martedì 31 agosto 2021

La violenza contro le donne afghane è anche la nostra Virginia Nesi

A voce e in Rete il dibattito collettivo prende il suono delle voci afghane che chiedono aiuto. C’è un pensiero comune rivolto a tutte quelle donne costrette a rintanarsi in angoli reconditi di case isolate o a tentare la fuga verso posti altrettanto insicuri dell’Afghanistan. Lo sgomento si somma alla speranza, ma dopo le due esplosioni nell’aeroporto di Kabul, si traduce in rassegnazione. Dal sud dell’Europa, continuiamo a immaginare cosa possa succedere adesso. Inveiamo contro inciviltà e ingiustizia dell’altra parte del mondo. Quella atroce, sbagliata. Ma le sofferenze di bambine, ragazze e donne afghane non sono isolate. La verità è che ci riguardano e pongono interrogativi. In Italia ogni persona nasce con dei diritti inviolabili ed è tutelata da una Costituzione compromissoria. A Kabul i talebani hanno già ribadito che non ci sarà alcuna democrazia nel loro Paese: applicheranno la sharia, la legge coranica. Saranno ancora castigate e uccise le donne afghane se mostreranno condotte improprie.

In Italia: una violenza sessuale denunciata ogni 131 minuti

Numerose volte è stata usata la parola Medioevo per riferirsi all’Afghanistan dei talebani. Altrettante abbiamo preso le distanze dalla quella cultura, rafforzando la necessità di esportare diritti e democrazia in quelle terre. Eppure in Italia, dove il popolo è sovrano, ancora oggi sono numerose le donne che non si sentono abbastanza protette. Da gennaio a giugno 2021, la media è di 11 denunce per abusi o stupri al giorno. Tradotto: una violenza sessuale denunciata ogni 131 minuti. Solo 400 nel mese di maggio. Lo riportano i dati pubblicati dalla Direzione centrale della polizia criminale. Un ampio numero di donne continua a chiedere giustizia per i maltrattamenti subiti. La violenza continua a intimidirle, ferirle, ucciderle. Persistono abusi, stupri, omicidi seppur nel 2019, con la legge del Codice Rosso, si siano inasprite le misure contro atti persecutori e maltrattamenti per combattere la violenza di genere e domestica. In realtà non l’abbiamo ancora sradicata quella violenza. Da inizio anno sono 74 le donne uccise, di cui 65 ammazzate in ambito familiare o affettivo. La maggior parte delle volte il colpevole è il partner o l’ex partner. Vanessa Zappalà, la 26enne uccisa a colpi di pistola dall’ex fidanzato sul lungomare di Acitrezza, è l’ennesima vittima di femminicidio.

Numerare le condanne oltre che i processi

Sarebbe necessario dunque capire quanto uno Stato sceglie di tollerare (o non tollerare) la violenza. Numerare le condanne oltre che i processi. Rendere noti gli esiti delle sentenze anche quando gli imputati non sono personaggi pubblici, ma persone comuni. È trasversale, oltre che globale, la violenza. Così come la paura e il terrore. Ce lo ha ricordato lo stesso segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres quando ha definito quella dei femminicidi «una pandemia ombra». Con il coronavirus, molte donne sono state costrette a convivere con il proprio aggressore. L’impossibilità di uscire di casa ha diminuito le loro denunce e aumentato la paura. L’obbligo involontario di sopportare è diventato oppressione, sopruso, quindi omicidio.

Persiste una cultura che ostruisce i diritti delle donne

Secondo la senatrice e presidente della Commissione femminicidio Valeria Valente bisogna investire in campagne di comunicazione e di sensibilizzazione, in cultura e formazione per eliminare la problematica culturale che si cela dietro la violenza di genere. Perché anche in Italia, seppur invisibile, persiste una cultura che, alimentandosi di stereotipi e pregiudizi, ostruisce i diritti delle donne.

