mercoledì 30 dicembre 2015

Le 25 donne piu toste del 2015

Il 2015 è stato l'anno delle donne badass, cioè forti, toste, fiere, come le chiama il Badass Woman Alert l'account twitter nato per celebrare, come si legge sul web, donne toste che fanno grandi cose. Persone in realtà comuni, come potremmo essere tutte noi, che però sono riuscite a fare la differenza sul posto di lavoro, nel quartiere in cui vivono e nella società in generale, dimostrando che in diverse parti del mondo ci vuole del coraggio per essere donne. Grazie a questo nuovo modo di parlare al femminile, ripreso anche dal Calendario Pirelli di quest'anno che speriamo faccia scuola per aver preferito storie di vita ad icone di bellezza, abbiamo conosciuto tante storie, volti e progetti in cui sono coinvolte o di cui, più spesso, queste donne sono fondatrici.
. Nella gallery abbiamo raccolto le storie più toste di quest'anno scelte dal Badass Woman Alert e abbiamo aggiunto le nostre personalissime donne badass tra cui tre italiane: dalla cooperativa tutta al femminile di Carrara che ha dato un posto di lavoro ad un gruppo di pescatrici donne, alle ragazze di Torino che scrivendo sul proprio corpo nudo combattono gli stereotipi sull'omossessualità femminile, e tante altre storie di cui speriamo di sentir sempre più parlare. 

Guarda la gallery per conoscere le 25 donne più toste del 2015
http://d.repubblica.it/attualita/2015/12/21/foto/donne_piu_forti_del_2015_badass_women-2895839/22/

martedì 29 dicembre 2015

Gli amori degli uomini e delle donne. Un augurio per il Nuovo Anno di Lea Melandri

“C’è nell’amore una terribile necessità” (Agnese Seranis). 

Quando gli uomini riusciranno a svelare, come ha fatto Sibilla Aleramo, per sé e per le donne che sono venute dopo, quale “terribile necessità” si cela nel loro modo di amare , avremo sicuramente un’umanità migliore, meno sofferenza nelle relazioni amorose per entrambi i sessi.

SIBILLA ALERAMO .Frammenti di lucida intuizione 
o piuttosto: una ‘lectio magistralis’ sul sogno d’amore come la suprema, perché la più invisibile delle violenze simboliche.

“Indicibile metamorfosi dell’amore in tenerezza, passaggio incalcolato dalla libertà alla schiavitù, volere in ombra, ticchettio dell’orologio, ticchettio uguale dell’orologio.”

“Come era così passato dalla sua cupa negazione umana a tanta ferma fede? Non per la bellezza dell’anima mia, ch’egli non la sentiva, come sentiva invece ogni sera ed ogni mattina il mio corpo, ché gli era, questo sì davvero, simile al pezzo di terra che ci sostenta…”

“Sensazione costante della donna moderna della propria sopravvivenza: esteriore aggraziato che implica debolezza e schiavitù, impulsi intimi di dedizione, compiacenza nel donarsi e nel far felice l’essere amato anche senza gioia propria. 1908”.

“Nessuna di quelle che voi ritenete leggi morali è stata scoperta, creata dalla donna.”

“Senso interiore di disprezzo per se stessi e di considerazione esagerata per gli oppressori, amore e odio insieme.”

“Il bisogno di esaltazione e d’adorazione dell’uomo amato, e la gelosia e il terrore folle che quest’uomo così innalzatosi la trascuri.”

“Ma ecco, questo me, col suo istinto d’amore, di bellezza, di armonia, è infinitamente tirannico, ed esige, per sé solo, i più folli sforzi (…) Io sono la schiava del mio istinto di grandezza.”

“Era necessario ch’io mi foggiassi illudendomi di foggiare altrui, ch’io mi accanissi, come tu mi hai scritto, a costruire su sabbie mobili: cercavo unicamente me stessa.”

