sabato 30 agosto 2014

Sorella Outsider, gli scritti politici di Audre Lorde (Il dito e la luna, 2014),


Nera, lesbica e femminista, Audre Lorde è stata per anni, specie in Italia, un mito sotterraneo. Che adesso si può riscoprire grazie a una nuova raccolta di suoi scritti, da cui vi proponiamo questo estratto
Ci sono molti tipi di potere, usati o non usati, riconosciuti o no. L’erotico è una risorsa che si trova dentro di noi, su un piano profondamente femminile e spirituale, fermamente radicata nel potere dei nostri sentimenti inespressi o non riconosciuti. Allo scopo di perpetuarsi, ogni oppressione deve corrompere o distorcere le varie fonti di potere che, all’interno della cultura degli oppressi, possono fornire loro l’energia per il cambiamento. Per le donne, ciò ha significato la soppressione dell’erotico come fonte consapevole di potere e di informazione all’interno delle nostre vite. [...]
L’erotico è stato spesso definito in modo erroneo dagli uomini, che lo hanno usato contro le donne. E’ stato ridotto a un insieme di sensazioni confuse, triviali, psicotiche e plastificate. Per questo motivo noi abbiamo spesso rinunciato a esplorare e prendere in considerazione l’erotico come fonte di potere e di informazione, perché l’abbiamo confuso con il suo opposto, il pornografico. Ma la pornografia è la negazione diretta del potere dell’erotico, perché rappresenta la soppressione del sentire autentico. La pornografia enfatizza la sensazione senza il sentire.
L’erotico si colloca tra l’inizio del nostro senso di sé e il caos del nostro sentire più profondo. È un senso di soddisfazione interiore al quale, una volta sperimentato, sappiamo di poter aspirare. Perché dopo aver sperimentato la pienezza di questo sentire profondo e averne riconosciuto il potere, noi non possiamo, in onore e rispetto di noi, pretendere di meno da noi stesse. Non è mai facile chiedere il massimo a noi stesse, alle nostre vite, al nostro lavoro. Incoraggiare l’eccellenza significa andare oltre la mediocrità incoraggiata dalla nostra società. Ma cedere alla paura di sentire e di lavorare al massimo della nostra capacità è un lusso che solo chi vive involontariamente può affrontare, e chi vive involontariamente è chi non desidera prendere in mano il proprio destino. La tensione interna verso l’eccellenza che l’erotico ci insegna non deve essere scambiata con il chiedere l’impossibile a noi stesse e alle altre. Questa è una richiesta che finisce con il bloccare chiunque. Perché l’erotico non è solo questione di cosafacciamo, ma anche quanto intensamente e pienamente sentiamo nel farlo. Una volta che sappiamo fino a che punto siamo in grado di provare quel senso di soddisfazione e di completezza, allora siamo in grado di osservare quale, tra le varie attività in cui ci impegniamo nella vita, ci permette di avvicinarci maggiormente a quella pienezza. Lo scopo di ogni cosa che facciamo è rendere le nostre vite e le vite dei nostri figli più ricche e più possibili. Con la celebrazione dell’erotico in ogni cosa che intraprendo, il mio lavoro diventa una decisione consapevole – un letto fortementedesiderato nel quale entro con gratitudine e da cui mi alzo più potente.
Naturalmente, le donne che si sono guadagnate questo potere sono pericolose. Ecco perché ci insegnano a separare la richiesta erotica dalle aree più vitali della nostra esistenza, a parte il sesso. Noi non ci prendiamo cura della radice erotica del nostro lavoro, la radice della soddisfazione, e la conseguenza è la disaffezione per molte delle cose che facciamo. Per esempio, quanto spesso amiamo veramente il nostro lavoro, anche nei suoi momenti più difficili? L’orrore principale di ogni sistema che definisce il bene in termini di profitto invece che in termini di bisogno umano, o che definisce il bisogno umano escludendone le componenti psichiche ed emotive – l’orrore principale di un tale sistema è che spoglia il nostro lavoro della sua valenza erotica, del suo potere erotico, della sua desiderabilità e pienezza esistenziale. Un tale sistema riduce il lavoro a una caricatura di necessità, a un dovere con cui guadagniamo il pane per noi stessi o per i nostri cari, o con cui ci ottundiamo. Il che è un po’ come accecare una pittrice e poi dirle di migliorare il suo lavoro, e di provare gioia nell’atto del dipingere. Non è solo praticamente impossibile, è anche profondamente crudele.

Noi donne abbiamo bisogno di prendere in esame le maniere in cui il nostro mondo può essere realmente diverso. Sto parlando della necessità di rivalutare la qualità di tutti gli aspetti della nostra vita e del nostro lavoro, e di come noi ci muoviamo verso e all’interno di essi. La parola stessa erotico viene dal greco eros, la personificazione dell’amore in tutti i suoi aspetti: nato dal Caos, impersona il potere creativo e l’armonia. Dunque quando parlo dell’erotico parlo dell’affermazione della forza vitale delle donne; di quell’energia creativa ricca di potere, di cui noi oggi rivendichiamo la conoscenza e l’uso nel nostro linguaggio, nella nostra storia, nel nostro danzare, nel nostro amarci, nel nostro lavoro e nelle nostre vite.
Si cerca spesso di ridurre a una sola cosa pornografia ed erotismo, due usi del sessuale diametralmente opposti. A causa di questi tentativi, è diventato di moda separare lo spirituale (psichico ed emotivo) dal politico, vederli come contraddittori o antitetici. ‘Cosa intendi per poeta rivoluzionario? Un guerrigliero che fa meditazione?’ Allo stesso modo, abbiamo tentato di separare lo spirituale e l’erotico, riducendo così lo spirituale a un mondo di affetti appiattiti, il mondo di un asceta che aspira a non sentire nulla. Niente di più lontano dalla verità. Perché la posizione dell’asceta è quella della massima paura, della più totale immobilità. La severa astinenza dell’asceta diventa la sua ossessione dominante. E non è autodisciplina, ma negazione di sé.
Anche la dicotomia tra spirituale e politico è falsa e deriva da un’insufficiente attenzione alla nostra conoscenza erotica. Perché le due cose sono invece unite proprio dall’erotico, dal sensuale: da quelle espressioni fisiche, emotive e psichiche di ciò che esiste di più profondo e più forte in ognuno di noi, quando lo condividiamo con gli altri: le passioni dell’amore, nei suoi significati più profondi.
Al di là dell’uso più superficiale, l’espressione ‘sento che è la cosa giusta’ riconosce alla forza dell’erotico il suo carattere di autentica conoscenza, perché indica la prima e più potente luce che ci guida verso ogni comprensione. E la comprensione è un’ancella che può soltanto servire, o chiarire, quella conoscenza nata nel profondo. L’erotico è la nutrice, la balia di tutta la nostra conoscenza più profonda.

giovedì 28 agosto 2014

Così siamo noi, donne vere

“Quando è stata l’ultima volta che hai aperto il browser e hai visto una bella immagine di un corpo che assomigliasse al tuo?
Quando è stata l’ultima volta che hai visto smagliature che sembrassero le tue? Un seno che assomigliasse al tuo? 
Cicatrici come le tue?
Una pancia come la tua?” 
Con queste domande provocatorie si apre “The expose project”, il progetto della fotografa Liora K (di cui avevamo pubblicato il progetto contro la violenza alle donne) e della blogger Jes Baker, che, macchina fotografica alla mano e photoshop bandito, hanno deciso di raccontare la bellezza femminile, ma quella vera, quella “al naturale”, con tutti i difetti a corredo della sensualità che un corpo sa raccontare.
96 le donne (comprese le due ideatrici) che hanno accettato di mettersi a nudo, letteralmente.
 «È stato un test di fiducia in se stesse. Tutte abbiamo passato la vita a sentirci dire che i nostri corpi non vanno bene per la macchina fotografica.
Ogni scatto è stato un trionfo.
È stato commovente" scrive Jes sul suo blog. "Queste donne si sono spogliate perché volevano condividere le loro curve e i loro angoli, la fierezza e la tenerezza, la forza e la paura… con voi. Con il mondo. Con chiunque si chieda se è l’unica ad avere una certa forma fisica. Quello che vediamo nei media non è la “storia completa”. Non è rappresentativo di tutte noi. E a causa di quello che vediamo (o meglio non vediamo) iniziamo a credere che siamo le uniche con le smagliature. O con le gambe piene di cicatrici. O con i capezzoli asimmetrici. O con la pancia. I peli sul corpo.
 E quando ci sentiamo sole nel nostro corpo, sentiamo che non siamo abbastanza. 
La verità è: siamo più che abbastanza. E non siamo sole».

Chiudete sotto chiave le vostre figlie: è Italian Style!

