sabato 23 giugno 2018

LA TRATTA DELLE MOGLI

Mercoledì, giornata mondiale del rifugiato, tanti appelli e messaggi ma poca attenzione alle donne

Forse la differenza di genere non appare rilevante in chi già soffre un profondo disagio: sradicamento, esodo e fatica di inserirsi in un nuovo contesto di vita.
Eppure lo è: basta guardare alla sorte di migliaia di giovani rifugiate siriane in Turchia.
Marta Ottaviani ha recentemente denunciato la “tratta delle mogli”, un modo di sopravvivere adottato da migliaia di famiglie siriane ospitate da Tayyp Erdogan con i miliardi dell’Unione Europea. Pochi nuclei familiari trovano accoglienza nei campi profughi… molti di più sono allo sbaraglio e sopravvivono di espedienti.
Così può accadere che un padre rifugiato siriano venda la propria figlia a uomini del posto già sposati: «Venire scelte come seconde mogli e subire vessazioni dai mariti che non si sono potute scegliere e dalle loro prime (e legittime) consorti. È il drammatico destino toccato in sorte a migliaia di donne siriane, spesso appena adolescenti, che sono scappate in Turchia per salvarsi dalla guerra civile che attanaglia il loro Paese da otto anni», scrive con amarezza Marta Ottaviani.
In Turchia la poligamia è illegale ma persiste in alcune aree del Paese, e nella regione meridionale il mercato delle “mogli siriane senza diritti” è divenuto così fiorente da dilagare anche online. Grazie all’intervento della Federazione turca delle associazioni per i diritti delle donne la magistratura ha chiuso un sito che pubblicizzava l’offerta di ragazze rifugiate, ma ne sono stati aperti altri, seppur meno espliciti.
Spesso le giovani vengono barattate dalla famiglia in cambio di un lavoro o dell’affitto di un appartamento. Sono ragazze con una vita doppiamente spezzata: come rifugiate e come “vendute”.
Oggi la Turchia ospita tre milioni e settecentomila siriani …e siriane. Il 14 marzo 2018 l’Unione Europea ha destinato al Paese altri 3 miliardi di euro per accogliere persone in cerca di rifugio: uomini e donne, insieme. Una recente indagine di The Black Sea svela come vengono utilizzati i fondi europei destinati ai rifugiati siriani.
Il nostro appello? Più attenzione alle ragazze e alle giovani donne.

giovedì 21 giugno 2018

Papa Francesco e la pazienza delle donne di Giancarla Codrignani

Santità, non lo doveva dire. So bene che è il capo di un’istituzione di maschi celibi e suppongo di non dovermi aspettare più di quello che mi aspetto da qualunque altro uomo. So anche che abitualmente usa espressioni ritenute rivoluzionarie senza esserlo sostanzialmente; quindi potevo immaginarmi che sull’aborto non sarebbe uscito da quello che la Chiesa deve limitarsi a dire, anche se non potevo credere che avrebbe letto, dal testo che spero predisposto da altri, un richiamo al nazismo per gli aborti selettivi: non può ignorare che in oriente, in particolare in Cina, agli infanticidi delle bambine - praticati per secoli anche in Occidente - sono state sostituite le ecografie di condanna dei feti femminili. Sono una politica e posso capire che, in tempi in cui gli attacchi alla sua linea sul web si sono moltiplicati, abbia concesso al Forum delle famiglie un contrappeso ai benefici liberali che concederebbe ai “comunisti”.
Certo, riconosco che ha concesso il riconoscimento del sacramento primitivo alle libere unioni dei non-credenti che, “se si amano, sono immagine e somiglianza di Dio” anche loro; a conferma, i cattolici non permissivi ricordano che gli umani hanno creato la famiglia prima delle chiese. Mi ha comunque sopresa che la persona che disse la sola cosa che può dire un cristiano in qualunque situazione (“chi sono io per giudicare?”), possa sostenere - sia pure con “dolore” - che “nonostante la parola famiglia sia analogica”, va usata non per due che si amano, ma solo se due sono un uomo e una donna, senza nemmeno citare la misericordia che lei sempre menziona e che i cristiani sono tenuti a darsi reciprocamente.
Ma una cosa proprio non doveva dirla, per poco che le stia a cuore la crescita in grazia e verità della sua Chiesa, il discorso sulla fedeltà tra gli sposi: “Una cosa che nella vita matrimoniale aiuta tanto è la pazienza, saper aspettare (perché) ci sono nella vita situazioni di crisi forti, brutte, dove anche arrivano tempi di infedeltà… Tante donne (ma anche l’uomo tante volte lo fa) nel silenzio hanno aspettato, guardando da un’altra parte, aspettando che il marito tornasse alla fedeltà. Questa è la santità che perdona tutto perché ama”. Nonostante l’inciso, non doveva “santificarci” per quell’infedeltà maritale che conferma la tradizione a danno della dignità. Il femminicidio, anche da lei poco evocato, è il rischio secolare proprio della pazienza. Non è possibile che venga convalidata dall’autorità del papa la disparità in famiglia: la coppia - di cui mi dispiace che lei non abbia esperienza - vive problemi che sono propri di ogni umana convivenza perfino religiosa. Ma anche la Chiesa deve volere che la famiglia amorosa e amorevole li risolva senza indulgenze e omertà di genere: donne e uomini si debbono uguale rispetto e uguale pazienza. Tanto più se le persone - uomini e donne - dovessero, se cattoliche, credere che l’indissolubilità non debba mai diventare un ergastolo. Sì, mi sono arrabbiata; ma anche lei abbia pazienza: le donne sono fatte così….
http://www.noidonne.org/articoli/papa-francesco-e-la-pazienza-delle-donne.php

