lunedì 29 febbraio 2016

Carla Cerati: lo sguardo di Antigone Silvia Mazzucchelli

“Per anni ho sentito parole agitarsi dentro di me: ubbidienza, sacrificio, gratitudine, lavoro, onestà, castità, maldicenza, verginità, educazione”, “ora questa montagna di parole si è condensata ed è esplosa: non sarò mai più la stessa, ma voglio essere me stessa”. È il 1975 e queste sono le parole con cui la fotografa e scrittrice Carla Cerati conclude il suo romanzo Un matrimonio perfetto, appartenente alla trilogia pubblicata con il titolo di Una donna del nostro tempo, ispirata alla sua vita, a cui ne seguiranno molti altri.
La protagonista, archetipo della casalinga disperata, versione anni Sessanta, non ha scampo: è imprigionata in un ruolo di moglie e di madre, senza alcuna via di fuga, nemmeno nelle illusorie scappatelle extraconiugali a cui tenta disperatamente di aggrapparsi. Non esiste alcun universo alternativo, mitico, favoloso, sognante o liberatorio. “Io fedele Penelope stavo a casa”, “e Fabrizio altrove”, dice la protagonista del romanzo. Nessuno spiraglio, nemmeno sulla carta. Ma sin qui domina pur sempre la finzione letteraria. Il passo successivo sarebbe quello di irrompere nella realtà. E Carla Cerati ci riesce: continua a scrivere per tutta la vita, affidando alla scrittura l’analisi del suo passato e con la macchina fotografica si immerge nel presente e nella ricerca del proprio sguardo.
 Com’è quello sguardo? Ribelle, libero, anticonformista? Non solo. Si tratta di uno sguardo particolare, affidato a quello di un personaggio femminile che è tuttora di estrema attualità: Antigone, forse nella sua versione più intensa, a cui la fotografa ha dedicato molte delle sue immagini. Questa è la storia della sua genesi.
 Carla Cerati, scomparsa in questi giorni, inizia la propria carriera come fotografa di scena. Nel 1960 fissa su pellicola Aspettando Godot di Tullio Pendoli, lavora per la compagnia del regista Franco Enriquez, fotografa il ballerino di flamenco Antonio Gades conosciuto nel 1969 quando era a Milano per uno spettacolo alla Scala, immortala la pièce Wielopole Wielopole di Tadeusz Kantor rappresentata a Firenze nel 1980 e nello stesso anno una performance del gruppo Bread and Puppet di Peter Schumann.
 E poi fotografa il Living Theatre, la creatura Off-Broadway, sorta nel 1947 a New York dall’incontro fra Judith Malina e Julian Beck, che rappresentano molti dei loro spettacoli anche in Europa. Gli scatti di Carla Cerati fissano i volti degli attori e le vibrazioni dei loro corpi: dapprima l’Antigone nel 1967 al Teatro Durini di Milano, poi le figurazioni allucinate del Frankenstein nel 1968 a Modena, e nello stesso anno le fotografie di Paradise Now, scattate nell’ambito del Festival del teatro di Avignone due mesi dopo il Maggio francese, le stesse immagini che nel 1970 Franco Quadri include nel suo saggio dedicato al famoso happening.
 Ma è l’Antigone ad affascinare in maniera particolare la fotografa. Lo spettacolo che lei immortala nel 1967, scaturisce dallo studio dell’album fotografico e delle note dell’Antigone sofoclea tradotta da Hölderlin, ma rivisitata in chiave politica da Bertolt Brecht nel 1948. Non solo nel 1974 Carla Cerati espone ottanta fotografie di scena dell’Antigone in una mostra alla galleria Primopiano di Torino, ma in seguito riprende le immagini del Living, le scruta, le modifica, le stravolge. Realizza otto fotografie che lei denomina Elaborazioni sull’Antigone. In seguito ne isola alcuni particolari ampliando la drammaticità del dettaglio; nel 1983 ingrandisce nuovamente le fotografie e sperimenta diversi viraggi, ottenendo “ingrandimenti sgranati che paiono sindoni di anime torturate”, scrive Uliano Lucas.
 Perché tanta insistenza? Cosa accomuna lo sguardo di Antigone, la giovane fanciulla che disobbedisce alle leggi del tiranno Creonte e decide di seppellire il fratello Polinice, allo sguardo della fotografa? Cosa vuole suggerire Carla Cerati attraverso il volto di Antigone/Judith Malina? Non si tratta forse di quello sguardo sconvolto ma allo stesso tempo lucido e tenace, che oppone la fragilità al dispotismo del potere?
 

Carla Cerati, Senza titolo, (al centro Judith Malina nell’Antigone, spettacolo del Living Theatre al Teatro Durini di Milano), s.d. (1967)
 Ma chi è davvero Antigone? E ancora: “quanto l’Antigone nei nostri anni ci parla dell’Antigone sofoclea e quando invece di noi?”, si chiede Rossana Rossanda in un suo saggio. Antigone è un insieme di doppi: la persona e lo stato, ciò che è legge e ciò che è giusto, l’amore e la morte. Sono questi i dilemmi che ne caratterizzano il destino. Ma un ben moderno destino, scrive ancora la Rossanda, se è vero che Antigone è definita dal Coro “autónomos, come colei che da sola si dà la sua legge”, al massimo della “coscienza di una solitudine a nessuno imputabile se non a sé”.
 “Ōmós è il suo carattere, dirà ancora di Antigone il Coro (…) letteralmente al di là dell’umano, un’ostinazione inflessibile”, sino all’estrema conseguenza. Per questo, anche prese la dovute distanze, conclude la studiosa, “ci scopriamo come Antigone nelle sue ultime ore. Come lei non crediamo alla sacralità dei potenti (…), come lei siamo determinati ad affermare, in solitudine, l’io, anche se il suo io non ha molto a che fare col nostro. Ci uniscono il principio d’autonomia e di disobbedienza”.
 Così è lo sguardo di Carla Cerati: disobbediente e ostinato perché autonomo. Per lei, madre di due bambini, sposata e casalinga, fotografare ha voluto dire “uscire dalla gabbia”, scoprire l’universo fuori dalla porta di casa, ma anche se stessa: i desideri, le aspirazioni, la possibilità di esprimersi. “Per me fotografare”, racconta Carla Cerati, “ha significato la conquista della libertà e anche la possibilità di trovare risposte a domande semplici e fondamentali: chi sono e come vivono gli altri? Lavorano? E se sì, dove lavorano? Quali sono i mestieri, le professioni e i luoghi in cui le svolgono? Come trascorrono il tempo libero?”.
Un bisogno di indipendenza e “autonomia” che giunge direttamente alle sue immagini in cui essa arriva a creare un’istante ideale, dove riesce a far vivere i soggetti che fotografa in una dimensione di libertà illimitata, un imprescindibile diritto ad esistere, senza rinunciare al suo punto di vista, al bisogno di guardare in modo nuovo il mondo che la circonda.
 In questo spazio fluido, vero e proprio luogo di incontro tra diverse soggettività, i volti degli uomini, i corpi, le città – nient’altro che quegli uomini, quei volti, quelle città – vivono unicamente della loro essenza, nel singolo istante fissato dall’obiettivo, e tuttavia incarnano l’idea della fotografa e il suo bisogno di trasmetterla, una pulsione verso il cambiamento e la trasformazione di una data realtà, come se la fotografia (e la scrittura) avessero il potere di spingersi al di là della stessa rappresentazione, per poi tornare al cuore del soggetto rappresentato.
 Per questo lo sguardo di Carla Cerati è allo stesso tempo trasparente e bulimico, uno sguardo a cui non può sfuggire nulla, poiché tutto intorno a lei è degno (come per la sua vita) di avere il proprio spazio di libertà e “autonomia”, dato dall’irriducibile autonomia dell’immagine fotografica.
 Il mondo intero entra nel suo obiettivo, con l’ostinazione di chi non intende tralasciare alcun dettaglio: l’esperienza sconvolgente e indimenticabile del fotografare i malati dei manicomi con Gianni Berengo Gardin, poi confluita nel celebre volume Morire di classe (1969) curato da Franco Basaglia, che essa considerava come la sua “eredità simbolica”. O ancora l’eccentricità e l’opulenza delle classi protagoniste del boom economico, anticipazione della “Milano da bere”, i cui soggetti sono raffigurati come maschere deformate in Mondo Cocktail (1974), il corpo femminile con le immagini di una scultorea bellezza nel libro intitolato Forma di donna (1978) e quelle a colori di Forma Movimento Colore. Nudo Danza, realizzate nel 1987-1988 con la collaborazione della danzatrice Valeria Magli.
  E poi i foyer della Scala, i mutamenti della città e le sue ferite nel ciclo intitolato Milano Metamorfosi (duecentodiciassette fotografie divise in capitoli come un romanzo), le lotte studentesche, i funerali di Giangiacomo Feltrinelli e degli studenti uccisi negli anni Settanta, il processo Calabresi-Lotta Continua, il mondo della scuola, quello delle balere degli immigrati nella vecchia Milano, i ritratti degli intellettuali: Eugenio Montale, Elio Vittorini, Italo Calvino, Pier Paolo Pasolini.
 E infine cosa può insegnare oggi il lavoro di Carla Cerati? Il coraggio, il rifiuto di ogni ipocrisia, la forza della propria irrinunciabile unicità. Alle soffocanti convenzioni del mondo borghese, in cui la donna era solo una presenza invisibile e silenziosa, la fotografa/scrittrice oppone nell’unione con il tutto e nel sentirsi parte dell’universo, una conoscenza vissuta come capacità di liberarsi da ogni forma di egoismo, per partecipare, nelle vesti di attrice e spettatrice, al fluire degli eventi.
Una disposizione all’apertura verso la realtà, che fa dell’erranza una condizione necessaria, affinché sia possibile restituire alla cultura e alla politica, come suggeriva Lea Melandri, “quel retroterra di esperienza, confinata nelle case e nel corpo delle donne”, poiché insieme al corpo possa prendere posto “nella polis, la “persona”, vista nell’interezza delle sue molteplici identità e appartenenze, sociali, sessuali, linguistiche, culturali”.

Questo articolo è stato pubblicato originariamente in forma diversa e più estesa sulla rivista “Nuova Prosa”.
http://www.doppiozero.com/materiali/ricordi/carla-cerati-lo-sguardo-di-antigone


domenica 28 febbraio 2016

Effetti del maxiemendamento sulle unioni civili, riforma adozioni, fedeltà, GPA: i nuovi scenari Di Antonio Rotelli, avvocato Rete Lenford.

Cronaca di un disamore.
Il Senato ha approvato la fiducia sul maxi-emendamento del Governo sul disegno di legge 2081, quello sulle unioni (in)civili, con 173 voti favorevoli e 71 contrari.
Ci sarebbe da scrivere tanto sul contenuto del testo approvato, sulle sue molte contraddizioni e sulla sua chiara matrice ideologica, ma non abuserò del tempo di chi legge limitandomi a pochi spunti. Chi vorrà potrà approfondire da sé gli aspetti tecnici, su cui non voglio impelagarmi più di quanto non abbia già fatto in altri contributi che rimangono validi, nonostante il testo del disegno di legge, che già criticavo, sia stato ulteriormente peggiorato (qui, qui e qui).

Le formazioni sociali specifiche.
La premessa è che fornisco un punto di vista dubbioso. Non intendo distribuire certezze, perché il testo è di difficile esegesi, sebbene ci siano delle chiare linee di tendenza che si sono radicalizzate nel succedersi delle sue varie versioni. Già l’oscura definizione di “formazione sociale specifica” fa emergere l’obiettivo di escludere le coppie dello stesso sesso dal recinto della famiglia, della genitorialità, dell’amore. Se ci siano riusciti o meno (qualora il testo diventasse legge) lo dirà la storia, quando si accorgeranno che le persone omosessuali rivendicano l’uguaglianza e affermano la dignità sociale delle loro famiglie e dei loro figli.

Rimosso l’obbligo di fedeltà.
Il maxi emendamento ha eliminato dalle unioni civili il riferimento alla fedeltà che due persone dello stesso sesso non sono tenuti a riconoscersi reciprocamente. Credo che le parole più interessanti sul significato della fedeltà le abbia scritte il mio collega Roberto Vergelli sulla pagina Facebook di Rete Lenford, ricordandoci che le parole, utilizzate in un testo giuridico, acquistano un significato che può non coincidere con quello rinvenuto nel vocabolario e che viene continuamente aggiornato ai principi costituzionali. La fedeltà è quella del cuore, non vi è dubbio, ma eliminandola dalla legge hanno inteso segnare un confine e adombrare subdolamente una instabilità affettiva della coppia, antitetica alla stabilità coniugale che resta il presupposto per le adozioni.

