. Ma,come mio padre aveva messo a tacere mia madre durante le loro discussioni per non sentire le sue lamentele, gli uomini avevano messo  a tacere le persone femministe screditandole e facendo orecchie da mercanti su chi siamo realmente.
Ho imparato che le femministe hanno prodotto una critica importante di una società dominata dagli uomini che normalmente  e universalmente trattavano le donne come cittadine di seconda classe.
Esse dicevano la verità e, pur essendo un uomo, la loro verità mi stava parlando. Attraverso il femminismo, ho sviluppato un linguaggio che mi ha aiutato ad esprimere meglio cose che avevo sperimentato crescendo come uomo.
Gli scritti femministi sul patriarcato, sul razzismo,capitalismo e sessismo strutturale si relazionavano con me, perché ero stato testimone in prima persona del dominio maschilista, che esse sfidavano. L'ho visto da bambino in casa mia e l'ho perpetuato da adulto. Le loro analisi della cultura e comportamento degli uomini mi ha aiutato a porre il patriarcato di mio padre in un più ampio contesto sociale e, al contempo, mi ha aiutato a capire meglio me stesso.
Decisi che mi affascinavano le femministe ed abbracciai il femminismo. Il femminismo non solo dà voce alle donne, ma apre la strada agli uomini per liberarli dal dominio della mascolinità tradizionale. Quando feriamo le donne nelle nostre vite, noi ci feriamo e feriamo anche la nostra comunità.
Una volta diventato adulto, il comportamento di mio padre  nei confronti di mia madre cambiò. Si addolcì e smise di essere irrazionale e verbalmente aggressivo. Mia madre arrivò a farsi valere quando erano in disaccordo.
Mi stupì  nel sentirla dire l'ultima parola che mio padre ascoltava senza infuriarsi. E' stato un grande cambiamento. Nessuno di loro si considerava femminista,ma credo che entrambi hanno imparato con il tempo a diventare individui più completi, che si trattavano con reciproco rispetto. Quando mio padre morì di cancro nel 2007,portava orgogliosamente per la città un cappellino da baseball che gli avevo regalato e sul quale c'era scritto: " Basta con la violenza sulle donne".

Chi dice che gli uomini non possono essere femministi?

* Byron Hurt, regista, scrittore e produttore musicale. 

lunedì 27 luglio 2015


Martedì 28 luglio 2015 alle ore 19.00 a Corsico Via Cavour, Fontana dell'Incontro

#NESSUNA SCUSA! FLASH MOB CONTRO LA SENTENZA DELLO STUPRO ALLA FORTEZZA DI FIRENZE

facciamo nostre le parole del comitato "UNITE IN RETE":
-Le motivazioni della sentenza sono inaccettabili.
-Questa sentenza ha leso l'autodeterminazione di tutte le donne.
-Il processo è stato fatto alla ragazza e alla sua vita.
- Vogliamo sapere perché la Procura Generale non ha fatto ricorso facendo scadere i termini.

RIAFFERMIAMO LA NOSTRA VOLONTA': 
SIANO PROCESSATI I VIOLENTI E NON LE VITTIME!
NON VOGLIAMO ESSERE GIUDICATE PER COME CI VESTIAMO, IL NOSTRO ORIENTAMENTO SESSUALE, I NOSTRI COMPORTAMENTI!

domenica 26 luglio 2015

Piccolo glossario della domenica per capirsi nelle discussioni sulla questione gender di Michela Murgia

Piccolo glossario della domenica per capirsi nelle discussioni sulla questione gender (ovvero di cosa parliamo quando parliamo di sesso, genere, identità sessuale, identità di genere e orientamento sessuale, termini tra loro NON intercambiabili).

***Sesso biologico***: è la constatazione che sono nata con corpo femminile.

***Genere***: è l'insieme di ruoli e comportamenti che la società si aspetta da me in base al sesso biologico femminile e che mi sono stati insegnati sin da bambina cercando di spacciarmeli come innati e immutabili. In realtà, essendo frutto di costruzione culturale, cambiano nel tempo (per fortuna).

****Identità sessuale****: mi sento una donna nella mia dimensione soggettiva.

****Identità di genere****: mi sento una donna anche nella mia dimensione sociale, cioè in generale non fatico a comportarmi come la società si aspetta che si comporti una donna, salvo quando riconosco le aspettative come oppressive: contro quelle combatto perchè non ricadano sulle donne che verranno, come le donne dei decenni scorsi hanno fatto per me.

****Orientamento sessuale****: tendenzialmente mi attraggono gli uomini.

Ma...
Potrei essere nata in un corpo femminile e sentirmi maschio.
Potrei essere nata in un corpo femminile e sentirmi attratta dalle donne.
Potrei essere nata in un corpo femminile, sentirmi maschio ed essere attratta dai maschi.
Potrei essere nata in un corpo femminile, sentirmi donna, essere attratta da entrambi e non trovare affatto normale comportarmi come la società si aspetta che si comporti una donna.
Nessuna di queste combinazioni e le sue risultanze di relazione dovrebbe causare a me o a chi le esprime una discriminazione sociale.

Questo alcuni lo chiamano "ideologia gender".

Io lo chiamo rispetto.

sabato 25 luglio 2015

Fortezza da Basso, il silenzio degli assolti di Monica Lanfranco

Il silenzio, il loro silenzio.
Quello dei giovani uomini, (oggi con sette anni in più sulle spalle) prima condannati per stupro di gruppo e oggi assolti, con le motivazioni note.
La vicenda di Firenze è cronaca, così come la coraggiosa e dolente lettera della giovane donna violata, che ha raccontato cosa vuol dire essere incrinata, nel corpo e nella mente e doverci fare i conti per tutta la vita, ogni giorno.
Scrivere quella lettera, in epoca di social media, vuol dire affrontare ciò che arriverà dal mondo: forse anche solidarietà, ma di certo un urto impressionante di odio e disprezzo. Oltre alla violenza in sé, dopo le indagini e il tribunale, c’è quella dello sciame digitale, senza volto, in maggioranza anonimo e con il suo potente carico di aggressiva e arrogante cattiveria.
Nel frastuono che si accavalla intorno a questa storia c’è il vuoto assordante e l’assenza di voce dei sei uomini, dei quali uno era amico della vittima all’epoca dei fatti. Questo silenzio maschile cosa racconta? Possibile che l’unica traccia dell’esistenza di questi uomini sia quella dei loro corpi predatori?
Quale cultura familiare, scolastica, sociale e individuale ha fatto sì che sei giovani abbiano costruito se stessi, la loro sessualità e la visione del corpo dell’altra in modo da diventare un branco, al punto che nessuno, resosi conto di quello che stava per accadere, si sia fermato? Che compagni, magari un giorno padri, saranno? Cosa racconteranno di quella sera, cosa si stanno raccontando?
Un pezzo di risposta è qui, nel docufilm (diventato poi libro) Processo per stupro. Siamo nel 1978: Fiorella, di 18 anni, denunciò per violenza carnale quattro uomini di quarant’anni circa, fra cui Rocco Vallone, un suo conoscente. La ragazza, invitata da Vallone in una villa di Nettuno con il pretesto di un lavoro, viene sequestrata e violentata per un pomeriggio intero da Vallone stesso e da altri tre uomini. Gli imputati ammisero spontaneamente i fatti al momento dell’arresto, ma interrogati successivamente negarono tutto e, in istruttoria, dichiarano che il rapporto era avvenuto dopo aver concordato con la ragazza un compenso di 200.000 lire. Il tribunale condannò Rocco Vallone, Cesare Novelli e Claudio Vagnoni ad un anno e otto mesi di reclusione, mentre Roberto Palumbo fu condannato a due anni e quattro mesi. Tutti e quattro gli imputati beneficiarono della libertà condizionale e furono subito rilasciati. Il risarcimento dei danni venne calcolato in due milioni di lire.
Il processo fu ripreso dalla RAI il 26 aprile 1979. Quella sera le televisioni italiane trasmisero lo spettacolo di una mentalità intrisa di maschilismo, capace di trasformare la vittima in istigatrice e quindi imputata.
In una intervista del 2007 l’avvocata Tina Lagostena Bassi, difensora di parte civile, dichiarò:“Ricordo che la gente era sconvolta, perché nessuno immaginava realmente quello che avveniva in un’aula giudiziaria, dove la giustizia era altrettanto violenta degli stupratori nei confronti delle donne”.
L’avvocata della vittima di Firenze ha rilasciato questa intervista che in parte riecheggia il clima processuale del 1978, e le parole di Lagostena Bassi.
A leggere la sentenza di assoluzione dei fatti di Firenze sembra che il tempo, dal 1978, si sia fermato e che i corpi degli uomini siano impermeabili ai cambiamenti del mondo, quando c’è in gioco il potere esercitato attraverso la sessualità: la prova, se ce ne fosse ancora bisogno, che il problema della violenza sulle donne è un problema, (urgente), maschile.