martedì 19 giugno 2018

Un rinnovato impegno per la cittadinanza di genere di Simona Sforza

  La storia è attraversata da uomini e donne, ma per secoli i passi compiuti dalle donne sono stati marginalizzati e relegati in un angolo, subordinati e oscurati da una narrazione monosessuata al maschile. Una storia che è relazioni e intrecci tra i generi sarebbe zoppa senza considerare il genere femminile. Pertanto nella ricostruzione è fondamentale ricomporre un modello relazionale, di rapporto e di incontro/scontro tra i generi.
La cittadinanza è un concetto che irrompe con la Rivoluzione francese, con l’avvento dei diritti universali dell’uomo. E l’altra metà, le donne che posto occupavano? Nel 1791, Olympe De Gouges con la sua Dichiarazione dei diritti delle donne e della cittadina, rimise ordine e cercò di portare un equilibrio per il quale pagò con la ghigliottina, dimentica delle “virtù che convengono al suo sesso e di essersi immischiata nelle cose della Repubblica. Olympe, insieme a Théroigne de Méricourt (che aveva proposto la formazione di un battaglione di donne per partecipare alla guerra, fu rinchiusa in manicomio) rappresentano il tentativo di mobilitare le donne per la causa della liberazione dall’oppressione di un potere gestito solo dagli uomini.
Nel 1792, a Londra, Mary Wollstonecraft pubblicava “La rivendicazione dei diritti delle donne”, le donne per superare la loro condizione subalterna dovevano prendere coscienza del loro valore sociale attraverso l’educazione, dando centralità al valore pubblico e politico della dimensione personale.
Quando parliamo di “cittadinanza di genere” cosa intendiamo, di quali specificità è portatrice? L’essere donne, uguali e differenti, essere partecipi della vita sociale, politica, comunitaria significa garantire benessere e miglioramenti per tutte le componenti. Questo è il farsi e il potersi fare cittadina, esercitando consapevolmente e pienamente i propri diritti, conoscendone in primis l’origine e il cammino che ci ha portato ad acquisirli. Quali soluzioni, quali risposte, quale qualità della vita, quale grado di attenzione, quale priorità sono state accordate alle donne? Quale la nostra autonomia e quale la nostra capacità di incidere e di cambiare il corso degli eventi e della storia, quali sono state le nostre parole davanti alla storia e alle sue sfide? Quanto è solida e ampia la nostra democrazia? Quanto dipende dalla presenza e da un’azione delle donne? E se si smarrisce ciò che è stato il contributo delle donne per pigrizia o per una solerte “operazione dimenticanza”, cosa accade?
E lo notiamo quando in un momento di crisi e di difficoltà, quando si parla di riforma e di costruire una nuova stagione per un partito, ritroviamo ancora una volta tra i relatori di un evento solo degli uomini.
Nessuna discontinuità. Tutto cambia attorno, ma non sembra che ci sia la volontà di accorgersene e di dimostrare di voler intraprendere un cammino diverso. E non crediate che non ci siano donne in grado di spingere e di segnare una nuova stagione. Le energie ci sono, ma a furia di non includerle e di non valorizzare ciò che è autenticamente differente, si ha la sensazione di un immobilismo ripiegato su se stesso. D’altronde cosa e chi si pensa di rappresentare se non ci si accorge di queste anomalie?