Quella notte in Commissione Giustizia e il riferimento alla vita sessuale.
Altro confine è stato marcato eliminando il riferimento alla vita sessuale. Il resoconto della Commissione giustizia, nella seduta notturna del 15 settembre 2015, riportava una serie di interventi che mi fecero sorridere e arrabbiare. Maurizio Sacconi (questo e gli altri faccio fatica a chiamarli senatori) si lamentava del fatto che, a suo parere, il testo delle unioni civili non fosse chiaro nell’indicare che «il congiungimento sessuale sia un elemento costitutivo dell’unione civile». Il presidente della Commissione, Nitto Palma, aveva sostenuto che, al contrario, nel testo erano richiamati l’articolo 122 del codice civile, nonché l’articolo 3, comma 1, numero 2), lettera f) della legge sul divorzio, che lasciavano desumere «che il congiungimento sessuale costituirebbe in ogni caso un elemento essenziale dell’unione civile» e Monica Cirinnà aveva aggiunto che questa ricostruzione era coerente con la sentenza della Corte costituzionale (n. 138/2010).

Il matrimonio presuppone anche il congiungimento carnale e, così come può essere ragione di divorzio la non consumazione del matrimonio, quest’ultimo può essere annullato qualora un coniuge sia impossibilitato a fare sesso o presenti una «deviazione sessuale», qualora l’altro coniuge sia stato tenuto all’oscuro di ciò e sia stato indotto in errore. Al contempo, non potrebbe essere impedito il matrimonio tra due persone che consensualmente decidessero di non stabilire tra di loro una relazione sessuale.

Rimossi i riferimenti alla vita sessuale di coppia.
Nelle unioni civili i riferimenti legislativi alla vita sessuale della coppia sono stati fatti scomparire facendo saltare dal maxi-emendamento il rinvio alle disposizioni richiamate da Palma e riproducendone il contenuto con tagli selettivi.

L’articolo 122 del codice civile stabilisce che può essere causa di annullamento l’errore su una qualità essenziale del partner, quando l’errore riguardi: «l’esistenza di una malattia fisica o psichica o di una anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale». Nelle unioni civili è diventato: «l’esistenza di una malattia fisica o psichica, tale da impedire lo svolgimento della vita in comune».

Rimossa la “mancata consumazione” fra le cause di divorzio.
Parimenti dalle cause di scioglimento dell’unione civile è stata eliminata la «mancata consumazione» del rapporto. Come dire che non può essere chiesto il divorzio se uno dei partner rifiutasse la vita sessuale di coppia.

Torna lo spettro dei PACS: Patti Civili di Solidarietà.
I tagli selettivi dicono all’interprete che la relazione sessuale non è un elemento che, come nel matrimonio, si presuppone. La formazione sociale specifica sarebbe una sorta di unione solidaristica e di vita in comune tra due persone dello stesso sesso che si fanno compagnia. Non è un caso, per esempio, che il riferimento alla vita coniugale dell’articolo 122 sia diventato quello alla vita in comune, anziché – per esempio – alla vita di coppia. La parola coppia ricorre una sola volta in tutto il testo, nel comma relativo alla delega affidata al Governo, laddove si dice che alle coppie dello stesso sesso sposate all’estero si dovrà applicare la disciplina dell’unione civile. Un esempio del fatto che la relazione di coppia rientrando nei confini nazionali passa da amorosa, con annessi sesso e fedeltà (nel senso illustrato), ad essere un contratto di assistenza morale, materiale e di coabitazione (comma 11).

Un contratto la cui efficacia va oltre le parti contraenti, ma appare distante da un negozio giuridico causalmente analogo al matrimonio. Un contratto in cui l’elemento patrimoniale e quello personale competono per chi debba prevalere, considerando che il comma 16 annovera tra le cause di annullamento dell’unione civile la violenza sui beni dell’altra parte, di un suo ascendente o discendente.

Rimossi richiami al codice civile sulla famiglia.
Così è continuata l’eliminazione del richiamo diretto ad ulteriori articoli del codice civile in cui ricorre la parola famiglia, facendo saltare ad esempio gli articoli sugli abusi familiari e sulla nomina dell’amministratore di sostegno, i cui contenuti parziali sono stati riprodotti senza la parola famiglia. Invece, “in memoria” della sentenza della Corte europea dei diritti umani è rimasto nel testo un solo riferimento alla vita familiare. Per ora si tratta di un sintagma muto, il cui significato e la cui portata ci verrà raccontata dalle future sentenze dei giudici, quei giudici tanto esecrati in nome della preminenza della politica, che ora vengono citati a sproposito come sacerdoti di un nuovo corso, come se improvvisamente la discrezionalità del legislatore non dovesse più esserci e la politica fosse da mettere da parte.

Le aspettative sulla delega al Governo e le preoccupazione sulla delega ad Alfano.
Se è corretto quanto ho premesso, si complica la ricostruzione della portata normativa del comma 20 del maxi emendamento. Viene stabilito che le disposizioni che si riferiscono al matrimonio o che contengono le parole coniugi o equivalenti, ovunque ricorrano, si applicano anche «ad ognuna delle parti dell’unione civile» (e non anche all’unione civile stessa), ma il maxi emendamento ha premesso una precisazione nebulosa. La loro estensione è limitata: «al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso». Nulla dice su quali siano i diritti, quali il limite minimo e massimo entro cui si estendono, cosa voglia dire “al solo fine”, come se escludesse qualcos’altro. Il riferimento normativo da prendere in considerazione per l’interpretazione sono certamente gli articoli 2 e 3 della Costituzione richiamati dal maxi emendamento, ma la Corte costituzionale, al momento, ha stabilito che differenze di trattamento tra l’unione tra persone dello stesso sesso e il matrimonio potrebbero essere ragionevoli. La legge sul punto non sembra fare passi in avanti e insinua dei dubbi sulla effettiva estensione automatica della reversibilità, della disciplina fiscale familiare e delle altre previsioni fuori dal codice. Qualche elemento di chiarezza, in positivo o in negativo, potrà venire dall’esercizio della delega affidata al governo che dovrà coordinare tali disposizioni con la legge sulle unioni civili. Considerato che questo pessimo maxi emendamento lo ha scritto il Governo e considerati i ministri ai quali è stata affidata la predisposizione dei decreti legislativi, fra cui spicca il nome di Algelino Alfano, non c’è da dormire sonni sereni.

Le contraddizioni.
In più, il comma 20 continua a stabilire che alle unioni civili non si applicano gli articoli del codice civile riferiti al matrimonio o ai coniugi che non sono espressamente richiamati dalla legge sulle unioni civili. Il che fa aumentare i dubbi su come i giudici potranno interpretare alcune delle contraddizioni e delle incertezze di questa legge, che dovrebbe darci diritti, al prezzo di toglierci la dignità e chiederci di accettare che la discriminazione diventi strutturale.

Ecco qualche esempio.
Riporto un solo esempio. Il richiamo diretto dell’articolo 159 del codice civile è stato sostituito dalla riproduzione del suo contenuto, facendo saltare il riferimento al regime della comunione legale che vige per il matrimonio. In mancanza di diversa pattuizione, il regime patrimoniale dell’unione civile sarà «la comunione dei beni», ma, scritto così, la disposizione potrebbe porre problemi applicativi. Infatti, non si precisa quale sia la disciplina a cui fare riferimento dal momento che la legge esclude che si possa applicare quella prevista dal codice civile per il matrimonio, mentre la comunione ordinaria potrebbe essere non adeguata alla fattispecie da regolare.

Filiazione e genitorialità.
Il passaggio più delicato del testo riguarda la filiazione e la genitorialità. Il comma 20 esclude l’applicazione della legge sull’adozione, incluso l’articolo 44 che regola l’adozione in casi particolari da parte dei coniugi. Ma può incidere anche sull’adozione del figlio del partner già riconosciuto dalla giurisprudenza? Sembrerebbe di no. Ma la disposizione aggiunta nel periodo finale del comma che recita: «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti» i giudici dovranno interpretarla, anche alla luce di una generale volontà negativa del legislatore nei confronti della genitorialità omosessuale, come emerge dagli atti parlamentari. Prevarranno certamente i principi stabiliti dalla Corte europea dei diritti Umani, ma qualche battuta d’arresto in tribunale non mi meraviglierebbe.

Gli stessi problemi potranno porsi con le trascrizioni degli atti di nascita esteri in cui compaiono genitori italiani dello stesso sesso. Si tratta di fattispecie complesse, ma che il testo sulle unioni civili potrebbe rendere ancora più difficili da risolvere.

Tre riflessioni sparse per concludere.
1) Mi angoscia il pensiero che questo Parlamento avvii una riforma della legge sull’adozione. Dovrebbe essere chiaro a tutte e a tutti che se lo facesse non si otterrebbe l’adozione in casi particolari, ma un inasprimento del divieto della maternità per altri, con conseguenze che non riesco a immaginare. Su questo tema la discussione pubblica ha ricevuto negli ultimi mesi una regressione che ha portato tutti i parlamentari, anche del PD, a fare dichiarazioni e proposte avventate. Non c’è al momento un clima culturale che permetterebbe di parlarne con serenità. È tutto da costruire. Su un diverso tema che avrebbe dovuto mettere tutti d’accordo, ovvero l’adozione da parte dei single (o delle coppie di fatto) dei minori loro affidati per un lungo periodo, si è approvata una legge (173/2015) che continua ad escluderla, perché la paura che potesse aprirsi l’adozione alle persone omosessuali ha fatto alzare le barricate ai cattolici e ad Alfano e il PD ha battuto in ritirata molto velocemente (per approfondire qui e qui).

2) Il fatto che alcuni parlamentari abbiano presentato un disegno di legge che elimina la parola fedeltà anche dal matrimonio è segno di pochezza politica, un tentativo di blandire chi oggi è arrabbiato, sapendo che la proposta non verrà mai trasformata in legge e che, qualora lo fosse, diventerebbe una legge con molti articoli e tanti distinguo. Si tratta di una iniziativa estemporanea che conferma che i politici ci considerano degli stupidi capaci solo di cambiare il canale del telecomando.

3) La scelta delle famiglie omogenitoriali, le cosiddette famiglie arcobaleno, di metterci la faccia sarà sicuramente il ricordo più bello delle vicende vissute nell’ultimo anno. Ora in Italia tutti sanno che le persone omosessuali hanno figli e sono anche bravi genitori. Una grande rivoluzione che bisogna continuare.
tratto da http://www.lgbtnewsitalia.com/2016-02-27-effetti-del-maxiemendamento-sulle-unioni-civili-riforma-adozioni-fedelta-gpa-i-nuovi-scenari-di-antonio-rotelli/

sabato 27 febbraio 2016

MINISTERO GIUSTIZIA SU SANZIONI ABORTO CLANDESTINO

“L’adeguatezza in concreto delle sanzioni determinate potrà essere riconsiderata” nell’ambito di “interventi correttivi” da compiere nel termine di 18 mesi dall’ultimo dei decreti attuativi.

È la risposta del Ministero della giustizia all’interrogazione sottoposta il 25 febbraio in Commissione Giustizia della Camera da Marisa Nicchi (Sel) e Daniele Farina (Sel), che hanno chiesto al Ministro di intervenire per ridurre considerevolmente la sanzione amministrativa per aborto clandestino prevista dal decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8. Nel rispondere al question time, il sottosegretario di Stato Gennaro Migliore ha dichiarato che i reati soggetti a depenalizzazione sono stati suddivisi in tre gruppi e che “la sanzione amministrativa per l’aborto clandestino è stata commisurata entro il primo dei predetti scaglioni e, dunque, in quello meno afflittivo”.
Ricordiamo che la sanzione va dai 5.000 ai 10.000 euro e sostituisce la precedente di 51 euro già prevista dalla legge 194 del 1978. È prevista prevista per le donne che interrompono volontariamente la gravidanza senza rivolgersi al medico o al consultorio per il certificato oppure che praticano l’interruzione entro i 90 giorni al di fuori dalle strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate. Ricordiamo anche che non è stata toccata dal decreto la pena di reclusione di tre anni per chi procura l’interruzione di gravidanza fuori dalle strutture preposte.
“Apprezziamo la disponibilità del Governo a riconsiderare la questione, ma il termine di diciotto mesi entro il quale adottare eventuali interventi correttivi è eccessivamente lungo”. Lo ribadisce Marisa Nicchi mentre invita l’opinione pubblica a “vigilare perché i tempi della correzione siano accorciati”.