“Ero schiava della mia forza: della mia creatrice immaginazione ormai (…) Il mio potere era questo: far trovare buona la vita (..) La mia forza era di conservare tal potere, anche se dal mio canto perdessi ogni miraggio. Amore senza perché. Senza soggetto quasi.”

“Non hai bisogno della mia anima…gli dicevo guardandolo dormire…e perché dovresti accorgerti che soffre? Hai la tua da alimentare, da conservare, da difendere. Ci credi uno e siamo due. Sei tu al centro del mondo, tu con la tua visione ormai immobile nella casa ben salda della tua mente. Ti mancava solo questo, povero bimbo grande, l’equilibrio organico,e con me l’hai ottenuto (…) Tale è il tuo amore, senza struggente sete di dedizione, senza voluttà di sconfinamento. Non sai la vertigine di me che son pronta a sparire se tu lo voglia, se debbo farlo, se lo esige la tua missione, il tuo maggior bene. Questo annegare lucido del mio essere…”

“E se tu fossi una creazione del mio desiderio? (…) Scrivo d’essi, vedi, come fossero invenzioni della fantasia. Personaggi irreali, foggiati, come la bambola di Villiers de l’Isle Adam, dalla mia scienza e dal mio gusto, per me sola (…) E invero c’è un elemento misterioso negli incontri da me fatti, non so qual mia collaborazione alla sorte.”

“Perché domandavo follemente a lui tutto l’amore che mancava alla mia vita?”

“Sforzo di ricerca di se stesse, lungi da tutto ciò che esse hanno amato e in cui hanno creduto: tragicamente autonome.”

“La donna non è mai stata una vera e propria individualità: o si è adattata a piacere all’uomo, non solo fisicamente ma anche moralmente, senza ascoltare i comandi del suo organismo e della sua psiche; o gli si è ribellata copiandolo, allontanandosi ancor di più dalla conquista suo io.”

lunedì 28 dicembre 2015

domenica 27 dicembre 2015

Come cambia la vita delle donne?






Come siamo cambiate negli ultimi dieci anni? Risponde il volume Come cambia la vita delle donne appena diffuso dall'Istat in formato e-book che indaga com'è cambiato il ruolo delle donne e il loro contesto di vita nella famiglia, nel mondo del lavoro e nella società. Il testo, aggiornato al decennio 2004-2014, esce a più di dieci anni di distanza dalla prima pubblicazione dedicata alla condizione delle donne in Italia.

"La disponibilità di un nuovo e più aggiornato patrimonio informativo rispetto al passato ha consentito di rappresentare in modo più articolato l'immagine femminile, grazie all'inclusione di temi quali la povertà assoluta, la contraccezione, la violenza contro le donne, gli stereotipi di genere" spiega l'Istat. "Le analisi presentate ripercorrono le diverse fasi della vita ed evidenziano la pluralità dei ruoli femminili facendo emergere i risultati conseguiti nell'istruzione, la fruizione culturale, il rapporto con le nuove tecnologie, il ruolo nel mercato del lavoro, la divisione dei ruoli, le strategie di conciliazione del lavoro e dei tempi di vita, le condizioni economiche, la salute".

Leggi l'e-book Come cambia la vita delle donne
Come cambia la vita delle donne

sabato 26 dicembre 2015

A voi tutte il mio pensiero. Dale@noinoncistiamo



Ora il mio pensiero in questi giorni di " consumo" (come direbbe Pasolini) va a tutte le donne e le bambine. 
Alle donne e alle bambine vittime di tratta, di schiavitù, di violenza. 
Penso a tutte le donne e alle bambine nel mondo: alle afgane, alle africane, alle migranti, alle donne costrette a scappare, alle profughe, alle bambine ragazzine delle favelas brasiliane, alle donne yazide, alle meno fortunate, sole, vittime della follia e delle ingiustizie di questo mondo. 
A tutte le donne che questo mondo non sa amare e rispettare. A voi tutte il mio pensiero. 
Dale@noinoncistiamo

mercoledì 23 dicembre 2015

AUGURI DA TUTTE NOI


Una donna sarebbe in grado di fare il lavoro di Babbo Natale?


