giovedì 31 maggio 2018

A: Le Parlamentari Le donne sono qui

A: Le Parlamentari
Le donne sono qui

Questa lettera è indirizzata alle donne che oggi siedono in Parlamento. Siete le più numerose della storia della nostra Repubblica, vi trovate lì per il desiderio e la lotta delle donne che vi hanno precedute. Vogliamo celebrare con voi, che siate d’accordo o no, i 40 anni della legge che ha dato alle donne il diritto di dire la prima e l’ultima parola sul proprio corpo.

Perché è importante?
Un po’ di storia: la 194, legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, è stata fortemente voluta dalle donne contro la destra e a fronte di una sinistra a lungo titubante, alleato senza remore fu solo il Partito Radicale. Alla fine gran parte del Movimento femminista, le donne dell’U.D.I, dei Partiti di sinistra, dei Sindacati e delle Associazioni e tante altre seppero mettersi insieme, dopo mediazioni non facili, e vinsero. Fu un vero e proprio atto di governo.

È questo insieme che vogliamo celebrare e mostrare oggi ancora vivo e potente.
Insieme abbiamo salvato tante donne dalla morte e dalla vergogna della clandestinità. E’ per questa coscienza che non ci può fare paura l’oscena propaganda che si sta scatenando in questi giorni contro questa legge, che pretende di mostrare le donne come assassine. Ma l’amore delle donne per la vita lo testimoniano secoli di storia.

È la nostra libertà a fare paura. Oggi tutti sono pronti a condannare la violenza, tutti contriti per ogni donna uccisa, per ogni donna maltrattata e abusata, ma sia chiaro: le radici di ogni violenza stanno tutte nella pretesa del controllo del corpo delle donne e se questo controllo un tempo era sacro, era legge, era dovuto, oggi è solo un terribile vizio.

Le donne non hanno più padroni. Di un gesto triste e grave come l’aborto, troppo spesso causato da una sessualità maschile irresponsabile, le donne rispondono non allo Stato ma prima a se stesse nel profondo della loro coscienza e poi a coloro che amano.

Oggi la denatalità fa paura, tanti dicono che sia colpa della nostra scarsa moralità, ma le donne non sono messe in condizione di avere figli, lo si vede dalle scelte politiche, da quelle economiche, dalla precarietà del lavoro, dai tagli ai servizi, da una scuola in perenne difficoltà, dallo scarso o nullo coinvolgimento degli uomini nell’esperienza della genitorialità, dai prezzi delle case e degli asili nido.

Le donne non sono pazze, a fronte di un loro desiderio, non fare figli quando non puoi permettertelo è una scelta molto triste.

Ma il desiderio può non esserci e questo è un fatto di cui tutti devono imparare a tenere in conto. La maternità oggi è una libera scelta, non un obbligo, non un dovere, né una merce, risponde solo a un desiderio, ma questo desiderio è importante per la vita di tutti, per la vita della società stessa, poiché infelice è colui che nasce senza il desiderio della madre. Così pensavamo e così pensiamo.

Vi scriviamo per dirvi che, qualunque governo verrà, le donne non faranno un passo indietro, speriamo di avervi al nostro fianco. Continueremo a lavorare per affermare la nostra piena cittadinanza e per rendere migliore questo paese. Riempiremo le piazze, se necessario.

Cgil, Udi, Uil, Gi.U.Li.A. (Giornaliste Unite Libere Autonome), Rete per la Parità, Telefono Rosa, D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza), DonneinQuota, Casa Internazionale delle Donne, Laiga (Libera Associazione Italiana Ginecologi per Applicazione legge 194),Differenza Donna, Salute Donna, BeFree, SeNonOraQuando Torino, SeNonOraQuando Factory, SeNonOraQuando Bolzano, Fondazione Pangea Onlus, EWMD Italia (European Women's Management Development) Femministerie, Associazione Le Onde Palermo, Donne In Movimento, Udi Palermo Onlus, Angela Blasi - Commissione Pari Opportunità Regione Basilicata -, Associazione Rosa Rubrae, Associazione Fiori con le Spine, Museo delle donne di Merano, ADATeoriaFemminista, Le Kassandre, Associazione Onlus Lab. Zen2, Libera Università delle Donne Matera, Associazione Italiana per l'Educazione Demografica.

Alessandra Bocchetti, Livia Turco, Anarkikka, Linda Laura Sabbadini, Alessandra Mancuso (Presidente Commissione pari opportunità della Federazione Nazionale della Stampa) Lidia Ravera, Francesca Comencini, Letizia Battaglia, Fiorella Kostoris, Gabriella Carnieri Moscatelli, Laura Onofri, Simona Mafai, Giovanna Martelli, Rosanna Oliva, Cecilia Guerra, Francesca Puglisi, Monica Cerutti (assessora P.O. Regione Piemonte) Antonella Anselmo (Avvocata Rete per la Parità),Chiara Valentini, Marina Terragni, Catiuscia Marini (Presidente della Regione Umbria), Paola Concia, Luisa Gnecchi, Gabriella Anselmi (Fildis Federazione Italiana Laureate e Diplomate Istituti Superiori), Diana De Marchi – Presidente Commissione P.O. Comune di Milano - Sabina Alfonsi - Presidente del Municipio Roma I -, Silvia Giannini, Sandra Petrignani, Donata Francescano, Gabriella Bonacchi, Paola Tavella, Stefania Tarantino, Daniela Dioguardi, Anna Rosa Buttarelli, Carla Mosca, Donatella Massarelli, Patrizia Asproni, Laura Moschini.

https://www.fare.progressi.org/petitions/le-donne-sono-qui

lunedì 28 maggio 2018

domenica 27 maggio 2018

Dal caso Weinstein in Usa alle manifestazioni in Italia per la “194” e la Casa Internazionale delle Donne. Le donne bussano alle porte. E prima o poi riescono a farsi aprire di Silvia Resta

  Nei giorni in cui l’America arresta Harvey Weinstein, condanna e mette all’indice uno dei più potenti uomini dello star system e fa della molestia contro le donne un reato da perseguire penalmente e pubblicamente; nei giorni in cui la “cattolicissima” Irlanda cambia pagina, chiude col passato e con un quasi plebiscito (quasi il 70 per cento a favore) dice si al referendum sull’ aborto; nei giorni in cui le istanze di un nuovo movimento delle donne partito proprio dall’America  stanno soffiando in tutto il mondo (in occidente come nel mondo arabo),  l’Italia si ritrova – fanalino di coda, pecora nera- a fare i conti con la sua arretratezza in merito alla questione femminile, con i suoi passi indietro, con il suo maschilismo prorompente, con il suo profondo deficit in materia di  parità di genere. Un deficit che rischia di rappresentare il vero spread, nonché un vulnus per la democrazia del paese. Questione di disuguaglianza nella rappresentanza e nella rappresentazione. Questione di diritti calpestati, non riconosciuti, sottratti. Questione di spazi negati. Questione di violenza diffusa, di femminicidi in aumento. Questione di ingiustizie quotidiane e di soprusi sulla pelle delle donne.

Partiamo dalle “conquiste conquistate”, come il diritto all’interruzione di gravidanza.
A quaranta anni (40) dall’ entrata in vigore della legge 194 (conquistata, voluta da milioni di donne), si moltiplicano i casi di obiezione, le denunce di non applicazione, le statistiche che ci dicono: tornano gli aborti clandestini, sono in aumento. Ginecologi che si rifiutano di operare nelle strutture pubbliche, ma lo fanno in privato, dietro laute parcelle. Consultori che chiudono. Centri antiviolenza che vengono sfrattati.

A Roma, sabato 26 maggio, insieme alle associazioni del movimento femminista, nella manifestazione a piazza Vittorio c’era anche il sindacato, la Cgil, per difendere la libertà delle donne e ribadire il diritto alla scelta, all’ autodeterminazione. Diritto che dovrebbe essere scontato, acquisito. Insomma, conquista che non si tocca. Un allarme che una vasta rete di associazioni di donne, esponenti della politica, delle istituzioni, della cultura e del mondo accademico ha sentito l’esigenza di mettere nero su bianco, con una lettera aperta alle parlamentari della xviii legislatura dal titolo ‘le donne sono qui’. Lettera in cui si denuncia la non applicazione della legge 194 e l’oscena propaganda mediatica, sempre piu’ insistente, sempre piu’ pervasiva, ai danni della libertà di scelta delle donne.