L’Italia resta ancorata agli indici più bassi per quanto riguarda il riempimento del gap di genere. E’ tutto parte di una cultura tutta italiana dove le questioni di genere non vengono affrontate poiché percepite “di poco conto”. Perché pensare al fatto che esistano cose piu importanti soprattutto se si tratta di cose di genere, come la recente bocciatura della legge che “depenalizza” l’obbligo del cognome paterno è tutta una storia italiana.
Pare che nemmeno le questioni che riguardano la rappresentazione delle donne nei media interessino molto il Governo. Non sono infatti previsti in alcuna agenda né una legge per vietare il sessismo nei mezzi di comunicazione né uno strumento di protezione dai messaggi sessisti che senza la sua istituzione è difficile che vengano contrastati.
C’è da chiedersi come si potrebbero affrontare situazioni come la decisione di Italian Style un negozio online, scoperto da alcune utenti navigando su facebook, che ha messo in vendita questo articolo per bambini molto piccoli presente in pagina da molti mesi, accompagnata sempre da commenti positivi e numerosi like.
Vuole essere divertente? Ironica? Simpatica?
Cosa vuole rappresentare questa sorta di “battuta” simile messa sulla T-shirt di un neonato che a causa della sua età non è nemmeno a conoscenza del suo futuro orientamento sessuale?
Eh già perché l’eterosessualità “forzata” è un indicatore della mascolinità stereotipata, alpha. Ascrivere già un orientamento sessuale al proprio piccolo non è un segno di sessualizzazione precoce? Quante volte abbiamo parlato di questo problema recente che si annida nei prodotti per l’infanzia?
A rafforzare il messaggio sessista è la contrapposizione sessualità etero maschile/sessualità etero femminile. Le femminucce devono essere tenute sotto chiave in quanto la propria attività sessuale rappresenta una minaccia per la comunità, una sorta di violazione dell’onore familiare tutto vissuto in chiave moderna dai toni burleschi.
Il messaggio non ha nulla di ironico vista la recente abrogazione della legge che prevedeva il delitto d’onore e il matrimonio riparatore in italia e visti gli stereotipi ancora attuali circa la sessualità femminile pensata sempre come passiva e rappresentata in modo negativo perciò se una ragazza ha avuto molti partner è una puttana, mentre un ragazzo con lo stesso comportamento viene sempre etichettato positivamente: latin lover, sciupafemmine, playboy, macho, ruba cuori ecc….
Tutto ciò a causa di una mentalità maschilista che vede le femmine come degli esseri inferiori da legare ad un solo uomo che le controlli, le possieda e che le renda madri e mogli sottomesse. La concezione del corpo femminile come territorio da marcare, comea mera proprietà maschile. La paura che le figlie incorrano in una gravidanza indesiderata deresponsabilizzando l’uomo e ignorando l’esistenza dei contraccettivi e dell’uso attivo che possa farne la donna.
Credo che la maglietta si rimandi a questa cultura, se ne riappropri.
Le femmine vanno controllate, tenute sotto chiave fin quando non verranno date come mogli. Mi viene da pensare a quei padri di oggi che si dichiarano ancora orgogliosi di avere figlie illibate (o presunte tali) o quei genitori che sono contenti che le loro figlie si sono sposate a 19 anni con già due bambini dal loro attuale marito piuttosto che aver fatto le troie in giro ed essere rimaste incinte in discoteca da uno sconosciuto (detto da una signora che conosco).
Come quella signora che una volta elogiava il figlio per tutte le belle ragazze che ha avuto e poi proibiva alla figlia undicenne di giocare con i suoi amici maschi. E’ italian style che ci vuoi fare?
E se le “figlie da tenere sotto chiave” fossero invece lesbiche a cui non interessa di essere “rubate” dal macho di turno?
Chi ha ideato questa maglietta non si è reso conto quanto questo messaggio possa essere pericoloso e discriminante? Ponendo le ragazze, in quanto femmine, su un gradino in basso, da mettere sotto chiave ossia da privare della propria libertà in quanto percepite come passive e come deboli o ancora meglio come esseri inferiori. Un messaggio non meno violento e discriminante di quello lanciato recentemente dalla ditta Pakkiano dove una donna bianca si toglie il niqab e dichiara di essere ancora vergine per sfuggire alla lapidazione da parte di uomini vestiti in costumi arabi.
Mettere sotto chiave una ragazza cosa può significare?
Può significare molte cose tranne che cose che generano ilarità se pensiamo che le fatiche delle nonne per eliminare l’oppressione patriarcale in Italia non risalgono a molto tempo fa.
Non è passato molto tempo da quando alle ragazze veniva proibito di studiare, lavorare o dovevano consultare la propria famiglia prima di allacciare una relazione con un uomo se non finiva vittima di un matrimonio riparatore o combinato. Da quando le donne venivano tenute sottochiave nel vero senso della parola alle quali veniva vietato di uscire di casa alla sera tutto in nome del controllo che la società esercitava sui nostri corpi.
Non a caso è anche grazie all’introduzione dei contraccettivi femminili moderni (che si affiancarono alle lotte femminili e alla rivoluzione sessuale) se le ragazze fecero ingresso nel mercato del lavoro, ebbero più accesso agli studi e se si attenuò la nostra segregazione e distanza fisica con l’altro sesso.
A me fa il mal di stomaco pensare che una madre di un figlio che si raccomanda che da grande collezioni donne come farfalle consigli alle altre madri di tenere le figlie sotto chiave. E offensivo, retrogrado e discriminante su questo non ci piove.
Eppure tutti i giornali ci informano ogni giorno di come è la situazione delle donne nei paesi in cui vengono tenute sottochiave. L’ultima è la triste storia di una bambina di 10 anni stuprata da un mullah in moschea che rischia di essere ammazzata dai genitori per onore.
Il fatto è accaduto in Afghanistan e la bambina ha riportato gravissime ferite dopo lo stupro.
Per me essere tenuta sottochiave significa questo, significa privare alle donne della libertà di scegliere. Perché donne. Limitarle della possibilità di lavorare, studiare ecc…
Ma non allontaniamoci molto dall’Italia di oggi. Ogni due giorni una donna viene uccisa per mano del proprio partner. I motivi sono sempre gli stessi: lei ha deciso. Ha detto basta, si è ribellata o ha interrotto una relazione. O si è opposta ad un rapporto sessuale indesiderato.
In un Italia in cui resistono discriminazioni e pregiudizi di genere, come possiamo definire ironica una maglietta simile? Soprattutto se è indirizzata a bambini così piccoli, età in cui si cominciano a formare pregiudizi e modi di pensare sbagliati a causa del sessismo presente ovunque senza essere contrastato da nessuna istituzione che invece si oppone ad introdurre programmi scolastici dedicati alla parità di genere e all’educazione sessuale.
I bambini cominciano presto a formarsi dei pregiudizi e stereotipi. Pensiamo al documentario realizzato da Alessandra Ghimenti “ma il cielo è sempre più blu” in cui si mostrava appunto la tendenza dei bambini ad avere già precocemente degli atteggiamenti e giudizi stereotipate.
Proprio ieri in spiaggia sentivo un bimbo raccontare di un bambino di cinque anni che alla vista di una adolescente ha chiesto al padre di comprarla o caricarla in auto per baciarla lui e il figlio!!
Sono rimasta colpita dal fatto che un bambino di 5 anni abbia già maturato l’idea di donna come oggetto sessuale passivo e senza consenso apprendendo un modello così stereotipato di virilità.
Tornando all’italian style ho visitato il sito. Ovviamente non mancano altri stereotipi: bodysuit-io-amo-il-mio-papabody-attenzione-mamma-gelosa
Le femmine appartengono al papà, i maschi alla mamma. Non manca la serie principesse e supereroi (e ovviamente le mamme sono super mamme non supereroi): body-personalizzabile-principessa-di-papa bodino-il-mio-papa-e-un-super-eroe
Poi ci sono quelle tutine che “giocano” sull’incapacità degli uomini di occuparsi dei bambini, bambini latin lover e bambine principesse in cerca di principi azzurri: bodino-bimba-principe-azzurro un giorno incontrerò un principe, ma il vero re è il mio papà
Ovviamente non manca l’idea della femmina sottomessa ad un padre o marito che comanda. Perche si sa, le femmine sono come principesse che vanno rinchiuse in alto alla torre finché non giunga un principe azzurro a salvarle!
E non manca nemmeno lo stereotipo del padre incapace a badare i bambini. Per nulla ironico in un paese dove pochi padri si occupano della cura dei figli! a causa di stereotipi che relegano quest’occupazione a “cosa da donne”.
bodi-neonato-ce-la-puoi-fare-papa

 E vissero felici e contenti e ovviamente tutti etero per forza secondo l’italian style.