ABORTO CLANDESTINO, I DATI DELLE PROCURE

Nel 2014, secondo i dati del Ministero della giustizia, erano stati 241 i procedimenti penali definiti dagli uffici giudicanti per procurato aborto clandestino, con 436 persone coinvolte di cui il 9% medici e il 2% paramedici. Nel 75% dei casi la professione non è stata rilevata. Il procedimento si è concluso con decreto di archiviazione nel 78% dei casi.
Scrive il Ministero nella relazione al Parlamento di marzo 2015 che una parte significativa delle persone iscritte nei procedimenti penali per procurato aborto è costituita da stranieri (33,0% nel 2014), con due tipi di motivazioni ipotizzate. Da un lato all’ignoranza della legge e del suo funzionamento, per la quale i procuratori propongo l’adeguamento dei consultori pubblici in relazione al loro attuale bacino d’utenza. Dall’altro, pratiche legate all’ambiente della prostituzione, con istigazione all’aborto clandestino dove “le investigazioni, anche a causa delle condizioni di assoggettamento e di omertà proprie di questo tipo di ambiente, risultano spesso difficoltose”.
In ogni caso, si afferma nella relazione del Ministro,
“l’esiguo numero di procedimenti non rifletterebbe la reale portata del fenomeno, che si presume invece essere largamente diffuso e praticato anche in strutture sanitarie private, e riguarderebbe in misura sempre maggiore donne extra-comunitarie“.
Mentre alcuni procuratori sottolineano che
“pur avendo comunicato che pochi o nessun procedimento penale è sopravvenuto presso il proprio Ufficio, affermano tuttavia che vi sono certamente aborti clandestini nell’ambito del territorio di propria competenza, ma che tali aborti (spesso taciuti dalla donna, dai familiari e dai medici) rimangono nascosti, anche perché gran parte delle forze di Pubblica Sicurezza viene impegnata su altri fronti investigativi, quali ad esempio quello della criminalità organizzata (soprattutto nel Sud)”.

A RISCHIO LA SALUTE DELLE DONNE, SOPRATTUTTO STRANIERE

Sono straniere le donne più esposte ai rischi legati all’aborto clandestino. A confermare questa osservazione del Ministero di giustizia è l’esperienza dei medici territoriali che lavorano nei consultori. Come Arturo Fabra, ginecologo al consultorio di Gubbio, in Umbria, che con trent’anni di attività tra consultorio e ospedale ha una buona visibilità sul fenomeno:
Le pazienti della Africa sub sahariana e sub equatoriale, e anche alcune pazienti provenienti dalla Romania, hanno l’abitudine di acquistare in internet il misopristolo, poi vanno in ospedale. Magari non fanno neanche il test di gravidanza: sono terrorizzate da un ritardo mestruale. Quindi arrivano in ospedale con una metrorraggia (sanguinamento dell’utero non dovuto a mestruazione), si fa un lieve raschiamento e neanche le possiamo possiamo categorizzare come tentativo di aborto. In Umbria non mi sembra un fenomeno diffuso. Di sicuro le più esposte sono le pazienti straniere appena arrivate che parlano con un’amica, magari un po’ più addestrata ad utilizzare internet, che comunica questa possibilità. L’evento, quando arrivano in ospedale, è l’occasione di presa di contatto con i servizi, l’occasione per diventare utenti del consultorio e avviare la contraccezione.
La sanzione, come si sottolinea nell’interrogazione di Nicchi e Farina, rischia di scoraggiare le donne che dovessero avere complicazioni , in particolare le più deboli, precarie e immigrate, a recarsi in ospedale, con gravi rischi per la loro salute.
A sottolineare i rischi per la salute delle donne che ricorrono all’aborto farmacologico fai da te sono medici e mediche e ostetriche che hanno sottoscritto la lettera aperta alla Ministra Lorenzin per protestare contro la sanzione e per chiedere una reale presa in carico del problema e che si può sottoscrivere in questa petizione. Problema che invece il Ministero della salute continua ad ignorare affermando nelle relazioni al Parlamento sullo stato di applicazione della legge 194 che il fenomeno dell’aborto clandestino si sarebbe mantenuto costante negli ultimi 10 anni. Un’altra petizione è stata lanciata da Marisa Nicchi per chiedere al Ministero della Giustizia di eliminare le multe introdotte con il decreto depenalizzazioni. Mentre le promotrici del gruppo #ObiettiamoLaSanzione, il tweet-bombing di lunedì 22, si rivolgono all’Intergruppo Parlamentare per le donne, i diritti e le pari opportunità con una lettera aperta in cui chiedono  “esaminare senza indugio e in modo concreto e serio, il fenomeno degli aborti clandestini (quantificati con una rilevazione ferma al 2005 – tra i 12mila e i 15mila casi per le italiane e tra i tremila e i cinquemila per le straniere)” e di attivarsi per cancellare la sanzione.




venerdì 26 febbraio 2016

#ObiettiamoLaSanzione Lettera aperta alle donne del Parlamento.


ObiettiamoLaSanzione

Lettera Aperta
On. Laura Boldrini
Presidente Intergruppo parlamentare per le donne, i diritti e le pari opportunità

Gentile Presidente,
Il 22 febbraio scorso il gruppo #ObiettiamoLaSanzione è stato promotore di un tweetstorm e di una mailbombing contro il decreto n° 8 (entrato in vigore il 6 febbraio), che depenalizza il reato di aborto clandestino (disciplinato dall'Art. 19, co. 2, della legge 194/1978) ma al contempo prevede un innalzamento delle sanzioni (non più “fino a 51 euro”, ma “da 5.000 euro a 10.000 euro”).

Il provvedimento varato dal Governo ha il grave torto di ignorare un ritorno preoccupante agli aborti clandestini a causa di un abnorme numero di obiettori di coscienza. Per questo motivo la protesta ha ottenuto una ampia adesione testimoniando l’indignazione di donne e uomini, attiviste e attivisti, centri antiviolenza e associazioni promotrici di diritti civili contro una sanzione ingiusta che ri-vittimizza le donne.

Il 10 marzo 2014, il Comitato Europeo dei diritti sociali ha condannato l’Italia per la violazione dell’articolo 11 della Carta sociale europea che assicura il diritto alla salute perché ha mancato di mettere in atto le misure necessarie per consentire l’interruzione di gravidanza laddove siano presenti obiettori di coscienza. Il reclamo era stato depositato l’8 agosto 2012 e ha visto la partecipazione di diverse associazioni tra cui LAIGA. Ora si è in attesa di conoscere il pronunciamento del Comitato Europeo dei Diritti sociali su secondo reclamo presentato nel 2012, dalla CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro) per far rispettare i diritti delle donne ma anche i diritti lavorativi dei medici non obiettori di coscienza.

Ogni anno il Ministero della Salute trasmette al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione della legge 194. Nonostante si riferisca che “non emergono criticità nei servizi di IVG” e si affermi che “Il numero di non obiettori risulta quindi congruo, anche a livello sub-regionale, rispetto alle IVG effettuate, e non dovrebbe creare problemi nel soddisfare la domanda di IVG”, la dura realtà che tante donne devono affrontare è ben diversa e i reclami di cui sopra lo testimoniano, così come le numerose proteste di operatori sanitari e associazioni nonché l'inchiesta andata in onda a Presa Diretta.

Le percentuali a cui è arrivata l'obiezione di coscienza creano problemi, l'iter previsto dalla 194 diventa un percorso a ostacoli, i 90 giorni consentiti spesso risultano un tempo strettissimo. Le percentuali parlano da sé: la media nazionale è del 70%, raggiunge quota 93,3% in Molise e in numerose regioni si aggira dall'80% in su. Questo, in alcuni casi, comporta l'obiezione di intere strutture, pratica vietata dalla 194. La migrazione interregionale non è cosa rara e per gli aborti terapeutici c'è chi va all'estero. Chiediamo di esaminare senza indugio e in modo concreto e serio, il fenomeno degli aborti clandestini (quantificati con una rilevazione ferma al 2005 – tra i 12mila e i 15mila casi per le italiane e tra i tremila e i cinquemila per le straniere).

La possibilità di acquisto di farmaci abortivi online rende la situazione ancora più pericolosa e difficile da fotografare, ma che bisogna in qualche modo arginare, proprio facilitando e rendendo realmente accessibile per tutte le donne il servizio di IVG. Non è sufficiente prevedere che le farmacie autorizzate alla vendita online abbiano un bollino di certificazione rilasciato dal ministero della Salute, perché sappiamo che le strade non sono solo quelle legali. I casi evidenti sono solo quelli che arrivano nei pronto soccorso.

Questo è il quadro in cui è stato approvato il decreto di depenalizzazione dell’aborto clandestino.

Ci rivolgiamo all’Intergruppo Parlamentare per le donne, i diritti e le pari opportunità affinché il Parlamento al più presto intervenga sul decreto legislativo n° 8 del 15 gennaio 2016 e riduca le sanzioni alle donne stabilendo cifre simboliche come prevedeva il vecchio testo di legge, che si dia piena attuazione alla legge 194/78, imponendo una quota ai medici e ai paramedici obiettori all’atto dell’assunzione e che le attuali strutture si allineino a tale disposizione per non incrementare il mercato degli aborti clandestini.

Al fine di una corretta applicazione della legge è altresì doveroso mettere in campo azioni di prevenzione in maniera strutturata e sistematica, che si potenzino i consultori e che sia semplificato l'iter dell'aborto farmacologico, che la pratica dell'obiezione non violi il diritto alla salute psico-fisica e al rispetto delle donne.

da http://anarkikka.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/02/25/obiettiamolasanzione-lettera-aperta-alle-donne-del-parlamento/

giovedì 25 febbraio 2016

Aborto clandestino, sul web dilaga la protesta contro la multa aumentata 200 volte di ELIS VIETTONE