Diritti acquisiti vengono rimessi in discussione. E anche spazi acquisiti vengono messi in discussione, con l’obiettivo di chiudere, di sbaraccare; di sottrarre piuttosto che di aggiungere. E’ quanto accade, proprio in questi giorni, alla casa internazionale delle donne di Roma. Una struttura che ospita quaranta associazioni di donne, frequentata da migliaia di persone, un laboratorio di cultura, un servizio h. 24 per le donne violentate o in difficolta’, un archivio di documenti, video e foto che di per se’ e’ un pezzo di storia.

Un punto di riferimento storico per i movimenti femministi e non solo, insomma, diventata nel tempo un’ istituzione per la citta’. Da piu’ di venti anni, dopo lo sfratto dal palazzo del governo vecchio nei lontani anni settanta e dopo un periodo di occupazione, la casa mise radici nel complesso del buon pastore, vicino al carcere Regina Coeli di roma. Un immobile del ‘600 di proprieta’ del comune che fu concesso alle donne dalle precedenti amministrazioni capitoline, con tanto di contratto di servizio. Questa casa, con il suo portato di esperienza forse unico nel mondo, potrebbe avere i giorni contati. E’ sotto attacco.

Proprio nei giorni della condanna a Weinstein e del si all’ aborto in irlanda, accade che la capitale d’italia rischi di perdere la sua casa internazionale delle donne. La giunta cinquestelle ha mandato una sorta di avviso di sfratto, ha deciso di proporre la chiusura di un luogo che dovrebbe essere considerato bene comune, fiore all’ occhiello della citta’. Proprio la prima sindaca donna della capitale, Virginia Raggi, ha messo tra i primi punti delle priorita’ della sua agenda la chiusura di questa esperienza, definita “fallimentare”. Un sit in di protesta in Campidoglio, frutto di un tam tam spontaneo, ha visto la partecipazione di migliaia di donne, indignate per l’attacco portato a una struttura che funziona. “la casa e’ di tutti, la casa non si tocca.”

Le giornaliste e i giornalisti hanno dato il loro sostegno alla casa delle donne, difendendolo come spazio di cultura e luogo di democrazia. Il presidente della federazione della stampa Beppe Giulietti, l’ordine dei giornalisti del Lazio hanno fatto sentire la loro solidarieta’. La questione e’ aperta, al centro di una trattativa. Vedremo. Ma c’e’ da chiedersi cosa si nasconda dietro questo attacco improvviso. Quale urgenza, quali interessi, quali perche’, quali motivazioni, se non quelle di spegnere smorzare intimorire silenziare la voce delle donne.

Qualcuno dal Campidoglio ha suggerito di spostare la casa delle donne in periferia: quasi un messaggio simbolico, a negare la centralita’ della questione. Dopo un ventennio berlusconiano che retrocesso le donne, riducendo  la figura femminile a meteorina, velina e olgettina, e rimandando cosi’ gli orologi indietro di decenni, anche il “nuovo che avanza” non sembra promettere bene sulla strada della parita’ di genere. Non e’ un caso, forse, che in questi giorni della formazione del nuovo governo i leader delle delegazioni che sfilano al quirinale siano tutti maschi. E che la questione donna non sia in nessun programma di governo. D’altronde nessuna delle forze politiche che si e’ presentata alle ultime elezioni ha avuto tra le priorita’ la questione della parita’ di genere. Questione tabu’. Non se ne parla. Meno se ne parla, meglio e’.

Eppure e’ questione aperta, in ogni campo, sotto gli occhi di tutte e di tutti. Eppure il caso Weinstein, al di la’ dei confini, dovrebbe dirci qualcosa. Ci sono temi che non scadono, che non vanno in prescrizione. Ci sono le ragioni di milioni di donne che bussano alle porte. E prima o poi riescono a farsi aprire.

Silvia Resta– giornalista tg la7- commissione pari oppurtunita’ ordine dei giornalisti del Lazio
https://www.articolo21.org/2018/05/dal-caso-weinstein-in-america-alle-manifestazioni-in-italia-per-la-legge-194-e-la-casa-internazionale-delle-donne-di-roma-le-donne-bussano-alle-porte-e-prima-o-poi-riescono-a-farsi/

sabato 26 maggio 2018

Aborto libero, trionfo dei 'sì' in Irlanda

Referendum passa a valanga, exit poll cancellano ogni dubbio
 E' iniziato stamane il conteggio dei voti del referendum sull'aborto in Irlanda. Ma già ieri sera gli exit poll avevano sancito la netta vittoria del sì all'aborto libero, con il 68% rispetto al 32% dei voti contrari.
Il movimento anti-abortista irlandese ha ammesso la sconfitta al referendum. Lo ha reso noto il portavoce della campagna 'Save The 8th', John McGuirk. Lo riferisce Sky News.
Un giorno "storico", agli occhi di molti. Di sicuro un passaggio destinato a segnare un'epoca tanto per i vincitori quanto per gli sconfitti, e soprattutto per le donne. L'Irlanda, terra di secolari radici cattoliche incamminata sulla scia del resto d'Europa verso la secolarizzazione, ha deciso oggi a larghissima maggioranza in favore dell'aborto libero in un referendum che ha diviso la sua gente, ma certo non a metà.
 Gli exit poll non lasciano margini di dubbio: 68% contro 32 stando a quello realizzato da Ipsos per l'Irish Times, addirittura 69,4% contro 30,6 secondo la tv pubblica Rte. Un voto per voltare pagina insomma, che suggella il trionfo del fronte favorevole all'abrogazione dell'articolo 8 della Costituzione, sulla tutela della vita del nascituro, introdotto nel 1983 per cementare il divieto di fatto dell'interruzione della gravidanza, salvo casi eccezionali di pericolo diretto per la vita della madre. Un divieto che per anni aveva significato viaggi all'estero a migliaia per chi voleva abortire.
La giornata di bel tempo, almeno per gli standard irlandesi, ha favorito, come speravano i sostenitori del sì, l'affluenza attestatasi alla fine attorno al 70%. In uno scenario per certi versi simile a quello di un altro referendum contrastato e assai simbolico, sfociato giusto tre anni fa nel via libera ai matrimoni gay.
 I 6.500 seggi sono stati aperti alle 7 locali per chiudere alle 22 (le 23 in Italia). E il risultato ufficiale è atteso per la mattinata. Ma i giochi sono fatti, la scelta di campo degli elettori della Repubblica (3,3 milioni gli aventi diritto) pare essere stata ancora ancor più netta del previsto, malgrado le divisioni di una campagna referendaria che ha lacerato la coscienza nazionale, il tessuto sociale, il retroterra etico e la tradizione religiosa di un popolo. Tutto deciso da un quesito secco e dalla risposta di circa due terzi dei votanti all'alternativa fra sì e no ('ta' o 'nil' in gaelico, 'yes' o 'no' in inglese) proposta sulle schede.
Le previsioni - nonostante qualche sondaggio finale più prudente - non erano mai parse in effetti in bilico nelle settimane precedenti alla consultazione, pure animate da forti e diffuse contrapposizioni: fra aree urbane tendenzialmente 'pro-choice', donne in testa, e zone rurali a impronta antiabortista; ma anche fra generi, fra establishment e outsider, nonché fra una generazione e l'altra, con gli anziani più inclini verso il no, i giovani e l'età di mezzo verso il sì, e uno zoccolo duro non irrilevante di giovanissimi di nuovo attratto dagli argomenti pro-life.
Un dibattito che, secondo gli usi locali, è proseguito anche a seggi aperti, a colpi di tweet libero. In rete si sono così riproposti gli schieramenti: a favore della liberalizzazione d'un progetto di legge già pronto tutti i leader istituzionali, i maggiori partiti (pur con la clausola della libertà di coscienza per deputati e militanti obiettori), i media che contano, le star irlandesi del jet set internazionale; contrari i movimenti per la vita (oscurati peraltro pubblicitariamente dai colossi del web per timore di presunte "interferenze straniere"), singoli dissidenti di partito e gruppi cattolici. Ma con la gerarchia spesso defilata, oltre che azzoppata nella sua autorità morale da anni di scandali e insabbiamenti su pedofilia e non solo.
"No all'aborto on demand", aveva twittato fino all'ultimo Peadar Toibin, deputato pro-life dello Sinn Fein, evocando lo spettro di una deregulation totale. "Cmon Ireland! Facciamo la cosa giusta per le grandi donne della nostra nazione", gli aveva replicato la celebrity del pop Niall Horan, ex One Direction. Un appello, quello di Horan, condiviso apertamente dal premier liberale di Dublino, Leo Varadkar, gay dichiarato e promotore di un referendum visto come "opportunità di una sola generazione" per mettere "fine ai viaggi della disperazione di troppe donne".
In queste ore uno dei vincitori è certamente lui. 
http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2018/05/26/aborto-libero-trionfo-dei-si-in-irlanda_5c00a0bf-5876-45e1-bf2a-f420d7792465.html
 

venerdì 25 maggio 2018

“Troppi obiettori? Tornano gli aborti clandestini” FLAVIA AMABILE

A quarant’anni dall’approvazione della legge 194 il bilancio di Silvana Agatone, presidente della Laiga, è negativo: il 40% degli ospedali è fuori dalla legge ufficialmente. Molti di più lo sono in modo non ufficiale e sono sempre di meno le donne che possono abortire alla luce del sole
Silvana Agatone, presidente della Laiga , l’associazione che riunisce i medici non obiettori, quarant’anni dopo l’introduzione dell’aborto le interruzioni di gravidanza stanno diminuendo. Vuol dire che la legge funziona? 