A volte sembra tutto molto simile nelle difficoltà a quando nella Consulta del 1945 si discuteva sull’opportunità di estendere il diritto di voto alle donne, con i partiti di massa che ne temevano le conseguenze, tra calcoli politici e dubbi sulle loro capacità di scelta. Le donne andavano educate alla partecipazione: “C’era da “alfabetizzare” un intero popolo alla politica, alla partecipazione, all’espressione delle proprie istanze, alla democrazia rappresentativa. Ancora più importante diventava la formazione delle donne, escluse da sempre, ritenute non idonee alla politica e alla vita pubblica.”
Pio XII allertava le conseguenze sugli equilibri del focolare domestico. Nel febbraio del 1946 con 179 voti contro 156 contrari, le donne riuscirono a conquistare il suffragio. Il 2 giugno 1946, 21 donne vennero elette all’Assemblea costituente. Solo 5 donne entrarono a far parte della Commissione Speciale, detta “dei 75”, incaricata di elaborare e proporre il progetto di Costituzione da discutere in aula: Maria Federici (DC), Teresa Noce (PCI), Angelina Merlin (PSI), Nilde Iotti (PCI) e Ottavia Penna Buscemi (UOMO QUALUNQUE).
Fu l’occasione di riscatto civile per tutte le donne, la testimonianza di una volontà di voler rappresentare le italiane tutte. Ci riuscirono facendo squadra. Numeri esigui ma che seppero segnare l’anima della nostra Carta costituzionale: il principio di uguaglianza (art. 3), la famiglia e il matrimonio (artt. 29, 30, 31) il lavoro femminile e la parità di retribuzione (art. 37), il diritto di voto (art. 48), l’accesso alle cariche politiche elettive e amministrative (art. 51). Il clima ostile non permise da subito l’ammissione delle donne nella Magistratura, ma non per questo si smise di lottare: dovremo attendere il 9 febbraio del 1963.
Un contributo ampio, oltre le questioni femminili, volto a costruire un nuovo tessuto democratico, con un pensiero e soluzioni con sguardo di donna, che fosse finalmente anche a misura di donna.
Il tema della cittadinanza femminile non è un orpello decorativo da commemorazione, lo si vede plasticamente quando viene messo nell’ombra: gli effetti e i risultati sono in frenata, in retromarcia.
Teresa Mattei intervenne nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente:
“Il riconoscimento della raggiunta parità esiste per ora negli articoli della nuova Costituzione. Questo è un buon punto di partenza per le donne italiane, ma non certo un punto di arrivo. Guai se considerassimo questo un punto di arrivo, un approdo”.
Il passaggio dalla carta alla pratica nella realtà è tuttora in atto, un’eredità di cui dobbiamo innanzitutto essere consapevoli. Un lavoro che implica uno sforzo comune tra uomini e donne, che rileva il grado di maturità di un Paese e il livello di superamento dei muri di genere.
Stando alle vicende di questi ultimi mesi/giorni, si stenta a credere che ci sia sufficiente senso di responsabilità e senso del valore di istituzioni e della nostra Carta. Se manca il passaggio intergenerazionale, il rischio di tornare indietro è purtroppo molto concreto. Ciò che è accaduto ha mostrato alcuni gravi segnali di un cortocircuito prodotto da una sorta di smarrimento delle fondamenta comuni della nostra casa. Nel chiacchiericcio e nei calcoli da perenne campagna elettorale si sono disciolte, rendendo più arduo un discorso politico serio e di qualità. Tutto e il contrario di tutto, in un modello gattopardesco che parla di “cambiamento”, in un gioco pericoloso di ribaltamento di significato.