Dal 15 gennaio, la sanzione è stata aumentata fino a 200 volte: da 51 euro a 5-10 mila euro. Un gruppo di donne e associazioni ha scatenato la protesta sul web contro una decisione passata quasi inosservata: "Inconcepibile colpire in questo modo delle vittime quando in Italia il 70% dei medici fa obiezione di coscienza". Appello a Renzi ed a Lorenzin
Una norma passata senza che (quasi) nessuno se ne accorgesse. Ma ora che donne e associazioni hanno lanciato l'allarme, sul web dilaga la protesta contro la maxi-sanzione introdotta per chi ricorre all'aborto clandestino. Un decreto legislativo presentato dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando e approvato dal consiglio dei ministri il 15 gennaio scorso ha previsto la depenalizzazione di molti reati e in materia di aborto clandestino ha introdotto una super sanzione che aumenta fino a 200 volte - da 50 euro fino a 5-10 mila euro - la cifra che una donna dovrebbe sborsare in caso di interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) non avvenuta nei termini stabiliti dalla Legge 194, ovvero entro i tempi stabiliti e in strutture idonee.
Ad accorgersi dell'aumento esponenziale della sanzione è stato un gruppo di donne (femministe, giornaliste e blogger) che due giorni fa hanno lanciato una protesta su Twitter con l'hashtag #ObiettiamoLaSanzione, diventato virale in Rete dopo il tweetbombing organizzato lunedì scorso (e seguito dall'altro #apply194). Tra le promotrici dell'iniziativa, la vignettista Anarkikka, la giornalista Monica Lanfranco, le blogger Loredana Lipperini e Nadia Somma, la scrittrice Cristina Obber, l'autrice del 'Corpo delle donne' Lorella Zanardo. La rivolta è partita dai loro blog ed ha mobilitato la rete con la richiesta, al premier Matteo Renzi e al ministro della Salute Beatrice Lorenzin, di rendere applicabile la legge 194 e di ritirare le super-ammende che penalizzano le donne. Anche il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ha twittato "Applicare la 194, permettere alle donne di scegliere il servizio pubblico".
Il problema, infatti, è che abortire 'secondo legge' in Italia è sempre più difficile. Secondo la relazione del ministero della Salute del 2013, la media nazionale dei medici obiettori di coscienza, che quindi rifiutavano di praticare l'Ivg per scelta personale, era del 70 per cento, con picchi fino al 90% in alcune regioni, come Molise e Basilicata. Ecco perché questo inasprimento è ingiusto e incoerente, denunciano i pochi operatori rimasti a fronteggiare la parte più dura della professione, quella degli aborti, spesso terapeutici, cioè per malformazioni fetali. "Pensino piuttosto a dare la possibilità a tutte le donne di accedere a un servizio sancito da una legge, invece che costringerle ad agire nell'ombra e nell'illegalità" sottolinea Silvana Agatone, presidente di Laiga (Libera Associazione Italiana Ginecologi per l'applicazione della legge 194/78) che da anni lavora per dare sostegno alle pazienti lasciate sole dalle istituzioni. "A volte da noi arrivano donne, straniere ma non solo, con gravissime setticemie; altre hanno emorragie da giorni. Sono le più deboli, quelle senza i soldi per volare all'estero o in regioni italiane dove abortire è più semplice. Finiscono in mano a macellai o se la vedono da sole. Per fortuna quando la situazione si complica, in ospedale ci vengono eccome e noi gli salviamo la vita".
 Il rischio, secondo la ginecologa, è che siano proprio le donne meno tutelate a pagare lo scotto della nuova super sanzione: per paura di dover sborsare una cifra da capogiro, rinviano le cure delle quali avrebbero urgente bisogno. Una doppia beffa dunque: impedire un aborto in sicurezza e poi multarne salatamente le conseguenze. "Alcuni di noi sono abbastanza vecchi da ricordare cosa succedeva prima che l'Ivg fosse legalizzata nel 1978 - dice Agatone - . Le donne morivano di complicanze post abortive e il nostro terrore è che la super sanzione metta di nuovo a rischio la loro vita".
 Molte associazioni sono convinte che dietro il preoccupante ritorno degli aborti clandestini vi sia la difficoltà, in molte regioni, a ricorrere alle strutture pubbliche per l'interruzione volontaria di gravidanza. La sanzione simbolica di 51 euro per chi ricorreva all'aborto clandestino - ricorda l'associazione 'Donne in rete contro la violenza' in una lettera-appello a Matteo Renzi - aveva lo scopo di "permettere alle donne di denunciare i 'cucchiai d'oro' che praticavano le interruzioni illegali e, soprattutto, di andare in ospedale al primo segno di complicazione senza rischiare la denuncia".
"L'aborto è una ferita che ti porti dietro per sempre. Poi mi metti pure una multa salata per quello clandestino dopo che la maggior parte dei ginecologi sono obiettori.... Chiederei a questi signori, che hanno distrutto la possibilità di abortire legalmente negli ospedali, come fanno a penalizzare così le donne", è invece l'amaro commento della presidente di Telefono Rosa, Gabriella Carnieri Moscatelli: "Contro le donne c'è ormai una campagna organizzata - aggiunge - , in questo momento stanno facendo passi indietro paurosi. Basti pensare che il governo dice che non c'è bisogno di una guida al Dipartimento per le Pari Opportunità, quando ogni due giorni una donna viene uccisa. Parliamo tanto di famiglia e non ci rendiamo conto che si sta distruggendo".

mercoledì 24 febbraio 2016

Clara Campi Questo non è un monologo comico. Sono delle riflessioni sulla figura della "donna ideale" nella nostra società.

Testo:
Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna. E’ vero. Perché noi donne stiamo dietro. E non sto parlando di quando usiamo lo strap-on.
Questo e’ un mondo di uomini, fatto dagli uomini per gli uomini, nonostante sulla faccia della terra ci siano più donne che uomini.
E’ colpa nostra. Siamo una maggioranza che si comporta da minoranza.
364 giorni all’anno sono dedicati all’uomo, noi ne abbiamo uno solo, il 4 gennaio. L'inizio dei saldi. Scherzo, sto parlando dell’8 marzo, festa dei venditori di mimose. Leggenda vuole che l'8 marzo sia il giorno in cui si ricorda la morte di un gruppo di operaie in fabbrica. Cioè, festeggiamo perché sono morte delle donne, invece degli uomini.

La donna, in questa società, ha mera funzione ornamentale. E noi, invece di ribellarci, dedichiamo tutta la vita ad essere belle per il nostro uomo o, se non ce l’abbiamo, per attirarne uno. Ci vestiamo carine, ci trucchiamo, ci mettiamo a dieta. Perchè la donna ideale e’ magra. D’altronde un ornamento non deve occupare troppo spazio.

La donna ideale è bella ma modesta. A letto indossa biancheria sexy per il suo uomo, ma quando esce di casa non è scollata, e la gonna non è mai troppo corta.

La donna ideale tiene la casa pulita, sempre, e fa trovare la cena pronta al marito quando torna a casa dal lavoro, anche se pure lei è appena tornata a casa dal lavoro.

D’altronde, la cucina è cosa da donne.
Eppure tutti i più grandi chef al mondo sono uomini.
Perché?
E’ semplice: perché la donna dev’essere brava in tutto, ma non eccellere in niente.
L’eccellenza è monopolio maschile.
Le donne, al massimo, arrivano in promozione.
E questa la capisce solo chi gioca a calcio.

La donna ideale lavora part-time, contribuisce al bilancio familiare ma non è economicamente indipendente.

La donna ideale non è sessualmente avventurosa. E’ pura.
Semplicemente, soddisfa i bisogni del marito, entro certi limiti.
Ma va bene così, per le trasgressioni ci sono le amanti. O le prostitute, ma li va a gusti.

La donna ideale non si lamenta quando il marito esce la sera per giocare a calcetto o per guardare la partita. Ma lei, la sera, non esce.

La donna ideale si realizza tramite la famiglia. Non ha passioni, non ha obiettivi, non ha interessi se non il bene del marito e dei figli, meglio se maschi.

La donna ideale non è una persona. Da sola non vale niente.
Zitella, si diceva una volta. Adesso non lo si dice più, ma lo si pensa lo stesso.

Come avrete forse capito io mi ritengo una femminista, ma secondo alcune non sarei autorizzata a chiamarmi così, perché una volta ho posato per un calendario in costume da bagno. Cosa che una femminista non farebbe mai.

Tra l'altro, non sono nemmeno autorizzata ad essere intelligente, in quanto le donne carine sono sempre stupide.
No, scusate, non sempre, non è vero, ci sono delle eccezioni, le donne belle di quella bellezza fredda un po' figa di legno possono essere intelligenti. Ma quelle come me, quelle con le curve, quelle sensuali, non possono che essere delle oche.

E se non lo siamo, crescendo lo diventiamo, circondate, no, perseguitate, da voci che ci dicono, no, ci urlano costantemente, che noi il diritto all'intelligenza non ce l'abbiamo. Che noi siamo un oggetto sessuale, e la parola chiave non è sessuale, è oggetto.
Noi con la quinta di seno e le labbra carnose di cultura non possiamo parlare, al massimo possiamo inginocchiarci davanti agli uomini che parlano di cultura.
E se proprio vogliamo fare le intellettuali, dovremmo almeno avere la decenza di imbruttirci e, no, mettersi gli occhiali non basta.

Gli occhiali attizzano.

Io non odio gli uomini. Anzi, mi piacciono, fin troppo. E io piaccio a loro, basta che stia zitta. In realtà, posso pure parlare, tanto non mi ascoltano.
Io non sono la donna ideale e loro lo sanno, ma vogliono uscire lo stesso con me, mentre la donna ideale li attende a casa, aspettando che tornino dalla partita.

Io, probabilmente, non sarò mai la donna dietro ad un uomo.
A meno che si stia parlando di strap-on.
Ma lo stesso, voglio dirvi, questa cazzo di frase “Dietro un grande uomo c'è sempre una grande donna”, smettiamo di usarla con orgoglio.
Smettiamo di usare la nostra grandezza per fare grande un uomo.
Proviamo, per una volta, a stare noi avanti.
Gli uomini, mandiamoli a giocare a calcio.
il video al linkhttps://www.facebook.com/claracampi/videos/989152287830915/

martedì 23 febbraio 2016

E’ morta Ida Magli.di Lea Melandri

Ai suoi studi antropologici si devono le analisi più coraggiose
e anticonformiste su sessualità religione, sui significati che alla donna sono stati assegnati dalla teologia e dalla fantasia maschile.
Per evitare che sia ricordata solo per le sue prese di posizione contro l’unificazione europea, riporto alcune sua riflessioni tratte dai libri che più raramente vengono citati e che hanno avuto tanta parte nel mio percorso all’interno del femminismo italiano.

(da “La Madonna. Dalla Donna alla statua”, Rizzoli 1987)
“Uno dei punti di connessione fra immagine ideale e immagine della Madonna è ben visibile nel tema della “madre” (…) Perciò è attraverso la figura della madre che si cerca di far parlare il bambino, di dargli significato: la sua fragilità, la su mancanza di consapevolezza, il suo abbandono vengono trasmessi attraverso l’atteggiamento della madre. Questa, dunque, non parla di sé, ma della funzione di madre, così come la vogliono gli uomini: ‘essere per’ il bambino. La “madre” non è persona, non è individuabile se non come prototipo idealizzato, come la vede l’uomo, tutta protesa su di lui, in una fisicità sublimata che nulla possiede della pesantezza della maternità. (…) E’ il “corpo” immaginario della teologia quello che l’arte rappresenta, un corpo che ha partorito senza coito, senza doglie, senza sangue né feci.”

(da “La sessualità maschile”, Arnoldo Mondadori Editore 1989)
“Che fare allora delle donne? Saranno offerte dai maschi a Dio. Nasce la consacrazione delle vergini. Nasce il monachesimo. (…) Un processo lungo e quasi del tutto inconsapevole in cui l’opera della Chiesa è concentrata nello sforzo di appropriarsi del rito matrimoniale, sottraendolo alla società laica (…).
La sessualità, comunque, rimane per sempre il centro delle preoccupazioni dei cristiani: il discorso sul sesso diventa primario e non può, alla fine, non scontrarsi con la struttura fondamentale soggiacente che era rimasta fin dall’ebraismo sempre implicita, nascosta: l’omosessualità.”

(da “Sulla dignità della donna. La violenza sulle donne, il pensiero di Wojtyla”, Guanda 1993)
“Il corpo della donna, infatti, è l’ ‘oggetto’ per eccellenza in quanto è la moneta con la quale i maschi instaurano la comunicazione tra loro. Una moneta che costituisce la riserva aurea del gruppo che la possiede e che pertanto non deve mai andare perduta perché qualsiasi scambio in tal caso diventerebbe impossibile.
E’ il motivo per il quale lo stupro delle donne del nemico costituisce la verifica, concreta e simbolica, della propria vittoria.”

(da “Storia laica di donne religiose, Longanesi 1995)
“E’ questo il dramma che ha sempre accompagnato le donne nel cristianesimo e sotto il cristianesimo: “liberarsi”, assolutizzando la propria condizione di vittime, e spingendo le altre vittime loro affidate –bambini, poveri, malati, schiavi, ignoranti- ad accettare, ad abbracciare la propria condizione di vittime. Le donne hanno favorito, così, senza saperlo e senza volerlo, lo strutturarsi in un Potere sempre più forte delle gerarchie ecclesiastiche, visto che nulla favorisce i Potenti quanto l’atteggiamento di subordinazione e di sacrificio dei sudditi.” (…)
E’ vero che sono stati gli uomini-maschi, gli artisti, i poeti, a immaginare, a cantare, a teorizzare l’amore romantico, come del resto qualsiasi altra creazione culturale (almeno fino ad oggi); ma sono state (e sono) le donne a credervi in assoluto, vivendolo, concretizzandolo, consumando la vita nello sforzo di realizzarlo. L’innamoramento romantico è sempre desiderio, sogno, irrealizzato e irrealizzabile, perché nella “fusione” si annulla il Tu (…) Il “misticismo” nelle donne è questo: l’Amore romantico, la Passione assoluta, che trova la sua possibilità di realizzazione perfetta perché il Tu, l’Altro da amare è Dio, perché il Tu Dio non pone limiti, si piega ad essere quello che l’Amante vuole, in una unione che arriva ad essere fusione totale perché il corpo dell’Altro è fantasticato, immaginato, proiettato dal Soggetto che ama.”

nuovo punto di incontro di ventunesimodonna

Le amiche di ventunsesimodonna si ritrovano ogni giovedì dalle 20.30 alle 23 nella saletta sotto del Bem viver cafè, via Monti 5 Corsico,
Sono benvenute tutte le donne interessate che vogliono rinnovare la tessera, iscriversi all'associazione e condividere l'organizzazione delle iniziative.

sabato 20 febbraio 2016

‪#‎TempoScaduto‬:pretendiamo diritti

             Domani alle 15:00 in Piazza Duomo a Milano

per dire che non c'è più da tergiversare sulle unioni civili.       Basta a giochini politici in parlamento.  È tempo di approvare tutto e subito.    