«E’ il contrario. Vuol dire che non stiamo capendo nulla di quello che sta effettivamente accadendo. Partiamo dalla relazione che ogni anno il ministero presenta al Parlamento. Come si realizza? Ogni volta che noi medici effettuiamo un’interruzione di gravidanza riempiamo una scheda che viene inviata all’Istituto di Sanità e poi al ministero. Contando tutte le schede si ottengono i dati della relazione. Che cosa viene indagato, quindi, del fenomeno aborto? Pensiamo a quello che è accaduto a Trapani dove di recente è andato in pensione l’unico medico non obiettore che effettuava 80 aborti al mese. Non è stato sostituito, quindi scomparse le schede, scompaiono anche gli aborti. In questo modo a Trapani c’è un calo di 80 interruzioni di gravidanza al mese e il Ministero può sentirsi autorizzato a sostenere che la città può andare avanti anche senza un medico non-obiettore. Lo stesso accade a livello nazionale: il Ministero ne approfitta per affermare che il numero di aborti sta calando e che quindi tutto va bene anche se diminuiscono i non obiettori. La realtà va letta al contrario. Il numero degli obiettori diminuisce e quindi diminuisce il numero degli aborti fatti alla luce del sole e nessuno sa quanti invece vengono effettuati di nuovo in modo clandestino. Nessuno sa quante donne chiedono di effettuare l’aborto quindi la relazione non è valida dal punto di vista scientifico».

Qual è stato il calo dei medici non obiettori nel corso di questi anni? 

«Nel 2005 la percentuale degli obiettori in Italia era poco più della metà, il 58%. Nel 2016 era salita al 71% ed è in continuo aumento insieme con i numerosi tentativi di abuso dell’obiezione da parte di analisti, cardiologi, e ora anche gli infermieri. Tutti provano a dire al medico: ’dottò, io so’ obiettore!’. In realtà nessuno di loro provoca direttamente l’aborto durante il loro lavoro , dunque abusano di un diritto ostacolando il lavoro del povero ginecologo non obiettore che spesso è da solo in ospedale a effettuare l’interruzione. Persino durante un’emergenza, prima di convincerli che potrebbero esserci gravi problemi creati dal rallentamento del soccorso, si perde tempo che può essere molto prezioso». 

Questo vuol dire lavorare in condizioni molto diverse da quelle previste dalla legge 194. 

«Secondo la legge 194 esistono due tipi di interruzione di gravidanza. La prima va effettuata nei primi novanta giorni ed è riconosciuta sulla base di una richiesta motivata della donna. Dopo il novantesimo giorno è possibile solo in caso di precise condizioni di grave pericolo. Per il primo tipo di aborto gli ospedali di buona volontà stabiliscono degli appuntamenti e possono far fronte alle richieste anche assumendo ginecologi esterni a gettone pagati dai contribuenti. Nel caso dell’aborto terapeutico, effettuato dopo il novantesimo giorno, la donna va ricoverata in un reparto di ginecologia e va seguita da un medico non obiettore interno all’ospedale. Questi medici sono ormai pochissimi e quasi tutti in età pensionabile. Nel Lazio siamo rimasti in 7, solo a Roma. Nelle altre province non c’è nessuno. Eppure l’articolo 9 della legge prevede che gli enti ospedalieri debbano offrire entrambi i tipi di servizio». 

In quanti ospedali non è possibile effettuare un’interruzione di gravidanza? 

«Secondo l’ultimo rapporto del ministero gli ospedali che offrono il servizio di Ivg sono il 60%, Non si specifica però se offrono entrambi i servizi. Noi che siamo all’interno sappiamo che di questo 60% solo una minima parte offre la possibilità di effettuare anche l’aborto terapeutico. Questo vuol dire che il 40% degli ospedali italiani è ufficialmente fuori legge ma in realtà le strutture che operano senza rispettare la 194 sono molte di più e sono in continuo aumento negli anni».

Da anni si denuncia questa situazione ma non accade nulla. 

«C’è stato un primo ricorso contro il governo vinto l’8 marzo 2014. Subito dopo Laiga e Cgil insieme hanno proposto un secondo ricorso contro il governo. Anche in questo caso il governo è stato sconfitto: il Ministero ne è risultato di sicuro infastidito ma non ha preso alcun provvedimento serio». 

C’è speranza che qualcosa cambi con l’arrivo di una nuova generazione di medici? 

«Non molta. I medici non obiettori stanno andando tutti in pensione ma nelle scuole di specializzazione dove si stanno formando i nuovi ginecologi quasi mai esiste il servizio di Ivg. A Roma ci sono 4 scuole, solo in una c’è il servizio di Ivg,. La 194 è una splendida legge ma nessuno si preoccupa del fatto che non venga applicata. Anzi. Sembra che non interessi affatto che sia applicata». 

C’è una soluzione? 

«Ci vorrebbe invece un bilanciamento dei diritti. Bisogna tutelare il diritto all’obiezione ma anche il diritto previsto dall’articolo 9 di avere la possibilità di effettuare l’Ivg in tutti gli ospedali. L’equilibrio sarebbe arrivare a un’obiezione del 50% e non del 71% come avviene oggi».

Secondo il Movimento Pro-vita l’aborto provoca gravi complicazioni fisiche nelle donne e aumenta il rischio di tumore alla mammella. 

«Sono solo bugie, non esistono evidenze scientifiche. La rivista The Lancet ha pubblicato uno studio basato su 13 anni di ricerche dal quale risulta che l’aborto è una delle principali cause di mortalità tra le partorienti ma solo senza le adeguate condizioni di sicurezza. Andrebbe quindi incentivato l’uso della Ivg all’interno della legge 194 invece di favorire il contrario». 
http://www.lastampa.it/2018/05/22/italia/troppi-obiettori-tornano-gli-aborti-clandestini-2oaOfmycta2YBmipxwDBRJ/pagina.html

giovedì 24 maggio 2018

Storia di Giulia e dell'amica che l'accompagnò in ospedale per abortire dClaudia Sarritzui


Un'amica l'accompagnò, fu fortunata, non trovò obiettori. Trovò un personale molto carino, consapevole che quello che stava per fare non lo avrebbe mai dimenticato, non era come prendere un caffè.

Dedicato a quelli che pensano che abortire sia come andare a prendere un caffè con un'amica.