E noi donne di cosa abbiamo paura? Cosa stiamo aspettando? Ci andranno ancora bene i meccanismi di stampo maschile che ci sottraggono opportunità di rappresentanza autentica e puzzano di tanfo patriarcale? Ci andranno bene soluzioni e proposte politiche che non tengono conto della nostra voce e del nostro punto di vista?
http://www.dols.it/2018/05/31/un-rinnovato-impegno-per-la-cittadinanza-di-genere/

lunedì 18 giugno 2018

Pari opportunità: che fine hanno fatto le donne nel governo Conte? di Cristina Obber

Il silenzio delle leghiste e delle pentastellate sul contratto di governo e sulle dichiarazioni del ministro Fontana ci dice quanto ancora siamo poco libere, quanto ancora pensiamo noi per prime di non valere abbastanza da non ritenere prioritari i nostri diritti.
 
Potrebbe essere buona cosa pensando che con un’esperienza di presidente Unicef nonché garante dell’infanzia sappia già qualcosa di diritti.

Potrebbe essere buona cosa, ammesso che la sua - ipotizzata da altri - omosessualità fosse dallo stesso confermata, per la difesa indispensabile dei diritti delle persone lgbt. Le Pari opportunità di fatto non riguardano soltanto le donne, ma tutte le persone, indipendentemente dal genere, il sesso, la provenienza eccetera eccetera. Teoricamente dunque dovrebbe essere irrilevante il genere della persona che occupa quel ruolo.

Mi chiedo però come mai si sia pensato di nominare un uomo per un incarico storicamente femminile, in un Paese all'82esimo posto nel mondo in fatto di Pari opportunità di realizzazione tra uomo e donna, dove il 50 per cento della popolazione viene discriminata più o meno violentemente ogni giorno e in ogni dove per il fatto di essere donna.

Nel rispondermi non posso che ritrovare coerenza in questa nomina in un governo con una rappresentanza femminile così esigua ed estranea al mondo femminista da farci venir voglia di fare le valigie per Madrid.

Un governo che nel suo contratto ha affrontato la violenza contro le donne soltanto in termini emergenziali, senza nulla proporre in merito alla prevenzione (lo stesso Conte nel suo discorso di esordio non ha menzionato né scuola, né educazione). Che vi ha inserito preoccupanti intenzioni rispetto alla Pas (detta anche alienazione parentale) che tende a screditare le donne che denunciano la pericolosità dei loro partner o ex partner per i propri figli (perchè se è vero nei conflitti tra coniugi separati la strumentalizzazione dei figli riguarda entrambi i generi, è altresì vero che quando si parla invece di violenza domestica sono gli uomini ad essere pericolosi anche per i figli; un esempio il figlicidio del piccolo Federico Barakat, ucciso dal padre perché gli assistenti sociali accusavano la madre di alienazione parentale, ovvero di opporsi agli incontri padre-figlio per finalità personali). La presenza della pas nel contratto di governo non è casuale. La leghista Giulia Bongiorno ha presentato un disegno di legge per introdurre il reato di Alienazione parentale e la compattezza dell’alleanza lega-5stelle ci induce a pensare che Spadafora potrebbe non contrastare questa posizione.

D’altronde un reato che incarcererebbe tante donne vittima di violenza sarebbe il linea con il disegno del ministro della famiglia Fontana che ben rappresenta le posizioni integraliste di chi parla di aborto come di omicidio.

L'alternativa al carcere per il reato di alienazione parentale si tradurrebbe per tante donne nel silenzio, nella rassegnazione alla violenza, così come per le donne il reato di aborto significherebbe fare più figli anche se non desiderati e dunque ritirarsi sempre di più dallo spazio pubblico così faticosamente conquistato.

In merito al tema dell'aborto ci auguriamo che la vicinanza di Spadafora agli ambienti vaticani non lo trovi più allineato al pensiero di Fontana che al diritto di autodeterminazione femminile.

La prima nomina di un uomo alle Pari opportunità avviene proprio nel momento storico in cui le donne nel nostro Paese e nel mondo ricominciano ad alzare la testa.

Se uniamo i puntini tra le dichiarazioni e le scelte di questi primi giorni di 'governo del cambiamento' possiamo intravedere il disegno di un cambiamento in peggio, di un arretramento per contrastare conquiste e libertà, per rimettere le donne al loro posto.