La fatica di diventare uomini diversi di Barbara Mapelli *

Paolo Di Stefano ha scritto un articolo interessante, denso emotivamente ma anche ricco di stimoli di riflessione, sui padri che uccidono i loro figli. E propone di dare un nuovo nome a ciò che sta accadendo, figlicidio: credo sia giusto perché quando avvengono fatti nuovi, soprattutto se seriali, occorre inventare parole nuove, che li nominino nei loro significati, diversi rispetto al passato. Il giornalista termina il proprio scritto con un elogio all’imperfezione (dei genitori) e non si può che dargli ancora ragione: la ricerca della perfezione, madri perfette, padri che cercano di emularle, può generare sentimenti e situazioni difficili da controllare. Sentimenti di inadeguatezza, frustrazione, isolamento, difficoltà di comunicazione con l’esterno ma anche dentro la coppia.
Penso che tutto questo sia giusto osservarlo e che si debba ancora andare avanti a pensare insieme, riflettere, cercare di capire sempre più cosa sta accadendo e perché fenomeni dal segno positivo – le nuove e più consapevoli, partecipate paternità – possano trasformarsi e divenire percorsi di violenza e orrore.
Credo che tutto quanto accade nei cambiamenti dei rapporti tra donne e uomini abbia un legame, non si possa cioè esaminare i diversi fenomeni separatamente. Mi permetto allora un breve excursus per tentare una visione d’insieme, che sarà inevitabilmente parziale ma che si potrà comporre con altre riflessioni perché dobbiamo farlo, è necessario farlo, è l’unica risposta a fenomeni che ci sembra di non saper arginare e comprendere.
Da alcuni decenni abbiamo assistito, e alcune/alcuni di noi contribuito con le proprie scelte, con il proprio pensiero, a una rivoluzione epocale nelle relazioni di genere. Avviata dalle donne ha coinvolto anche gli uomini e credo più profondamente di quanto non appaia.
Donne e uomini sono cambiati, stanno cambiando e questo inevitabilmente riguarda il complesso della vita di ognuno, i rapporti privati, pubblici, professionali, riguarda quindi anche le famiglie, le nuove famiglie che si sono formate e si vanno formando. Per molteplici motivi – l’ansia di non essere all’altezza del compito genitoriale se si lavora, una presa di distanza dalla generazione precedente di madri “scellerate” e altri ragioni ancora – le giovani madri ambiscono a un modello di perfezione, non si accontentano di essere le madri “buone” o “sufficientemente buone” di Winnicott.
Accanto a loro uomini/padri spesso ammirati di questa ricerca e a loro volta concentrati nell’impresa di essere nuovi rispetto al modello del padre assente ancora dominante nelle generazioni precedenti. Di questa ambizione maschile si sono rapidamente impadroniti i media e la pubblicità, e allora un fiorire di spot, di copertine di rotocalco, di storie edificanti, cui nessuno di noi riesce a sottrarsi nel momento in cui ci incantiamo davanti a un passeggino condotto da un uomo, osserviamo con commozione il padre indomito, incurante della fatica e del sole, che costruisce castelli di sabbia, sistema costumini, infila braccioli, abbraccia con morbidi asciugamani corpicini bagnati.
Come misurarsi con tutto ciò, come confrontare i propri tentativi, talvolta maldestri, con queste immagini e con le madri sempre pronte a segnalare manchevolezze, imprecisioni o errori?
Lontani da immagini e modelli edificanti gli uomini/padri reali fanno i conti con le loro fatiche, con le contraddizioni che vivono ancora potenti di modelli ben diversi di maschilità. Si fa molta fatica, mi racconta uno di loro, a divenire uomini diversi, scontrandosi con un passato ancora ben vitale, e si fa molta fatica a crescere con i propri figli, ci si sente fragili e vulnerabili, incapaci e il vulnus che può far perdere la testa spesso è o sembra un motivo futile, scrive ancora Paolo Di Stefano, ma appare come un ostacolo insuperabile all’uomo che non sa opporvisi, che manca – ed è qualcosa che invece noi donne solitamente abbiamo – di un confronto, di un dialogo con uomini nella sua stessa situazione.
Vicini a donne che appaiono più brave in tutto, sottoposti a una continua proposizione di modelli inarrivabili, vivono frustrazioni legate non solo alla paternità, ma alla loro (presunta) inadeguatezza come uomini, ormai destituiti, o volontariamente rinunciatari, alle barriere di sicurezza edificate dalla società patriarcale, erosa nei suoi valori, ma che ancora non è morta, e, se è morta, scrive Sandro Bellassai nel suo bel libro L’invenzione della virilità, «non se ne sono ancora celebrati i funerali».
E siamo tutte e tutti noi che dobbiamo celebrarli questi funerali, prendendone coscienza, parlandone, sì anche tra donne e uomini, cercando di capire cosa si muove nella testa e nel cuore di quel padre, che non trascura la palestra e spesso è tatuato, e al contempo cerca di apprendere il senso, reale, del suo essere padre. Che non è divenire una madre di serie b, ma che significa probabilmente assumersi compiti, apprendere nuove virtù o riscoprirne e aggiornarne di antiche, che ancora sfuggono, a lui e a ognuno di noi.
Non posso e non voglio dare consigli, parlo delle mie esperienze e cerco di capire cosa succede intorno a me, vorrei che si generassero non solo parole nuove che parlano di eventi terribili, ma che nascesse, se pure a gradi, una quotidianità che si interroga, che non lascia soli e non lascia cadere un discorso, che è necessario e difficile, ed è il discorso dei tempi in cui viviamo.
Una quotidianità che investe singoli e singole, che racconta le loro storie, che divengono corali e riguardano la collettività, perché questa è la caratteristica delle riflessioni e pratiche di genere, essere tema privato e al contempo pubblico.

Una responsabilità di trasformazione delle esistenze di ognuno e di tutti che è troppo pesante per essere portata da ogni singola persona, donna o uomo che sia.

mercoledì 27 agosto 2014

Il coraggio di rispondere «non so» L’insicurezza (buona) delle donne di Maria Luisa Agnese e Daniela Monti

Ti senti a tuo agio a dire «non so»?
Katty Kay: «Sì, ho imparato a sentirmi a mio agio».
Claire Shipman: «All’inizio no. Quando ho cominciato a seguire come giornalista la Casa Bianca, sentivo di dover sapere tutto. Politica estera, bilancio. Sono una perfezionista. Poi, con il tempo, ho imparato che è ok anche dire: su questo tema ci sto ancora lavorando».
Ci vuole coraggio a rispondere «non so». E infatti non tutti lo fanno. Lo fanno le donne, molto più degli uomini. Ma pochissime di loro sarebbero disposte a chiamare «coraggio» questo ammettere di non sapere, soprattutto durante una importante riunione di lavoro o nel corso di una discussione in cui sarebbe utile — per la carriera, ma anche semplicemente per l’amor proprio — fare bella figura. Più che di «coraggio» viene spontaneo parlare di «suicidio», professionalmente parlando.
Chi dice «non so» si mette all’angolo da solo. È come un terreno arido, gli altri distolgono lo sguardo. Del resto «il deserto è un luogo privo di aspettative», scriveva Nadine Gordimer.
A Katty Kay e Claire Shipman, le giornaliste protagoniste dello scambio di battute (tratto da un’intervista al New York Times) che apre questo articolo, il merito di aver rilanciato il dibattito sulla cronica mancanza di fiducia in se stesse delle donne. Il «non so» è una delle espressioni più cristalline di questa mancanza. È un dubitare non solo di ciò che si sa, ma anche di ciò che si è. «Proponetevi per le promozioni! — esorta Laszlo Bock, manager di Google —. Se una donna dice di sentirsi pronta, lo è già da un anno». Ma come mai le donne raramente si sentono pronte? Perché hanno sempre mille dubbi: «Non so se sono abbastanza preparata per quell’incarico»?
Anche gli uomini hanno qualche dubbio, ma non per questo si fanno fermare nella loro corsa.
Anzi tirano a indovinare, quando non sanno, e magari vanno a segno. Perché il punto è che non sempre si tratta di spacconate, ma, appunto, di fiducia in se stessi. E il fattore «sicurezza» – rivela un cospicuo numero di studi — è più importante della competenza nel favorire la carriera. Chi è convinto delle proprie capacità è più convincente.
«Avere talento non è sufficiente — avverte Cameron Anderson, psicologo dell’Università di Berkeley —. La fiducia in sé, reale, non costruita, è parte del talento. E bisogna averla per eccellere».
Il saggio delle due giornaliste, Confidence Code, ormai citatissimo, parte dalla constatazione che anche le donne di grande successo hanno una irreversibile e insospettabile tendenza a sottovalutarsi, a sedersi all’angolo del tavolo. Alcune addirittura si sentono un po’ impostore, se non delle usurpatrici, quando occupano posti di comando. Capita a donne che hanno scalato tutte le posizioni come Arianna Huffington e Sheryl Sandberg — due fra i nomi più celebrati — e capita a tutte noi, infinitamente più in basso nella scala evolutiva del potere al femminile (guardate la video-inchiesta Le Donne e il Potere).
Le donne si interrogano, dubitano e, a un certo punto, si fermano. Come convincerle a proseguire?
Le possibili vie d’uscita sono due: o smettiamo di dire «non so», imparando la lezione maschile, o cominciamo a considerare quel modo di porci non come una mancanza, ma come un passaggio a Nord Ovest, un valore da consegnare alle generazione future.
«Qualche anno fa, sulla scia della crisi finanziaria, si è riconosciuto come l’eccessiva sicurezza in se stessi di molti uomini fosse un pericolo per loro stessi e per il loro Paese. E adesso viene chiesto alle donne di scimmiottare il comportamento dello sbruffone di successo?», s’interroga Amanda Hess su Slate. No, non può essere questa la strada.
«In generale, prendo positivamente il “non so” delle donne di fronte a una domanda di cui non conoscono la risposta come una dimostrazione concreta di una evoluta coscienza del limite», riflette Anna Rosa Buttarelli, docente di Ermeneutica e Filosofia della storia all’Università di Verona, impegnata da anni nel pensiero e nella politica della differenza. Per Buttarelli quella femminile non è una vocazione speculativa al dubbio, piuttosto una vocazione alla auto consapevolezza e a coltivare una particolare coscienza critica che non scivola mai nel dubbio a oltranza. «Non commettiamo l’errore di inserire le donne nella tradizione cartesiana in cui si assimila l’essere al pensare dubbioso — avverte —. Niente di più lontano. “Non so” significa riconoscere che il sapere e la capacità di conoscere sono limitati».
È un cambiamento di prospettiva: il «non so» da paradigma di sfiducia in se stesse a dubbio fecondo, che porta dei frutti. «La forma mentis generale delle donne che coraggiosamente sopportano il “non sapere” (ne faccio proprio una questione di coraggio) può essere una grande risorsa rivoluzionaria per la condizione umana storica — riprende Buttarelli —. Unire pensiero e azione, pensare e parlare in pubblico, nelle donne segue un processo e delle difficoltà che non vanno d’accordo con le prassi pubbliche attuali. Ci sono donne che, sentendosi così differenti rispetto ai comportamenti imposti generali, perdono fiducia nella loro capacità di agire e di pensare. Questo è un problema. Ma è un problema anche che in area anglosassone le femministe insistano a leggere i comportamenti femminili non allineati ai paradigmi maschili come difetti delle donne, come inadeguatezze colpevoli. Lamentarsi continuamente indebolisce e immiserisce, ed è un errore di pensiero».
La paure di fallire, che blocca molti talenti femminili su posizioni di retroguardia, più semplici da presidiare, va affrontata a viso aperto. Jessica Bacal nel suo Mistakes I Made at Works, errori che ho fatto sul posto di lavoro, racconta i fallimenti che sembravano catastrofici di 25 donne di successo, le quali hanno saputo trarre da quegli episodi insegnamenti per rialzarsi. Il messaggio è: così come ci sono molti modi per avere successo, ci sono molti modi di vacillare. E comunque andare avanti.
Teresa Budetta, 26 anni, laurea in Bocconi, racconta il trauma dell’ingresso nel mondo del lavoro. «Il mio primo stage è stato in una banca d’investimento a Londra. L’autostima che avevo coltivato con gli ottimi voti è crollata. Avevo molte idee, ma ogni volta che dovevo proporle al mio capo mi assaliva una sensazione di nausea. Stanca di restare dietro le quinte ne ho parlato con un’ex compagna di università e ho capito che è un problema condiviso, solo che nessuna lo ammette ad alta voce». Teresa continua il suo racconto spiegando come il mentoring abbia dato una svolta alla sua carriera: «Confrontarmi con donne di successo, talento e di straordinaria ispirazione mi ha dato la forza per credere che anch’io posso farcela e di trovare dentro di me il coraggio per superare queste paure».
Ridurre tutto all’individuo, alle insicurezze che ciascuna si porta dentro, è dunque un errore di prospettiva. Perché, come dimostra il racconto di Teresa, l’autostima personale può di più se poggia su un’autostima di genere, come un nano sulle spalle di un gigante. E qui nasce spontanea la domanda: la mancanza di fiducia non sarà dunque il riflesso di una cultura che non dà alle donne alcuna ragione per sentirsi sicure di sé?
Buttarelli ha provato a rispondere con il libro Sovrane. L’autorità femminile al governo, uscito per il Saggiatore, dove mostra il sesso femminile come esempio eccellente di autorevolezza amorosa e di sapienza imprevista e differente. «Bisogna dare sempre più spazio e voce a donne sapienti — spiega —. Poi bisogna far studiare l’immenso patrimonio di cultura scritta che ormai abbiamo prodotto. Bisogna farlo studiare nelle scuole e nelle università (che seguono bibliografie arretratissime e tutte maschili). Bisogna farlo studiare ai formatori e alle formatrici. Oramai ci sono tutte le condizioni per affermare l’autorità, la libertà, il pensiero delle donne. La misoginia maschile è ben radicata e fa ancora ostacolo, ma la realtà e la sua complessa trasformazione sono completamente favorevoli alla nostra differenza».
Carol Gilligan, prima accademica ad affermare il valore della differenza di genere nell’etica, spiega con un esempio quale sia il potenziale di trasformazione che nasce dall’incontro di due culture di leadership diverse, quella maschile e quella femminile, senza che l’una debba appiattirsi sull’altra: «Un bambino e una bambina stanno negoziando il loro gioco, la bambina vorrebbe giocare a “vicini di casa”, il bambino ai pirati. Una giusta soluzione sarebbe quella di giocare ai pirati e poi ai vicini di casa per lo stesso lasso di tempo. Ma la bambina ha un’altra soluzione e suggerisce di fare il gioco in cui un vicino di casa è un pirata».