venerdì 24 luglio 2015

Private del diritto al rispetto di simona Sforza

 Con questa ennesima sentenza colma di moralismo, a mio avviso è come se dicessero a tutte noi che non solo è inutile denunciare, che lo stupro alla fine è una cosa da poco, ma anche che dobbiamo stare al nostro posto, non dobbiamo alzare la testa, chiedendo pari diritti. L’obiettivo è ricacciarci in un luogo storico in cui eravamo senza diritti e senza voce. È come se ci stessero consigliando: “Se state al vostro posto nulla di così terribile vi potrà capitare”. Stare al nostro posto, seguire una infinità di regole e di consigli di “sano comportamento donnesco”, essere in linea con un modello che è stato creato per noi e tramandato al maschio nei secoli per far di noi quello che meglio crede, per soddisfare il suo desiderio di dominio, da esprimere anche attraverso un atto di violenza. Siamo donne e come tali vogliono farci credere che dobbiamo avere un margine ridotto di scelte, di movimento, di azione e di modi di essere e dividere. Come se ancora, sulla base di una Natura diversa, noi dovessimo auto-ridurci a qualcosa di minuscolo, adeguato a qualcosa che gli uomini si aspettano da noi.
Aggiungo un altro elemento di analisi. Questa sentenza è il risultato di una giustizia che agevola di fatto chi meglio può difendersi, chi ha gli avvocati migliori e non chi in tutto questo orrore è la vera vittima, l’unica che andrebbe difesa, ascoltata e creduta. Perché è un problema di giustizia equa, che metta difesa e accusa ad armi pari, senza che il risultato finale sia fortemente influenzato in base alle disponibilità economiche e di potere delle parti in causa. Perché è soprattutto, ancora, una questione di potere, di differenziale di potere, di vario tipo. E questo il punto più importante su cui riflettere.
Questo continuare a emettere sentenze semplicemente sulla base di uno scavare nella vita di una persona, senza ascoltare i fatti in questione. La sentenza di fatto è come se cancellasse il diritto della donna a non essere abusata e a vedersi riconosciuta dalla giustizia come parte lesa. I suoi diritti esistono solo se il suo comportamento viene ritenuto moralmente conforme. Come se i diritti umani potessero essere sospesi per una o più ragioni. Puoi violentare liberamente se una donna ha uno o più elementi “non conformi”.
Un no è un no, un abuso è tale, da sobria o meno. Se non si sancisce questo una volta per tutte, ci ritroveremo ancora di fronte a questi orrori.
Siamo un Paese che ancora marchia a fuoco le donne che pensano e scelgono con la propria testa, che parlano, che si esprimono, che si dichiarano femministe, che si battono per i diritti, che vanno a studiare fuori casa, che si cercano un lavoro e cercano di essere autonome. Perché ancora oggi, noi dobbiamo rinunciare a queste cose, altrimenti siamo strane, pericolose, pazze, fuori-norma e in quanto tali, tutti sono legittimati a fare di noi ciò che vogliono e a privarci dei nostri diritti fondamentali. Non voglio credere che questo stato di cose sia immutabile, perciò da qualche parte credo che esista un modo per cambiare questo contesto e questa mentalità che poi porta a creare l’humus ideale per questo tipo di sentenze.
Abbiamo ancora un forte ritardo culturale se ancora oggi sentiamo dire che se una ragazza, una donna è indipendente, cerca di esserlo, compie le sue scelte autonomamente, vive cercando di essere felice, libera, senza catene, fuori dalle gabbie è da considerare non normale. Ce ne fossero tante di donne così! Se pensiamo che una ragazza possa fare in potenza meno cose di un ragazzo, se nemmeno la nostra famiglia ci rispetta se chiediamo di essere considerate allo stesso modo, dobbiamo rimboccarci le maniche per invertire la nostra storia. Oggi, dopo tanti anni, rispondo a una battuta di mio cugino che quando mi trasferii a Milano nel 2003, mi disse: “Ah ti stai divertendo.. bella vita”. In pratica, essendo donna sarei dovuta rimanere nella mia città natale, perché l’unica prospettiva idonea a una donna era quella di sposarsi. Il fatto che avessi trovato lavoro a Milano era un dettaglio, ai suoi occhi ero andata a Milano per fare la bella vita, per divertirmi e per essere finalmente marchiata “secondo il libro sacro della tradizione maschile” come una “con i grilli per la testa” in tutti i sensi. Nessun pensiero lo ha mai sfiorato (a lui come a tanti altri) che io stessi facendo enormi sacrifici per darmi un futuro, una prospettiva di vita e di lavoro. Ero la pecora nera della famiglia, lo sono, oggi forse più di ieri, con lo stesso orgoglio di avere una nuvola da “irriducibile” che mi segue. Vi ho raccontato questo aneddoto, per farvi capire come il pregiudizio culturale sia più forte di anni di conoscenza. Il pregiudizio dovuto a un tipo di cultura e di mentalità direi di tipo patriarcale, è come se azzerasse la percezione reale della persona e portasse a giudicarla e a etichettarla secondo parametri immaginari, gli stessi che portano a giustificare dei modelli di comportamento differenziati per genere e che portano a partorire sentenze come quella che ha scagionato quei sei “bravi ragazzi”.
Così si rovina per sempre la vita di una ragazza, di una donna, convincendola che comportandosi bene, assecondando un certo modello di vita e di comportamento, avrà una vita esente da “guai”. Niente della vita di una donna deve poter diventare un alibi, un via libera al fatto che i suoi diritti umani fondamentali possano essere violati. Lo ripeto, non è tollerabile che si emettano sentenze sulla base di giudizi morali e richiamando dettagli della vita della vittima. Aver convissuto, aver avuto qualche rapporto occasionale vuol dire automaticamente “autorizzare” tutti gli uomini a violentarti? Ciascuna donna dovrà sentirsi in pericolo di stupro semplicemente perché non ha il pedigree di una vita immacolata, lineare? Chi ha stabilito poi cosa sia una vita lineare? Nulla può giustificare mai uno stupro. NULLA MAI! Che facciamo, autorizziamo tutti gli uomini violenti a commettere stupri e violenze se qualche dettaglio del mosaico della vita di una donna non è al suo posto?
Se essere “bisessuale dichiarata, femminista e attivista lgbt” deve essere considerato dalla giustizia italiana un lasciapassare, che esenta gli uomini da un rispetto dei diritti di un altro individuo, io non ci sto. E nessuna di noi ci deve stare. Non voglio sentire più da nessuno, né tantomeno da una donna, che in qualche modo “se l’è cercata”. Perché questa, come altre sentenze similari, colpisce tutte noi: un giorno potremmo trovarci al posto della “ragazza dello stupro della Fortezza”, e non essere credute, non avere giustizia vera.