Giulia (nome di fantasia), c'era andata proprio con un'amica in ospedale. Del suo racconto ricordo il silenzio intorno a me. Il mondo a un tratto si era spento. C'era solo la sua bocca e il suono della sua voce rotta che mi raccontarono di quell'amore sbagliato con un uomo già impegnato. Un amore a senso unico, lui era stato molto onesto. Lui le aveva detto che non avrebbero mai avuto un futuro, ma Giulia è una donna che la vita se la prende a schiaffoni sulla faccia. Tutte le cose belle e quindi anche tutte le cose brutte. Si era detta, non importa: si tratta di briciole di affetto ma io me le prendo lo stesso. "Mi accontento". Eppure in tutto il resto non si era mai accontentata, nel lavoro, con gli amici, in famiglia. Una vita da cui aveva ottenuto il massimo. Ma i sentimenti no, quelli erano rimasti un lusso che sembrava non potersi concedere. Era sempre stata brava ad amare ma non sapeva farsi amare. Non sapeva chiedere nulla. Non disturbava, Giulia. Era sempre tre passi indietro al suo cuore.
Ma alla fine quell'uomo onesto che non la illuse mai, lei bassina e magra, ebbe il coraggio di lasciarlo. Usò una scusa, lui non cercò di farle cambiare idea. Giulia ci rimase male, ma questa è un'altra storia. Capitò di lasciarlo quando non arrivarono le mestruazioni. E fu terribile. Sapeva che sarebbe stata sola, sola con quella cosa che cresceva, sia che l'avesse fatta nascere o che l'avesse rispedita nel nulla da cui proveniva, per sempre, per tutta la vita. No, abortire non è come prendere un anticoncezionale in ritardo, come molti bigotti  e bigotte meschine affermano con leggerezza. Abortire, che tu sia religiosa o laica, giovane o matura, è sempre un lutto. Stai comunque rinunciando a una vita e lo stai facendo perché non hai altra scelta. Giulia aveva solo paura, era l'unica cosa possedesse.
Voleva molto bene a quell'uomo, non gli disse mai nulla. Restò come macigno nel suo cuore. Un'amica l'accompagnò, fu fortunata, non trovo obiettori. Trovò un personale molto carino, consapevole che quello che stava per fare non lo avrebbe mai dimenticato, non era come prendere un caffè. Le fecero tutti grandi sorrisi e lei li usò come pomata sulle ferite del suo ventre.
Con la sua amica parlarono molto poco, ma si strinsero tanto. Erano due donne, ed essere donna spesso significa anche questo: sesso con conseguenze. Noi scontiamo sempre tutto. A noi non è
permesso di sbagliare. La natura non ce lo permette, non perdona. L'amica le disse: non sei sola, è successo a tante. Un giorno troverai chi ti accompagnerà a fare una ecografia per scoprire di che sesso è il vostro bambino. Anche tu avrai una seconda possibilità. Anche tu potrai e dovrai mettertela alle spalle questa mattinata crudele.
Giulia abortì, lui continuò a essere felice con la sua fidanzata. Andò come tutto doveva andare. Imparò, Giulia e anche la sua amica, che le briciole in amore portano solo guai e che per nascere femmina bisogna davvero essere persone speciali. Ci vuole fegato e muscoli per resistere a tutte le prove biologiche che la natura ci ha imposto.
Per fortuna c'è una legge in Italia e in pochi altri paesi al mondo, non perfetta, ma che questa disuguaglianza biologica in qualche modo appiana. 
Giulia a volte pensa a quando avrà un figlio, e spera che nasca maschio.
http://www.globalist.it/news/articolo/2018/05/22/abortire-non-e-come-prendersi-un-caffe-storia-di-giulia-e-dell-amica-che-l-accompagno-in-ospedale-2024708.html

mercoledì 23 maggio 2018

La conquista della "194" raccontata a una ragazza di oggi 135 di Marida Lombardo Pijola

Prendiamo una Giorgia, una Gaia, una Costanza o un'altra qualsiasi che volete voi, una qualunque di quelle che hanno compiuto 15 anni (o forse un po' di meno o forse un po' di più ), e stanno affacciate senza timidezza alla soglia del futuro, e hanno invariabilmente gli occhi belli, e dentro gli occhi hanno uno sguardo al tempo stesso cinico e incantato sulla vita, e nella testa hanno un esercito di neuroni brillantissimi che lottano ogni giorno contro l'invasore: il pensiero unico generazionale.

Tentiamo una conversazione immaginaria.

Cara Giorgia (o Gaia, o Costanza, o un'altra che volete voi), lo sai che giornata è oggi, 22 maggio 2018? No, lei non lo sa, come potrebbe ricordarsi il valore celebrativo di tutte le giornate, ma che rottura, c'è n'è una al giorno, una su ogni cosa, manca soltanto la giornata di tutte le giornate...
E invece, cara Giorgia, oggi è una giornata importante, ricorrono 40 anni dall'entrata in vigore della "194". Che ne pensi?

E qui la conversazione immaginaria può astenersi dall'immaginare: si va sul sicuro. Potete essere certi che nemmeno una sola giovinetta, né Giorgia né le altre, saprà dirvi se la "194" sia una vecchia marca di auto, o il titolo di una serie tv tipo 1992, o magari di un liquore tipo Stock 84, o di una band d'altri tempi tipo l'Equipe 84, uno di quelli che piacevano a sua nonna.

Cara Giorgia, la "194" è la legge che, grazie alle grandi battaglie femministe, ha permesso alle donne che devono abortire di farlo senza commettere un reato, in un ospedale pubblico, gratuitamente, in condizioni igieniche e sanitarie ottimali, con tutta l'assistenza fisica e psicologica necessaria. Una grandissima conquista.

Giorgia annuisce meccanicamente, gli occhi belli rivelano assenza di interesse, che gliene importa a lei di una preistoria in cui non si poteva abortire in ospedale, non più di quella in cui non c'erano la luce elettrica e il telefono, per non parlare poi dei cellulari e del web.

E poi l'aborto, che gliene importa dell'aborto, a lei; vero, non è che lei e gli altri ci stiano tanto attenti, farlo senza nessuna precauzione è una figata, o magari succede all'improvviso con uno che hai appena rimorchiato e non c'è tempo, ma quando fai casino ti prendi una bella pillola del giorno dopo... Sul web circolano anche miracolose soluzioni fai-da-te perfino il bidet col dentifricio.

E poi che roba assurda questa roba del reato, mica ti possono costringere ad avere un figlio, se non vuoi, mica c'è la dittatura, e se ci rimani secca pazienza, ti fai il bambino, ti aiuta la mamma, e diventi pure un'eroina come Juno, come Piuma, come le mammine della serie "16 anni e incinta" su Mtv, roba forte. Ma poi scusa voi oggi che festeggiate esattamente? La festa dell'aborto?

A questo punto della conversazione immaginaria, sebbene un po' storditi dalle galoppate del pensiero unico generazionale, si tende a pensare con grande turbamento al lavoraccio che bisognerebbe fare per tirarle via dal baratro, queste giovinette, magari basterebbe uno straccio di educazione alla sessualità, alla contraccezione, al rispetto del loro corpo, magari anche soltanto l'abc.

Così, fatalmente, la conversazione si trasforma in una prolusione accorata, se vogliamo anche un appello, una preghiera.

Perché, care Giorgie, noi non facciamo la festa dell'aborto, non c'è niente da festeggiare, l'aborto è una esperienza drammatica che si subisce e che segna per sempre chi l'ha dovuta fare per motivi gravi e ineludibili. Il fatto è che essere madri non è un obbligo, essere madri è una scelta, la più meravigliosa delle scelte.

Per questo, mie care, l'unico dovere una donna è di mettere al mondo un figlio in maniera consapevole e responsabile, solo se desiderato, solo se garantito sotto ogni profilo nel futuro, e quindi conviene evitare di giocare a June, potrebbe finir male per voi e per il bambino.

E poi c'è da sapere che in un tempo lontano c'erano i cucchiai d'oro che depredavano, danneggiavano, persino uccidevano le donne costrette ad abortire, mettevano la loro salute in grave rischio, solo un po' più di quanto non accada con la pillola del giorno dopo o il bidet al dentifricio.

Dovete sapere che per uscire da quel tempo buio, il popolo delle donne si mobilitò in una delle più memorabili battaglie sociali e politiche del '900. Che grazie a quella legge, la quale si occupa anche di prevenzione, il numero delle interruzioni volontarie di gravidanza, dagli anni Settanta a oggi, è drasticamente diminuito, e nessuna donna è morta di aborto, mai più. Che, nonostante questo, c'è ancora chi guerreggia contro quella legge, chi vorrebbe metterci le mani, chi fa terrorismo, chi arriva a diffondere ripugnanti manifesti che paragonano l'aborto al femminicidio.

E perciò, cara Giorgia, cara Gaia, cara Costanza, care tutte voi dagli occhi belli, non date mai nulla di ciò che avete oggi per scontato, imparate e custodire la memoria, coltivate la gratitudine per certe grandi lotte fatte per blindare il bene più grande di una donna, come di qualunque altro essere umano: la libertà.

Libertà di tenervi stretto il vostro corpo, di sigillarlo nello spazio della vostra dignità e del vostro arbitrio, di sottrarlo a chi cerca di disporne per maltrattarlo, stuprarlo, ucciderlo... Usarlo come funzione del suo sguardo o delle sue esigenze. O trasformarlo in una incubatrice umana.
www.huffingtonpost.it/marida-lombardo-pijola/la-conquista-della-194-raccontata-a-una-ragazza-di-oggi_a_23440395/


martedì 22 maggio 2018

Quaranta anni fa, il 22 maggio 1978, veniva promulgata la legge 194 oggi pesantemente messa in discussione.




Soffiano strani venti che trasportano spore di integralismo e conservatorismo.
In attesa di organizzare a breve qualche momento di riflessione, vogliamo intanto far sentire le nostre voci in difesa di una legge amica delle donne che ha bisogno di essere pienamente attuata, non demonizzata e magari cancellata





lunedì 21 maggio 2018

DICHIARAZIONE DI REBEL NETWORK SUL #CONTRATTO LEGA-5STELLE

Rebel Network esprime grande preoccupazione per quanto riportato nel contratto di governo in materia di politiche di riequilibrio tra i generi.