«Sono una fanatica del dubbio, mi esercito tutti i giorni, appena alzata dubito sempre almeno una buona mezz’ora», dice la Bambina filosofica di Vanna Vinci. La piccola peste dei fumetti, con la sua ironia da rompiscatole, ci viene in soccorso. Il «non so» è una cifra femminile, tanto vale farci i conti fino in fondo.

martedì 26 agosto 2014

La questione politica dietro la femminilizzazione delle parole" di Cristina Comencini.

Dedicato ancora a quelle donne che fanno le

 "finte evolute" chiamano tutte ancora al "maschile: "


Noi dobbiamo guardare senza paura dietro la difficoltà delle donne di femminilizzare le parole che definiscono i loro mestieri, le loro qualifiche pubbliche. Non diamo per assodato che sia facile farlo. Quando ho cominciato a scrivere libri e a girare film, le domande più ricorrenti erano: "Cosa c'è di femminile nelle tue storie? Ti senti un'artista donna?" Ero giovane e prendevo queste domande come degli insulti, rispondevo:"L'arte non ha sesso." Mi ci sono voluti anni per capire e sentire che non c'era diminuzione nel sentirmi una donna che scrive e fa film, che la mia forza e la mia creatività erano invece cresciute nel corpo e nella mente di una donna. Ma allora facevo bene a diffidare delle domande che tendevano a relegare il mio lavoro nella riserva delle femmine. Noi dobbiamo porci questa domanda: l'accesso sempre più numerose delle donne nella società, al potere, nelle professioni, arricchirà il mondo di un altro punto di vista, di un'altra storia? O invece ci adegueremo alla società che troviamo e da cui per millenni siamo state fuori. Se ci sentiamo pari ma diverse e vogliamo rendere diverso il mondo, allora la "a" finale che ci definisce sarà la nostra grandezza. Se non vogliamo distinguerci la sentiremo ancora e per molto tempo come la nostra vergogna e il nostro limite. Dietro questa scelta c'è la questione politica più importante che le donne si trovano ora davanti.

lunedì 25 agosto 2014

Quei bravi ragazzi che ammazzano donne di Marina Terragni

“Un ragazzo d’oro”, “un ragazzo dolce e uno zio premuroso”, “una persona eccezionale”. Che un bel pomeriggio di domenica, in una villa dell’Eur, Roma, aggredisce e decapita una donna (colf) ucraina: di lei, carne da lavoro, carne da macello, viene riferito a malapena il nome, Oksana Martseniuk, oltre al fatto che era “bella, bionda, occhi chiari”, il che ne fa una vittima predestinata. Di lui, Federico Leonelli, un omone di due metri, si spiega anche che era depresso perché gli era morta la compagna. E vai ovunque con il “raptus”, parola totalmente priva di senso che dovrebbe essere abolita dal lessico giornalistico: perché insegna alla gente che chiunque di noi, preferibilmente maschio, può essere “rapito” (questo il significato letterale) da un demone che improvvisamente si impossessa della nostra volontà e ci fa agire diabolicamente.
Il “raptus” è l’altra faccia del “bravo ragazzo“: buona parte degli 8 assassini di donne e di bambini delle ultimissime settimane sono stati definiti “bravi ragazzi”, “padri amorosi”, “persone perbene”. Mostruosamente, gran parte dei media dà pubblicità a questo modello, preciso come un algoritmo, del brav’uomo che di colpo, un pomeriggio d’estate, squarta una donna o affonda una lama nel corpicino di una bimbetta di un anno e mezzo. Con il coro dei vicini e il giornalista corifeo di turno che come in una tragedia greca cantano il “bravo ragazzo” e le sue gesta, come se la vittima in fondo fosse lui. Cercando le sue ragioni e laddove possibile, solidarizzando con lui (“era depresso”, “lei voleva lasciarlo”). E dimenticano le vittime vere, non dicendo quasi nulla di loro se non che erano agnelli perfetti, teneri e biondi, carne indistinta per il sacrificio. E questo nonostante le donne che si occupano da decenni di violenza si siano sgolate a dire che i segni premonitori ci sono sempre, che un femminicidio non nasce mai dal nulla, ma è preceduto da una lunga teoria di violenza, sorda o tenuta muta.
Così anche nel caso di Federico Leonelli salta fuori che il bravo ragazzo era piuttosto fumantino, che aveva una certa ossessione per le armi da taglio, e a quanto pare aveva menato sorella e madre (ma la sorella non dice una parola).
Insomma, un pomeriggio di domenica, in una bella villa all’Eur, un bravo ragazzo ci prova con la “colf ucraina bionda e bella”. La quale inaspettatamente -il rifiuto da parte di una donna, specie se desiderabile, continua a essere un fattore imprevisto, a meno che la donna non intenda essere canonizzata- gli dice di no. Scatenando la furia di lui, furia dell’essere rifiutati che ognuna di noi ha conosciuto, almeno una volta nella vita, benché in forma non fatale visto che siamo qui a raccontarcelo. Dunque, lui le salta addosso e la ammazza. Poi -io il film lo vedo così- il bravo ragazzo comincia freddamente a pensare come liberarsi del fagotto di carne. Più comodo farlo a pezzi. Allora si infila una tuta mimetica e una maschera, perché l’operazione squartamento è piuttosto sporchevole. Impugna una mannaia e comincia dalla testa, come si fa con un pollo. Purtroppo la polizia interrompe il lavoro, chiamata dai vicini di casa allarmati dalle urla della donna. Lui tenta disperatamente la fuga, brandendo la mannaia. Gli uomini delle forze dell’ordine sparano -qui la dinamica andrà chiarita- e l’assassino viene ucciso.
Ecco, per esempio: ma se i direttori dei giornali e delle testate televisive e radiofoniche, che sono quasi tutti uomini, provassero a cambiare prospettiva? Se per esempio partissero da sé, senza delegare alle donne di sbrogliare la matassa, e proprio da quell’esperienza del rifiuto che ognuno di loro avrà sperimentato, e dai sentimenti che hanno provato? Se ci scrivessero un editoriale di proprio pugno, o lo commissionassero al più brillante dei propri opinionisti? Se assumessero fino in fondo la questione maschile?
Perché il no di una donna -o il sì di quella donna a qualcos’altro, anche solo un sì a se stessa e al proprio desiderio-, salvo eccezioni è la costante dei femminicidi. Quei bravi ragazzi, quei goodfellas che picchiano e violentano e perseguitano e uccidono le mogli, le compagne, i figli e le prede occasionali, stanno quasi sempre reagendo a un’esclusione che vivono come intollerabile. Se per una volta cambiassimo algoritmo, se provassimo a scandagliare qui, in questo passaggio comunissimo e delicatissimo -l’esperienza maschile del no femminile-, se cercassimo di capire come in queste circostanze si produce, nei soggetti più deboli, una vera e propria frana psichica, ecco: non faremmo davvero un passo avanti? Non contribuiremmo a salvare la vita di tante donne, vittime designate, prima di essere costretti a parlare di loro in cronaca?