Nessuna giustificazione alla violenza deve avere cittadinanza. Facciamo sentire la nostra voce, URLIAMO IL NOSTRO NO! Mi unisco all’idea di Lea Fiorentini Pietrogrande, facciamo una manifestazione tutte insieme, per abbracciare e sostenere questa ragazza e tutte le donne vittime di violenza!

La sera del 28 luglio le compagne Unite in rete – Firenze stanno organizzando una manifestazione per ribadire che vogliamo vivere le strade liberamente, nonostante qualcuno voglia farci stare a casa e in silenzio.

giovedì 23 luglio 2015

Diretta a Giudici di Firenze Vergognatevi della vostra sentenza! Anna Maria Arlotta

Giudici che avete assolto i sei stupratori di Firenze, i firmatari di questa petizione vi chiedono di vergognarvi profondamente della vostra sentenza. Ad essere processata è stata la ragazza e non i colpevoli di un atto ignobile! 
Le vostre motivazioni denotano un’assoluta mancanza di logica.
Dunque, si tratta di una "vicenda incresciosa" e "non encomiabile per nessuno" E perché mai, se con l’assoluzione avete stabilito che c’è stato il consenso della ragazza? Cos’ha di increscioso e non encomiabile un rapporto tra adulti frutto di un accordo? 
Ah, ma attenzione! Ritenete che i ragazzi possano aver "mal interpretato" la disponibilità della ragazza. Cioè, lei ha detto no e loro hanno capito sì? 
La ragazza “era presente a se stessa anche se probabilmente ubriaca”. Questa è l'affermazione più assurda, perché le due cose sono antitetiche. “Il rapporto non fu ostacolato”. Beh, se era ubriaca non poteva ostacolare proprio niente! E cosa vi fa concludere che “la ragazza con la denuncia voleva rimuovere quello che considerava un suo discutibile momento di debolezza e fragilità”? Ve l’ha detto lei? Siete in possesso di una registrazione con queste sue parole? O è una vostra paternalistica supposizione? Perché mai un soggetto che chiamate disinibito avrebbe dovuto considerare quel momento uno di fragilità?
Non è che avete fatto il processo alla sua personalità e concluso che essendo lei bisessuale allora era depravata? Nei romanzi ottocenteschi le donne erano sante o puttane, e se avevano una sessualità libera erano disprezzate dalla società. Siamo nel 2015, ognuno si gestisce la sessualità come crede, ma il vostro giudizio risente, sembra, del retaggio culturale maschilista. 
Come dice la ragazza stessa:
“Ebbene sì, se per essere creduta e credibile come vittima di uno stupro non bastano referti medici, psichiatrici, mille testimonianze oltre alla tua, le prove del dna, ma conta solo il numero di persone con cui sei andata a letto prima che succedesse, o che tipo di biancheria porti, se usi i tacchi, se hai mai baciato una ragazza, se giri film o fai teatro, se hai fatto della body art, se non sei un tipo casa e chiesa e non ti periti di scendere in piazza e lottare per i tuoi diritti, se insomma sei una donna non conforme, non puoi essere creduta. Dato che non hai passato gli anni dell’adolescenza e della giovinezza in ginocchio sui ceci con la gonna alle caviglie e lo sguardo basso, cosa vuoi aspettarti, che qualcuno creda a te, vittima di violenza?”

Signori giudici, con questa sentenza avete aggiunto sofferenza a una ragazza che ha tanto sofferto. Come afferma lei in una lettera: “…la mia vita distrutta, maciullata dalla violenza: la violenza che mi è stata arrecata quella notte, la violenza dei mille interrogatori della polizia, la violenza di 19 ore di processo in cui è stata dissezionata la mia vita dal tipo di mutande che porto al perché mi ritengo bisessuale.”
Con la vostra sentenza cercate di mettere un freno al progresso verso la parità tra i generi. Non ci riuscirete! Non illudetevi, il moralismo e il sessismo che la ispirano cederanno il posto alla modernità e al rispetto per la donna anche da noi. E il dibattito scaturito a seguito della vostra decisione si ritorcerà contro di voi, perché favorirà il cambiamento.

giovedì 16 luglio 2015

Il libro con gli stivali illustrazione di Philippe Corentin - www.babalibri.it


Cosa dire del modo col quale la polemica nata intorno ai libri del progetto “Leggere senza gli stereotipi” si è avvitata su se stessa?
Sosteniamo da molto tempo ormai, in compagnia con tutti i professionisti del settore che ci è capitato di incontrare in questi anni, che la letteratura per ragazzi è semplicemente letteratura rivolta a tutti, scritta dagli autori con l’attenzione rivolta alle fasce di età dell’infanzia e dell’adolescenza. Non abbiamo mai sentito nessuno, che avesse un’opinione ponderata sulla letteratura per ragazzi, sostenere che essa non debba addentrarsi in tematiche importanti.
Oggi si contesta ad alcuni libri per l’infanzia di offrire uno spaccato della società attuale. Poco o nulla importa se siano capolavori della letteratura o testi mediocri: ciò che si contesta è la possibilità per i libri di parlare della realtà esistente, attraverso metafore o meno. Di più, si contesta la possibilità di farlo nelle prime fasce di età.
Il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, ha dichiarato di voler sottoporre al vaglio i libri del progetto, per valutare «quali siano, e soprattutto quali non siano, adatti a bambini in età prescolare».
Crediamo che la qualità di una democrazia si misuri nella sua capacità di rispettare la pluralità delle posizioni presenti in una società complessa, progredendo grazie al contributo di tutti i cittadini senza scivolare nella dittatura di una maggioranza relativa; per questo le società civili si dotano di vari organismi: tra questi certamente le università rappresentano uno dei corpi qualificati che, se ascoltati, possono offrire un punto di vista fondato sui contenuti invece che su criteri estranei alla materia.
Uno dei punti in questione è proprio questo: è lecito che un politico si occupi di qualunque argomento, senza consultare quei professionisti che all’interno della società di quegli argomenti si occupano? Non vogliamo pensare che la difficoltà ad affidarsi a un parere qualificato dipenda dal fatto che, già a inizio 2014, il mondo accademico si era espresso in modo chiaro e unanime in favore dei libri, giudicandoli quindi tutti adatti all’età prescolare.
Ci consideriamo professionisti del libro, specializzati in letteratura per l’infanzia; crediamo quindi di dover difendere il cuore della nostra professione prima che noi stessi.
Siamo quindi costretti a chiedere, a questo punto con fermezza, che la valutazione sui libri venga tenuta fuori da un dibattito politico che ne vuole fare terreno di scontro e non occasione di crescita per la società. Chiediamo a gran forza che i membri della medesima comunità tornino (o comincino?) a dialogare, abbandonando slogan e provocazioni. È una questione di civiltà: ne va di noi e del nostro futuro.


mercoledì 15 luglio 2015

La reverenda di Oxford: "Smettiamo di dire Lui per parlare di Dio" di Claudio Rao