Se oggi guardare dall’altra parte, quella atroce e sbagliata, è un modo per inorridirsi contro le ingiustizie. Analizzare la nostra parte, quella democratica e giusta, diventa pretesto per avviare un cambiamento. Basta voltarsi. In tutte e due le direzioni.

https://27esimaora.corriere.it/21_agosto_28/violenza-delle-donne-afghane-nostra-diritti-1706d872-0766-11ec-86ee-97d3784fba6d.shtml?fbclid=IwAR2dymw7qaMgTMmFl6LiL7TzCl1cgAMHVWFhnFUXmgaDTJ42ygbfEMr-HYY

lunedì 30 agosto 2021

Le parole semplici di Azar Nafisi per capire le donne oppresse afghane e iraniane By Pierluigi Battista

Parole semplici e chiare contro le frotte di minimizzatori, le fitte schiere dei maestri del distinguo capzioso e ipocrita, quelli che credono di saperla lunga, e si atteggiano a consumati esperti di cose di cui peraltro non sanno nulla, per negare la specificità culturale e religiosa dell’odio islamista contro le donne, in Afghanistan come in Iran, nel cuore dell’integralismo sciita e in quello dell’integralismo sunnita.

Parole semplici e chiare, quelle di Azar Nafisi, autrice iraniana di un libro straordinario come “Leggere Lolita a Teheran” (Adelphi), che in un’intervista al “Corriere della Sera” risponde così alla domanda se esistano differenze tra la violenza contro le donne dei talebani e la condizione delle donne in Iran: “ci sono enormi differenze ma anche somiglianze”. C’è differenza, come in tutte le cose, ma anche somiglianze, parole semplici e chiare. E la principale somiglianza è che le “forze totalitarie” fanno delle donne il “loro primo obiettivo”.

“Se vuoi sapere quanto è libera e aperta una società, guarda quanto sono libere le sue donne”. In Afghanistan e in Iran, tra le differenze e le innumerevoli somiglianze, “le donne vengono attaccate perché rappresentano una visione alternativa dell’identità di questi Paesi”. Ecco perché le rinchiudono, le perseguitano, le malmenano, le lapidano, le consegnano bambine allo stupro coniugale di matrimoni combinati con energumeni anziani. Somiglianze, somiglianze culturali, somiglianze religiose: l’applicazione rigida dei dettami religiosi al posto delle leggi di uno Stato non teocratico. Ci vuole la limpidezza di Azar Nafisi per dircelo, malgrado la molestia dei saputelli giutsificazionisti.

https://www.huffingtonpost.it/entry/le-parole-semplici-di-azar-nafisi-per-capire-le-donne-oppresse-afghane-e-iraniane_it_6127aaa6e4b06e5d80cab3b8?fbclid=IwAR0FUs31s-TYh-3rSJ--uzY6iFkiMGLTjiOoMvFUJt2-RmHc6P9D7AQuiXU

sabato 28 agosto 2021

Storia delle donne afghane che hanno deciso di restare in mezzo a sciacalli e lupi di Cristiana Cella

Nel paese l’85% delle donne è analfabeta. Le scuole sono prese di mira, uccidono ragazzine che inseguivano un sogno. La libertà può costare la vita. Ma loro hanno scelto di resistere

Un grande corpo morto, un cadavere. Svuotato di vita, sospeso, senza futuro. Questa, dice Fatima, nascosta chissà dove, è adesso Kabul. Calma, nel profondo silenzio dell’orrore. 

‘A ogni angolo di strada c’è un uomo armato, - dice- la barba lunga, i lunghi capelli sporchi, lo sguardo allucinato di chi non ha in sé un briciolo di umanità. Probabilmente imbottito di droga. La concitazione, il rumore, il traffico, la polvere, tutto sparito. Pochi osano affrontare le strade della propria città, nessuna donna. I passi cancellati.

  Le persone a rischio lasciano le loro case, le sedi delle loro organizzazioni, spariscono, bruciano documenti. Documenti che tengono traccia degli innumerevoli progetti, grandi e piccoli, di un lavoro forte, coraggioso e tenace per i diritti delle donne e degli uomini liberi. 

 Per le strade rimane solo la paura. 