domenica 24 agosto 2014

IO STO con GIOVANNA di Lorella Zanardo

Cara Giovanna, TU NON SEI COLPEVOLE.
Leggiamo della tua vita e abbiamo grande rispetto del tuo privato. Ma della tua terribile vicenda hanno scritto i quotidiani.
Sappiamo che avevi 4 figli/e, che tuo marito ha ucciso Laura e colpito Marika. Sappiamo che avevi lasciato tuo marito perchè ti aveva tradito.
E che lui dopo avere tentato il suicidio ( l'omicidio di Laura è riuscito, il suo suicidio no), ha lasciato un biglietto dove ti comunica che ha ammazzato la vostra bimba per responsabilità tua, perchè volevi lasciarlo.
Giovanna, probabilmente tu non mi conosci ma, per quel che può valere, IO SONO CON TE.
Io immagino cosa diranno oggi al tuo paese, e in Italia: alcuni/e, non tutti/e Giovanna, diranno che lui ha sbagliato, ma che ti amava tanto, era un ottimo padre, e che tu dovevi fare come fanno le brave mogli, soprassedere.
Io immagino Giovanna che prima del tradimento ci saranno stati episodi dolorosi e immagino la fatica di gestire una famiglia con 4 figli/e, iun marito assente e pochi soldi.
Sappi GIOVANNA che qui siamo in tante a sostenerti con rispetto: staremo nell'ombra non invaderemo il tuo dolore. Ma se dovessi avere bisogno affidati a noi: ti daremo il sostegno che meriti.
Il tuo dolorissimo dramma avviene in un momento di faticosissimo cambiamento sociale: tu hai agito nel rispetto della tua dignità, ma sei tra le prme. Fosse accaduto ad una tua antenata avrebbe probabilmente accettato.
C'è bisogno di educazione, scrivevamo ieri, di educare i bambini e le bambine a scuola. E di educare gli uomini che non accettano il cambiamento a cui le coppie stanno andando incontro,
Coppie dove si possa finalmente ESSERE DUE e non UNO con una schiava.
Ti abbraccio Giovanna, non sentirti mai colpevole.
Noi ci siamo.
Con solidarietà

Lorella Zanardo

sabato 23 agosto 2014

Donne a fumetti, consigli per l'estate


Arriva l'estate, qualche giorno di vacanza e finalmente tempo per leggere con calma. Vi proponiamo una selezione di graphic novel: negli ultimi anni i libri illustrati hanno conquistato uno spazio sempre più grande nel mercato editoriale incentivando la produzione di veri e propri romanzi a fumetti, alcuni molto sofisticati, in cui immagini e parole danno vita a storie e personaggi complessi. Abbiamo selezionato per voi una raccolta di biografie per immagini, donne coraggiose, pioniere, donne fuori dagli schemi, vite eccezionali o semplicemente vite che hanno cose da insegnarci sulla nostra società e sull’identità femminile.
Vissero d’arte: la nostra prima scelta ricade su Luisa Casati e Zelda Fitzgerald che interpretarono la propria vita come un’opera d’arte. A seguire tre donne che nelle loro vite l'arte l'hanno cambiata: Kiki de Montparnasse, Isadora Duncan e Billie Holiday. E poi due giornaliste, che non hanno avuto paura di parlare, si sono coraggiosamente opposte ai poteri forti e per questo sono morte: Anna Politkovskaja e Ilaria Alpi che sono oggi l’emblema del diritto all’informazione e alla libertà di stampa. Infine, vi proponiamo due storie che attraverso le parole e le immagini raccontano le vite di Roberta Lanzino e Carmela Cirella, ragazze uccise dalla violenza degli uomini. Per non dimenticare, per imparare a parlarne.

La Casati di Vanna Vinci, ed Rizzoli Lizard

Idolo pagano della Belle Époque, la marchesa Casati torna a sedurre e scioccare il pubblico in un’affascinante biografia a fumetti a opera di Vanna Vinci.È passata alla storia per le sue sconvolgenti apparizioni, per le mises scioccanti e le feste faraoniche: ma Luisa Casati Amman (1881-1957) è stata innanzitutto un’artista il cui unico e più grande obiettivo fu, per tutta la vita, quello di trasformare se stessa in un’opera d’arte. Amante di Gabriele D’Annunzio ma mai succube di alcun uomo, frequentava le più importanti personalità del “bel mondo” (Jean Cocteau e Man Ray, solo per citarne un paio), trascorrendo i propri giorni e le proprie notti tra balli mascherati e straordinari exploit: sono oramai leggendarie le sue apparizioni notturne lungo le calli veneziane (dove la marchesa passeggiava completamente nuda sotto il suo mantello di pelliccia e con un ghepardo al guinzaglio) e le scene di panico scatenate negli hotel di lusso dal suo adorato pitone. Luisa dilapidò nel giro di pochi anni il suo immenso patrimonio, uno dei maggiori d’Europa; egoista ed egocentrica, trascorse la vita a nutrire la propria fama, ma col passare degli anni finì per pagare il prezzo della celebrità sprofondando nel baratro della solitudine. La conturbante Coré rivive con tutto il suo fascino tra le pagine di questa biografia a conferma che “l’età non può appassirla, né l’abitudine rendere insipida la sua infinita varietà”.

Superzelda di Tiziana Lo Porto, Daniele Marotta ed Minimum Fax

Ballerina, pittrice, scrittrice, Zelda Sayre (1900-1948), moglie dello scrittore Francis Scott Fitzgerald, ha incarnato più di ogni sua contemporanea il prototipo della «maschietta», creando un modello di femminilità alternativa e ribelle che è sopravvissuto ben oltre gli Anni Ruggenti - grazie anche alle opere del marito, che a lei si è ispirato nel costruire le eroine più riuscite dei suoi romanzi. Questo graphic novel ne racconta le vicende, dall’infanzia in Alabama, passando per l’incontro con Scott, il matrimonio e la scandalosa luna di miele a New York, e poi i viaggi in Europa e in Africa, le frequentazioni con Ernest Hemingway, Dorothy Parker, John Dos Passos e molti altri protagonisti della scena intellettuale e artistica dell’epoca, fino alla malattia, il ricovero per schizofrenia e la morte in seguito a un drammatico epilogo.
Sceneggiato a partire dai romanzi del marito, e disegnato utilizzando l’iconografia dell’epoca e le foto di famiglia di casa Fitzgerald, Superzelda è il ritratto a fumetti della coppia più spericolata e romantica di quella che Gertrude Stein definì «generazione perduta».

Isadora Duncan di Sabrina Jones, ed NDA Press

Sabrina Jones ha disegnato e scritto una biografia fedele sia nelle immagini (ispirate ai ritratti eseguiti da Abraham Walkowitz) che nei dettagli storici facendo rivivere una donna che ha cambiato la storia della danza liberandola dal ferreo sistema di regole del balletto classico. L’autrice fa rivivere l’artista e la donna facendo emergere i pensieri, l'entusiasmo, l'amore per gli uomini che le sono stati accanto, per la madre e i fratelli, il dolore atroce per la morte dei tre figli, la capacità continua di rinnovarsi, di vivere la vita come una grande avventura e mai come la ricerca di un porto sicuro. Una vita durata cinquant'anni esatti, come si legge nella lapide del cimitero parigino Père Lachaise, dal 1877 al 1927.