Cristina Obber lettera aperta al cardinale Bagnasco

Gentile cardinale Bagnasco, lei ha detto che con il ddl Cirinnà “si indebolisce l’istituto familiare”.
Mi creda, “l’istituto familiare” è già indebolito.
Il verbo indebolire presuppone qualcosa di solido, rassicurante.
Il modello papà, mamma e due bambini che vissero felici e contenti mostra ogni giorno le sue fragilità.
E glielo dice una persona che nella famiglia crede e che nonostante lo sfacelo di una ne ha costruito un’altra in cui sta proprio bene. Ma quello che fa della mia famiglia un luogo che mi piace non è l’istituzione in sé, non è un modello a cui ci ispiriamo.
La nostra buona vita insieme la dobbiamo all’amore che ci è capitato di incontrare e al rispetto che proviamo gli uni verso gli altri come persone.
Ci sono innumerevoli esempi che dimostrano come “l’istituto familiare” non dia garanzia di devozione familiare nella vita quotidiana delle persone.
Mi pare quasi banale rifarmi alla cronaca recente ma paradossale sembra che stiamo ancora qui a discutere di queste faccende che appaiono noiose e fuori dal tempo a chi ci guarda da tanti altri luoghi in Europa e nel mondo.
Sarò banale dunque e le ricorderò solo alcuni esempi di “istituti familiari” che meriterebbero la sua attenzione.
-tra gli uomini coinvolti nello scandalo del Parioli molti erano sposati e con figli e pagavano per fare sesso con ragazzine di 14 e 15 anni, in alcuni casi coetanee delle loro figlie.
-ai primi posti del turismo sessuale ci sono sempre gli italiani, spesso coniugati e con prole. uomini che pagano per stuprare (perchè per essere stupro non serve che tu ti opponga fisicamente, se hai 8 o 10 anni) bambine e bambini che più sono piccoli più costano.
-in questo paese c’è chi pensa che sarebbe buona cosa aprire dei bordelli “istituzionalizzati” così che gli uomini non coniugati e coniugati possano soddisfare il loro (dis)umano bisogno di pretendere prestazioni sessuali in cambio di soldi (come se non sapessimo che la grande maggioranza delle prostitute non sceglie di accettare quei soldi ma è costretta a farlo, come se non fosse il caso di riflettere sul proprio rapporto con il sesso, con il proprio corpo e il corpo dell’altro, individualmente e socialmente. E questa riflessione la estenderei al voto di castità ma non è della sessualità dei sacerdoti che stiamo parlando né della pedofilia che Ahinoi! ne trova non pochi coinvolti).
-quando si parlava del caso Ruby furono in molti a trovare i comportamenti dell’allora presidente del consiglio comprensibili; furono in molti a dire che chiunque, badi bene, chiunque, avrebbe fatto altrettanto potendoselo permettere. L’unico uomo che ha compiuto i settant’anni e che conosco bene è mio padre e posso dire che quel chiunque almeno per mio padre non valeva. Se gli avessero detto Ecco centomila euro, puoi organizzarti un’orgia con dieci ragazze che hanno compiuto 18 anni ieri, mio padre avrebbe detto che non avrebbe saputo cosa farci con dieci ragazzine in un lettone, che non rientrava nei suoi interessi. Avrebbe utilizzato quei centomila euro per andare a funghi con mia madre, e magari concedersi di farlo tra i boschi di qualche montagna mai esplorata. Eppure molti uomini e molte donne sorrisero su quella che definirono “la debolezza” del presidente, appunto.
-gli abusi su minori in famiglia hanno cifre spaventose anche nel nostro paese, lo chieda a chi gestisce il numero 114 Emergenza Infanzia del ministero. Nella maggioranza dei casi l’abusante appartiene al nucleo familiare.
Il pensiero da lei espresso che di fronte alla violenza domestica sia importante rispettare la privacy di quel singolo “isituto familiare” fa si che la violenza continui a perpetrarsi di generazione in generazione, lasciando sulle vite di tanti bambini dolore, angoscia, insicurezza, e mettendoli a rischio di diventare a loro volta abusanti o vittime da adulti. Questo pensiero non fa che consolidare il potere di abusare di chi abusa sentendosi protetto proprio -e anche- dall’istituzione religiosa (a proposito di paradossi).
-nel commercio di materiale pedo-pornografico sono coinvolti anche molti uomini italiani ben inseriti in “istituti familiari”, le cifre esatte può chiederle alla polizia postale; le foto che hanno maggior valore sul mercato di questo materiale sono quelle in salotto o in cameretta, quelle che dimostrano cioè di avere a disposizione il minore quando si vuole, perché questo “potere” significa prestigio in quel bell’ambiente.
-gli autori di femminicidio molte volte sono i mariti delle donne uccise.
Di recente ho avuto il piacere di ascoltare il cardinale Scola. In quell’occasione ha detto che le chiese sono vuote solo per le persone che non ci vanno.
Se è vero che le chiese sono piene sarebbe una gran cosa se vi prodigaste entrambi -come ecclesiastici autorevoli e di grande influenza- nell’ inserire qualche riflessione sull’ “istituto familiare” durante le prediche della domenica.
Ma non con il mantra del peccato, la punizione, il senso di colpa, l’espiazione.
Cercate di parlare di relazione, di generosità e di rispetto.
Perché questi sono gli elementi che permettono all’amore di diventare famiglia.
E le famiglie le fanno le persone, non le leggi.
Le famiglie che voi osteggiate ad esempio, ci sono già. Le leggi servono a regolamentare i diritti e i doveri, non i sentimenti.
I sentimenti volano e creano famiglia indipendentemente dalle leggi.
Ciò che indebolisce le relazioni è la venuta meno dei principi fondamentali che riguardano l’integrità degli individui, la loro convivenza, la loro reciproca solidarietà; le parole di Gesù Cristo sono le stesse che troviamo nella Costituzione, in cui trionfa una parola bellissima, libertà.
Se nell’ “istituto famiglia” ritroviamo poca libertà di essere noi stessi e molta libertà di mentire e di agire nella contraddizione e nella violenza, è da questa contraddizione che dobbiamo partire, per sovvertire anziché consolidare l” isituto familiare” laddove non fa che perpetuare un esercizio di potere fonte di sofferenza e soprusi.
Per far si che la famiglia non venga percepita come una gabbia dobbiamo ripartire dalla libertà degli individui che la compongono e dal rispetto di questa libertà.
Allora ciò che oggi è già debole, potrà rafforzarsi, in tutte le sue sfacettature. Allora l’ “istituto familiare” sarà maggiormente rappresentativa della società che vorrebbe rappresentare e tutelare.
Un’ultima cosa ci tengo a dirle, cardinale. La invito a riflettere sul dolore che ogni singolo ragazzino o ragazzina sente su di se quando si riconosce omosessuale in una società e all’interno di una religione che lo fa sentire sbagliato, che ne fa un soggetto debole, a proposito di debolezza, facendogli credere di essere destinato all’infelicità. Sappiamo che a volte questo peso è insopportabile, come sappiamo che anche per chi resiste e reagisce il peso da portare è ingiusto.
Perché l’ istituzione Chiesa si rende complice di questa sofferenza?
Ho la fortuna di incontrare adolescenti in tutto il paese, nelle scuole che mi invitano a confrontarmi con loro su tanti temi. Incontro omofobia, non lo nego, ma raccolgo anche molte confidenze e considerazioni sulla fede, sull’essere cattolici e omosessuali contemporaneamente, spesso non dichiarati in famiglia per paura di non essere capiti, sull’essere cattolici ed eterosessuali e scontrarsi con una famiglia che non si dice pronta ad accogliere l’omosessualità dei tuoi amici e delle tue amiche.
I ragazzi e le ragazze cambieranno questo paese che sta già cambiando, che è già cambiato nonostante tutti i freni a mano tirati in nome di false sicurezze e ipocrisie.
I ragazzi e le ragazze omosessuali e praticanti non hanno che un’alternativa di fronte alla rigidità che la Chiesa mostra ancora nei loro confronti: allontanarsi da voi. Non da Dio, ma da voi, che vi ostinate a non riconoscerli o nella migliore delle ipotesi a commiserarli in nome della vostra misericordia. Non diventeranno eterosessuali, perché la natura comanda. Non vivranno la loro omosessualità di nascosto, magari in parallelo alla costruzione di un “Istituto familiare” tradizionale, come hanno fatto in molti nelle generazioni vicine alla mia e alla sua.
Vivranno la loro omosessualità nel mondo, forse al prezzo di allontanarsi dalla propria famiglia, ma sempre di meno. E saranno felici anche nella fede perché come mi ha detto un ragazzo in un liceo pugliese “Dio ci ama come siamo”, e ha ragione.
E in questa sua felicità, voi sarete fuori.
E’ questo che volete?

Cristina Obber
http://cristinaobber.it/lettera-aperta-al-cardinale-bagnasco/

venerdì 19 febbraio 2016

«Le famiglie arcobaleno ci sono già Mancano solo le tutele per i figli» di Elena Tebano