Il silenzio delle donne leghiste e pentastellate sul contratto di governo e sulle dichiarazioni del ministro Fontana ci dice quanto ancora siamo poco libere, quanto ancora pensiamo noi per prime di non valere abbastanza da non ritenere prioritari i nostri diritti, accontentandoci che vengano affrontate le nostre questioni se ci sarà il tempo, senza fretta, si sa mai che qualcuno arrivi in fondo alla lista.

Ciò che conta sono le decisioni grosse, le cose da uomini, appunto, dalle quali guarda caso questo governo più di qualsiasi altro ci ha escluse.

Critichiamo tutte la compagna di Salvini, Elisa Isoardi, che lava e stira sulle copertine delle riviste riproponendoci uno stereotipo di donna anacronistico e ridicolo che sembra uscito dall'enciclopedia della donna degli Anni '50 (coerente con il 'contratto' che parla di conciliazione casa-lavoro solo per le donne). Un bersaglio facile – e femmina – mentre lasciamo lavorare questo governo di maschi che delle questioni femminili così le chiamano, si vuole occupare in bilico tra autoritarismo e paternalismo, calpestandoci le vite, i diritti e i corpi.

Che ci toglie il potere, quel poco che abbiamo. Che non rappresentandoci - nemmeno malamente - ci rende del tutto invisibili, non solo metaforicamente.

In questo contesto un uomo a capo delle Pari opportunità, laddove si dovrebbero contrastare il protagonismo del maschile e il suo atavico controllo sul nostro pubblico e privato, nel mondo del lavoro come all’interno della famiglia, sulla nostra sessualità e la nostra salute riproduttiva, è dunque perfetto.
https://www.letteradonna.it/it/articoli/politica/2018/06/14/pari-opportunita-governo-conte/26064/

Madre con 2 bambine sfrattata a Corsico

Non si tratta di uno sfratto come tanti, purtroppo ne avvengono e dei quali non ci siamo mai occupate.

Si tratta dello sfratto di una madre con due bambine, residenti a Corsico, una donna uscita a fatica da un percorso di violenza e seguita dal centro antiviolenza del nostro territorio.

Per questo noi di Ventunesimodonna, associazione che fa parte della rete dei CAV interdistrettuali, ci siamo sentite chiamate in causa e abbiamo portato la nostra solidarietà e la nostra presenza alla signora e alle sue bambine.

Lo stupore è stato grande nel vedere l’ufficiale giudiziario e i carabinieri che hanno eseguito lo sfratto accompagnati solo dal fabbro che ha prontamente cambiato la serratura.

Mancava l’assistente sociale, mancava la figura che in questi casi deve farsi carico dei minori e rappresentare l’amministrazione comunale e dare l’appoggio delle istituzioni.

E’ sufficiente che una donna sola, che parla e comprende con difficoltà la nostra lingua, abbia concordato la data dello sfratto ormai esecutivo per essere archiviata dai servizi? Lasciata sola sul marciapiede di via IV novembre con le sue bambine e la sua valigia? Secondo noi no.

Ringraziamo le associazioni e i rappresentanti dei partiti che insieme a noi l’hanno fatta sentire meno sola.

La signora e le bambine sono al momento ospitate  in una comunità.

sabato 9 giugno 2018

Aborto, Il ginecologo non obiettore: “Sto dalla parte delle donne e dei diritti” di Alessandra Carta

Marco Pistis ha 43 anni. È un ginecologo ogliastrino (di Loceri) non obiettore. Nelle statistiche sta dunque in quel 42,71 per cento di medici abortisti che si contano in Sardegna (leggi). Non a caso, è il presidente regionale di Laiga, l’associazione dei ginecologi che difende la legge 194. Il 7 marzo scorso, Pistis, che lavora all’ospedale Santa Barbara di Iglesias, ha spopolato su Facebook con un post in difesa del diritto all’aborto. Intanto ha scritto che la politica “si è messa a remare contro” la pillola Ru-486, “obbligando a un ricovero di tre giorni”. E poi: “Più di tutto – si legge sulla bacheca – ciò che rende, nei fatti, ancora clandestino l’aborto, è questo atteggiamento che lo nega, lo rinnega, lo considera un diritto di serie B”. Infine: “Sto da questa parte, perché la donna che seguo in gravidanza e quella che seguo quando sceglie di abortire, è sempre lei, la persona debole che ha bisogno di aiuto, con comprensione e attenzione in egual misura”.