I talebani cercano. Cercano nemici, donne in particolare, difensori dei diritti umani, lavoratori di Ong e collaboratori degli stranieri. Cercano bambine e giovani donne per i loro militanti. Le donne , le grandi nemiche. ‘Perseguitano le donne perché ne hanno paura, hanno paura di perdere i loro privilegi, il loro mondo povero, di essere travolti dalla loro forza. Non riescono a guardarle vivere.’ Così mi disse tempo fa Manija,  militante di Rawa, a proposito degli uomini violenti e dei fondamentalisti.

Nei nascondigli arrivano le notizie, sparse, a brandelli, da mettere insieme con il fiato sospeso. A Jalalabad hanno sparato a un uomo perché portava la bandiera afghana, chi è sceso per le strade il giorno della festa nazionale ha trovato la morte, a Takhar un donna che aveva messo male l’hijab è stata frustata a morte, a un presunto ladro è stata tagliata la mano. Ufficiali e funzionari governativi, dopo aver chiesto il perdono imposto dai talebani per aver salva la vita, sono stati uccisi. Non si arriva all’aeroporto, ti fermano, sparano. Controllano tutti.

Nulla è cambiato nel loro comportamento, sono solo più forti, più armati, più tronfi, più ricchi, riconosciuti a livello internazionale. Vittoriosi.  ‘Narcos’  miliardari con in mano il più grande traffico di eroina del mondo,  l’unica produzione del paese che aumenta ogni anno in modo esponenziale. 

Kabul , la grande prigione. Chi può scappa. Il Governo scappa e i talebani dicono che è opera di Dio. Ci sono i voli umanitari ma non c’è modo di arrivare all’aeroporto. Shazia ci prova. Non vuole andarsene, solo prendere il volo per Herat per andare a sostenere i suoi vecchi genitori terrorizzati. Si mette in marcia con il suo biglietto in mano e il cuore in gola. Ci sono altre persone intorno a lei che fanno la stessa strada con la stessa speranza. I talebani li  fermano, urlano, sparano, qualcuno è colpito. Un talebano la vede, la squadra, sputa. ‘Con te hazara abbiamo parecchi conti da regolare, lo sai?’ Sì lo sa, gli hazara negli ultimi anni sono stati i bersagli più frequenti degli attacchi sanguinari dei talebani.

  Shazia non ha altra scelta che scappare. Ogni giorno la stessa scena. Non si passa. I voli umanitari restano mezzi vuoti, chi avrebbe diritto di salirci non può arrivare. 

E così la fuga diventa business. Arrivare all’agognato aeroporto si può, basta pagare qualche migliaio di euro. Il talebano incassa e fa passare. 

Anche le guide per raggiungere il Pakistan attraverso le montagne costano sempre più care. Man mano che passa il tempo la tariffa lievita. La paura degli altri è sempre un buon affare.

Ma ci sono donne che hanno deciso di restare. 

Le donne afghane sono forti. Ho davanti agli occhi una foto mandata da un’amica carissima che non può uscire di casa nella sua città. Una donna che ha appena partorito in un ospedale di Kunduz  dopo un assalto talebano. E’ in un letto sfondato coperto di frammenti di vetro, riflettono la luce tutto intorno a lei, bagliori verdi e macchie di sangue. Cerca di alzare il piede per non ferirsi. Intorno è tutto crollato ma lei è serena e il marito stringe con tenerezza il piccolo.

In questo paese la forza della vita è inarrestabile. L’abbiamo conosciuta questa forza, nelle donne che abbiamo sostenuto negli ultimi 20 anni.

Donne che restano qui. Nonostante gli sciacalli e i lupi. Nonostante il baratro che si apre nel paese, nonostante la morte del futuro, nonostante il rischio altissimo. Quasi si offendono se gli si parla di voli umanitari. La decisione, l’impegno è stato preso tanto tempo fa. La resistenza, quella vera,  non può andarsene. Quel patto non può rompersi.