Kiki de Montparnasse di José-Louis Bocquet, Catel, ed Excelsior 1881

"Sono rimasta la ragazza sentimentale e piena d'amore che ho dovuto reprimere per tutta la giovinezza". La turbolenta e scandalosa vita di una mitica figura del Novecento in una graphic novel per mesi in testa alle classifiche dei libri più venduti in Francia, ma difficilissima da trovare in Italia, è una vera perla rara.
Nella Montparnasse bohémien e trasgressiva degli anni Venti, Kiki riesce a sfuggire alla miseria diventando una delle figure più carismatiche dell'avanguardia tra le due guerre. Cantante, attrice, cabarettista e compagna di Man Ray, al quale ispirerà le sue fotografie più famose, Kiki sarà immortalata da Kisling, Soutine, Foujita, Modigliani, Calder, Utrillo e Léger. Ma oltre a essere la musa e il fulcro di quella mitica epoca, Kiki è soprattutto una delle prime donne emancipate del secolo. E oltre che per la sua bellezza e la sua indipendenza sessuale e sentimentale, si impone soprattutto per la libertà del suo pensiero e la schiettezza delle sue parole.

Billie Holiday di Munoz Sampayo, ed BD

Billie Holiday era una vera artista e fu un fenomeno sociale negli anni 50. La sua voce unica e carica di emozione e la sua capacità di trasformare qualunque musica nella sua musica la trasformarono in una star dei suoi tempi. Le sue canzoni sono conosciute oggi come ieri. La sua infanzia è dolorosa e violenta, e sarà la sua voce a tirarla fuori dalla prostituzione e a farla diventare una delle prime musiciste nere a esibirsi con musicisti bianchi. Le barriere razziali non caddero però mai del tutto, Billie doveva entrare nei locali dalle porte secondarie quelle riservate ai neri. Ha avuto una vita tormentata e triste, ma ha lasciato un segno profondo nella storia della musica e nella vita di altre cantanti da Janis Joplin a Nina Simone.

Anna Politkovskaja di Francesco Matteuzzi e Elisabetta Benfatto, ed Beccogiallo

Anna Politkovskaja, giornalista tenace e scrittrice appassionata, nasce a New York da genitori sovietici il 30 agosto 1958. Nei suoi articoli e nei suoi libri non ha esitato a condannare il Governo e l’Esercito russo per lo scarso rispetto dimostrato nei confronti dei diritti umani e dello stato di diritto. Conosciuta in particolare per i suoi reportage sulla Cecenia e per la sua vigorosa opposizione a Vladimir Putin, Anna Politkovskaja – più volte minacciata di morte – viene assassinata a Mosca il 7 ottobre 2006. “L’unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede.” Anna Politkovskaja

Ilaria Alpi Marco Rizzo e Francesco Ripoli, ed Beccogiallo

Mogadiscio, 20 marzo 1994. Ilaria Alpi e Miran Hrovatin vengono uccisi da un commando somalo con un colpo di pistola alla testa, si trovavano in Somalia dal 12 marzo. Marco Rizzo e Francesco Ripoli ricostruiscono gli ultimi giorni di vita di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin: il traffico di armi, i rifiuti tossici nocivi e i traffici illeciti. Prefazione di Giovanna Botteri, inviata del TG3 e compagna di scuola di Ilaria con un'intervista a Mariangela Gritta Grainer, consulente della Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla morte di Ilaria.

Io so Carmela di Alessia Di Giovanni e Monica Barengo, ed. Beccogiallo

15 aprile 2007. Carmela Cirella si getta dal settimo piano di un palazzo nel quartiere Paolo VI di Taranto. Aveva 13 anni ed era stata stuprata da più uomini. Abbandonata dalle istituzioni, rinchiusa in un centro di recupero, i suoi violentatori liberi come se mai nulla fosse accaduto. Questo libro a fumetti, basato sul diario di Carmela ritrovato dopo la morte, è un grido d'aiuto, di rabbia e di speranza.“È arrivato il momento di rompere il silenzio e raccontare come è stata gestita la vicenda di nostra figlia, di come le istituzioni l’hanno trattata prima e dopo la sua morte. Sperando che serva a smuovere le coscienze di chi resta inerme di fronte a queste ingiustizie, indegne di un paese che continua a definirsi democratico e civile.” Alfonso Frassanito, papà di CarmelaRealizzato in collaborazione con l’associazione Io so’ Carmela fondata dal padre, affinché tutto questo, in futuro, possa non ripetersi più.

Roberta Lanzino (Ragazza) di C. Costantino e M. Comandini, ed Robineditrice

Roberta Lanzino ha 19 anni, vive con la sua famiglia a Rende (provincia di Cosenza), è una studentessa universitaria al primo anno, studia Scienze economiche, è bella e ha un Sì della Piaggio di colore blu. È il 26 luglio del 1988 e Roberta, va verso la casa al mare. Roberta quella mattina indossa dei jeans blu, una maglietta rosa salmone e gli occhiali da sole. Per questioni di sicurezza Roberta imbocca una strada secondaria. Purtroppo perde l'orientamento, si smarrisce. Due uomini con una Fiat 131 le stanno alle calcagna e al momento giusto le tagliano la strada, la violentano, la colpiscono senza pietà al collo e alla testa con un coltello, conficcandole poi in gola una spallina per strozzare le urla. Muore soffocata, Roberta. Il suo corpo viene ritrovato alle 6.30 del mattino dopo. Le indagini partono subito ma la verità arriverà soltanto nel 2007. Questa è una storia di violenza, di morte, di 'ndrangheta.

Cattive ragazze, di Assia Petricelli e Sergio Riccardi, ed. Sinnos

L’ultimo libro che vi consigliamo è Cattive Ragazze, libro, vincitore del Premio Andersen 2014, è pensato per ragazzi e ragazze delle medie. Sono 15 storie di donne audaci e creative che riempie il vuoto, che molto spesso c’è nei libri di testo, di donne che hanno segnato la storia: da Olimpe De Gouges a Hedy Lamarr diva di Hollywood e scienziata, ad Antonia Masanello l’unica donna a combattere nell’esercito dei Mille insieme a Garibaldi…
«Le storie di questo libro sono storie di libertà. Probabilmente nessuna di queste donne si pensava eccezionale, ma tutte erano determinate. Così, vivendo la loro vita hanno aperto strade nuove o mandato in frantumi tradizioni secolari […]», dall’introduzione di Cecilia D’Elia.

venerdì 22 agosto 2014

Il gesto femminista.Una lettura del libro curato da Ilaria Bussoni e Raffaella Perna