- Dottore, davvero la donna le sembra una “persona debole”?
Mi riferivo alla condizione di debolezza psicologica nella quale si trovano le donne che decidono di abortire.

- Le scelte consapevoli non le dicono nulla?
Io non so se la consapevolezza escluda la sofferenza. Ma secondo me, una donna che non si trova in una condizione di debolezza, porta avanti la gravidanza. Almeno, a me piace pensare così.

- La peggiore frase sentita nella sua carriera contro una donna che ha scelto l’interruzione di gravidanza?
Peggio per lei, doveva pensarci prima.

- Quanto cattolicesimo c’è nella scelta di diventare anti-abortisti?
La componente religiosa incide. Ma a volte è anche un fatto di convenienza. A parità di stipendio, gli obiettori vengono esclusi da un certo tipo di lavoro.

- La Laiga, di cui lei è presidente regionale, chiede di ritoccare in questo senso la 194?
La 194 è bene che nessuno la tocchi, diversamente la fanno morire.

- Ci sono reali pericoli perché ciò succeda?
I tre giorni di ricovero obbligatori per l’aborto farmacologico non fa ben sperare.

- Quanti giorni bastano?
È sufficiente il day hospital, ovviamente salvo complicanze. È più sereno per la paziente, e non ci sono costi inutili per il Servizio sanitario nazionale.

- Polemiche tra lei e i suoi colleghi anti-abortisti?
Al Santa Barbara siamo un’isola felice: esiste un reale rispetto per le convinzioni personali di ciascuno. Non ci si ostacola a vicenda.

- Perché, di norma scoppiano guerre sui feti?
L’oltranzismo produce di tutto.

- I medici anti-abortisti aumentano, sebbene la Sardegna faccia segnare una percentuale di obiettori inferiore rispetto alla media nazionale.
Il quadro italiano non è per nulla rassicurante, con punte di anti-abortisti che si avvicinano al 90 per cento. Tuttavia, sul dato sardo del 57,29 per cento io avrei qualche dubbio.

- Dice che il report della Regione è al ribasso?
Mi baso sul dato empirico. Nei numeri ufficiali, per il Sulcis vengono indicati 9 ginecologi totali e 2 obiettori. Non è così, gli abortisti sono di più. Ma non riesco a capire in base a quali criteri abbiano fatto la raccolta dei dati.

- L’ha segnalato all’assessore Arru?
Lo stesso problema, mi risulta, esiste a Nuoro: nel report sono censiti 11 obiettori. Io dico che sono 14. Quando lavoravo all’ospedale di Sorgono, nel Mandrolisai, mi è capito di essere chiamato a Nuoro perché non c’erano ginecologici disposti a entrare in sala operatoria per un’interruzione di gravidanza.

- Cosa vuol dire essere un ginecologo abortista?
Significa stare dalla parte dello Stato. L’interruzione di gravidanza è un diritto, sancito dalla legge. Ma prima ancora c’è l’autodeterminazione di ogni essere umano.

- Segnalazioni su trattamenti spregevoli contro donne che abortiscono.
No, per fortuna no.

- Nel suo post pro-aborto ha riportato la testimonianza di una ragazza romana: al San Camillo le interruzioni di gravidanza si fanno nel sottopiano. Succede anche in Sardegna?
Nei nostri ospedali, salvo problemi oggettivi di posti letto, le donne che abortiscono stanno nel reparto di ginecologia. Si evita solo di metterle in camera insieme alle puerpere. Potrebbe non essere piacevole, emotivamente.

- Ancora la legge 194. Entro i primi 90 giorni di gestazione, si parla di interruzione volontaria di gravidanza. L’embrione quanto misura?
Siamo sui 63 millimetri.

- È vita?
Anche una cellula è vita.

- Omicidio per gli anti-abortisti.
Come scritto nel Codice penale, è omicidio dopo i 180 giorni.