L’agenzia di comunicazione Anomaly ha chiesto a un gruppo di bambini britannici se il mestiere di Babbo Natale potrebbe essere svolto da una donna.
La maggior parte di loro ha risposto di no. 
Tra le motivazioni della risposta negativa: «Perché si perderebbe nel cielo», ha detto un bambino.
Altri bambini temevano che se Babbo Natale fosse una donna avrebbe dei figli che potrebbero rompere i giochi prima che vengano consegnati. 
Un altro ha spiegato che probabilmente Mamma Natale non sarebbe in grado di fare la consegna senza aver visto come la fa Babbo Natale.
All’ultimo bambino del video viene chiesto quale sarebbe, secondo lui, la cosa che un’eventuale Mamma Natale saprebbe fare meglio. La risposta: «Cucinare».
Anomaly è l’agenzia che ha promosso la campagna contro la disuguaglianza di genere #MoreWomen.
Stuart Smith, uno dei soci dell’agenzia, spiega com’è nata l’idea del video: «Abbiamo fatto un test chiedendo ai miei figli [se il mestiere di Babbo Natale potrebbe essere svolto da una donna], e le risposte sono state spiacevolmente sorprendenti. Eravamo partiti da uno scherzo, ma è emersa una questione seria: chi e che cosa plasma la percezione dei generi dei nostri figli?»
Aggiunge Alex Holder, un altro socio di Anomaly: «Vogliamo che le persone riflettano sulla carenza di figure di riferimento e modelli femminili forti: quale miglior punto di inizio se non il Capo del Natale?»

martedì 22 dicembre 2015

Caro papà, ti ringrazio

"Caro papà, ti ringrazio di avere cura di me così bene, anche se non sono ancora nata. Lo so che hai già tentato più duramente di Superman di impedire alla mamma di mangiare sushi ma ho bisogno di un favore. Ti avviso, riguarda i ragazzi, perché, vedi, io nascerò femmina e questo significa che entro i 14 anni i ragazzi della mia classe mi avranno già chiamata "puttana", "cagna", "fica" e altro del genere, solo per divertimento, certo. Cose che i ragazzi fanno e tu non te ne preoccuperai e lo capisco. Forse hai fatto la stessa cosa da giovane, per impressionare i tuoi amici. Per voi era solo uno scherzo ma, ironicamente, proprio alcuni dei ragazzi non capiranno ed entro i 16 anni un paio di loro avrà già provato ad infilarmi le mani nei pantaloni quando sarò tanto ubriaca da non potermi opporre e quando avrò detto di no si saranno limitati a ridere. Si fa solo per ridere, no? Se tu potessi vedermi in quei momenti, papà, capiresti quanto mi vergogno per essere stata ubriaca. Non c'è da stupirsi se sarò stuprata entro i 21 anni, tornando a casa in un taxi guidato dal figlio di un ragazzo col quale andavi in piscina ogni mercoledì, il ragazzo che ha sempre raccontato barzellette offensive, ma erano solo battute e così ci hai riso sopra. Come potevi sapere che suo figlio mi avrebbe stuprata? Era solo un ragazzo che raccontava strane barzellette e, comunque, non era affar tuo, lui stava solo facendo il simpatico. Ma suo figlio, allevato con queste battute, è diventato un mio problema. 
E alla fine incontrerò l'uomo perfetto e tu sarai contento per me, papà, perché lui mi adora davvero, ed è intelligente, ha un buon lavoro e durante l'inverno pratica sci di fondo tre volte a settimana, proprio come te. Ma un giorno smetterà di essere Mr. Perfezione e non capirò perché. Mi chiederò se sto reagendo in maniera spropositata, del resto, lo sai, non sono il tipo della vittima. Sono stata allevata per essere una donna forte ed indipendente. Ma una notte lui dirà di non poterne più,... il lavoro, i parenti acquisiti e il matrimonio incombente,... così mi chiamerà "puttana", proprio come hai fatto tu ad una ragazza una volta a scuola, e poi un giorno mi colpirà. Beh, voglio dire, sono io quella da biasimare, sai, a volte so essere davvero stronza e sono confusa, siamo ancora una bella coppia e lo amo e lo odio e non sono veramente sicura d'aver fatto qualcosa di male...e un giorno lui quasi mi ucciderà e tutto diventerà buio. Anche se ho un dottorato e un lavoro fantastico, sono amata dai miei amici e dalla mia famiglia ed ho ricevuto un'ottima educazione, questa cosa non l'avevo prevista. 
Caro papà, questo è il favore che voglio chiederti: una cosa conduce sempre ad un'altra, perciò, per favore, ferma questa cosa prima ancora che cominci. Non lasciare che i miei fratelli chiamino le ragazze "puttana" perché non lo sono e un giorno qualche ragazzino potrebbe pensare che invece è vero. Non accettare battute offensive dai coetanei in piscina, nemmeno dagli amici, perché dietro queste battute c'è sempre un po' di convinzione. 
Caro papà, so che mi proteggerai da leoni, tigri, pistole, auto e persino dal sushi senza neppure pensare alla tua incolumità, ma, caro papà, io nascerò una bambina. Per favore, fa tutto quello che puoi per evitare che il fatto che io nasca femmina non sia il pericolo più grande di tutti. "