Le poche righe dedicate al tema sono un vero e proprio salto nel passato che cancellano anni di battaglie per i diritti e studi sul contrasto alla violenza maschile sulle donne.

Le donne vengono collocate fra gli anziani e le periferie. L'impressione è che non si conosca il linguaggio di genere e che non vi sia alcuna consapevolezza delle nuove istanze sociali volte a considerare – finalmente – uomini e donne diversi e pari.

La conciliazione famiglia-lavoro menzionata nel documento esclude gli uomini (in un Paese dove la cura della casa, dei figli e degli anziani è già in gran parte sulle spalle delle donne), ostacolando così una più moderna visione della genitorialità e della cura responsabilmente condivisa. Per esempio, non vi è nessun accenno al congedo di paternità.

Si parla di ‘premio' per la #maternità anziché di ‘contributo alle spese’, riportandoci all'insopportabile retorica da ventennio fascista del “dare figli alla Patria”, della maternità come dovere sociale e non come libera scelta individuale.

Sul tema dell'affidamento dei figli, in caso di separazione, l'unica soluzione proposta è una uguale divisione del tempo da trascorrere con l'uno o l'altro genitore. Si parla di affido condiviso come se i figli fossero beni da spartire più che da crescere in un ambiente sereno.

In un Paese in cui si consuma un femminicidio ogni tre giorni (e in cui vi è un preoccupante aumento dei casi di figlicidio) la “Prevenzione” è affidata solo ai corsi di formazione per le Forze dell’ordine (attività importante, ma non sufficiente) e a singole iniziative dei Centri Antiviolenza; si legittima la teoria dell’alienazione parentale, quella che accusa le donne di denunciare prevaricazioni e abusi al solo scopo di separare padri e figli. Questa teoria, da tempo scientificamente disconosciuta a livello internazionale, non solo discredita le donne, ma mette in pericolo la loro vita e quella dei loro figli e di fatto difende gli uomini violenti.

Viene ignorata completamente la necessità prioritaria di fare prevenzione, come se subire violenza fosse per le donne un destino ineluttabile. Manca un qualsivoglia riferimento all’inserimento di programmi di educazione di genere nelle Scuole, luoghi centrali del rinnovamento della cultura nel rispetto delle diversità.

Nessuna posizione sulla preoccupante situazione della disoccupazione femminile (attualmente al 50,3%), su eventuali strumenti necessari per il superamento degli ostacoli nell’accesso alle carriere da parte delle donne, sulla disparità di retribuzioni tra uomini e donne a pDICHIARAZIONE DI REBEL NETWORK SUL #CONTRATTO LEGA-5STELLEarità di incarico (fenomeno pandemico, nonostante in Italia vi sia il DL 198/2006 che regola la parità salariale).

Nella parte dedicata allo Sport sono completamente assenti i riferimenti alle discriminazioni che il mondo femminile subisce, a partire dall'impossibilità di accedere alla Legge sul professionismo sportivo (L.91 del 1981), di cui possono beneficiare in Italia solo quattro discipline sportive, tutte solo maschili.

In definitiva, rileviamo la mancanza di una visione femminista del presente e del futuro, intendendo con la parola “femminista” una visione della società come un luogo inclusivo delle differenze e che garantisca a tutte le persone pari opportunità di realizzazione e pari #diritti. In questa mancanza di inclusività, riteniamo esempio aberrante la volontà di escludere dagli asili nido i bambini non italiani.

Pur consapevoli che si tratti di una sintesi, riteniamo che questo programma metta a rischio alcuni dei fondamentali diritti acquisiti nel percorso di fuoriuscita dalla #cultura patriarcale iniziato nel secolo scorso e ripreso con slancio irrefrenabile in questi ultimi anni, in Italia e nel mondo.

Nell’auspicio che quanto scritto nel documento possa essere rivisto, chiediamo sin d’ora un incontro per confrontarci con i Ministri e le Ministre che avranno il compito di attuare le politiche su questi temi, sottolineando la necessità di una nomina di una Ministra per le #pariopportunità che abbia una storia personale e competenze vicine ai movimenti delle donne e alle loro battaglie.
http://www.senonoraquando-torino.it/2018/05/20/dichiarazione-di-rebel-network-sul-contratto-lega-5stelle/

domenica 20 maggio 2018

Un governo che aiuterà le mamme (a restare fuori dal 21° secolo) scritto da Riccarda Zezza

Non so se avremo un governo, ma di sicuro in Italia non mancano i contratti. Ed ecco come l’ultimo contratto, prodotto dall’alleanza Cinque Stelle Lega, tratta il tema “conciliazione vita-lavoro” in Italia.

“Occorre introdurre politiche efficaci per la famiglia, per consentire alle donne di conciliare i tempi della famiglia con quelli del lavoro, anche attraverso servizi e sostegni reddituali adeguati. Inoltre, è necessario prevedere: l’innalzamento dell’indennità di maternità, un premio economico a maternità conclusa, per le donne che rientrano al lavoro e sgravi contributivi per le imprese che mantengono al lavoro le madri dopo la nascita dei figli”.

Poche righe, ma sintomatiche di un modello mentale e di governo ben preciso.
1) Le politiche per la famiglia riguardano solo ed esclusivamente le donne: è a loro infatti che devono consentire “di conciliare i tempi della famiglia con quelli del lavoro” ed è solo la loro indennità che deve essere “innalzata” (chissà come , visto che in Italia abbiamo uno dei congedi di maternità più ricchi d’Europa, che secondo molti studi arriva a disincentivare la partecipazione paterna); chi se ne importa se nel resto del mondo si parla ormai di condivisione dei carichi di cura, congedo parentale e di paternità: l’Italia è e resta il “paese delle mamme”.

2) Torna il vecchio concetto, tanto caro a Mussolini, di “premiare le maternità” una volta concluse (qualunque cosa questo significhi), ma solo “per le donne che rientrano al lavoro”: così le decine di migliaia che il lavoro lo hanno perso proprio a causa della maternità perdono anche “il premio” – per non parlare del riconoscimento che questo Paese non riesce a dare alle donne che hanno figli e cercano lavoro, e non hanno diritto nemmeno a un posto negli asili nido, quindi affari loro riuscire a cercarlo, quel lavoro, senza il tempo né la possibilità di creare contatti, andare ai colloqui e formarsi.

3) Ma no, direte voi, hanno anche messo un incentivo per le aziende a “tenersi le mamme”: sono infatti previsti “sgravi contributivi per le imprese che mantengono al lavoro le madri dopo la nascita dei figli”… le aziende vengono quindi premiate come virtuose se non licenziano le madri, come se si accettasse implicitamente che questo invece avvenga, e vengono premiate perché “mantengono al lavoro le madri dopo la nascita dei figli”: le parole sono importanti, e mantenere vuol dire letteralmente provvedere al sostentamento di donne che, evidentemente, non possono più farlo da sé.

Grazie, buon governo, che ti prendi cura delle mamme meritevoli, e ti interessi acciocché possano continuare a tenere sulle proprie spalle l’intero carico della “conciliazione”. Grazie per il premio alla fertilità, che limita e delimita in stretti recinti l’immaginazione su ciò che essere donna significa, sul senso di avere una famiglia per uomini e donne. E infine, grazie per voler incentivare le aziende a “caricarsi” parte del peso che comporta avere una mamma in ufficio, per il bene nostro e di tutta la nazione.

E’ di qualche giorno fa l’ultimo Rapporto OCSE sulla parità di genere. I Paesi nord europei hanno aumentato il proprio PIL di percentuali fra il 10 e il 20% in 50 anni grazie all’aumento dell’occupazione femminile. Un aumento di reddito pro capite che va dai 1.550 euro della Finlandia ai 9.000 euro della Norvegia. Ma immagino che questo, all’Italia, non serva.
http://www.alleyoop.ilsole24ore.com/2018/05/18/un-governo-che-aiutera-le-mamme-a-restare-fuori-dal-21-secolo/

venerdì 11 maggio 2018

Perché le vittime di stupro spesso non si ribellano. Una risposta neuroscientifica. Paola Giannetakis

Il comportamento umano è caratterizzato da diverse forme di adattamento fisiologico e psicologico. La coercizione sessuale può produrre una forma di adattamento nella vittima sia esso direttamente correlato alla violenza che ad altre condizioni non direttamente relate ad esso (Fanselow, 1994), neurobiologicamente esistono delle evidenze che dimostrano che determinati meccanismi precedono e si antepongono al controllo di sè stessi in circostanze di pericolo. Per anni si è creduto che rientrasse nelle modalità oggettive a disposizione della vittima di rispondere ad un attacco, oggi si delinea uno scenario sostanzialmente caratterizzato da fattori precipitanti parzialmente determinati biologicamente che diventano pervasivi e dominanti in assenza di una opportuna educazione alla difesa di se stessi in circostanze di estremo pericolo.