 E se l'ordinazione delle donne-sacerdote fosse furiera di un'autentica rivoluzione non solo culturale, ma anche teologica?
Dio potrebbe diventare una donna !
Secondo la tradizione, la divinità cristiana è sempre stata rappresentata come maschile, un  vecchio con la barba bianca che presiede ai destini del mondo.
La Bibbia, scritta da uomini, ne parla attribuendogli caratteristiche inequivocabilmente maschili.
E se non fosse proprio così? Già papa Luciani, quella meteora di amabilità pastorale che ha illuminato il mondo col suo sorriso e la sua semplicità evangelica, disse: "Dio è padre, ma ancor di più è madre!". Ovviamente era solo un'immagine.
La reverenda Emma Percy della Chiesa anglicana, invece, sembra voler essere più concreta sull'argomento. Membro del consiglio WATCH, «Women and the Church» (Le donne e la Chiesa), ha fatto del sesso di Dio il suo cavallo di battaglia: «Cessiamo di designare Dio al maschile nei testi e negli inni della Chiesa d'Inghilterra».
Di Oxford, femminista, a 52 anni, la reverenda precisa: «E' dall'inizio degli anni Ottanta che rifletto al femminismo, al cristianesimo e al ruolo della donna nella tradizione anglicana».
E' evidente che il suo auspicio è che si smetta di pensare che Dio sia più ad immagine dell'uomo che non della donna.
«Quando diciamo "Lui" per parlare di Dio, rinforziamo l'idea che sia un uomo. Ora, nella Bibbia ci sono anche delle allusioni alla donna per parlare di Dio. Il genere è una realtà umana, ma Dio è al di sopra di tutto ciò. Se oggi parliamo di Dio al maschile è soltanto perché la tradizione è sempre stata creata da uomini» precisa Emma Percy.
La reverenda è una habituée di questa controversa questione. Già lo scorso anno il WATCH entrava in campagna per favorire la prima nomina di una donna a vescovo. Causa vinta il 15 gennaio scorso con la consacrazione di Libby Lane a Stockport. Tuttavia questa nuova crociata per il genere di Dio pare assai più complessa e difficile.
Certo è che, riflettendoci bene, ad un essere di puro spirito quale si concepisce la divinità, poco si addicono sembianze sia maschili che femminili. Un discorso che a noi laici sembra più simile alle annose discussioni teologiche sul sesso degli angeli. E decisamente meno concreta dell'apertura alle donne per l'ordinazione sacerdotale anche nella Chiesa cattolica, per esempio.



martedì 14 luglio 2015

EIGE: presentato l'indice sull'uguaglianza di genere 2015 L'Istituto Europeo per l'uguaglianza di genere pubblica i dati relativi al monitoraggio nel periodo 2005-2012.

Pubblichiamo dal sito "Rete Pari Opportunità"

L'indice sull'uguaglianza di genere 2015, presentato il 25 giugno a Bruxelles dall'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (EIGE), rileva che l'Unione europea ha percorso solo la metà del cammino iniziato nel 2005 verso una società rispettosa dell'uguaglianza di genere.
L'indice fornisce un punteggio sull'attività svolta dagli Stati membri in questo ambito e sui progressi compiuti verso l'eliminazione delle discriminazioni basate sul genere. Il punteggio è compreso tra 1 e 100, dove 100 rappresenta lo scenario migliore. A distanza di due anni dalla sua introduzione nel 2013, l'EIGE ha creato una serie temporale dell'indice relativa al 2005, al 2010 e al 2012: il punteggio complessivo dell'indice per l'UE è salito marginalmente, da 51,3 su 100 nel 2005 a 52,9 nel 2012 .

I progressi per Stato membro e per settore, tuttavia, non sono uniformi: alcuni Stati hanno fatto registrare miglioramenti, mentre altri sono regrediti.

"Le significative differenze a livello di progressi compiuti tra gli Stati membri riflettono le diverse scelte di priorità e approcci nell'attuazione delle politiche e nel raggiungimento degli obiettivi dell'UE" ha dichiarato Virginija Langbakk, direttrice dell'EIGE.
La commissaria responsabile di giustizia, consumatori e parità di genere, Vera Jourová, ha sottolineato come "i progressi compiuti verso l'uguaglianza di genere negli Stati membri sono concreti, ma rimangono importanti lacune da colmare. Mi sono assunta l'impegno di superare le disparità di genere che ancora rimangono in Europa. L'indicatore della parità di genere sviluppato dall'EIGE è uno strumento utile per misurare i passi avanti fatti dagli Stati membri verso il conseguimento dell'obiettivo dell'uguaglianza di genere".

L'indice sull'uguaglianza di genere si articola su sei domini principali (lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute) e due domini satellite (violenza contro le donne e disuguaglianze intersezionali). Esso si basa sulle priorità politiche dell'UE e valuta l'impatto delle politiche in materia di uguaglianza di genere nell'Unione europea e da parte degli Stati membri nel tempo.

Nell'indice sull'uguaglianza di genere del 2015, il dominio del potere riflette le maggiori conquiste, con un aumento del valore da 31,4 su 100 nel 2005 a 39,7 nel 2012. Nonostante ciò, gli uomini continuano a essere sovrarappresentati ai vertici dei processi decisionali in tutti gli Stati membri, in ambito sia politico che economico.

Nel dominio del tempo si registra il punteggio più basso (37,6 su 100) dei sei domini principali dell'indice. Ciò riflette la divisione ancora poco equilibrata del lavoro non retribuito tra donne e uomini nella sfera privata, che rimane la principale barriera all'uguaglianza di genere.

Il dominio satellite della violenza mostra che il contesto in cui si registrano episodi di violenza contro le donne, gli atteggiamenti sociali nei confronti di questo fenomeno e la fiducia nelle istituzioni sono tutti elementi fondamentali per comprendere i livelli di violenza contro le donne. I risultati mostrano che la raccolta di dati in questo ambito necessita di uno sforzo concertato da parte degli Stati membri.

L'EIGE, che funge da centro di conoscenza dell'UE sull'uguaglianza tra donne e uomini, ha elaborato questo strumento unico nel suo genere per misurare i progressi compiuti verso il traguardo della parità di genere nell'Unione europea e negli Stati membri. Negli anni scorsi l'indice è diventato sempre più significativo, in particolare dopo che alcuni Stati membri l'hanno adottato come strumento di controllo standard all'interno dei propri sistemi statistici nazionali o regionali (per esempio, Irlanda, Estonia, Lussemburgo e i Paesi Baschi).