‘Come sai, dice Roshan, direttrice esecutiva di una grande ong che si occupa di donne e bambini, la vita di molte persone e specialmente quella delle donne attiviste è ad alto rischio. Ma se queste persone vogliono veramente difendere le donne, devono restare accanto a loro in questo momento, e proteggere la loro vita e la loro dignità. Il nostro popolo ha bisogno di noi. Adesso.’

Nadia di Rawa, la storica organizzazione delle donne afghane, che ha attraversato nelle sue battaglie 40 anni di storia del paese, è della stessa opinione. Tutte mi ripetono che conoscono i talebani, hanno vissuto sulla loro pelle quegli anni e hanno trovato il modo di continuare il loro lavoro. Lo faranno anche adesso. Clandestine lo sono già , da molti anni. Niente di nuovo.

‘Noi crediamo che solo un governo democratico e laico possa garantire al popolo afgano la sicurezza, l’indipendenza, l’uguaglianza di genere e la fine delle discriminazioni razziali. Questo è il nostro obiettivo. Per raggiungerlo, l’unico modo è educare il nostro popolo alla libertà, quella vera. Di espressione, di pensiero, di auto-determinazione. Oggi, ovviamente, torniamo a agire dietro le quinte. Lo facevamo già. Oggi, cerchiamo di dare una mano agli sfollati che arrivano a Kabul. Continuiamo e continueremo a insegnare a leggere e a scrivere a bambini e bambine, alle loro mamme. Aiutiamo a creare una coscienza politica afgana, aiutiamo le donne a sentirsi libere di pensare e dire quello in cui credono. ‘

Hanno ancora speranza queste donne, non mollano. Il loro lavoro, lo sanno, ha camminato per il paese, sotto i veli, sopra le pentole, dentro le case, nei campi, sui banchi di scuola. Le donne non sono più le stesse degli anni 90. Sono ottimi semi che danno e daranno frutti. Hanno lavorato molto in questi 20 anni come nei 20 anni precedenti. E’ questa la resistenza.

20 anni. Un tempo lungo per costruire un disastro.

Le donne, dicono, avevano fatto  grandi conquiste sotto l’occupazione occidentale. Nei primi anni c’erano molte speranze, sono state fatte buone leggi. Ma non basta. Le leggi bisogna applicarle. Certo, alcune di loro avevano potuto studiare, lavorare, scegliere. Ma sono poche, quelle delle grandi città, della capitale, quelle nate in famiglie aperte. Alcune di loro hanno pagato caro il loro successo. Ogni giorno, donne in gamba che occupavano posti importanti nella società, venivano uccise, sulla strada di casa, al lavoro, in macchina, dai talebani. Non solo donne, anche uomini. Si sono liberati dei loro nemici prima di prendere il potere. Una specie di purga.

Nel resto del paese l’85% delle donne è analfabeta. Le scuole sono prese di mira, uccidono ragazzine che inseguivano un sogno, come a Dasht- e- Barchi, a Kabul, quartiere hazara. La libertà può costare la vita. Ma le bimbe, anche loro, hanno coraggio e non si lasciano fregare.

"Quando vado nelle case a chiedere di mandare a scuola le bambine della famiglia, diceva Sahar, maestra elementare,  mi sentivo rispondere: le mando sì, se mi puoi garantire che non vengano stuprate, rapite o uccise lungo la strada.”

In questi 20 anni, nel resto del paese,  essere  bambina e donna, voleva dire essere venduta a forza a un uomini vecchi e violenti, essere scambiate con il perdono per gravi delitti,  in conflitti famigliari, significa non avere alcun diritto, soccombere alla violenza, senza poter mai avere giustizia. In questi 20 anni ho sentito tante, troppe storie insopportabili. 

Le donne che  restano hanno cercato di porre rimedio, al dolore, alla fatica, all’ignoranza, all’umiliazione. Hanno portato riscatto e forza.