"Dear Dad, I'm Going To Be Called A Whore." Her Powerful Video Is Now Moving Millions.

Everyone needs to see this.
NEWSNER.COM

lunedì 21 dicembre 2015

miss dolcetto alla fragola di Cristina Obber

Sono andata dalla parrucchiera oggi.
Mentre mi pettinava, sfogliavo una rivista. A un certo punto mi sono imbattuta in un servizio fotografico di abbigliamento per l’infanzia, abbigliamento perfetto per il Natale in arrivo. Alla bambina che vedete qui a lato, ho sbiancato io il volto con Photoshop; non mi sentivo di pubblicare i suoi occhi vivi e il suo bel sorriso di bimba. E non solo perchè minorenne, visto che si tratta di una foto già pubblica.
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L’ho sbiancata per pudore, per rispetto di quella sua infanzia che nulla ha a che fare con quelle cosce scoperte quanto basta per togliere a questa immagine l’innocenza. Sarò bacchettona? Forse. O forse so riconoscere la malizia. Ho fatto spesso dei ritratti, anche a bambini e bambine. E questa foto, se il vestito si fosse sollevato per caso, l’avrei scartata. Ma nulla è lasciato al caso quando si scelgono le foto da pubblicare su un settimanale. E allora mi viene il sospetto che quel vestito sia stato sollevato, che a qualcuno piaccia, perchè le bambine soltanto bambine non vanno di moda.
Oggi bisogna fingere di essere più grandi, di essere “altro”, di accontentare lo sguardo malizioso di chi dai bambini non vuole soltanto vitalità e innocenza. Che questa innocenza vuole carpire, commercializzare, sporcare. Che vuole oggettivizzare e chiama una bambina Miss dolcetto.
La moda, la pubblicità, ostentano un’infanzia che cresce in fretta, che scimmiotta gli adulti negli atteggiamenti, che veste e si atteggia come se a 9 o 10 anni si fosse non più bambine ma adolescenti in miniatura, piccole lolite pronte a stuzzicare le fantasie maschili che ci vogliono, sempre più precocemente, oggetto di qualche desiderio. Un dolcetto si assapora.
Sono forme più subdole di violenza, che hanno molto più a che fare di quello che pensiamo con le tante storie che giustificano, comprendono, spalleggiano la pedofilia.
Chi mi segue ricorderà quanto ho combattuto contro la sentenza di Catanzaro che parlava di “relazione amorosa” tra una bambina di 11 anni e l’assistente sociale che l’aveva in custodia, di 60 anni. Perchè non si parlava di abuso sessuale in quella sentenza? Perchè si dava per possibile che a 11 anni una bambina potesse davvero innamorarsi di un vecchio?
Perchè il confine tra infanzia ed età adulta è sempre più labile, perchè guardiamo ai bambini e soprattutto alle bambine con uno sguardo sempre meno pulito, sempre meno rispettoso. Anche attraverso uno spot, anche attraverso un carrello, un albero di Natale e una bambina che mostra le cosce giusto giusto fino a poco prima delle mutandine.
Quale la nostra responsabilità?
L’ho sbiancato il volto di questa bambina, è il mio modo di chiederle scusa.