Relazione integrale qui  Gender Equality Index

lunedì 13 luglio 2015

ANDERSEN la rivista e il premio dei libri per ragazzi A proposito di Venezia

Care amiche, cari amici,
come la pensa Andersen in fatto di libri, diritti e libertà lo sapete bene, ne parliamo dal 1982 dalle colonne della rivista e anche quando non sono tema esplicito dei nostri articoli non è difficile riconoscere la tensione civile e libertaria di chi scrive sul mensile, perfino nelle recensioni. Del resto, le firme storiche e attuali della rivista le conoscete. È la linea editoriale della nostra rivista; una scelta naturale e addirittura semplice, anche in questi tempi difficili. Semplice perché non è chissà quale idea politica a informare la nostra tensione, no, è banalmente la letteratura a imporre di schierarci. Tutta la buona letteratura è a suo modo sovversiva, perché ci conduce allo sguardo dell’altro, perché è capace di commuovere e di metterci in moto insieme, e pure di farci crescere individualmente. Così, saldi, di fronte ai fatti di Venezia ci vorremmo far scappare da ridere. Ma non si può fare solo quello, anche perché se è vero che i fatti di Venezia hanno avuto vasta eco mediatica, altre analoghe polemiche in questi ultimi anni hanno attraversato più di una volta la provincia italiana.
In queste settimane l’iniziativa del neosindaco Brugnaro però ha suscitato una reazione a catena, e il silenzio diffuso è stato rotto da una moltitudine di iniziative, più o meno organizzate, più o meno sovrapponibili, tutte però improntate a uno spirito d’indignazione fiero, giocoso, competente, libero, scanzonato, colorato, qualche volta argutamente irriverente. Così come è, per fortuna, il nostro mondo di chi fa cultura per l’infanzia. Difficile ora, ancora in corsa, dare il conto di tutte le belle iniziative, a molte delle quali abbiamo aderito come Andersen. A tutte, anche a quelle minute e senza casse di risonanza, va il grazie mio e dello staff della rivista. Altre iniziative si stanno concertando. Ve ne daremo conto.
Sulle vicende veneziane proverò a non ripetermi, lasciando spazio a quanto ho scritto nell’ultimo editoriale di Andersen [n. 324, luglio/agosto]: “… mentre qui eravamo in procinto di consegnare in tipografia il numero che state leggendo, a Venezia si insediava il nuovo sindaco della città: Luigi Brugnaro. Lo aveva promesso in campagna elettorale e lo ha fatto appena entrato in Comune (ancor prima di insedirsi): ha ritirato dalle scuole dei servizi 0/6 (asili nido e scuole dell’infanzia) i libri del progetto “Leggere senza stereotipi”, quelli che maldestramente lui definisce gender e altri favole gay. Non sapendo bene di cosa stanno parlando, in generale e nello specifico, verrebbe da dire. E nella confusione intorno ai temi in questione, il neosindaco non si è risparmiato neppure nel discorso di insediamento. Evidentemente la sua piccola crociata gli è parsa una priorità di fronte ai grandi problemi della città. Peccato, davvero. Peccato, davvero, che adulti con responsabilità amministrative non si prendano la briga di capire cos’è Piccolo blu e piccolo giallo, solo per fare un esempio banale. Peccato, davvero, perché, come gli ha opportunamente scritto l’amico bibliotecario Tito Vezio Viola in un’ironica lettera pubblica, prima o poi toccherà anche a Pinocchio venir bandito giacché creato e cresciuto da Geppetto, attempato single. Peccato, davvero, perché accadimenti come quelli veneziani sono spie di un mondo in preda a timori e rincrescimenti, a ignoranza e chiusura”. Nel frattempo l’amministrazione ha fatto una parziale e maldestra marcia indietro. Non basta.

A voi cari lettori,
alle famiglie che non si fanno intimorire dalle grida della politica ignorante,
a tutte i bambini che intanto, se ne faccia una ragione sindaco, di quelle grida poco importa,
e perfino a lei sindaco Brugnaro un augurio di buona estate e di buone letture,
di quelle capaci di aprire orizzonti prima inattesi.

Barbara Schiaffino, direttore di Andersen

domenica 12 luglio 2015

BUONA INQUISIZIONE A TUTTI di Loredana Lipperini

Fra la Chiesa e i libri è sempre esistito qualche problema. Che si riteneva superato, evidentemente.
Anche se, secondo l’Odan (Opus Dei Awareness Network) i testi che la Chiesa metteva all’indice sino al 1948 sarebbero ancora proibiti dall’Opus Dei.
Qualche esempio: le opere di Zola e di Benedetto Croce, la gran parte di Gabriele D’Annunzio e di Ugo Foscolo, La critica della ragion pura di Kant, e poi testi di Spinoza, Voltaire, Rousseau, Hugo, Stendhal.
Qualche anno fa, mi è capitato di parlare con Giuseppe Corigliano, portavoce dell’Opus Dei, che ha smentito: “Avendo la Chiesa abolito l’indice, l’Opera non potrebbe mai riproporlo. Solo, negli anni Settanta, Escrivà mise in guardia dai libri di influsso marxista. Da qui a parlare di lavaggio del cervello ce ne corre”.
Da più parti si ritiene però che se l'indice dei libri proibiti non esiste ufficialmente più, ci siano stati e ci siano autori fortemente sconsigliati: una sorta di "bibliografia", insomma, a cura della stessa Opus Dei.
Tra le opere considerate da evitare, quelle di  Simone de Beauvoir, André Gide, Jean-Paul Sartre, Alberto Moravia, Aldo Capitini. Secondo altri nella guida bibliografica come opere inadatte ai figli ci sarebbero anche  Milan Kundera, Asimov, Stephen King, Jack Kerouac, Bukowski, Camus, Philip K. Dick.
Se qualcuno dell'Opus Dei è all'ascolto, dovrebbe aggiornare la lista con E con Tango siamo in tre (edizioni Junior) di Peter Parnell e Justin Richardson, e Piccolo Uovo con testo di Francesca Pardi e illustrazioni di Altan (pubblicato da Lo Stampatello). Sono stati definiti "libri gender" dal nuovo sindaco di Venezia e in quanto tali dovranno essere ritirati dalle scuole.
Benvenuti, care e cari, nella nuova Inquisizione. Ci sono giorni, e questo è uno di quelli, in cui essere nata e vivere in questo paese mi disgusta profondamente.

domenica 5 luglio 2015

Lo strano caso del comune di Venezia e dei libri per bambini censurati

Che dovessi spendere tempo a scrivere questo post non l'avrei mai detto...non per il post in sé naturalmente ma perché a volte nella realtà accadono cose che l'immaginazione non riesce a prevedere.
E' il caso dei libri per bambini destinati ad aggiornare ed arricchire i biblioteche di asili nido e scuole dell'infanzia di Venezia (da sempre oserei dire all'avanguardia nella cura dei servizi ai minori) comprati, poi bloccati, poi in parte consegnati ed oggi, dopo 2 anni, ritirati dalle scuole... Perché tutto questo via vai per ben 49 libri destinati alle scuole? (si è parlato di 36 ma siccome come Botolo amo la precisione sono 49 e le trovate tutte elencate e in immagine di seguito)
È presto detto: qualche mente poco raffinata ha pensato che si trattasse di "fiabe gay" (che cosa poi significhi questa espressione nessuno lo sa...) ovvero storie che travierebbero l'idea di famiglia dei bambini...
Incredibile ma vero, nel 2015, anche a Venezia che per alcune cose poteva sembrare una piccola isola felice, si pensa che dei libri per bambini possano avere il potere di scongiurare la malaugurata ipotesi (spero la mia ironia si legga bene tra le righe) che un bambino da grande si scopra gay. 
Ora, sono troppo fuori di me da troppi giorni per questa questione per mettermi qui a dire il perché e per come tutto ciò sia follia, tanto più che se siete qui vuol dire che l'educazione alla lettura in qualche modo vi sta a cuore. Però mi preme fare chiarezza sul perché questa vicenda sia emblema della stupidità più assoluta e non di un qualche legittimo punto di vista. Vi racconto in ordine i passaggi della vicenda e poi vi do la lista dei libri che vi lascerà a bocca aperta per l'assoluta incongruenza con queste specie di "accuse" mosse loro.
Tutto cominciò 2 anni fa quando in un momento forse illuminato il sindaco Orsoni incaricò la delegata del sindaco Camilla Seibezzi a scegliere ed acquistare dei libri per aggiornare le biblioteche di nidi e infanzie comunali. La Seibezzi aiutata dalla biblioteca pedagogica Bettini e dalla libreria a cui su è rivolta per l'acquisto dei libri (Il libro con gli stivali a Mestre che quest'anno ha avuto il premio Roberto Denti come migliore libreria per l'infanzia d'Italia) ha individuato 49 titoli che vi riporto sotto. Essendo questa delegata dichiaratamente omosessuale ed essendo presenti tra questi libri un paio di titoli con riferimenti alle coppie mono parentali si è scatenato il putiferio. Tanto che il sindaco congelò per un bel pezzo i libri nei magazzini del comune. E volete sapere qual è la cosa più bella? Nessuno dei giornalisti o di chi ha scatenato il putiferio conosce i libri in questione!
Alla fine i libri sono stati in parte consegnati alle scuole con grande contentezza di maestre e maestri. Oggi, 2 anni dopo, il neo eletto sindaco di destra Brugnaro alle prese con un comune in dissesto si preoccupa, a pochissimi giorni dall'elezione, di ordinare con una circolare la restituzione di quei libri.
Credo la faccenda si commenti da sé. Vi segnalo solo che fattacci simili sono accaduti anche in altre città italiane, ne avevo già parlato qui e che data la gravità della situazione che ci fa regredire nelle classifiche di Paese civile sta girando per l'Italia una bella mostra intitolata "Ci sono anch'io" con 120 albi dedicati al tema della diversità, diversi comuni e biblioteche la stanno ospitando.
A questo punto i titoli, tutti di grande qualità, delle più disparate case editrici, alcuni premiatissimi come il famigerato Piccolo uovo edito da Lo stampatello, alcuni imprescindibili come Piccolo giallo e piccolo blu di Lionni o A caccia dell'orso.