Spesso si chiede ad una vittima di stupro o di violenza sessuale se ha urlato, se si è difesa, se ha cercato di ribellarsi. Domande che spesso di fronte ad una negazione producono giudizi negativi conducendo ad una pregiudizievole conclusione e cioè che la vittima era consenziente. La vittima ha gradito la violenza o quantomeno non ha fatto nulla per evitarla. La forma di colpevolizzazione che ne segue appare evidente, la stessa colpa si distribuisce tra aggressore e vittima. La difesa, l’attiva resistenza, appaiono indispensabili componenti dello stupro che sembra non essere più stupro dal momento che la vittima non gli ha opposto la giusta resistenza. La normale attesa opposizione, quella dettata dal senso comune di chi, per sua fortuna, non è mai stato vittima di uno stupro.
Senza tralasciare l’importanza delle componenti culturali e sociali all’interno delle rispettive dimensioni e influenze sul comportamento umano, ci limitiamo a discutere degli aspetti neuroscientifici relativi al comportamento delle vittime. Una ricerca conclusasi in Svezia ha messo in luce che cosi come alcune specie animali, tipicamente predate, anche le vittime di stupro e violenza sessuale manifestano una reazione di congelamento nel momento in cui subiscono questo tipo di aggressione. Delle 298 donne oggetto dello studio il 70% ha manifestato una forma di immobilità tonica ed il 48% una forma estrema dello stesso (Möller, Söndergaard, and Helström, 2017). Questo congelamento è una forma di paralisi temporanea che viene definita immobilità della tonicità. La TI è una forma di paralisi involontaria che coinvolge l’intero corpo e produce anche incapacità di parlare (Möller, Söndergaard, and Helström, 2017).
Pensiamo ad alcune specie animali che di queste paralisi temporanee hanno fatto una capacità di sopravvivenza, trattasi di una forma di di difesa strategica evolutiva di tipo adattogeno vincente. Quando nessun’ altra difesa è possibile quella di fingersi morti o iporeattivi resta l’ultima possibilità. Questa possibilità non segue ad una fase decisionale valutativa ma è parte della conoscenza del cervello che si attiva in modo autonomo come nella gran parte delle circostanze del nostro esistere.
Tutti conosciamo la risposta attacco o fuga (fight-flight) in risposta a stimoli che sono percepiti come pericolo imminente di minaccia alla propria sopravvivenza. Ma esiste anche una seconda tipologia di risposta detta fight-freeze che descrive un differente scenario in relazione a come si può reagire di fronte alla percezione di un pericolo di cui si ha la consapevolezza essere superiore alle nostre capacità di risposta, questa risposta conduce ad un congelamento determinando una paralisi.
Questa risposta nasce dalla necessità di sopravvivere quando si entra in contatto con i predatori, e si attiva quando c’è un contatto fisico, una forte paura e l’impossibilità di fuggire.
La paralisi indotta dallo stupro appare prevalere in un gran numero di donne vittime di stupro che sono state studiate con l’obiettivo di determinare se esistesse una relazione tra le dinamiche dell’evento traumatico e le successive conseguenze psicologiche.
Nella modalità fight or flight il cervello attiva le aree dedicate al controllo motorio che possa consentire di scappare o combattere, ma quando questa modalità non è possibile i programmi di immobilità si attivano e producono una paralisi temporanea.
Il sistema di risposta abbassa i livelli di energia e vengono prodotte sostanze in grado di mitigare il senso di paura e dolore grazie al rilascio degli oppiacei endogeni come l’endorfina che producono uno stato analgesico.
Né esseri umani né animali possono controllare questi meccanismi.L’esecuzione delle risposte defensive alla paura e alla percezione di minacce sono fondamentali per la sopravvivenza (Fanselow, 1994), queste risposte appartengono ad una gamma di possibili comportamenti  complessi che possono essere di tipo attivo o passivo, tali comportamenti possono essere innati o appresi (Zhang et al., 1990; Bandler et al., 2000; Wang et al., 2015). Le componenti delle reti neurali cerebrali coinvolte includono corteccia prefrontale, ippocampo, amigdala, ipotalamo e subsezioni del grigio periacqueduttale (PAG) (Tovote et al., 2015; Furlong et al., 2016). Le reti che controllano le risposte innate alla paura e alla minaccia  sono collocate nelle regioni dorsali del PAG mentre quelle di risposte apprese si collocano nella regione ventrale. Nella fattispecie delle risposte di congelamento (freezing) va sottolineanto che queste possono appartenere sia ad un comportamento innato che appreso.

 Le vittime di stupro manifestano tale risposta quando dai canali sensoriali l’informazione trasmessa si traduce in “essere senza scampo”. Una forma dissociativa fisica, psicologica ed emotiva dalla situazione.
Ulteriore conseguenza è la risposta psicologica post trauma, le vittime si colpevolizzano di non aver avuto la forza di reagire, di opporsi, questo in ambito clinico è dimostrato dalla forte correlazione tra questa tipologia di risposta e la presenza di Disturbo da Stress Post Traumatico. La correlazione tuttavia non determina una causalità, se la paralisi temporanea e quindi il congelamento sono molto comuni questo dipende dai meccanismi di difesa cerebrali innati tipici sia dell’essere umano che di molte specie animali.
Da un punto di vista giuridico le implicazioni di queste conferme scientifiche possono essere notevoli poiché tradurre un comportamento attraverso la corretta comprensione delle risposte fisio-psicologiche significa saperlo contestualizzare in modo appropriato.
Da un punto di vista morale e sociale forse prima di esprimersi bisognerebbe aver vissuto determinate esperienze, nessuna persona desidera essere violata cosi brutalmente nel profondo. Nessuna. Cosi come a nessun animale piace essere divorato vivo.
Biasimare un comportamento senza conoscerne la vera natura rende colpevoli quanto coloro che la violenza l'hanno commessa. Colpevoli almeno moralmente.
http://analisicriminale.unilink.it/perche-le-vittime-stupro-spesso-non-si-ribellano-risposta-neuroscientifica/