Il presidente del Tribunale dei minori di Bologna Giuseppe Spadaro: per la legge italiana i gay hanno piena capacità genitoriale, non riconoscere il partner è un vulnus per la prole
«Le persone lesbiche e gay hanno sempre cresciuto bambini, il punto è se anche in Italia questi bambini possono essere allevati ed educati con le tutele garantite a tutti gli altri figli, senza discriminazioni». Il giudice Giuseppe Spadaro, 52 anni, presiede il Tribunale dei minorenni di Bologna (è stato il più giovane nominato per una simile carica in Italia), lo stesso che nel 2013 ha confermato l’affido di una bimba a una coppia di uomini gay disposto un anno prima dal giudice di Parma. Da magistrato che si occupa di minori ha un punto di vista privilegiato sulle sfide che l’evoluzione della società pone al diritto: «Si tratta di prendere coscienza che non esiste più la famiglia, bensì le famiglie — spiega —. E tutte per essere tali devono fondarsi sul cosiddetto principio di attaccamento, ossia cura, accoglienza, regole, ascolto, comprensione: in una sola parola sull’amore».
Nel dibattito in corso sull’adozione cogenitoriale (o stepchild adoption) si dà spesso per scontato che il riconoscimento dei genitori gay in Italia sia una novità assoluta: è davvero così?
«No, anche in Italia, pur in assenza di una legislazione specifica, la genitorialità delle persone omosessuali ha uno statuto giuridico articolato: ad un genitore omosessuale, single o in coppia, è già riconosciuta piena capacità genitoriale al pari di una persona o coppia eterosessuale. Ma anche se la famiglia formata da persone dello stesso sesso è considerata idonea ad allevare un minore si trova in una situazione peculiare. In Italia infatti le coppie dello stesso sesso — che si recano all’estero per far ricorso alla procreazione medicalmente assistita — vedono riconosciuto solo il genitore biologico, mentre l’altro genitore è tale nei fatti ma non per la legge, anche quando all’estero non è cosi».
Cosa distingue i genitori gay da quelli etero?
«Al momento, l’unica diversità reale è che le famiglie con genitori omosessuali non vedono ancora tutelati i loro diritti fondamentali: ma ciò che preoccupa maggiormente è che non lo siano i diritti dei minori. Bambini che, lo si voglia o no, esistono, ci sono, sono sempre esistiti. Ed è questo che spesso non viene compreso: non si tratta di riconoscere o meno il diritto all’adozione di un gay o di una lesbica bensì di ribaltare l’angolo prospettico e di garantire il diritto al figlio di un componente di questa famiglia ad essere adottato dall’altro componente della stessa, cioè da chi (a prescindere dall’orientamento sessuale) lo ha cresciuto e amato. In altre parole, la condizione dei genitori non può riversarsi sul minore e privarlo di quel legame di filiazione che si è validamente costituito».
Significa che negare la stepchild adopton sarebbe un danno per i bambini, prima che per la coppia?
«Sì. È un vulnus innanzitutto per la prole, alla quale non viene garantito il diritto ad avere giuridicamente due genitori. Il rischio è che i bambini così – in caso di perdita del genitore biologico – si ritrovino anche in condizione di adottabilità o, addirittura, con uno status filiationis diverso da Stato a Stato».
Gli oppositori delle adozioni gay sostengono che un bambino ha bisogno di un padre e di una madre.
«Ciò che mi appare essenziale, in qualunque adozione, è accertare come un individuo ha reagito alle discriminazioni e ai cambiamenti che hanno toccato la sua di vita (ad esempio lutti, nuovi lavori, separazioni); ossia investigare le competenze interne di quella persona. Credo che un bimbo per crescere “sicuro”, come dice un’ampia fetta di letteratura psicologica, debba “respirare vita” con qualcuno accanto in grado di dirgli, con il silenzio e i comportamenti ,”non temere”. Quello di cui i bambini hanno bisogno è un amore maturo e responsabile da parte di genitori che, a prescindere dal sesso, sappiano prendersi cura delle loro necessità aiutandoli a crescere, ponendo loro dei giusti limiti».
Le coppie dello stesso sesso, però, “rompono” il principio biologico della filiazione: qualcuno sostiene che ciò le renda meno famiglie. È d’accordo?
«Sia la legge che la società separano sempre più spesso la relazione genitoriale dal solo vincolo biologico. C’è una genitorialità genetica, una gestazionale (come avviene per le madri che ricorrono alla donazione degli ovuli), e infine una genitorialità sociale e psicologica; è quest’ultimo il caso in cui il bambino percepisce il ruolo genitoriale svolto dall’adulto indipendentemente dal vincolo biologico. La genitorialità sociale ricomprende anche i genitori adottivi omosessuali e il partner omosessuale del genitore biologico, una condizione che ha ricevuto tutela legislativa già in molte giurisdizioni»
Tra le critiche alla stepchild adoption c’è che aprirebbe alla maternità surrogata: è vero?
«La legislazione italiana è molto chiara nel non consentire la maternità surrogata e non credo che il riconoscimento giuridico della stepchild possa influire in modo determinante sulle eventuali scelte procreative di coppie omosessuali».
Sul fronte opposto invece c’è chi sostiene che la stepchild adoption del testo Cirinnà sia troppo debole rispetto ai corrispettivi europei: prevede il vaglio di un giudice, non permette di acquisire nonni e zii e neppure i fratelli se sono nati dal genitore non biologico. Cosa ne pensa?
«La cosa più importante è che si riempia un vuoto legislativo inaccettabile. Sicuramente le limitazioni previste dal testo pongono l’accento sul ruolo della giurisdizione e così andrà ad innescarsi il solito meccanismo perverso di supplenza della giurisdizione alle carenze legislative».
Il Tribunale per i minorenni di Bologna che lei presiede ha confermato l’affido di una bimba a una coppia di uomini: in base a quali principi?
«Il nostro punto di partenza è stato che una coppia omosessuale stabilmente convivente può essere considerata famiglia idonea a candidarsi come affidataria: non vi è alcuna ragione – se non il pregiudizio – per ritenere che un ambiente familiare omosessuale possa essere pregiudizievole del sereno sviluppo di un bambino. Il criterio di valutazione non può che essere, com’è stato, quello dell’interesse del minore».
Il Parlamento, nel varare la legge che permette di trasformare gli affidi in adozioni, è andato in direzione contraria e ha escluso da questa possibilità single e coppie dello stesso sesso…
«La legge, che risale a ottobre, riconosce intanto un importante principio, ovvero il diritto alla continuità dei rapporti affettivi dei minori in affido familiare. L’articolo 4 in particolare introduce la possibilità di adozione del minore (nel caso che il bambino sia orfano di entrambi i genitori) anche da parte di chi, pur non essendo legato da parentela, abbia maturato una relazione continuativa con lui in un prolungato periodo di affidamento. Ne emerge l’idea di un legame di affetto e cura nei confronti di un figlio non necessariamente pensato come possesso esclusivo, ma aperto a forme di plurigenitorialità. Cioè che la responsabilità genitoriale può essere esercitata anche da figure diverse dal genitore naturale o adottivo».
http://27esimaora.corriere.it/articolo/le-famiglie-arcobaleno-ci-sono-giamancano-solo-le-tutele-per-i-figli/

giovedì 18 febbraio 2016

Nuove famiglie, conquista femminile. Perchè sì a tutta la legge Cirinnà di Gruppo del mercoledì


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Pubblicato sul manifesto il 17 febbraio 2016 

Oggi non esiste più un solo tipo di famiglia. Innanzitutto, grazie alle donne che hanno lottato contro il suo involucro patriarcale e maschilista. Oggi esistono forme diverse di famiglie. Il Ddl Cirinnà, in discussione al Senato, ci sembra una prima registrazione, dopo anni di attesa, di questo cambiamento.

A noi interessa che il Ddl Cirinnà venga approvato nella sua interezza, pur sapendo che ci sono questioni sulle quali è bene continuare a riflettere: d’altronde, la legge non regola tutto.

Nello scorso novembre, come gruppo delle “Femministe del mercoledì”, abbiamo promosso un incontro intorno alle diverse scelte di vita e sulle relazioni d’amore, di maternità, di paternità. Un’occasione di scambio grazie al “paradigma della cura”, senza proporre una tesi, ma ascoltando le diverse esperienze, nominando desideri e paure individuali e collettive che spesso rimangono inascoltati nello spazio pubblico.

In questa fase di così acuta incertezza, le relazioni possono tradursi in una rete solidale, in una risposta non chiusa, non difensiva alla crisi. Certo, la violenza che non è scomparsa dal rapporto tra i sessi e il conflitto nelle relazioni tra uomini e donne resta aperto.

Quanto all’omofobia e alla discriminazione, minacciano chi ha un orientamento sessuale diverso dall’eterosessualità. Riconoscere valore a una coppia con un orientamento sessuale diverso dall’eterosessualità può indebolire questi mostri?

Le relazioni hanno al centro la materialità e la concretezza delle vite. Di qui l’importanza, nell’approvazione del testo Cirinnà, delle norme “sull’adozione del figlio del partner”. E’ inaccettabile una cittadinanza di “seconda classe”, nella quale si aggirano individui destinati alla sterilità e “figli” di nessuno. Uomini e donne ritenuti incapaci di generare e di educare. Bambini e bambine senza tutela, guardati con sospetto, portatori di una “macchia originaria”, come una volta lo erano i figli delle donne nubili.
Il punto ha sollevato elementi controversi, legati alla “gestazione per altri” e alla mercificazione del corpo femminile. Siamo consapevoli che «il mondo non si regge solo sulle relazioni di potere, ricchezza, sfruttamento» ma deve «restituire senso alla fragilità, al limite, alla responsabilità».

Con questa consapevolezza, così come abbiamo combattuto le storture della Legge 40 sull’autodeterminazione delle donne, intendiamo tenere aperta la discussione sulla maternità e sul desiderio di paternità giacché le innovazioni tecniche e scientifiche, le diverse identità sessuali e i comportamenti (per esempio, di genitori single), ci parlano di una scena di relazioni e di contesti famigliari completamente nuova.

Pensiamo ai genitori omosessuali, donne o uomini (le coppie lesbiche non sono la stessa cosa delle coppie gay), ai figli di genitori biologici sconosciuti, al tema delle adozioni.

Non tutto può essere regolato sul piano dei diritti oppure rimanendo ancorati a un’idea di “famiglia naturale” che nella realtà non esiste più come l’unica possibile.

Sono questioni da affrontare con un metodo di confronto aperto in termini simbolici, etici e giuridici – compreso il valore del matrimonio come rito, come sacramento, ma distinto dal “contratto” che si fa con lo stato.

Quanto alla legge, deve tenere conto delle nuove domande, dei bisogni, di ciò che si muove nella società offrendo, comunque, tutele e sostegno a chi sceglie di mandare avanti un progetto di convivenza e di futuro. E questo noi ci aspettiamo dal Ddl Cirinnà.

Fulvia Bandoli, Maria Luisa Boccia, Elettra Deiana, Letizia Paolozzi, Bianca Pomeranzi, Bia Sarasini, Rosetta Stella, Stefania Vulterini
http://www.donnealtri.it/2016/02/nuove-famiglie-conquista-femminile-perche-si-a-tutta-la-legge-cirinna/

mercoledì 17 febbraio 2016

San Valentino, voi lo festeggiate? di Michela Marzano

Quest’anno me lo stavo proprio scordando che domenica prossima è san Valentino. Non perché non mi interessi festeggiare l’amore, anzi. È solo che, come cantava Luca Carboni a proposito del Natale, o lo si festeggia ogni giorno oppure, forse, non ne vale veramente la pena. Che senso ha? Che c’è da festeggiare in modo particolare il giorno di san Valentino?
Certo, è la giornata degli innamorati e viene festeggiata praticamente in tutto il mondo. Lo si fa da secoli, in ricordo di Valentino, uno dei primi vescovi cristiani lapidato e decapitato nel 270 e che, quando era in prigione, si era innamorato della figlia cieca del guardiano cui avere ridato la vista grazie alla propria fede. È in suo nome che gli innamorati si scambiano le «valentine», i famosi biglietti d’amore sagomati a forma di cuore, colombe, cuoricini, archi e frecce. Pare che il numero dei biglietti acquistati e spediti nel giorno di san Valentino sia oggi inferiore solo a quello dei biglietti di auguri per Natale. Ma, appunto, che bisogno c’è di un biglietto quando l’amore lo si vive ogni giorno? Perché poi l’amore è così: o c’è – e quindi c’è sempre, ed è sempre una festa, ed è sempre gesti e parole di cura e di attenzione – oppure non esiste, e allora le parole che si scrivono e si leggono il 14 febbraio non hanno molto senso. Chiara, l’altro giorno, mi ha detto che sono snob. E che dovrei smetterla di far sempre l’originale, che la vita è fatta anche di piccole cose come i biglietti d’amore o una cena al lume di candela. Ma non lo faccio per snobismo. Almeno credo. Visto che adoro feste come il Natale e il Capodanno. E, se un’amica si dimentica di farmi gli auguri il giorno del mio compleanno, mi arrabbio e faccio il muso. Ma è diverso. Il giorno di Natale o il giorno del compleanno non c’entrano niente con questa festività tutta commerciale in cui l’amore sembra ridursi a messaggi sdolcinati e cuoricini rosa, azzurri o rossi. «Eravamo insieme, il resto del tempo l’ho scordato», aveva scritto più di un secolo fa il poeta statunitense Walt Whitman. E aveva perfettamente ragione. L’amore è proprio questo: scordarsi il tempo che non si vive con la persona amata, perché è solo con lei che ci si sente liberi di essere se stessi e non c’è bisogno di far finta di essere altro, diversi, migliori. Ma questo è vero sempre. E non è certo una cena al lume di candela a restituirci quegli istanti che perdiamo a fare altro, a correre e a stancarci, a strappare le cose e a cercare scuse. L’amore ama. E quando ama non ha bisogno che qualcuno ce lo ricordi o ci spinga a festeggiarlo. Magari invadendo la posta elettronica di messaggi promozionali pieni di idee fantasiose e stravaganti. Le famose «idee regalo per san Valentino», con tutto l’apparato di citazioni da tirare fuori al momento buono e il corredo di gesti da evitare o da imparare in fretta e furia. Lei ama il cioccolato? Regalagliene 90 litri per un indimenticabile viaggio dei sensi, suggerisce una pubblicità. A lui piace farsi fotografare? Ecco qui un servizio fotografico pronto all’uso corredato da book, dice un altro messaggio promozionale. E così via. Fino all’ultima trovata della stella da regalare, con tanto di certificato e mappa celeste, così lui o lei, ogni volta che guarderanno il cielo, penseranno a voi. Ma forse ha ragione Chiara. Esagero e sono snob. Anche se a me non serve che l’uomo che amo mi regali una stella per pensare a lui quando guardo il cielo. Lui è sempre con me, anche quando non mi è fisicamente vicino. E il cielo è testimone di quell’amore che, sempre e comunque, dà senso alla mia vita. Senza mappa celeste e senza certificati dozzinali.
da http://www.vanityfair.it/news/italia/16/02/10/michela-marzano-amore-foto

martedì 16 febbraio 2016

Margherita Buy e Sabrina Ferilli: «L’amore è un atto politico» Fabio Lovino

Prima di tutto: Io e lei è un film bellissimo, che racconta la storia d’amore normale e forte di Federica (Margherita Buy) e Marina (Sabrina Ferilli), una coppia di donne mature e coscienti, autonome e pienamente accolte dalle rispettive famiglie nella loro dimensione omosessuale.
E poi: be’, poi è anche un film politico. Ma senza la politica unta e retorica di questo Paese, senza i gruppi di gay che sfilano chiedendo di ottenere i diritti riconosciuti a tutti gli altri italiani e senza le piazze piene di famigliole che certi diritti pretendono non siano concessi. Il film è invece pieno di una normalità profonda, struggente e tenera, che – come dice la regista Maria Sole Tognazzi – sbatte un po’ «con il noioso e spesso pericoloso atteggiamento omofobo di una parte dell’Italia».
Le interviste doppie, di solito, funzionano meglio alla tivù che sulla carta. Ma se le intervistate sono la Buy e la Ferilli, la faccenda ­come leggerete – cambia.