domenica 20 dicembre 2015

A Natale regalate giocattoli, non stereotipi di Claudia Carotenuto

“Dal giorno in cui nascono i bambini sono circondati dai luoghi comuni . Ma è davvero così quando iniziano a giocare?”

Inizia così lo spot di U, una catena di negozi di giocattoli francese, che per promuovere il catalogo di quest’anno vuole che, almeno a Natale, i bambini siano liberi dai pregiudizi.
gender, bambini, natale
Il video inizia con una serie di interviste ad alcuni bimbi che raccontano la differenza tra uomo e donna, così come gli stata insegnata. «Alle femmine piace il rosa, ai maschi il blu» dice una bellissima bambina bionda vestita di rosa da capo a piedi.

«I papà non sanno come si crescono i bambini, vanno a lavoro e fanno i soldi», dice un’altra. E ancora: «i maschi giocano a calcio e con le pistole, le femmine hanno il set di tazzine per prendere il tè. Alle femmine piace la cucina, ai maschi i super eroi. Se il castello è rosa allora è per le femmine».

Poi lo spot si chiede: “è davvero così quando iniziano a giocare?” Gli stessi bambini vengono lasciati liberi in una specie di “paese dei balocchi”:una stanza enorme con tutti i tipi di giocattoli possibili. Ed è qui che arriva il bello. Ci sono femminucce che si precipitano sui trapani e le macchinine e maschietti che si divertono a fingere di cucinare.

“La catena U ha deciso di creare un catalogo di Natale libero dagli stereotipi sulla differenza di genere, dove non ci sono giocattoli per femmine e giocattoli per maschi. Ma solo giocattoli”, recita lo spot, “regalate ai vostri figli l’immagine di un mondo migliore, questo è il Natale”.

Questa è (oltre ad una intelligente strategia di marketing) una grande prova di umanità. Al di là del dibattito sul Gender (qualunque cosa significhi), al di là se sia giusto o sbagliato assecondare tendenze diverse da quelle stereotipate, qui si parla di bambini.

I bambini sono tutti uguali, sempre. Ci si sgola tanto per difendere i diritti dei bambini del terzo mondo, ammalati ed affamati, perché sono bambini come i nostri. Ma troppo spesso il terzo mondo siamo noi. Costringere, nel ventunesimo secolo i bambini a sottostare agli stereotipi del Medioevo è una cosa ridicola. Quando si nega ad un bambino un giocattolo solo perché “è un giocattolo da femmina, tu sei maschio” gli si fa una violenza enorme ed ingiustificata.

Che importa se quelle bigotte delle mamme degli altri bambini storcono il naso. Non importa se da grande quel bambino vorrà sposare un uomo oppure sarà uno chef stellato, che già da piccolo si cimentava con le cucine giocattolo. Importa il qui ed ora. E qui è Natale ed ora sono solo dei bambini.