Al potere, nel Parlamento, a capo delle province, gli occupanti americani avevano messo i loro vecchi amici. I potenti warlords che la Cia aveva coccolato e armato negli anni ’80 contro la Russia. Trafficanti di droga, criminali di guerra, fondamentalisti che si erano macchiati dei  più orrendi delitti durante la guerra civile. Il migliore governo per sostenere i diritti delle donne, non c’è dubbio. Come affidare la democrazia ai nazisti. Erano questi ceffi che formavano il governo, che si dividevano il traffico di eroina e il controllo delle province con i talebani. Che oggi, si accordano con loro, purché possano continuare i loro affari dentro e fuori del paese. Così farà anche il figlio di Massud in cerca di gloria paterna. Una guerra civile non conviene. La torta è grande. Il regolamento di conti tra tagliagole fondamentalisti non è resistenza. 

Due mesi fa, ho chiesto a Nargez, militante di Rawa, come avrebbero reagito i warlords all’ascesa inevitabile dei talebani. Era convinta che non ci sarebbe stata una guerra tra loro  ma un accordo proficuo. ‘Immaginare talebani e warlords insieme, è un vero incubo. Queste bestie selvagge renderebbero la vita molto più oscura e catastrofica per la nostra gente se si scatenassero insieme.’

20 anni di morti, di bombardamenti, di attentati. Di violenza quotidiana da tutte le parti in gioco. Raid notturni che terrorizzano la popolazione, la guerra fuori dalla porta di casa, la vita che sfugge via e bisogna rincorrerla. Scappare e ancora scappare. Rifugiarsi nei campi profughi dentro Kabul, senza niente in mano. E i talebani intanto si organizzano, si arricchiscono, entrano nei governi di grandi potenze, come Russia, Cina , Turchia, come padroni.

20 anni in cui si è costruito il più grande mercato di stupefacenti del mondo. 93% della produzione mondiale. La produzione aumentava, le fabbriche di eroina crescevano e prosperavano. Sotto gli occhi degli occupanti, indifferenti o forse complici dell’impresa. Ettari e ettari di terreno mangiato dai papaveri. 3 milioni di tossicodipendenti, miseria, morte e aumento della violenza contro le donne. Non si coltiva più niente, solo papaveri. ’Nel mio paese, anche i cani sono drogati’ diceva una ragazzina coraggiosa di un villaggio sotto il controllo talebano.

Due anni di colloqui, dicevano di pace. La pace talebana. Nelle sale di Doha gli americani hanno consegnato un paese, con tutti i suoi civili, chiavi in mano, alla ferocia  talebana. Ne facessero quello che volevano. Dovevano solo comportarsi bene con gli americani, non attaccare, non disturbare i loro interessi. Ci sono pure i mezzi militari, le armi abbandonate, a disposizione. 

Quanto stupore in giro per  la vittoria annunciata. Forse perché in questi 20 anni di Afghanistan non si parlava, un velo pietoso sulla vergogna che pochi denunciavano e che ora non si può più nascondere.  Solo loro lo dicevano, le donne che restano e i loro compagni nella battaglia per la democrazia, quella vera. 

Doveva per forza andare così.

Gli afghani sanno che i talebani c’erano, ce li avevano sul collo, governavano con le loro leggi, con governi ombra, distruggevano villaggi, imprigionavano le donne nell’assenza di vita. Ogni giorno a Kabul qualcuno saltava per aria. Erano lì, comodamente in agguato, in attesa di raccogliere il raccolto.

Stupiti ancora di più per la velocità dell’impresa. 

L’esercito, dopo 20 anni di addestramento, avrebbe dovuto tenere. Il Governo avrebbe dovuto, dopo gli accordi, condividere il potere con i talebani e rispettare i diritti umani. Ma davvero ci credevano? L’esercito non poteva tenere. Non era capace nemmeno di aggiustare un mezzo quando era rotto. Lo avevano sempre fatto i contractors americani. 

Basta mettersi nei loro panni. Ma chi, con un briciolo di cervello avrebbe messo in pericolo la famiglia e la vita per il Governo Ghani? Per un governo corrotto e fantoccio degli americani? Meglio scappare o passare coi talebani, i nuovi padroni. Nessuno davvero poteva credere che l’esercito li  avrebbe respinti. 

E nessuno crede al loro cambiamento. Sono sempre loro.