Spunto di riflessione: ho scritto che affrontate un argomento delicato e sensibile, in Parlamento ci sono discussioni accese e che, per tutto questo, il film è anche pieno di politica.
Buy: Sì, certo! È la storia di due donne ed è attraverso questa narrazione che proviamo a fornire delle risposte… Perciò non c’è dubbio che il nostro, in qualche modo, sia anche un atto politico nei confronti di un argomento molto attuale, del quale però spesso, ecco, del quale spesso di parla con logiche scontate, con stereotipi, quasi sempre immaginando senza sapere. Noi, al contrario, raccontiamo la vita quotidiana di questa coppia: la non eccezionalità della loro dimensione reale è la nostra chiave di lettura.
Ferilli: Che poi, a pensarci bene, è un tema, più che un problema, quello dell’omosessualità. Il tabù è nelle nostre teste, nelle teste della gente. Nel film, come diceva Margherita, descriviamo la semplicità di atti, gesti, abitudini, litigi, allegrie. Proviamo a spiegare una realtà che a molti sembra speciale e che invece è semplice ai limiti della banalità. Se passa questo messaggio, passa anche ogni paura, ogni sospetto, ogni velo d’ombra può essere cancellato. E anche per il governo, che su questa materia promette di legiferare, tutto sarà più facile, ogni decisione presa dal Parlamento apparirà meno rivoluzionaria.

Va detto che i maschi gay sono sempre più temuti e detestati, mentre per le donne c’è sempre stato un elemento di maggior indulgenza, come se l’amore saffico facesse meno spavento.
Buy: (con sorriso ironico) Eh! Intanto diciamo che molto dipende anche dall’aspetto strettamente sessuale, perché l’amore tra due donne è una cosa materialmente più lieve, più dolce. A questo, naturalmente, dobbiamo aggiungere che viviamo in un Paese dove le regole morali le detta l’uomo, il maschio, e sappiamo quanto l’amore saffico scateni le fantasie dei maschietti. Quindi, se da un lato molti di loro si ostinano a negare certe pulsioni, condannando chi le prova, dall’altro è vero che dimostrano una maggiore indulgenza nei confronti dell’omosessualità femminile.
Ferilli: È un fatto culturale, pienamente culturale: lo dicevamo anche prima no?

Nella vita di Federica e Marina, a un certo punto, c’è una sorta di frattura con caratteri molto eterosessuali.
Ferilli: Marina e Federica vengono da due famiglie parecchio diverse: una più popolana, l’altra di professionisti. Quella di Marina ha quasi una specie di soggezione nei confronti dell’architetto Federica. Quella di Federica è invece una famiglia allargata, con l’ex marito, Ennio Fantastichini, che ha una seconda moglie e due bambini. Tutte e due le famiglie hanno però accolto la scelta d’amore di Marina e Federica. Il punto è che mentre Marina è sempre stata lesbica e non lo nasconde, Federica appare a tratti insicura e preferisce non esporsi.

Il padre della regista Maria Sole Tognazzi, Ugo, fu il memorabile protagonista di un altro film sull’omosessualità, Il vizietto, pura leggenda del cinema.
Buy: Chiaro che Maria Sole, un filo di traccia, può darsi l’abbia tenuta anche nel nostro film. Ma quello è un film di un’altra stagione (era il 1978), con Tognazzi che era al massimo della notorietà, pieno di figli e gran conquistatore. Io e Sabrina siamo un’altra coppia. Anzi, se posso aggiungere: sul set la cosa straordinaria è stata la solidarietà e la complicità che ci siamo date durante la recitazione.
Ferilli: Confermo! Margherita si è rivelata una donna straordinaria e un’attrice magnifica. Vorrei dire che questo è uno dei film più riusciti che io abbia fatto, tutto pervaso da una straordinaria grazia di fondo. Merito, oltreché di Maria Sole, anche di chi ha scritto con lei: Ivan Cotroneo e Francesca Marciano.

L’ultima inevitabile domanda, Sabrina e Margherita, è questa: avete mai avuto esperienza saffiche nella vostra vita privata?
Buy: (d’impeto e molto divertita) Ah ah ah! La domanda riguarda soprattutto Sabrina, straordinario simbolo sexy. Per molti questo film sarà un trauma. Quanto a me, invece, no, zero: non avrete alcuna risposta a riguardo! E non insista, eh?
Ferilli: Io invece rispondo eccome: no no, mai avute esperienze lesbo, mai stata attirata dall’amore saffico.
da
http://www.iodonna.it/personaggi/interviste-gallery/2015/09/11/margherita-buy-e-sabrina-ferilli-il-nostro-amore-e-un-atto-politico/

lunedì 15 febbraio 2016

Stepchild adoption: facciamo il punto con Michela Marzano

Il PD diviso sul fronte unioni civili. E il testo Cirinnà rischia di essere emendato ancora. Che senso hanno, queste dissertazioni? Affidiamo alla voce della filosofa, politica e saggista, una riflessione su un Paese che non ha ancora chiarito a se stesso cosa significhi essere una "famiglia"

Stepchild adoption: facciamo il punto con Michela Marzano “Non credo a nuove mediazioni”, ha detto ieri Matteo Renzi parlando del testo sulle unioni civili che sarà discusso e votato in Senato a fine mese e rispondendo, anche se indirettamente, all’appello firmato da una trentina di deputati PD per lo stralcio della norma sulla “stepchild adoption”. Il testo Cirinnà, d’altronde, è già il frutto di estenuanti mediazioni. E, così com’è, non è veramente più emendabile, a meno di non svuotarlo completamente di senso. Che cosa cambiare ancora? Quale nuovo compromesso? Non basta la libertà di coscienza? Qual è il problema?
Ammetto di non capirlo. Cioè. Capisco che l’argomento utilizzato è quello della difesa della famiglia. Ma in che senso questa legge metterebbe in pericolo la famiglia? Ricordiamolo: quando si parla di “stepchild adoption”, non si parla né dell’adozione da parte delle coppie omosessuali né di un’adozione piena di quei bambini e di quelle bambine che già sono legati biologicamente a uno dei due genitori; si parla solo della possibilità di creare un legame giuridico tra il compagno o la compagna della madre o del padre biologico e queste creature che già esistono, già fanno parte di una famiglia, già vivono e già crescono circondati dall’affetto di due mamme o di due papà. Un legame giuridico che, tra l’altro, non si estende nemmeno al resto della famiglia, visto che questi bambini e queste bambine, nonostante la “stepchild adoption”, non avranno nessuna forma di parentela con i nonni, gli zii e, eventualmente, gli altri figli. Nessun pericolo per le famiglie tradizionali, quindi. Nessun stravolgimento dell’ordine naturale delle cose. Tanto più che, la maternità e la paternità sono tutt’altro che biologiche: si diventa padre o madre quando si assume l’onere di accompagnare i propri figli durante l’infanzia e l’adolescenza, di insegnar loro a diventare adulti e autonomi, di amarli per quello che sono e non per quello che dovrebbero essere. Ma questo non dipende né dai legami di sangue, né dal sesso o dal genere dei genitori. Genitori si diventa. Non è allora assurdo che nel 2016 il legislatore, invece di dare a tutti e a tutte strumenti adeguati per esercitare le funzioni genitoriali, si opponga ancora, nel nome di una concezione ideale e inesistente di famiglia, alla possibilità che chi di fatto è padre o madre, possa poi esserlo anche di fronte alla legge?

COSA È LA STEPCHILD ADOPTION
La stepchild adoption è un istituto che in Italia esiste da oltre 20 anni, dal 1983, e prevede la possibilità di adottare il figlio del proprio partner (previo consenso del genitore biologico) una volta accertato, da parte del Tribunale, che tale adozione corrisponda all’interesse del bambino, chiamato a dare il proprio consenso (se maggiore di 14 anni) o la sua opinione (tra i 12 e i 14). Alcuni Tribunali hanno esteso questa possibilità dalle coppie sposate ai conviventi, ma eterosessuali, e il ddl Cirinnà, all'articolo 5, vorrebbe estenderlo a tutte le coppie, col principio che se una persona ha le carte in regola per diventare un buon genitore adottivo, il suo orientamento sessuale non conta. Il 14 gennaio, nel Partito democratico è scontro sul ppdl, perché senatori e deputati cattodem vogliono emendare ancora il testo escludendo le coppie omosessuali dalla 'stepchild adoption', proponendo come alternativa l'affido rafforzato. Per approfondimenti: www.repubblica.it/politica


*Michela Marzano è stata da alcuni definita un "raro esempio di filosofa pubblica"; professore ordinario all'Université Paris Descartes, è autrice di numerosi saggi e articoli di filosofia morale e politica. L'ultimo libro, "Papà, mamma e gender" (Utet, 12 euro), riflette sulla cosiddetta "teoria del gender", le sue interpretazioni e implicazioni.
http://d.repubblica.it/attualita/2016/01/15/news/stepchild_adoption_unioni_civili_diritti_omosessuali-2930557/

domenica 14 febbraio 2016

San Valentino, niente fiori e cioccolatini, regalate rispetto alle donne

14 febbraio One Billion Rising, un miliardo di persone nel mondo tra flash mob e danze
ONE BILLION RISING REVOLUTION 2016
Non fiori e cioccolatini, ma One Billion Rising, un ballo collettivo in tutto il mondo come testimonianza dell'impegno e della volontà profonda di fermare con ogni mezzo culturale, legale e civile la violenza sulle donne e sulle bambine. Un messaggio, quello della campagna ideata da Eve Ensler in programma per il quarto anno, quanto mai di attualità in Italia dove gli episodi di violenza domestica e contro le donne stanno diventando una drammatica quotidianità.
One Billion Rising Revolution, la più grande manifestazione di massa che spinge oltre un miliardo di persone a danzare e manifestare la volontà di cambiamento, scegliendo l'arte, la musica e la poesia come segno di sfida e di celebrazione, è ormai un movimento globale, una rivoluzione ''che comincia dal corpo, è spontaneità e rumore, energia, ritmo di tamburi, per trasformare il dolore in potere, per affermare che ogni donna ha il diritto di vivere e decidere del proprio corpo e del proprio destino'', dicono gli organizzatori.
Iniziata nel 2013 è nata da un'idea della scrittrice statunitense Eve Ensler, fondatrice del movimento V-Day e autrice de I monologhi della vagina, partendo dalla sconvolgente statistica delle Nazioni Unite che stimano che 1 donna su 3 sul pianeta sarà picchiata o stuprata nel corso della vita. Questo significa un miliardo di donne e bambine. Dopo l'exploit del 2013, nel 2014 e nel 2015 One Billion Rising ha continuato la sua battaglia con un'adesione crescente a livello globale, aprendo un nuovo dibattito sui diritti, il razzismo, le disuguaglianze economiche e le guerre dichiarate sui corpi delle donne in tutto il mondo.
Il 14 febbraio 2016 sarà il giorno del quarto appuntamento in tutto il mondo, In Italia l'attenzione si concentrerà sulle donne che vivono una condizione di paura ed emarginazione come le donne migranti, che costrette ad abbandonare il loro paese per sfuggire a guerre e condizioni di vita inaccettabili, subiscono violenza fisica e psicologica durante i loro lunghi e dolorosi spostamenti. Tanti gli eventi che animeranno questa giornata di festa e di impegno in tutto il territorio nazionale. Cortei, concerti, flash mob, danze, spettacoli, proiezioni e canti si susseguiranno in tutte le regioni italiane, da Trieste a Palermo, da Trento a Sassari da Galatina a Rimini, idealmente unite in un corpo unico, in un'unica voce potente ma gentile, che il 14 febbraio prenderà vita tra le strade del mondo intero
da http://www.ansa.it/lifestyle/notizie/societa/best_practice/2016/02/02/non-fiori-e-cioccolatini-ma-one-billion-rising-ballo-contro-la-violenza-di-genere_87befa0e-fad8-438c-899a-25de7683a454.html

sabato 13 febbraio 2016

Massimo Ammaniti: “Che ignoranza, conta l’affetto non il genere” Lo psicanalista: “Due madri o due padri non fanno danni” di CATERINA PASOLINI

Come valuta i dubbi sulle coppie gay di essere buoni genitori?
"Sono stupefatto dall'ignoranza, vi sono decine di studi americani, inglesi e anche italiani che dicono il contrario. Ovvero che non ci sono differenze nei percorsi di sviluppo, di crescita, di relazione col mondo esterno tra bambini allevati da genitori omo ed eterosessuali ".