Regalate loro quello che desiderano, non ve ne pentirete.

sabato 19 dicembre 2015

Lettera aperta al Sindaco di Corsico

Signor Sindaco,
abbiamo seguito il dibattito che si è sviluppato in città attorno alla sua decisione di escludere dal 7 gennaio 486 alunne e alunni dal servizio mensa e dall'accesso ai nidi ed alle scuole materne comunali perché le famiglie non pagano le rette e riteniamo di doverLe esprimere la nostra opinione in qualità  di cittadine di questo Comune.  
Non conosciamo i dettagli delle insolvenze al cui interno certamente ci saranno dei furbetti e delle furbette, oltre a chi ha seri e veri problemi economici; 
pensiamo che i servizi vadano pagati in proporzione ai redditi, con particolare attenzione per i casi di accertata difficoltà economica, e siamo altresì convinte che chi amministra abbia il dovere di seguire tutte le vie legali per far rispettare le norme.
Non condividiamo il metodo con cui Lei intende affrontare la questione perché penalizza i minori e le minori, scarica sulle loro spalle un peso gigantesco e interferisce nelle relazione all'interno del gruppo classe e della scuola.  
Non possiamo immaginare che alunne e alunni, separati dalla classe di appartenenza che va in mensa, vengano  lasciate e lasciati in aula o in un altro luogo della scuola a consumare il pasto freddo portato da casa o sia loro negato l'accesso al nido ed alla scuola materna.
Ci sembra una ingiusta, inaccettabile e sbrigativa soluzione di una questione complessa, complicata e delicata per i soggetti coinvolti.
Il pugno duro che Lei, Signor Sindaco, intende usare colpisce “figli e figlie” che pagano le colpe, vere o presunte, “dei padri e delle madri”.
Vogliamo focalizzare l'attenzione sul fatto che bambine e bambini devono essere tenuti fuori dai problemi la cui soluzione va cercata fra adulte e adulti: varcato il cancello della scuola, istituzione preposta all'unione e non alla separazione, deve valere il principio dell'uguaglianza dei diritti fondamentali sancita dalla Costituzione Italiana.
Speriamo che nelle scuole della nostra città che hanno ricevuto dalle Sue mani il Presepe carico di tutti i suoi positivi simboli, il 6 gennaio i Re Magi, e Saggi, portino ai bambini e alle bambine di Corsico il dono dell'accoglienza, della solidarietà e dell'armonia.
Porgiamo i nostri saluti.