Non sono nati qui. Sono stati preparati, istruiti e armati dal Pakistan, dall’Arabia Saudita, dagli Usa. ‘Our bastards’ così li chiamava la Cia. Non solo loro, i bastardi non sono mai mancati. Noi occidentali abbiamo sempre nutrito con passione i fondamentalisti, gli estremisti di ogni genere, per poterli manovrare a piacere. Prima dei talebani c’erano i mujahiddin, ce ne saranno altri.

Le donne  che restano coi lupi e gli uomini che le affiancano nella resistenza, non perdono mai il senso dell’umorismo, di una battuta, nei momenti più cupi. Un coraggio leggero, loro sono così.

Ci scrivono, in mezzo alle tragiche notizie,  la barzelletta del giorno. ‘Previsioni del tempo alla tv talebana. Come sarà il tempo domani? Non si può dire, solo Dio conosce il futuro.’

Noi, possiamo fare solo delle ipotesi, una più brutta dell’altra.

https://www.globalist.it/world/2021/08/24/storia-delle-donne-afghane-che-hanno-deciso-di-restare-in-mezzo-a-sciacalli-e-lupi-2086187.html?fbclid=IwAR2ZjkSbjFoBX7kJbQjhVh3xl5UMU0P81xnU2LXJ3Bq1X_SDAwjT9TIKmLI


 

sabato 21 agosto 2021

 Amiche e amici

Ci è sembrato doveroso scrivere queste poche righe per esprimere il nostro pensiero in merito agli accadimenti che in Afghanistan stanno mettendo in grave pericolo le libertà e i diritti delle donne, degli uomini e dei bambini e delle bambine che in questi anni è sembrato potessero affermarsi.
Alleghiamo la lettera di Malala, nel caso non aveste avuto occasione di leggerla.



Avvolto nel buio il futuro delle donne afghane




“Temiamo i talebani” che nell'instaurando Stato Islamico dell'Afghanistan dichiarano che le donne potranno continuare a studiare, lavorare, governare purchè nel rispetto della sharia (sic!).

Mentre loro promettono una svolta moderata [operazione di immagine per avere consenso, tolleranza ed evitare l'isolamento - nostra lettura veloce in una situazione difficile e complessa su cui rimandiamo le riflessioni] arrivano le voci angosciate delle donne che hanno paura dei “rastrellamenti casa per casa”, si nascondono, cancellano i loro profili dalla rete, cercano di scappare e sentiamo le voci rotte dal pianto di uomini afghani che vivono fra noi e lanciano appelli per creare ponti aerei e far uscire dal paese le donne.

Donne che avevano iniziato a vivere praticando istruzione, uguaglianza, diritti, libertà che avevano sfidato i talebani governando città, aprendo imprese, collaborando con  le Ong sono oggi terrorizzate dalla prospettiva di tornare indietro di venti anni quando vivevano chiuse in casa e nascoste sotto i burka.

E poi le richieste dei nomi delle donne nubili dai 12 ai 45 anni da dare in spose ai talebani, come bottino di guerra di antica memoria.

Donne in pericolo che con coraggio si uniscono alle manifestazioni di chi nel nord del paese inizia la Resistenza.

La situazione è solo all'inizio e si prospetta una enorme crisi umanitaria.

Noi siamo accanto a queste donne, alle bambine ed ai bambini ed a tutto il popolo afghano che non si riconosce nel estremismo talebano e pensiamo che sia dovere morale creare corridoi umanitari, sostenere azioni di sostegno e di accoglienza e tenere accese le luci dell'informazione su ciò che avviene.

 

Da ventunesimodonna




Appello di Malala

Negli ultimi vent’anni milioni di donne e bambine afghane hanno ricevuto un’istruzione. Ora il futuro che è stato promesso loro è pericolosamente vicino a svanire. I talebani, che prima di essere estromessi dal potere vent’anni fa vietavano a quasi tutte le bambine e le donne di frequentare la scuola e impartivano severe punizioni a quelle che li sfidavano, sono tornati al potere. Come molte donne, temo per le mie sorelle afghane.