giovedì 10 maggio 2018

ALLE DONNE PIACE SOFFRIRE? Spunti per una Rivoluzione

L’altro giorno mi aggiravo in un supermercato Coop, quando sono finita in un reparto giocattoli: macchinine, trattori e robot per i maschi, e addestramento alla bellezza per le femmine. C’erano delle bambole ispirate alla tipologia “barbie”, in una fascia di prezzo molto più economica dell’originale (appena 7,00 €); mi ha colpita come un pugno allo stomaco la magrezza delle gambe, che ho associato all’istante a quella dei corpi consumati dalla fame degli internati nei lager nazisti. Erano rimaste solo la pelle e le ossa. La bambola è una sorta di barbie-lager, il cui scopo sembra sia quello di normalizzare nella mente delle bambine la magrezza estrema.barbie_frida_kahlo_Sulla magrezza e la bellezza stereotipata della vera Barbie si è già detto di tutto; oggi la Mattel asseconda la crescente ondata di “orgoglio femminile” con la produzione di 17 bambole ispirate a figure di donne famose: sembra voler mutuare in una “versione bambola” i contenuti  del libro di successo mondiale “Storie della buona notte per bambine ribelli”. Se da un lato è positivo raccontare la storia di donne “vincenti”, dall’altra permane lo stereotipo della magrezza, una specie di ossessione anche per la Mattel: per esempio la bambola ispirata a Frida Kahlo ha braccia simili a stecchini, il collo sottilissimo, e sarei curiosa di vedere sotto i vestiti coloratissimi se il corpo è sempre quello della Barbie classica. Dovrebbe riportare tutte le cicatrici di Kahlo, dall’incidente che le devastò il corpo agli interventi che subì, per insegnare alle bambine e ai bambini la tenacia, e che la bellezza di un essere umano non risiede nella “perfezione” del suo corpo. Così le giovani generazioni capirebbero che Kahlo per esprimere sé stessa attinse anche a quel dolore, trasformandolo in arte. Ma è più probabile che si desideri raccontare una storia diversa, quella di un corpo magrissimo e “perfetto”, là dove invece ci furono disabilità e molta sofferenza. Mi chiedo anche dove siano finiti i baffetti di Frida: una censura di ceretta si è abbattuta sul viso della bambola, non sia mai che poi le giovani donne diventino tutte come Clark Gable.
Ma torniamo alle bambole con le gambe filiformi: il produttore avrà deciso di costruire le gambe prive di muscoli e grasso per risparmiare sulla plastica, approfittando della moda della magrezza? Quello che possiamo vedere è la rappresentazione di una giovane donna affetta da anoressia, il cui corpo assomiglia in modo inquietante a quelli ritratti nelle foto in mostra sui siti internet Pro-Ana, come questa pubblicata in un articolo de Il Fatto Quotidiano: benché la bambola si presenti come una sportiva con tanto di tavola da surf, sfoggia cosce spolpate sino all’osso, e ginocchia che davvero rievocano i poveri corpi martoriati nei lager nazisti.
Dubito che una donna con una figura ridotta a scheletro sia in grado di fare una rampa di scale, figuriamoci surfare sulle onde del mare. La bambolina non è però tutta anoressica, la testa è normale: se fosse tutta anoressica avrebbe un viso emaciato e orbite scavate, 20180416_180506invece sorride con improbabili denti bianchissimi. Ci sta dicendo che la magrezza non fa male ma rende felici, si può persino praticare uno sport: glielo vogliamo mettere bene in testa alle bambine che quando saranno giovani donne dovranno sempre esibire il proprio corpo magrissimo ed essere perennemente affamate? Glielo vogliamo insegnare subito che per essere “belle” (il primo obiettivo nella vita di una donna) non devono avere né muscoli né grasso? Con un corpo così una persona stenta a sopravvivere, ma questo però alle bambine non glielo diciamo, che sennò poi si spaventano.
Queste bambole sono destinate alle vostre figlie, in modo che imparino subito ad essere deboli: come dice Naomi Wolf “[…] a cultural fixation on famele thinness is not an obsession about female beauty, but an obsession about female obedience. Dieting is the most potent political sedative in women’s history; a quietly mad population is a tractable one”, ovvero “la fissazione culturale sulla magrezza femminile non è un’ossessione sulla bellezza femminile, ma un’ossessione sull’obbedienza femminile. La dieta è il più potente sedativo politico nella storia delle donne; una tranquilla e squilibrata popolazione è una popolazione docile”, (Naomi Wolf, The Beauty Myth: How Images of Beauty Are Used Against Women, 1990). La società vuole donne depotenziate: la magrezza estrema spegne la sessualità e la vitalità, la fame permanente conseguente alla privazione di cibo offusca l’istinto; al corpo è concesso il solito ruolo marginale di oggetto sessuale passivo, con genitali glabri e piccole labbra modellate chirurgicamente, donne condannate ad essere eterne bambine: vulnerabili, remissive e ubbidienti. Così mai nulla cambierà al mondo, nessuno vedrà mai che cos’è una donna non addomesticata dalla cultura.
A proposito della forma del corpo, Clarissa Pinkola Estés dice:
“Avere molto piacere in un mondo pieno di tanti tipi di bellezza è una gioia della vita cui ogni donna ha diritto. Sostenere un unico tipo di bellezza è come essere inosservanti della natura. […] Non può esistere un unico tipo di seno, di circonferenza, di pelle. […] Se i disordini dell’alimentazione coatti e distruttivi che distorcono le misure e l’immagine del corpo sono reali e tragici, per la maggior parte di donne non sono la norma. Per lo più le donne sono alte o basse, grasse o magre, semplicemente perché hanno ereditato le caratteristiche fisiche dagli avi, vicini o lontani. Giudicare o malignare sulla fisicità ereditata da una donna produce generazioni di donne ansiose e nevrotiche.”
E ancora:
“I giudizi severi e perentori sull’accettabilità del corpo creano una nazione di ragazze alte ingobbite, di donne basse sui trampoli, di donne formose vestite a lutto, di donne magrissime che cercano di gonfiarsi come rane e di varie altre donne che non abbandonano il loro nascondiglio. Distruggere l’istintiva affiliazione di una donna con il suo corpo al naturale la froda della fiducia e la induce a perseverare nel dubbio se è una brava persona o no, e a basare la stima di sé su come appare e non su quel che è”.
Come nei dei cartoni animati I Barbapapá ormai abbiamo gli strumenti per assumere la forma che vogliamo, così noi abusiamo di diete, chirurgia estetica, botulini, siliconi e cosmetici, per trasformarci in stereotipi. Dice Pinkola Estés:
“Il concetto di corpo in quanto scultura, proprio della nostra cultura, è sbagliato. Il corpo non è un marmo. Non è questo il suo fine, che è piuttosto proteggere, contenere, sostenere e infiammare lo spirito e l’anima che alberga, essere un deposito per la memoria, colmarci di sentimenti, cioè il supremo nutrimento psichico”. (Clarissa Pinkola Estés, “Donne che corrono coi lupi”, Sperling&Kupfer, capitolo 7 “Il corpo giocoso: la carne selvaggia”).
La magrezza imperante negli stereotipi è la negazione di quello che Pinkola Estés definisce il “corpo numinoso”, della sua natura sacra. L’anoressia è un disturbo alimentare che viene di solito associato al benessere dei paesi più sviluppati, soprattutto rilevandone l’assenza nei paesi più poveri di Africa e America Latina, o la presenza molto bassa nei paesi di cultura araba: associarlo al benessere ha la funzione di colpevolizzare la donna perché sottintende “sei fortunata, hai tutto quello che vuoi e ti fai venire queste paturnie estetiche?”; la verità invece è che la maggiore incidenza di questa malattia si manifesta nei paesi nei quali le donne sono più libere, perché è semplicemente il prezzo da pagare per l’emancipazione; Naomi Wolf sottolinea nel preziosissimo “Il mito della bellezza” che la bellezza femminile continua ad essere percepita in modo metafisico, quando invece è il prodotto di una cultura, di esigenze di mercato e soprattutto di politica.
Il fascino della magrezza contiene una contraddizione assurda. Se essere snella equivale ad essere desiderabile, il digiuno diventa una forma di autolesionismo in previsione di una improbabile gratificazione sessuale: infatti essere sottopeso comporta alcune conseguenze che impediranno l’espressione di una sana sessualità, ossia il calo della libido, accompagnato dalla sparizione del ciclo mestruale e dalla riduzione del volume del seno, a causa del deficit di ormoni femminili; il corpo si mette “in riserva”, deve dosare le energie per sopravvivere e la sessualità non è indispensabile a questo scopo. La riproduzione potrebbe essere persino fatale. Si accompagnano al quadro clinico dell’anoressia altri gravi danni: alle ossa, con osteopenia e osteoporosi, la  caduta dei capelli, il danneggiamento dei denti (soprattutto in presenza di vomito autoindotto), la pelle secca, la bradicardia, l’ipotensione, la fragilità di unghie e capelli, l’atrofia muscolare. Altre importanti complicanze sono:
Anemia;
Problemi cardiaci;
Problemi gastrointestinali;
Danni renali;
Danni a carico del cervello e dei nervi periferici;
Depressione e/o ansia persistenti;
Disturbi della personalità e disturbi ossessivi-compulsivi;
Dipendenza da alcol o altre sostanze
Morte.
Soffrono di anoressia circa 3 milioni di persone in Italia, il 95% sono donne. È sempre più bassa l’età dell’esordio, vista la pressione sociale sulle bambine. La fascia più critica è quella dai 15 anni ai 25: seconda causa di morte tra gli adolescenti dopo gli incidenti stradali, la prima tra le ragazze (OMS). Può esordire anche prima, a 10-11 anni.
La dieta ovviamente non riguarda solo le giovani tra i 12 e i 25 anni con disturbi dell’alimentazione: senza arrivare all’estremo dell’anoressia, la dieta è un ergastolo, una condanna per quasi tutte le donne di cultura occidentale, in perenne lotta con la bilancia e in conflitto con la propria immagine nello specchio; più o meno per tutta la vita le donne sperimentano un permanente senso di inadeguatezza estetica: l’intelligenza e le energie femminili sono dirottate sull’aspetto fisico sino da bambine, l’aderenza agli stereotipi diventa fondante per la loro autostima e si realizza così il disinnesco delle potenzialità femminili, come racconto in “Alle donne piace soffrire?”.
Sono all’ordine del giorno le notizie di donne morte sotto i ferri durante interventi per cambiare la forma del loro corpo, come pure gli episodi di body-shaming, il bullismo verso le persone sovrappeso, e qualche giorno fa una giovane per questo motivo si è tolta la vita.  Mi piacerebbe che Coop, che parla spesso di etica, non vendesse prodotti che possono indurre giovanissime consumatrici ad assimilare standard estetici ispirati ad una malattia grave come l’anoressia: il fenomeno di questo disturbo dell’alimentazione è sicuramente molto complesso e non può essere ridotto neanche alle sole pressioni dei canoni estetici, ma il peso di questi è indiscutibile.20180421_120239
Sarebbe opportuno che ai consumatori fossero proposti giochi innovativi che sviluppino l’intelligenza e le attitudini dei giovanissimi, al di fuori degli stereotipi di genere. Non chiedo Barbie Cellulite e Ken Beer Belly, domando solo di non castrare le giovani menti inculcando il mito della bellezza/magrezza nelle bambine e il mito della forza nei bambini, stereotipi che producono la società squilibrata nella quale viviamo.  20180421_120207Oggi ero in stazione e ho visto esposti nella vetrina di un tabaccaio alcuni giochi: per i maschi è prevista azione, forza, coraggio e violenza; per le bambine addestramento alla maternità, beauty e lavori di casa: un bel mini-mocio per lavare i pavimenti, scope, detersivi, così impari subito qual è il tuo posto. Non importa se le donne ormai diventano astronaute, ingegnere, architette, avvocate, scienziate, ministre, ecc., la società ci prova sempre e comunque a ridimensionare le nostre ambizioni. Ma come diceva Pier Paolo Pasolini T’insegneranno a non splendere. E tu splendi, invece.