Qual è il genitore ideale?
"Le ricerche dell'American psyicoanalytic association e dell'Associazione italiana di psicologia sottolineano che è fondamentale nell'interesse del bambino avere genitori capaci di prendersi cura di lui, di capire le sue difficoltà emotive, di provare empatia. E tutto questo ha profondamente a che fare con la personalità, l'attitudine di uomini e donne, non con il loro orientamento sessuale. Per questo le ricerche dicono che non cambia avere genitori gay o etero".

Non è meglio avere una mamma e un papà?
"Per una crescita equilibrata ci vuole l'elemento maschile e femminile, ma il fatto è che in ognuno di noi ci sono tutti e due gli elementi. Nella definizione classica il codice paterno è quello che guida, mette le regole, segna i limiti, quello materno accoglie, cura. La realtà è che un uomo può essere accogliente e una donna mettere regole severe. Anche nelle coppie eterosessuali ci sono sfumature diverse: chi protettivo, chi prescrittivo. L'importante è ricevere i due codici, non importa il sesso di chi li trasmette".

Cosa cambia lo sviluppo sessuale ed emotivo dei bambini?
"L'associazione americana degli psicoanalisti ha analizzato gli studi sul mondo dei genitori dello stesso sesso. Conclusione: non c'è differenza tra genitori gay e etero, i loro bambini hanno gli stessi percorsi emotivi, uguale capacità di rapportarsi al mondo e uguale chiarezza sulla loro identità di genere. Per dirla con parole semplici: i gusti sessuali dei genitori non influenzano quelli dei figli. La loro capacità di occuparsi dei bambini, dei loro bisogni emotivi fa invece la differenza".

L'Italia è in ritardo?
"Nel 2013 la rivista Infanzia e adolescenza ha pubblicato un numero monografico sull'omogenitorialità,
con ricerche dell'Università di Roma e di Padova, dove si valutava come il bambino interagiva col singolo genitore e con la coppia. Non è stata segnalata alcuna differenza tra chi viveva con due mamme, due papà o una mamma e un papà".
da http://www.repubblica.it/cronaca/2016/02/04/news/massimo_ammaniti_che_ignoranza_conta_l_affetto_non_il_genere_-132714677/

venerdì 12 febbraio 2016

La salute mentale dei bimbi cresciuti in famiglie monoparentali è analoga a quella dei coetanei di Antonella Costantino (presidente Società Italiana di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza)

Avere due papà o due mamme non influenza negativamente lo sviluppo psicologico di un bambino e non ne aumenta la probabilità di diventare omosessuale a sua volta.
Dal punto di vista scientifico infatti, il problema che si pone non è tanto se vi sia o no una differenza tra famiglie composte da genitori di sesso diverso e famiglie composte da genitori dello stesso sesso, ma se e come e attraverso quali fattori tale differenza impatti sul benessere dei bambini e sul loro sviluppo. E come essere in grado di monitorare e approfondire costantemente, con un metodo rigoroso che ci protegga dal rischio di influenzare i risultati alla luce delle nostre personali convinzioni, quali sono le potenziali conseguenze che i cambiamenti del modo di crescere i bambini, che avvengono indipendentemente da quanto possiamo ritenere giusto o sbagliato, possono avere sulla loro salute mentale.
Ampi studi condotti negli Stati Uniti negli ultimi trent’anni evidenziano come i fattori di rischio per la salute mentale siano legati alla povertà e all’emarginazione, alla presenza di eventi traumatici, alla conflittualità e alla violenza, alla presenza in famiglia di persone con gravi problemi psichiatrici o di dipendenza da sostanze o da alcool e soprattutto alla mancanza di una rete sociale di supporto, ma non alla struttura familiare di per sé né alla presenza di genitori dello stesso sesso.
Analogamente, i fattori protettivi che agiscono trasversalmente a tutti gli assetti familiari sono rappresentati dalla qualità delle relazioni tra i genitori e con i figli, dal senso di competenza e sicurezza dei genitori, dalla buona capacità di parlare delle emozioni tra tutti i membri della famiglia e dalla presenza di positivi supporti sociali ed economici.
Se si corregge per i fattori appena descritti, la salute mentale di bambini cresciuti in famiglie omoparentali è analoga a quella dei coetanei.
La presenza di emarginazione e discriminazione è invece un fattore di rischio importante, ma anche in questo caso non è limitato alle famiglie omogenitoriali. La presenza di una differenza rispetto ai compagini o al contesto di vita (inclusa la vedovanza, la presenza di fratelli con disabilità o di genitori gravemente ammalati o disabili), se non adeguatamente gestita nei contesti scolastici e sociali, può diventare occasione di vittimizzazione, discriminazione e bullismo, con tutte le conseguenze purtroppo note.
In questo contesto generale, è importante sottolineare come la stepchild adoption affronti poi un aspetto molto particolare e molto rilevante trasversalmente alle famiglie regolarmente coniugate, eterosessuali conviventi od omogenitoriali. In situazioni in cui un bambino ha un solo genitore perché l'altro è morto o non c'è mai stato, la stepchild consente al partner, indipendentemente dal sesso, di adottare il bimbo del compagno, previo parere di idoneità e opportunità da parte di giudice, in accordo con il genitore naturale e sentito il parere dello stesso minore. Lo scopo è quindi proteggere il bambino, per evitare che con la morte del primo genitore venga strappato contemporaneamente anche al secondo, che di fatto già convive con lui e con il quale ha un legame affettivo.
da http://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/medicina-e-ricerca/2016-02-04/famiglie-omoparentali-salute-mentale-bimbi-cresciuti-famiglie-omoparentali-e-analoga-quella-coetanei-153533.php?uuid=ACjCIbNC

giovedì 11 febbraio 2016

ONE BILLION RISING REVOLUTION 2016 Milano piazza Scala 14 febbraio ore 16





Torna per il quarto anno consecutivo ONE BILLION RISING la campagna ideata da Eve Ensler che spinge oltre un miliardo di persone a danzare e manifestare la volontà di cambiamento, scegliendo l'arte, la musica e la poesia come segno di sfida e di celebrazione.

L'Associazione Fermati Otello, Donne in Quota, La Rete delle Reti Femminili in collaborazione con l'Associazione Tac Teatro anche quest'anno orgnizzano il flashmob danzante per la Città di Milano che si terrà Domenica 14 febbraio in Piazza della Scala (angolo con la Galleria Vittorio Emanuele II) dalle ore 16.

Il flashmob sarà sulle note della canzone "Break the Chain" utilizzando la coreografia ufficiale che potete trovare al seguente link  https://youtu.be/mRU1xmBwUeA

Ecco l'invito di Lella Costa
https://www.youtube.com/watch?v=2vqo1M1TXCQ&feature=youtu.be


Vi aspettiamo numerose e numerosi !!!
#VDAY #StopTheViolence #ObrMilano

mercoledì 10 febbraio 2016

Il lungo (e incompiuto) processo verso la famiglia fondata su amore e accoglienza Chiara Saraceno, Micromega

"I figli non sono un diritto". Vero, non c'è dubbio. Vale per tutti: per le coppie formate da persone di sesso diverso come per le coppie formate da persone dello stesso sesso, per le coppie come per i/le single. Ma che cosa significa esattamente che non sono un diritto?
Che chi non è fertile, o ha un partner non fertile, non ha diritto di provare e viceversa che basta essere fertili (e in un rapporto di coppia eterosessuale) per avere automaticamente il diritto di avere un figlio? Quando si discute di diritti e li si aggancia ad una idea di “natura” e di “normalità” si intraprende una strada molto scivolosa. Una strada lungo la quale si incontrano molte violenze, in particolare contro le donne e i bambini, ma talvolta anche contro gli uomini.
Qualche secolo fa in Italia le donne nubili sospette di essere incinte venivano imprigionate per evitare che abortissero, salvo togliere loro i figli perché “indegne” di essere madri. In Irlanda, come ci ha ricordato il film Le Maddalene, la cosa è durata fino a qualche decennio fa con il beneplacito della Chiesa Cattolica. In nome della protezione della “paternità legittima” i figli nati da un uomo sposato fuori dal matrimonio non potevano essere riconosciuti da quello.
E una madre coniugata che avesse un figlio con un uomo diverso dal marito, magari lontano o da cui era separata, aveva di fronte a sé solo due scelte: o non riconoscerlo affinché il padre, se non a sua volta sposato, potesse farlo lui, oppure tacere, attribuendone la paternità al marito. Il tutto con buona pace dell’oggi tanto sbandierato principio che i bambini hanno bisogno di un padre e di una madre, possibilmente biologici.
Nella legge 40, fortemente voluta da una grossa fetta dei parlamentari cattolici e la cui abrogazione per via referendaria è stata attivamente impedita dalla gerarchia cattolica, si è vietata sia la riproduzione artificiale con donatore o donatrice, sia il ricorso all’esame pre-impianto degli embrioni nel caso di aspiranti genitori portatori di malattie genetiche gravi, che avrebbero comportato sofferenze atroci all’eventuale nascituro.
Ci sono volute sentenze delle Corti italiane ed europea per cancellare questa mostruosità voluta da parlamentari ottusi e arroganti che, con la benedizione della Chiesa, si arrogavano il diritto di dire chi può e in quali condizioni fare figli e chi no. Se dovessero poter avere figli solo coloro che sono fertili, e in coppia eterosessuale, dovremmo non solo condannare ogni forma di riproduzione assistita, inclusa quella con gameti della coppia, ma anche vietare l’adozione.
Nella nostra società e cultura da lungo tempo si è passati da un’idea che si facessero figli – in proprio o tramite adozione – vuoi perché “venivano”, come non sempre benvenuta conseguenza di un rapporto sessuale, vuoi perché utili alla dinastia o all’impresa famigliare, ma perché danno gioia e aprono al futuro. Come ha ammesso, con un lapsus involontario, lo stesso cardinal Bagnasco, la famiglia non è un fatto ideologico, bensì antropologico.
Appunto, l’antropologia, e la storia, ci mostrano che qualunque sia la “famiglia voluta da Dio”, secondo la sorprendente e astorica definizione di papa Francesco, le famiglie umane vengono in forme e contenuti diversi. Non c’è un’unica “famiglia umana”. Ed alcune forme di famiglia anche del nostro recente passato erano intrinsecamente violente nei rapporti di genere e generazione, non solo a livello individuale, ma proprio di conformazione istituzionale.
C'è voluto un lungo processo, non del tutto compiuto, perché la dimensione fondamentale, autenticamente generativa, della genitorialità fosse l’accoglimento e l’assunzione di responsabilità e perché la cifra della relazione genitori-figli (come per la coppia) fosse l’amore E’ su questo che si gioca il “diritto ad avere figli” o, meglio, a provarci, non di fronte alla legge, ma di fronte alla propria coscienza.
Le tecniche di riproduzione assistita, e più ancora la possibilità di ricorrere ad una madre gestante per altri, acuiscono ed esplicitano la necessità di effettuare – ciascuno nel proprio foro interiore – questa valutazione: non solo perché la scelta di diventare genitori è necessariamente più esplicitamente intenzionale, ma perché coinvolge più soggetti e modifica di poco o tanto il nesso tra coppia, sessualità, generazione. Di nuovo, vale per tutti, non solo per le persone omosessuali.
Quando si smetterà di pretendere di possedere la verità e il monopolio della definizione di chi può fare famiglia e chi può avere figli, finalmente si potrà aprire una riflessione in cui tutte le parti possano trovare voce e ascolto, con rispetto e pazienza, per fare un passo ulteriore nel processo di civilizzazione della famiglia e dei rapporti di sesso e generazione.
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