Un libro che riesce a dare una prospettiva storica, radicarsi nel presente ed evitare rigidità ideologica e nostalgia del passato.
Quello curato da Ilaria Bussoni e Raffaella Perna è un libro importante, e per diverse ragioni. Tanto per cominciare, è curato da due giovani studiose che hanno raccolto 16 contributi firmati da altrettante autrici appartenenti a generazioni diverse; pochi i nomi di ‘provata fama’.
Anche se per la maggior parte si tratta di interventi brevi, ve ne sono alcuni assai consistenti; tra questi ultimi si distingue quello con cui si apre il libro di Laura Corradi, tentativo ben riuscito di ricostruire le origini del gesto triangolare con le quattro dita: viene ricordato un convegno a Parigi agli inizi degli anni ‘70, in cui Giovanna Pala, del collettivo Pompeo Magno di Roma, risponde al provocatorio pugno chiuso di un uomo unendo i pollici e gli indici nel gesto famoso, accolta da un’ovazione entusiasta delle donne lì presenti, riprodotta in un numero dalla rivista “Le torchon brule” e in Italia sulla prima pagina de “L’Espresso” formato lenzuolo.
Altrettanto interessanti i contributi delle due curatrici. Il primo, di Ilaria Bussoni, è dedicato a indagare il valore politico-simbolico del gesto con un titolo assai efficace - “E con un gesto le donne si inventarono il sesso”. In esso, a partire dal famoso articolo di Carla Lonzi su donna clitoridea e vaginale, si afferma: “ciò che Lonzi fa è propriamente dare un nome a questo sesso non conteggiato dal precedente regime della visibilità, della dicibilità, anatomica”(p.59). Il saggio di Raffaella Perna (“Politiche del corpo”) si muove con disinvoltura tra artiste attive in un contesto internazionale. Perna ripercorre con ottima capacità di sintesi e buona conoscenza di protagoniste e questioni teoriche in gioco, i complessi meandri di un dibattito divenuto nel tempo assai complesso, tenendosi a distanza assai equilibrata rispetto a movimenti e artiste che negli anni ’70-‘80 assumevano posizioni dogmatiche e di radicalità conflittuale. Uno scambio tra femministe di età e provenienze diverse, riunite a Bologna tra il 2013 e il 2014 nel Collettiva XXX, serve ad arricchire il testo scritto di un effetto orale; indispensabile accompagnamento trattandosi di un lavoro su gesti e sessualità nello spazio pubblico.
Il libro soddisfa a pieni voti quello che, mi sembra, costituisce ormai un complesso di requisiti ineliminabili di produzione critica femminista di buona qualità: una equilibrata amalgama e combinazione tra obiettivi politici deprivata di toni ideologici; rivendicazione senza nostalgie di forti legami con la tradizione degli anni ’70; conoscenza approfondita – non infarinatura giornalistica, urgenza militante, o rivestimento accademico - delle principali questioni di natura teorica che attraversano le politiche e i saperi specialistici. L’insieme di competenze scientifiche ad alto livello - qualcosa che da tempo le generazioni più giovani formatesi nel mondo anglofono o a Utrecht hanno imparato a maneggiare stando all’estero – comincia finalmente a riversarsi nella produzione in lingua italiana, per decenni mortificata dalla presenza sporadica, per decenni poco visibile e penalizzante degli studi di genere nel nostro paese. Accanto alle ricostruzioni autobiografiche, attraverso interviste e memorie scritte, si scava nei fondi e archivi poco conosciuti di artiste e protagoniste spesso note soltanto a cerchie ristrette di amiche/ci e galleriste/i, che dalle ricerche di Marija Gimbutas sulla Grande Madre al Dinner Party ideato da Judy Chicago, giù giù fino ai monologhi di Eve Ensler e all’attivismo delle Femen hanno contribuito a elaborare e diffondere le infinite varianti intorno al tema ‘vaginale’. Il libro – ed è uno dei suoi pregi – solleva molte curiosità e non impone prospettive a senso unico. In primo luogo, ha il merito di cominciare a esplorare con genuino desiderio di indagare in profondità il periodo delle origini del femminismo, dimostrando quanto poco lavoro di ricerca al riguardo sia stato fatto in questi anni. Pur contando con magnifiche biblioteche specializzate (a Bologna), con preziosi depositi di fondi archivistici aperti al pubblico (la Fondazione Badaracco a Milano, il Centro Internazionale a Roma, tra altri), gli studi sulle origini si contano purtroppo sulle dita di una mano, e sfigurano – tenuti da parte gli irraggiungibili risultati raggiunti negli Stati Uniti e nel resto del mondo anglofono negli ultimi cinquant’anni – anche a un semplice confronto con quanto è stato fatto e continua a farsi in Francia, in Spagna, in Olanda, e in molti paesi extra-occidentali. In secondo luogo, invita a fornire ulteriori indagini su contesti extra-romani. Il sud era assai ricco di gruppi di artiste, e così Milano e Torino; cerchiamo di studiare di più questi margini niente affatto marginali.
Com’è giusto che sia, in questa raccolta la parte del leone, anche se sarebbe un errore considerare quest’unica angolatura come quella fondamentale, la fanno le donne impegnate nelle arti visive (critiche, pittrici, scultrici, registe, fotografe, attrici, performers). Centrale è il ruolo svolto dal gruppo di Rivolta femminile, dove militava Carla Accardi, e da Carla Lonzi. Di quest’ultima, in seguito ai più recenti studi sugli anni della formazione e quelli in cui componeva Autoritratto (1969) – le interviste con 9 artisti famosi – si ricostruiscono le vicende che segnarono una svolta radicale nel modo di considerare il lavoro della critica d’arte, e l’abbandono definitivo di Lonzi dalla professione per dedicarsi al femminismo: “Questo libro – scriveva Lonzi in Autoritratto – non intende proporre un feticismo dell’artista, ma richiamarlo in un altro rapporto con la società, negando il ruolo, e perciò il potere, del critico in quanto controllo repressivo sull’arte e gli artisti …”. Arricchita di materiale inedito, la vicenda viene ben ricostruita nel contributo di Vanessa Martini.
Tutto intorno c’era un pullulare di altre iniziative e di molte artiste che si muovevano con grande autonomia, attivissime all’epoca e anche dopo: non-italiane che lavoravano in Italia e italiane trasferite all’estero, insieme a tante intelligenti trait d’union tra mondi solo geograficamente lontani (Suzanne Santoro, Nikki de Saint Phalle, Ketty La Rocca, Francesca Woodman, Mirella Bentivoglio, Anne-Marie Souzeau Boetti, e molte altre). Questo libro contribuisce a farle uscire dalle stanze riservate alle poche adepte/i al mestiere e a rinnovare l’interesse per le loro opere.
Ampiamente illustrato con bellissime immagini, in gran parte dovute ad artiste, registe e fotografe che negli anni ’70 si trovavano soprattutto a Roma - Paola Agosti, Agnese De Donato, Luisa Di Gaetano – dispiace dover lamentare l’assenza di una pagina di semplici dati biografici delle autrici, come anche di una bibliografia e di un indice dei nomi, che ci auguriamo siano aggiunti in una prossima edizione.

giovedì 21 agosto 2014

E' online L'intimo delle donne, il primo open e-book scritto dalle donne italiane per dire basta alla violenza e al femminicidio


E' online L'intimo delle donne, il primo open e-book scritto dalle donne italiane per dire basta alla violenza e al femminicidio Intimo delel donne, femminicidio, crowdsourcing, Saro Trovato, Libreriamo Publishing, Luisa Pronzato, Francesca Barra, Annalisa Monfreda libreriamo.it
Dopo la selezione racconti, finalmente online e distribuito gratuitamente su Internet il primo libro in crowdsourcing scritto dalle donne italiane edito da Libreriamo Publishing. Introduzione a firma del fondatore di Libreriamo Saro Trovato, le prefazioni invece sono di Francesca Barra (giornalista e scrittrice), Annalisa Monfreda (direttrice Donna Moderna) e Luisa Pronzato (coordinatrice 27ma Ora)
E’ online “L’intimo delle donne”, il primo open e-book scritto dalle donne italiane per raccontare ciò che non hanno mai voluto o potuto raccontare, denunciando e mettendo in evidenza disagi, violenze, sfruttamenti a cui sono sottoposte tutti i giorni nel nostro Paese. Dopo il Pendolibro 2013, il libro è il secondo editato da Libreriamo Publishing, che si propone di creare e realizzare volumi in collaborazione con i lettori stessi, facendo leva sulle nuove possibilità offerte dalla rete come il crowdsourcing ed il crowdfunding.
Dopo la selezione dei racconti, tra i numerosissimi pervenuti alla redazione di Libreriamo, arriva finalmente la pubblicazione online e la distribuzione gratuita. All’iniziativa hanno voluto partecipare anche alcune esponenti del mondo del giornalismo e della cultura italiana molto vicine alle tematiche femminili come la giornalista e scrittrice Francesca Barra, la direttrice di Donna moderna Annalisa Monfreda e la coordinatrice della 27ma Ora Luisa Pronzato.
All’interno del libro sono riportate storie e racconti molto introspettivi, vicende che raccontano i sentimenti più profondi delle donne. La maggior parte delle storie trattano di sofferenza e violenza, ma quasi tutte finiscono con un messaggio di speranza. Si parla di storie d’amore finite male, uomini che hanno illuso le proprie compagne. “Con questo libro abbiamo voluto proporre una campagna sociale concreta a favore della tutela e del rispetto delle donne – afferma Saro Trovato, sociologo e fondatore di Libreriamo – Le donne protagoniste del libro, raccontando le proprie storie di vita o di fantasia, hanno contribuito insieme a far emergere in maniera sempre più forte un problema sociale che non dovrebbe esistere in un Paese civile. Con questo libro vogliamo sensibilizzare le donne a non aver paura di denunciare chi fa loro violenza, dare sostegno a chi è rimasto vittima e costruire una “community in rosa” che possa far sentire la propria voce ai media e alle Istituzioni.”
L’intimo delle donne è disponibile per il Download nei formati pdf, epub e mobi, compatibili con tutti gli ereader presenti sul mercato. Basterà scaricare il file sul vostro computer, quindi utilizzare l’applicazione del vostro ereader per inserirlo sul vostro device. non ci resta che ringraziare tutti i partecipanti…ed augurare a tutti buona lettura!

mercoledì 20 agosto 2014

Dalla casalinga alla scienziata: la svolta femminista della Lego


All'inizio dell'anno Charlotte era entrata in un negozio, cercando una confezione di quei "Lego friends" che sono diventati il prodotto di punta dell'azienda danese visto che i mattoncini classici ormai sono in crisi da anni. Charlotte torna a casa e aiutata dal padre scrive alla Lego in Danimarca: "Amo i vostri giochi, ma non mi piace che ci siano più Lego maschili e quasi nessuno femminile. Oggi sono andata in un negozio e ho visto i Lego divisi in due sezioni: rosa per le ragazze e blu per i ragazzi. Tutte le ragazze sono sedute a casa, vanno in spiaggia, fanno shopping e non fanno nessun lavoro.
Mentre i ragazzi vanno all'avventura, lavorano, salvano persone, hanno lavori e nuotano persino con gli squali!". La letterina è del 25 gennaio e si chiude con una richiesta chiara e semplice: "Fate più Lego ragazze e lasciatele andare all'avventura e divertirsi, Ok?! Grazie, Charlotte". Il padre della piccola manda la lettera alla Lego, ma poi la gira a un sito, The Society Pages , da dove diventa virale in pochi giorni.
Potremmo perciò concludere che è, grazie a questa letterina, che da questa settimana la Lego ha messo in vendita una scatola con tre scienziate donna. Si chiama Research Institute, Istituto di Ricerca, e dentro ci sono una paleontologa, un'astrofisica e una chimica, con tanto di scheletro di dinosauro, telescopio e provette. Come dire che una bimba di sette anni ha fatto capire alla Lego che deve cambiare prodotti, perché la cultura del mondo, e anche quella dei bimbi di sette anni, sta cambiando.
Ma la verità è che la letterina di Charlotte ha accelerato un percorso che la Lego aveva già intrapreso e verso il quale spingevano anche scienziate in carne ed ossa. Research Institute infatti è stato ideato dalla geofisica Ellen Kooijman che tempo fa si era connessa a "Lego Ideas" e aveva fatto quello che il sito chiede: condividere idee e progetti con la società di giocattoli.
"Come scienziato donna ho notato due cose sui giocattoli Lego: un rapporto distorto tra le figurine maschili e femminili, tanti uomini e poche donne; e una rappresentazione estremamente stereotipata nelle poche figure femminili presenti". Aveva poi proposto la creazione del laboratorio con le tre scienziate ora in vendita.
L'analisi del rapporto uomo/donna nei giochi Lego era stata affrontata perfino da Scientific American che aveva pubblicato uno studio semi-scientifico sui personaggi della Lego, le percentuali fra i generi e il tipo. Solo un dato: ci sono quattro maschi ogni donna.
Perciò già l'anno scorso la Lego aveva prodotto il suo primo scienziato donna: la professoressa "C. Bodin", vincitrice di un "Premio Nobrick", esperta nel ricollegare gli arti delle figurine Lego che hanno perso un braccio o una gamba. Ma ecco la lettera di Charlotte dà la spinta finale: arrivano le tre scienziate.
Ma, da almeno un anno, bambini come Charlotte hanno trovato genitori che condividevano le loro richieste di parità. Da tempo in Gran Bretagna era partita la campagna "Let Toys Be Toys" (lasciamo che i giocattoli siano giocattoli) per smetterla con la divisione ossessiva che le catene commerciali come Toy R Us e altre fanno tra i prodotti per maschi e femmine.
Charlotte ha chiesto di poter scegliere: voglio poter vedere donne che lavorano e nuotano con gli squali. Lasciate che i giocattoli siano uguali, poi saremo noi bambini a decidere come giocare.