Ma chi l'avrebbe mai detto a Elemr il piccolo elefante variopinto che sarebbe entrato nelle fiabe gender? L'idiozia non ha limiti e il sopruso verso la libertà d'insegnamento nemmeno!
Cosa fare ora? Qualcosa di sicuro, certo il periodo estivo non aiuta, le scuole in questione tra 3 giorni chiuderanno e la cosa aiuterà a far calare il silenzio sul ritiro dei libri.
A me piacerebbe che si riuscisse a far sì che i genitori riuscissero a regalare quegli stessi libri alle scuole così da garantire la presenza, ribadirne l'importanza e garantire la libertà di maestre e maestre di utilizzarli se, come e quando ritengono opportuno....
Vedremo.
Certo che la lotta all'ignoranza continua, da domani torno a scrivere di bei libri!

da teste fiorite.blogspot.com 
libri per bambini, spunti e appunti per adulti con l'orecchio acerbo

sabato 4 luglio 2015

La furia dell'amore ferito e la forza della madre che ha rincorso lo stupratore di Prati di Mauro Leonardi

Nella tragedia della sedicenne violentata a Roma la scorsa notte al quartiere Prati, una luce brilla. Sembra che la madre di una delle amiche abbia visto lo stupratore fuggire e abbia anche tentato di rincorrerlo. Poiché la vittima è così giovane, è lei, la madre, l'altra protagonista di queste storia. Il suo dolore. La sua angoscia. Le sue domande. È dai tempi de "La ciociara" con la splendida Sofia Loren, che il dolore di una madre, in quel film anche lei vittima, ha quel volto e il rumore di quel grido. Cosa fare? Sul momento ogni madre regge. Sviene, forse, ma regge.

Urla, forse, ma regge. Piange, sicuro. Questa mamma, nello stupro di Roma, è riuscita ad arrivare quasi in tempo. Non ha potuto fare molto, non ha salvato l'amica di sua figlia, ma ha visto lo stupratore e lo ha rincorso. Mi ha dato forza e tenerezza, questa mamma che rincorre un uomo, lo stupratore della figlia di un'altra, ma so che se una cosa sanno fare le donne in quei momenti, quelli in cui i figli vengono minacciati, è allearsi. Quando devi proteggere chi ami, ti viene una forza che una donna si mette a rincorrere un uomo più grosso e, in questo caso, più cattivo, ma non fa niente. Lei lo rincorre. Perché l'amore rende le donne forti, l'amore ferito le rende pericolose.

Ma il dopo di quella madre, di tutte le madri, è terribile. Quando si dovrà tornare alla vita normale. Perché ci dovrà essere un vita normale per quella sedicenne, per sua madre e la madre dell'amica.

Anche se forse viene voglia di morire piuttosto che di vivere, invece non si muore e la vita continua: ma dobbiamo fare in modo che continui bene. Deve continuare e deve continuare bene. Tua figlia dovrà ricominciare, ricomincerà ad uscire, ad andare a scuola, a vedere le amiche, ad andare al cinema, a vivere, insomma. Non sono madre e non sono donna ma voglio consigliare un articolo, #notguilty, ve lo ricorderete. Una giovane donna aggredita a Londra aveva rotto il muro della vergogna e del silenzio.

Aveva curato non solo le ferite da pronto soccorso ma anche quelle interiori, sociali. Quelle del "non si va in giro conciate così, a quell'ora poi". L'altra sera, nel quartiere Prati di Roma quella sedicenne era a terra distesa a subire, non aveva difese, ma ora in piedi devi dirsi, glielo dobbiamo dire noi insieme alla madre, che non è colpevole di nulla. Non ha niente di cui farsi scusare o da cambiare di sé. Dovrà continuare a prendere l'ultimo autobus e a camminare da sola. "Non ci sottometteremo al pensiero che siamo in pericolo comportandoci così", diceva l'articolo che ho citato.

Ecco la risposta alla paura di ogni donna che vede la figlia uscire di sera. Il sostegno che noi dobbiamo dare a quella ragazza e a sua madre. Ma sarà possibile se le aiuteremo: se non lasceremo sole quelle ragazze e quelle madri. La ragazza di Londra aveva con sé la comunità del suo Campus universitario. Questa sedicenne chi avrà accanto per non essere costretta a vivere con orari da coprifuoco e vestita dell'armatura della vergogna?

venerdì 3 luglio 2015

Lo stupro è colpa delle vittime: dai media italiani al video della polizia ungherese

Potevi fare qualcosa.
Quella volta che sei uscita con le amiche, ti sei messa la minigonna, le calze velate, la scollatura. E quei tizi ti hanno urlato dalla macchina che eravate tutte troie.
Potevi non andare in giro come una troia.

Potevi fare qualcosa.
Quella volta che hai bevuto, ti sei divertita, hai “esagerato” come tutti i tuoi coetanei, come i maschi. E poi uno di loro invece di accompagnarti a casa ha deciso di violentarti in macchina.
Potevi non bere come un uomo.

Potevi fare qualcosa.
Quella volta che a quella festa non sei stata attenta al bicchiere mentre flirtavi con quel tipo e dopo aver bevuto non ci hai capito più niente. La mattina dopo ti sei ritrovata per strada mezza nuda.
Potevi non dimostrarti disponibile sessualmente.

Potevi fare qualcosa.
Quella volta che stavi tornando a casa da scuola, dal lavoro, e un uomo ti ha seguito mettendoti ansia, fin sotto al portone.
Potevi non uscire di casa.

Potevi fare qualcosa.
Quella volta in cui tuo padre, tuo marito, il tuo fidanzato, il tuo amico ti ha picchiata oppure ti ha costretta a fare sesso, dentro casa, in quello che sembrava un mondo sicuro.
Potevi non essere nata.