Non posso fare a meno di pensare alla mia infanzia. Nel 2007, quando i talebani presero il controllo della mia città natale nella valle di Swat, in Pakistan, e poco dopo vietarono a tutte le bambine di andare a scuola, io nascondevo i libri sotto il mio scialle lungo e voluminoso e andavo a scuola a piedi, piena di paura. Cinque anni dopo, quando avevo 15 anni, i talebani cercarono di uccidermi per aver difeso pubblicamente il mio diritto di andare a scuola.

Non posso non sentirmi grata per la vita che ho oggi. Dopo essermi laureata al college lo scorso anno e aver cominciato a costruirmi un percorso lavorativo, non riesco a immaginare di perdere tutto, di tornare a una vita definita da uomini armati. Le bambine e le ragazze afghane si trovano di nuovo nella situazione in cui mi sono trovata io, in preda alla disperazione all’idea di vedersi negare la possibilità di entrare di nuovo in un’aula scolastica o tenere in mano un libro.

Alcuni esponenti dei talebani dicono che non impediranno alle donne e alle bambine di studiare o di lavorare. Ma vista la storia di soppressione violenta dei diritti delle donne da parte degli studenti coranici, le donne afghane hanno ragione ad aver paura. Arrivano già notizie di studentesse cacciate dall’università e lavoratrici mandate via dagli uffici.

Tutto questo non è certo una novità per il popolo afghano, intrappolato da generazioni in guerre per procura di potenze mondiali e regionali. I bambini nascono in mezzo alle battaglie, le famiglie vivono per anni dentro a campi profughi e altre migliaia di persone sono fuggite dalle loro case negli ultimi giorni.

Ma non è troppo tardi per aiutare la popolazione, e in particolare le donne e i bambini. Nelle ultime due settimane ho parlato con numerose persone che si battono per l’istruzione in Afghanistan a proposito della situazione attuale e delle loro speranze per il futuro. Non le citerò per nome per ragioni di sicurezza. Una donna che gestisce scuole per bambini nelle campagne mi ha detto di aver perso i contatti con i suoi insegnanti e alunni. «Normalmente lavoriamo sull’istruzione, ma in questo momento ci stiamo concentrando sulle tende», dice. «Migliaia di persone stanno scappando e abbiamo bisogno di aiuti umanitari immediati per evitare che le famiglie muoiano di fame o per la mancanza di acqua pulita».

Il suo appello ne riecheggia altri simili. Le potenze regionali devono contribuire attivamente alla protezione di donne e bambini. I Paesi confinanti (la Cina, l’Iran, il Pakistan, il Tagikistan e il Turkmenistan) devono aprire le loro porte ai civili in fuga, per salvare vite umane e stabilizzare la regione. Inoltre, devono consentire ai bambini profughi di iscriversi nelle scuole locali e le organizzazioni umanitarie devono allestire scuole temporanee in campi e insediamenti.

 

Guardando al futuro dell’Afghanistan, un’altra attivista vuole che i talebani dicano nello specifico che cosa consentiranno: «Non è abbastanza dire in modo vago che le bambine potranno andare a scuola. Serve che dicano specificamente che le ragazze potranno completare la loro istruzione, potranno studiare le materie scientifiche e matematiche, potranno andare all’università, entrare nella forza lavoro e svolgere la professione di loro gradimento». Gli attivisti con cui ho parlato temevano un ritorno a un’istruzione solo religiosa, che lascerebbe i bambini senza le competenze necessarie per realizzare i loro sogni e il loro Paese, in futuro, senza medici, ingegneri e scienziati.

Avremo tempo per discutere di quello che non ha funzionato nella guerra in Afghanistan, ma in questo momento critico dobbiamo ascoltare le voci delle donne e delle bambine afghane. Chiedono protezione, istruzione, chiedono la libertà e il futuro che erano stati promessi loro. Non possiamo continuare a deluderle. Non abbiamo tempo da perdere.

 (Traduzione di Fabio Galimberti)

Copyright 2021 The New York Times

L'articolo originale in:
https://www.nytimes.com/2021/08/17/opinion/malala-afghanistan-taliban-women.html