martedì 19 agosto 2014

“SESSISMO, ULTIMA SCONFITTA DEL FEMMINISMO” - L’INGLESE LAURA BATES LANCIA UN BLOG DI DENUNCE IN 19 LINGUE ED È BOOM: OSCENITÀ AL LAVORO O A SCUOLA, RAPPORTI DI FAMIGLIA, OFFESE, COSÌ TANTO INTRECCIATE ALLA QUOTIDIANITÀ DA RISULTARE PERICOLOSAMENTE “NORMALI” Maria Novella De Luca

Battute sprezzanti, complimenti osceni, molestie verbali. La raccolta della discriminazione è nel blog di Laura Bates “Everyday sexism project”: 60 mila denunce in due anni, da tutto il mondo. “Nell’epoca delle pari opportunità, molte conquiste sono diritti, e la discriminazione sta dietro le quinte”...
Sessantamila denunce in due anni. E una folla di donne che ogni giorno continua a raccontare, a svelare e a rivelarsi. Sessismo, soprusi, molestie. Episodi di ordinario razzismo così tanto intrecciati alla quotidianità da risultare pericolosamente “normali”. Come un virus endemico, contagioso, non estirpabile.
«Sei brava — dice l’istruttore di guida — parcheggi come un uomo». Quanto disprezzo c’è in questa battuta, però come si fa a denunciarla, senza sentirsi rispondere, «e che vuoi che sia...». E nemmeno lei, Laura Bates, trentenne femminista inglese, si aspettava che il suo sito, “Everyday sexism project”, lanciato nel 2012, diventasse così popolare. Un grande contenitore in diciannove lingue, dove donne di tutte le età possono inviare le loro short-stories di abusi quotidiani.
Quel modo di essere trattate, guardate e giudicate, che pure nell’epoca delle pari opportunità è la testimonianza invece di un sessismo assai duro a morire, tanto radicato ma anche ormai così tollerato, da mettere in crisi ogni certezza sui diritti acquisiti. Scrive Stella: «Mio padre dice ogni giorno: qui comando io perché lo stipendio di tua madre sono briciole... ».
Come accade quando la Rete mette virtuosamente in luce un bisogno collettivo, il sito-blog lanciato da Laura Bates è diventato a tempo di record un fenomeno sociale. L’incredibile catalogo di un razzismo sottotraccia che condiziona nel silenzio la vita di migliaia di donne. Dall’Australia al Sudafrica, dalla Francia alla Russia, dall’Inghilterra alla Spagna, la molteplicità delle discriminazioni è vastissima, e va dalla battuta a sfondo sessuale alla violenza vera e propria.
Spiega Laura Bates, che la Bbc ha definito quest’anno una delle personalità più influenti d’Inghilterra: «Il mio obiettivo è dimostrare che il sessismo esiste, e non è scomparso come molti vogliono far credere visto che adesso le donne hanno più o meno conquistato la parità. E soprattutto voglio combattere quel modo di pensare per cui se ti arrabbi per un complimento osceno, non hai senso dell’umorismo o sei frigida...».
Insomma nel dibattito rilanciato dai gruppi di giovanissime americane che si definiscono against femminism , Bates sta orgogliosamente dalla parte opposta. Tra chi afferma: attenzione, la restaurazione maschile è sempre in agguato. Anche se altrove è assai peggio che qui.
Ma tra gli episodi estremi del femminicidio, o i simboli planetari di donne ai vertici del potere, esiste nel mezzo un sottobosco di soprusi odiosi che quasi non vengono più denunciati. Ed è ciò che la fondatrice di “Everyday sexism project” rimprovera alle femministe storiche. E cioè che dopo aver vinto molte battaglie sulla parità, abbiano dato per scontata la fine del sessismo.
Invece basta scorrere le pagine italiane del sito per capire di che si tratta. Giovanna riferisce un colloquio di lavoro: «Sai che hanno scelto te perché sei carina? Certo, anche brava, ma all’inizio non si sapeva». Marina: «I miei compagni di classe alle medie dividevano le ragazze tra suore e troie, tutto il resto non contava».
Anonima: «Pausa pranzo tra colleghi della multinazionale in cui lavoro. Uno dichiara: le donne dovrebbero stare tutte a casa. E io: meno male che abbiamo la nostra Ceo che comanda tutti. E lui: sì, una vecchia babbiona...». Francesca: «Mi sto specializzando in cardiologia, indosso un camice dove sopra c’è scritto il mio nome e il mio incarico. Nessuno però mi si rivolge chiamandomi dottoressa, ma apostrofandomi con scusi signorina o ehi bella ». Oppure la stessa noncuranza femminile: «I colleghi mi dicono sempre che belle tette hai, a me fa piacere, che male c’è...».
Nell’universo del sessismo all’italiana, a differenza di quanto si rileva leggendo le storie inviate al sito di Laura Bates da altri Paesi, quello che emerge è la rabbia per una cultura di sottomissione che arriva per via matriarcale. «Sono nata negli anni Ottanta e mia nonna con l’approvazione di mia madre mi ha regalato il corredo da sposa. Negli anni Ottanta...». Poi: «Impara a fare il letto e a gestire la casa altrimenti tuo marito ti caccerà a calci».
Echi di altre epoche che pure segnano infanzie e giovinezze. Carmen Leccardi insegna Sociologia all’università Bicocca di Milano, e dirige il centro di ricerca “Culture di genere”: «Oggi gli stereotipi e i pregiudizi non sono più frontali, hanno una veste più subdola e nascosta.
Viviamo nell’epoca delle pari opportunità, molte conquiste sono diventate diritti, pochi nel nostro mondo si azzardano a negarle pubblicamente. Ma la discriminazione si annida dietro le quinte, nelle relazioni interpersonali, la libertà femminile incontra resistenze profonde anche nei giovani uomini. Allo stesso tempo le ragazze non hanno più una visione di contrapposizione rispetto ai maschi, come poteva accadere alle loro madri. Sono più duttili ma assai più consapevoli delle nuove forme di sessismo e machismo».
 Quelle descritte ad esempio nella pagina inglese del sito di Laura Bates, definitivamente consacrata sul Financial Times come icona del femminismo contemporaneo, nonostante il dichiarato scetticismo di figure cult come Germaine Green sull’efficacia del suo “sexism project”. Testimonianza di J. W: «Vado in un autosalone con un amico per cercare una nuova macchina. Io faccio le domande ma il commesso risponde rivolgendosi al mio amico ».
Sara: «Sono una studentessa e prendo la metro negli orari più affollati. Un pomeriggio un uomo mi si incolla dietro, mi giro, vedo che ride e mi mostra la sua erezione ». Daisy: «Un ragazzino mi si avvicina al parco mentre faccio jogging: posso scoparti?». Alia: «Preparo un sandwich per mio padre. Lui lo assaggia dice: brava, sarai un’ottima moglie domani. Nemmeno una parola per ricordare che io ho già pubblicato un libro». Paula: «Lavoro in un ufficio di soli uomini. Spesso mi fanno battute oscene davanti al capo, che ride. La cosa più grave che hanno detto è stata: devo violentarti subito non posso aspettare la fine del turno... ».
Al nuovo sessismo ai tempi della parità di genere la sociologa Chiara Volpato ha dedicato diversi saggi, tra cui il fondamentale “Psicopatologia del maschilismo”. «Oggi la discriminazione ha una faccia più sottile, è quella fatica in più che le ragazze devono fare per affermarsi. Il sessismo — dice Volpato — è obbligare una adolescente a cambiare strada perché davanti a quel bar le dicono battute oscene, è nelle scelte delle aziende assumono più i maschi delle femmine... Ma è anche nella fragilità delle donne stesse, soprattutto le più giovani, che per sentirsi sicure cercano l’approvazione negli occhi di un uomo».