A denunciare la violenza fisica o sessuale sono pochissime donne. Chi non lo fa rimane in silenzio per paura, per vergogna, spessissimo perchè si sente in colpa.
La colpa nasce dalla cultura patriarcale del peccato originale, della mela di Eva che condannò l’uomo al suo stesso peccato, ma viene comunicata spesso anche da media ben più attuali della Bibbia: giornali e notiziari pronti a insinuare subdolamente il dubbio della responsabilità femminile.
Di recente abbiamo lanciato una campagna, #giornalismodifferente, volta proprio a chiedere un nuovo linguaggio e nuove rappresentazioni per l’informazione.
Tra le rivendicazioni che abbiamo proposto, una chiede proprio al giornalismo italiano di smettere di dare particolari sull’aspetto fisico ( avvenente, bella, affascinante ) e sull’abbigliamento ( scosciata, in tiro, appariscente ) delle donne al centro della cronaca perchè vittime di violenza. Che si tratti di femminicidio o di stupro infatti i giornali spesso corredano le notizie di cronaca nera con foto sexy delle vittime per catturare qualche lettore in più, oppure citano abbigliamento o atteggiamento ( flirtava, dava confidenza, alla mano ) della donna come a ricercare in lei la colpa della violenza maschile.
Com’è vestita una vittima di violenza? Chissenefrega. Ci è venuto da dire.
Anche perchè le vittime di violenza sono in pigiama come in lungo.
L’abito è davvero poco rilevante quando si vive in un mondo in cui le donne sono di per sé oggetti sessuali per la fruizione di un maschile.
Non la pensa così però gran parte dei media, che continua a perpetrare l’idea che la violenza dipenda invece dalla bellezza, dall’abbigliamento di una donna o, ancora peggio, sia una forma di apprezzamento e di lusinga.
Non la pensa così nemmeno la polizia ungherese che, in questi giorni, ha diffuso un video per la prevenzione degli stupri che racconta la storia di una ragazzina che, al ritorno da una serata in discoteca con le amiche, viene aggredita da uno sconosciuto che l’ha adocchiata per strada.
Il video mostra tre ragazze che si divertono prima in casa e poi in discoteca, dove bevono alcol insieme ad alcuni ragazzi con cui flirtano sorridenti. Al termine della serata però, una di loro, seduta a terra, con il trucco disfatto e la t shirt strappata, piange la violenza appena subita. Una vera e propria pornovittima servita al pubblico e poi la scitta: “Puoi fare qualcosa, puoi fare qualcosa a riguardo”
E questo qualcosa è non uscire con le amiche, non andare in discoteca, non bere alcolici, non flirtare con dei ragazzi.

Cosa si può fare per evitare uno stupro?
Lottare per i diritti delle donne, da quello a mettere una minigonna senza essere chiamata “troia” a quello al lavoro ad esempio, o specularmente, al reddito. Lottare per essere degli uomini migliori di quelli a cui non si rivolge nessuna campagna progresso.
Rivendicazioni solo apparentemente distanti, ma che si avvicinano nel tentativo di affermare la libera autodeterminazione delle donne, fuori dal controllo patriarcale, dell’uomo che ancora pensa di avere un potere sulle donne della sua vita e non.
Questo eviterà di essere stuprate?
Non è detto. Lo stupro nulla ha a che fare con il desiderio sessuale, la sessualità o il piacere, è un’affermazione di potere, un’umiliazione destinata proprio a chi sembra sfuggire al controllo.
Non è raro che le donne quando escono in gruppo badino reciprocamente a loro stesse.
Se un’amica sparisce per un po’ in discoteca si parte alla sua ricerca.
Se una ragazza vaga da sola per strada ubriaca non è raro che le si dia un passaggio, tra donne, per tutelarla dalla notte.
Neanche questo eviterà uno stupro, ma è una solidarietà femminile sempre più diffusa.
Iniziamo col ricordare almeno che il “poter fare qualcosa”non vuol dire non uscire di casa, non bere alcolici, non indossare minigonne e scollature. Iniziamo col dire a tutti quelli che commenteranno “eh ma comunque ti esponi a un maggior rischio se bevi qualcosa di più e flirti con gli uomini” che stanno avvalorando la cultura patriarcale del potere sulle donne, la retorica della paura, donne che devono temere tutti, persino se stesse.  
Ma allora cos’è che protegge davvero da uno stupro?
Se il video fosse rivolto a degli uomini, lo slogan sarebbe “puoi fare qualcosa per evitare uno stupro: non stuprare”.
Ed è forse questo l’unico insegnamento da dare in fatto di violenza sessuale.
Ma chissà perchè, la prevenzione degli stupri tocca alle vittime, non agli stupratori.