- Ma nel giuramento di Ippocrate, sostengono gli obiettori, è detto che non si possono utilizzare erbe medicamentose per interrompere la gravidanza.
Quarto secolo avanti Cristo. Siamo nel 2015.

http://www.sardiniapost.it/cronaca/aborto-il-ginecologo-non-obiettore-sto-dalla-parte-delle-donne-e-dei-diritti/

lunedì 4 giugno 2018

Perché il risultato del referendum irlandese sull’aborto ci riguarda da Angela Carta

Il risultato del referendum, che non possiamo che definire storico, ha visto trionfare il “sì” con una percentuale del 66,4% dei voti.
Ieri pomeriggio, 26 maggio, è stato reso noto il risultato del referendum svoltosi in Irlanda per l’abrogazione dell’ “Ottavo emendamento alla Costituzione Irlandese”. Il risultato, che non possiamo che definire storico, ha visto trionfare il “sì” con una percentuale del 66,4% dei voti.
Ma cos’è questo “ottavo emendamento”?
La tradizione giuridica irlandese in materia di interruzione volontaria di gravidanza è stata fino ad ora una delle più restrittive d’Europa, insieme a quella polacca (ben noti sono i progetti di una nuova revisione della materia da parte del partito Pis, Diritto e Giustizia, sostenuto dalla granitica Chiesa Cattolica) e vanta origini molto antiche (“Person Act”, 1861) riscontrabili altresì all’interno della Costituzione irlandese del 1937 (art. 40.3.3).
Proprio in tal contesto, e in modo specifico per evitare derive progressiste come quella che nel 1973 aveva toccato da vicino gli Stati Uniti d’America con la storica sentenza della Corte Suprema Roe v. Wade, fu introdotta la disposizione che venerdì donne e uomini irlandesi hanno deciso di abrogare.
Ciò che questo emendamento, a conferma di quanto stabilito dall’articolo sopra citato della Costituzione, intendeva riaffermare era l’attribuzione di una personalità giuridica al “concepito”, equiparandolo alla gestante. In termini più semplici, la vita del feto (anche quando non ancora del tutto “vita” scientificamente parlando e ritenuta tale dal momento del concepimento) viene messa sullo stesso piano di quella della madre, non riuscendo pertanto a garantire un’adeguata tutela dei diritti riproduttivi della donna.
Alla restrittiva normativa si accompagna anche una scarsa tutela di altri diritti riproduttivi, quale quello all’informazione legato alle procedure e allo stato di salute dello stesso feto, non sempre garantite dal personale medico sanitario. L’effetto sulle donne in stato di gravidanza è stato catastrofico: patologie accertate in ritardo ed esodi verso il vicino Regno Unito per ricorrere ad una IVG. In caso di aborto illegale sono previsti fino a 14 anni di carcere e la procedura viene garantita solo in caso di rischio di vita per la gestante (“Protection of Life During Pregnancy Bill” del 2013).

Perché dunque la vittoria delle donne e degli uomini irlandesi ci riguarda?
Abbiamo di recente fatto gli auguri di buon compleanno alla nostra legge 194, una legge maltrattata, sebbene migliore di altre scritte in Europa e nel mondo, e abbandonata a se stessa, come le stesse donne che hanno il diritto di vederla correttamente applicata. In molte zone d’Italia la percentuale di medici non obiettori sfonda il 70% e quei pochi obiettori che ci rimangono sono spesso sottoposti a carichi di lavoro eccessivi e vengono spesso ostacolati nella crescita professionale (questione sollevata con l’Istanza 91/2013, caso CGIL v. Italia).
Abbiamo ben poco di cui gioire, a dimostrazione di come avere una buona legge sulla carta non equivalga ad una sua piena applicazione. Che poi è dunque quasi come non averla.
Dobbiamo quindi festeggiare, perché l’Irlanda ci ha insegnato come non importi quanto tempo possa passare perché una lotta di principio venga coronata dal successo. L’Irlanda ci ha dimostrato che un cambiamento è possibile e che bisogna cercarlo senza mai arrendersi, anche quando sulla parete di una grande città svetta un manifesto che ingenuamente e incautamente definisce l’aborto prima causa di femminicidio.
Non dobbiamo quindi dimenticare di lottare, di esercitare il nostro diritto di parola, di lamentarci se un diritto non viene rispettato, se le tutele non vengono garantite, se una preziosa informazione non ci viene data e, infine, anche quando un farmaco definito “contraccezione d’emergenza” non viene più garantito all’interno di tutte le farmacie (grazie all’aggiornamento della Farmacopea), ma questa è un’altra storia…
http://www.dols.it/2018/05/27/perche-il-risultato-del-referendum-irlandese-sullaborto-ci-riguarda/