“La dieta è il più potente sedativo politico nella storia delle donne”, e affamate non si può fare la Rivoluzione.
https://alledonnepiacesoffrire.wordpress.com/2018/04/21/il-gioco-dellanoressia/

martedì 8 maggio 2018

La Cesano e il sud ovest Milano che corrono sono contro la violenza alle donne

 In marcia con lo slogan “Tante gambe, un solo cuore contro la violenza”. Intervista a Bruna Brembilla, presidente del Circolo Donne Sibilla Aleramo, e al Sindaco Simone Negri, sul centro antiviolenza del territorio
Cesano Boscone, 6 maggio 2018 - Una bella giornata di sole ha accompagnato stamane i numerosi e le numerose atlete della città e del territorio per la marcia non competitiva organizzata dal Circolo donne Sibilla Aleramo insieme all’associazione Running club cesanese, con l’adesione delle associazioni Auser di Cesano Boscone e Ventunesimo Donna di Corsico. Presenti anche i rappresentanti di diverse associazioni del territorio, come il presidente del Rione La Corte, Massimo Mainardi, l'Incontro, Futuro in Comune e il Cizanum.
Punto di partenza e di arrivo il cortile di Villa Marazzi mentre il percorso due percorsi, uno di quattro chilometri per le famiglie e i bambini e uno di dieci per i podisti, si è svolto per i bellissimi parchi cesanesi, in questi giorni in fiore.
I fondi, raccolti grazie alle numerose iscrizioni, saranno devoluti al centro antiviolenza della Piano di Zona, rivolto ai Comuni del Sud Ovest Milano (Cesano Boscone, Corsico, Trezzano S/N, Buccinasco, Assago, Cusago).

Ventunesimodonna Corsico

Prima della partenza il saluto e il messaggio del Circolo Donne Sibilla Aleramo a tutti i partecipanti: “Lo scopo – sottolinea la presidente del Circolo, Bruna Brembilla – è sensibilizzare la cittadinanza sul grave problema della violenza contro le donne. Crediamo che avere consapevolezza del problema sia il primo passo da fare. Pertanto la nostra marcia pacifica, ma di denuncia, attraverserà i quartieri del paese”.
Prima della partenza il saluto e il messaggio del Circolo Donne Sibilla Aleramo a tutti i partecipanti: “Lo scopo – sottolinea la presidente del Circolo, Bruna Brembilla – è sensibilizzare la cittadinanza sul grave problema della violenza contro le donne. Crediamo che avere consapevolezza del problema sia il primo passo da fare. Pertanto la nostra marcia pacifica, ma di denuncia, attraverserà i quartieri del paese”.
Pieno appoggio dell'Amministrazione Comunale a questa iniziativa; al via erano presenti  il Sindaco, Simone Negri, l'Assessore allo Sport, Salvatore Gattuso, l’assessore alle pari opportunità Paola Ariis, la vice Sindaco Mara Rubichi, che hanno salutato i partecipanti sensibilizzandoli al tema in quanto i dati, diffusi dall’Istat, sono ancora allarmanti e serve una presa di coscienza continua della popolazione.
http://www.mi-lorenteggio.com/news/60572

lunedì 7 maggio 2018

Lo Stato di Diritto si infrange contro la fine del patriarcato di María-Milagros Rivera Garretas

Una sera delle feste di San Fermín del 2016, cinque maschi, presunti uomini, autodenominati “Il branco”, spinsero una ragazza in un portone di Pamplona, la violentarono in gruppo e filmarono la loro prodezza. Si sentivano tanto impunibili come alcuni magistrati, presunti uomini anch’essi, li hanno giudicati essere l’altro ieri.

Poche ore dopo aver saputo della sentenza, molte donne e alcuni uomini sono usciti in strada e hanno espresso la loro indignazione e il loro dissenso per una sentenza che non ha condannato i cinque maschi per stupro ma per cosiddetti “abusi sessuali”. Non sono andate a manifestare in posti qualsiasi ma di fronte a edifici che rappresentano lo Stato. Hanno subito capito che non era un tribunale qualunque ma lo Stato di diritto stesso che si scontrava, infrangendosi, contro la libertà femminile e contro la dignità e la grandezza che ogni donna ha per il fatto di esserlo. Come accade molto nei momenti radianti (Chiara Zamboni) della storia delle donne, un avvenimento così importante come questo, che lo Stato si infranga contro la libertà messa al mondo dalla fine del patriarcato, ha avuto il suo lato ridicolo: uno dei tre giudici che firmano la sentenza aveva chiesto l’assoluzione del branco dei maschi con l’argomento che non c’era stato stupro perché i delitti erano stati commessi in un ambiente “di baldoria”. L’estate scorsa, mia nipote di cinque anni mi chiese, a cena, «Nonna, perché ci sono uomini che non sono donne?» Forse è per questo: perché una bambina di oggi può essere, a quanto pare, più sensata di un magistrato.

È insensato che il Diritto distingua tra stupro e abusi sessuali. In questa distinzione si infiltrava il patriarcato per lasciare impunita la violenza contro le donne. È il varco malignamente previsto da alcuni perché altri (a volte, altre) interpretino i delitti contro le donne secondo il diritto ma non secondo giustizia.

Quelli e quelle che oggi giudicano, dentro o fuori dai tribunali, avvalendosi di sottigliezze come questa, sono, a mio parere, presunti uomini. Non fanno onore al loro sesso. Lo dico perché questa volta è accaduta nei mass media una rivoluzione simbolica. I giornalisti si sono divisi chiaramente e senza prevaricazione tra gli uomini che, riconoscendo autorità femminile, hanno saputo dire basta all’insensatezza, e i presunti uomini che hanno titubato, timorosi di attentare contro lo Stato di diritto, o si sono crogiolati nella sentenza che ha lasciato impunito, negandolo, lo stupro. Le giornaliste, da parte loro, si sono divise anch’esse, al punto che, in alcuni casi, davanti alle loro prime tre parole titubanti, molte donne abbiamo spento nauseate il “dispositivo”, non importa se chi parlava era di destra, di centro o di sinistra. Non ne possiamo più di presunti uomini.

Che lo Stato di diritto si infranga contro la fine del patriarcato è un avvenimento decisivo ed enorme, conseguenza del cambiamento radicale della politica del sesso messo al mondo dalle donne, una per una e giorno per giorno nel mondo intero durante gli ultimi cinquant’anni. Trasformando la relazione con noi stesse, con le altre e con gli uomini, abbiamo rivoluzionato la società e lasciato allo scoperto la insensatezza del Diritto in tutto ciò che ha a che vedere con il corpo femminile. Il Diritto è la grande costruzione maschile che sosteneva il patriarcato. Finalmente è riuscita a sconfiggerlo la libertà femminile. Godiamo della nostra rivoluzione!


(Traduzione dallo spagnolo di Clara Jourdan, www.libreriadelledonne.it, 3 maggio 2018. Testo originale: El Estado de Derecho se estrella contra el final del patriarcado, Duoda, 28/04/2018, http://www.ub.edu/duoda/web/es/textos/10/219/)
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