giovedì 2 luglio 2015

Che cosa NON è la “teoria del genere” di Giulia Siviero

Ce lo spiega subito Giulia Siviero – laurea in filosofia, studi sul pensiero della differenza sessuale  e sulle questioni di genere – in questo articolo denso di contenuti del quale vi proponiamo la lettura.  Ella elenca  tra i “rumorosi” critici della “teoria del genere” anche Papa Francesco. Afferma che  in tutte queste critiche c’è  molta confusione e non c’è alcuna corrispondenza o conoscenza dell’evoluzione del pensiero che si può riassumere sotto la formula “studi di genere”: non esiste, innanzitutto, alcuna “teoria del genere” o “ideologia di genere”. Queste espressioni sono in sostanza delle invenzioni e delle costruzioni che pretendono di unire sotto un unico ombrello studi, ricerche e rivendicazioni di diritti da parte della comunità LGBTI (lesbiche, gay, omosessuali o transgender), ma non solo, spesso travisandoli. Parole forti, ma supportate da fatti  ben documentati.  Chapeau, Giulia!
Lo scorso 16 aprile, durante un’udienza generale in Piazza San Pietro dedicata alla famiglia – e al «grande dono che Dio ha fatto all’umanità con la creazione dell’uomo e della donna e con il sacramento del matrimonio» – Papa Francesco ha parlato della “teoria del gender” – “teoria del genere”, o gender theory – criticandola e dicendo:
«La cultura moderna e contemporanea ha aperto nuovi spazi, nuove libertà e nuove profondità per l’arricchimento della comprensione di questa differenza. Ma ha introdotto anche molti dubbi e molto scetticismo. Per esempio, io mi domando, se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Eh, rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione».
La “teoria del genere” è già oggetto di critiche da parte di vescovi, associazioni cattoliche e movimenti conservatori di tutto il mondo, soprattutto a seguito di una serie di progetti che, secondo questi stessi detrattori, vorrebbero introdurne l’insegnamento nelle scuole: è successo in Francia ma anche in Italia, dove i governi Monti e Letta hanno promosso la diffusione nelle scuole primarie e secondarie dei volumi “Educare alla diver­sità a scuola” e dove un’associazione ha realizzato in 16 istituti di Roma un corso di formazione (autorizzato dal Comune) a oltre 200 insegnanti di scuole dell’infanzia e asili nido contro gli stereotipi di genere. Il progetto si chiama “La scuola fa la differenza”e ha lo scopo di promuovere l’educazione alle differenze tra donna e uomo e lo sviluppo della libera espressione della personalità, la lotta al sessismo e all’omofobia.
Proprio come in Francia, questi progetti sono stati molto criticati da alcuni giornali e movimenti di estrema destra. Il gruppo Militia Christi, per esempio, ha inviato per settimane lettere e appelli; articoli molto critici sono stati pubblicati sulTempo, sul Giornale d’Italia, su Tempi e Avvenire: questi articoli parlano di “ideologia”, di bambini strumentalizzati, confusi e indottrinati, di lezioni porno negli asili e dicono di difendere un dato naturale – la differenza sessuale – da chi vuole trascurarlo e contestarlo «come obsoleto stereotipo culturale».
In tutte queste critiche – così come nelle cose che ha detto Papa Francesco – c’è però molta confusione e non c’è alcuna corrispondenza o conoscenza dell’evoluzione del pensiero che si può riassumere sotto la formula “studi di genere”: non esiste, innanzitutto, alcuna “teoria del genere” o “ideologia di genere”. Queste espressioni sono in sostanza delle invenzioni e delle costruzioni che pretendono di unire sotto un unico ombrello studi, ricerche e rivendicazioni di diritti da parte della comunità LGBTI, ma non solo, spesso travisandoli. Volendo semplificare potremmo dire comunque che gli studi sul genere – i cosiddetti “gender studies” – hanno a che fare con lo studio di come nel tempo, nella storia e nella cultura siano state costruite le identità femminili e maschili. Mostrano come le norme che reggono l’ordine sessuale sono state storicamente create e sono ben lontani dal negare le differenze corporee o sostenere che ciascuno possa scegliere o inventare la propria identità e il proprio orientamento sessuale.
Il genere
La categoria di “genere” si trova a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta nella ricerca psichiatrica, sociologica e antropologica americana. Con la parola “sesso” si inizia a riferirsi esclusivamente alla dimensione corporea di una persona (cioè alla sua anatomia); con quella “genere” si inizia a indicare sia la percezione che ciascuno e ciascuna ha di sé in quanto maschio o femmina (cioè l’identità di genere), ma anche il sistema socialmente costruito intorno a quelle stesse identità (cioè il ruolo di genere). La distinzione fra sesso anatomico e ruolo di genere sta alla base di un nuovo pensiero: e cioè che possa esserci una discontinuità tra il corpo con cui si nasce, l’immagine che si ha sé (come ci si sente) e i ruoli stabiliti da altri (gli stereotipi di genere).
Il genere nel pensiero femminista
La categoria di genere è stata studiata innanzitutto nelle riflessioni femministe contemporanee su soggetto, identità e differenza. Il femminismo radicale statunitense degli anni Settanta – “radicale” perché si proponeva di andare alle radici della subordinazione delle donne, oltre la conquista dei diritti civili o di una loro indipendenza economica – ha messo al centro del suo discorso la sessualità e ha definito la categoria di genere come costruzione sociale e culturale dei sessi e dei ruoli.
L’identità maschile o femminile secondo questi studi non è “data per natura” ma è stata costruita socialmente. In questa costruzione la differenza di sesso biologico è stata trasformata in una differenza di ruoli (di “genere”, appunto), che a sua volta è diventata una gerarchia: gli uomini sono stati assegnati alla produzione e al lavoro, le donne alla riproduzione e alla cura. La gerarchizzazione delle differenze ha portato all’oppressione degli uomini sulle donne e alla creazione di confini rigidi tra le identità di genere, con l’allontanamento o il non riconoscimento di chi sta fuori da questa norma. Per questo, secondo le teoriche del genere, è necessario che le convenzioni sociali si emancipino dalla natura, ma anche che le persone sleghino la loro identità dall’ordine sociale sottraendosi al dualismo sessuale. A tutto questo è collegata la rivendicazione di nuovi diritti sessuali: quello di scegliere il proprio sesso, la difesa delle cosiddette minoranze sessuali, il diritto al matrimonio omosessuale e all’adozione, il diritto ad avere un bambino.
L’identità sessuale riguarda la natura o la cultura?
L’accusa che solitamente viene rivolta alla “teoria del genere” è che sia nemica dell’ordine naturale e neghi la differenza biologica tra uomini e donne. Chi afferma che siamo determinati e determinate dal nostro corpo rischia però di dedurre automaticamente tutta una serie di caratteristiche e di qualità sessuate: scivolare nel “riduzionismo naturalistico” (il mio corpo è il mio destino), aderire in modo acritico a una serie di stereotipi (le donne non sono brave in matematica o in ingegneria meccanica, gli uomini non piangono durante i film, eccetera) o negare l’identità o il riconoscimento di chi sfugge al codice binario uomo-donna.
Il gender è stato comunque ampiamente criticato anche da alcune femministe, quelle ad esempio che appartengono al cosiddetto pensiero della differenza sessuale (movimento che ha in Italia le sue più importanti esponenti): le teoriche della differenza sessuale hanno in particolare interpretato (a torto o a ragione) il gender come una messa in discussione del corpo sessuato sostenendo che ogni cosa di cui un uomo o una donna fanno esperienza passa attraverso il loro corpo. Tuttavia, hanno affermato, le persone sono anche capaci di prendere distanza da ciò che le ha messe al mondo con quel corpo. Uomini e donne, hanno sottolineato, pur nella parità dei diritti, sono differenti nel modo in cui interpretano la realtà e questo a partire dal diverso rapporto con la generazione e dal diverso modo di vivere il proprio corpo come corpo sessuato.
Quindi, di cosa stiamo parlando?
I progetti previsti in Francia, ma anche quelli in Italia, parlano di “educazione alle differenze” e non di gender e hanno come obiettivo principale semplicemente supplire alle carenze strutturali della scuola nella costruzione delle identità di genere, promuovere lo sviluppo della libera espressione della personalità nel rispetto del prossimo e delle differenze individuali, la parità tra donna e uomo, la pluralità dei modelli familiari e dei ruoli sessuali, il contrasto al sessismo nella lingua a nella cultura, la lotta all’omofobia, al bullismo e a ogni forma di violenza sulle donne. Per capire si può anche leggere il documento approvato dall’Associazione italiana di psicologia che ha come obiettivo «rasserenare il dibattito nazionale sui temi della diffusione degli studi di genere e orientamento sessuale nelle scuole italiane» e di «chiarire l’inconsistenza scientifica del concetto di ideologia del gender».
Il libro che ha introdotto nel dibattito comune degli anni Novanta la definizione di “teoria del genere” è Gender Trouble (Questione di genere) di Judith Butler, una delle pensatrici femministe più autorevoli e influenti dell’ultimo decennio. Secondo Butler la materia, i corpi e le differenze sessuali sono “atti” recitati: non ci sono “donna” e “uomo” (né ovviamente una “natura femminile” e una “natura maschile”) ma ci sono “recite” ripetute e obbligate dei codici dominanti. Nel 2013 Butler è stata intervistata su Le Nouvel Observateur e ha spiegato molto bene la propria posizione rispondendo innanzitutto a chi sostiene che la “teoria del genere” sia in generale una negazione dei sessi e che il suo insegnamento, se attuato, porti a questo come principale conseguenza.
Dice Butler:
«In molti mi domandano se io ammetta o no l’esistenza del sesso biologico. Implicitamente, è come se mi stessero dicendo: «bisognerebbe essere pazzi per dire che non esiste!» E in effetti è vero, il sesso biologico esiste, eccome. Non è né una finzione, né una menzogna, né un’illusione. Ciò che rispondo, più semplicemente, è che la sua definizione necessita di un linguaggio e di un quadro di comprensione – esattamente come tutte le cose che possono essere contestate, in linea di principio, e che infatti lo sono. Noi non intratteniamo mai una relazione immediata, trasparente, innegabile con il sesso biologico. Ci appelliamo invece sempre a determinati ordini discorsivi, ed è proprio questo aspetto che mi interessa».
E ancora:
«La teoria del genere non descrive “la realtà” in cui viviamo, bensì le norme eterosessuali che pendono sulle nostre teste. Norme che ci vengono trasmesse quotidianamente dai media, dai film, così come dai nostri genitori, e noi le perpetuiamo nelle nostre fantasie e nelle nostre scelte di vita. Sono norme che prescrivono ciò che dobbiamo fare per essere un uomo o una donna. E noi dobbiamo incessantemente negoziare con esse. Alcuni tra noi sono appassionatamente attaccati a queste norme, e le incarnano con ardore; altri, invece, le rifiutano. Alcuni le detestano, ma si adeguano. Altri ancora traggono giovamento dall’ambiguità… Mi interessa dunque sondare gli scarti tra queste norme e i diversi modi di rispondervi».
Butler spiega anche esplicitamente di rivolgersi a quelle persone il cui genere o la cui sessualità sono al centro di vari conflitti:
«Mi piacerebbe contribuire a rendere il mondo un luogo in cui vivere un po’ più facilmente. Si consideri il caso della bisessualità: il regime degli orientamenti sessuali rende ardua la possibilità di poter amare sia un uomo sia una donna – vi si dirà che dovete scegliere tra le due alternative. O si consideri ancora la situazione degli intersessuali, le persone sessualmente ambigue o indeterminate: alcuni chiedono che questa ambiguità sia accolta come tale, senza che queste persone siano costrette a divenire donne o uomini. Come fare per aiutarle? La Germania ha appena introdotto il “terzo genere” tra le categorie con cui amministrare i corpi. E mi sembra un tentativo di rendere il mondo più vivibile».