Corsico 18 dicembre 2015
ventunesimodonna@gmail.com

venerdì 18 dicembre 2015

La parità è un gioco da ragazze(i) di Federica Gentile e Laura Ribotta

Se per il Natale 2014 le famiglie italiane hanno ridotto i consumi del 5%, tuttavia gli acquisti  di giocattoli han tenuto botta; e si capisce, vuoi mica privare le creature di quel milionesimo pezzettino di lego o delirio di tulle di costume da principessa, senza vie di mezzo tra super femmina o virile maschio?
Ironia a parte, è curioso notare come aumenti l’uguaglianza tra i generi (pianino pianino) ma aumenti anche la differenziazione dei giocattoli per genere. Secondo L’Atlantic i giocattoli sono più suddivisi per genere oggi che 50 anni fa.
E se nei negozi di giochi di solito la prima domanda che viene fatta da commessi e  commesse quando si chiede un consiglio per un giocattolo è “ è per un bimbo o una bimba?”  l’autrice dell’articolo sottolinea: “mentre il genere è  il concetto che viene tradizionalmente usato per dividere i mercati target, l’industria dei giochi ( che è principalmente gestita da uomini) potrebbe categorizzare i propri clienti in molti altri modi – in termini di età e interessi, per esempio. […] Comunque, l’affidarci alla categorizzazione per genere viene dall’alto: non ho trovato evidenza che I trend degli ultimi 40 anni [in termini di divisione per genere dei giochi] siano il risultato di una domanda dei consumatori.”
Peraltro, come sottolineano nella campagna Let toys be toys in UK, se i giochi considerati  da bambine – come  giocare con le  bambole - sviluppano empatia e capacità di  cura, i giochi considerati maschili  - costruzioni, etc - aiutano a sviluppare le capacità di coordinazione  e di analisi e sia i bambini che le bambine, se limitati nelle loro scelte, si perdono la capacità di svilupparsi in modo armonioso.
Anche le femministe francesi si sono schierate contro il sessismo nei giocattoli e l’anno scorso il gruppo FierEs a Parigi  ha inserito in circa 500 giocattoli come pistole di plastica e barbie un fogliettino che dichiarava: “Questo gioco è sessista”.
Ora, mi sarebbe piaciuto assistere alle conversazioni in seguito alla scoperta dei foglietti da parte di bimbe e bimbe. Come spiegare il sessismo sotto l’albero di Natale…
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Comunque, che fare? Fare la guerra dura ai robot e alle principesse rischiando traumi perenni ai pargoletti e pargolette?
No, propendiamo per un approccio più soft, ed è qui che Laura Ribotta, lettrice di Ladynomics nonché blogger a Telelavoratrice felice, e madre di 3 creature, ci viene in aiuto con alternative non solo unisex, ma anche adatte alla famiglia intera.
​Cosa regalare ad un bimbo a Natale? Se guardo nella camere dei miei tre figli, penso a cosa potrei dare via, più che altro. A Natale però il regalo ci va eccome...e se gioco deve essere che sia utile ed educativo.
Allora vi presento qualche idea di regalo "antistereotipo" per maschietti, che va bene anche per femminucce.
Un bellissimo gioco che io e miei piccoli (Matilde 7 anni e Giovanni 4) abbiamo provato ad una fiera è: Filò:. In questo caso l'ago è sostituito da una penna e poi via si disegna su una tavola preforata...ancora più semplice all'uso la versione "tablet": Quel giorno per riuscire a provarlo abbiamo fatto a pugni con un certo numero di bambini maschi e femmine e nessuno voleva cedere il posto una volta conquistato: gradimento elevato per tutti.
Per i più grandi perchè non regalare un set per cucirsi il proprio pupazzo da soli? Questa è un'idea della mia figlia grande (Elisabetta 10 anni). Cercando sul web la proposta commerciale è il kit Perro Milo:
Secondo Elisabetta sarebbe però più bello poter cucire un personaggio di cui il bambino è appassionato...per Giovanni per esempio Capitan America. Non esiste sul mercato? Basta comprarsi del feltro blu, rosso e bianco, scaricarsi un modello e lasciare il bordo esterno da cucire (i particolari si possono preincollare con colla caldo). Si completa il set con un ago a cruna grande, fili del colore giusto in una scatola decorata a dovere. Risparmio e creatività assicurati!
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​Tra figli e nipoti, devo ancora trovare un bambino a cui non piaccia affondare le mani in un morbido impasto. A casa mia parte sempre la guerra su chi deve rompere le uova o rimescolare intrugli. Un regalo, che ho sia ricevuto che donato con successo, sono gli attrezzi per cucina a misura di bimbo e meravigliosi grembiuli e cappelli da cuoco. Per esempio sia da Ikea che da Imaginarium ne trovate parecchi. Vi sembra poco? Regalate anche pasta di zucchero o marzapane colorato, meglio del pongo anche perché sparisce nella pancia di qualcuno!
Un gioco che ci ha seriamente unito come famiglia è invece Pixel Photo: potete decidere la foto che volete ( visi in primo piano vengono meglio) e realizzarla su un quadro con minuscoli chiodini. È un gioco che dà dipendenza: non avvicinatevi se avete lavori urgenti da fare, è difficile smettere. Noi abbiamo realizzato il faccione di Giovanni, una mia amica i figli che si abbracciano. Quest'ultima ipotesi ha un vantaggio: quando i bambini si stanno dando botte da orbi, potete sempre girarti verso il quadro, tapparvi le orecchie e credere che il mondo sia migliore.
Infine vi presento una proposta sulla tecnologia di stampa in 3D a portata di bambino.
Da questo sito http://www.imaginarium.it/imaginieer.htm i bambini potranno progettare una macchinina, un bracciale o un ciondolo e poi richiederne la stampa in 3D che verrà spedita a casa.
Avete ancora dubbi su cosa regalare? Allora buttatevi sui colori: a tempera, acrilici, acquerelli...non smettiamo mai di colorare la vita!

giovedì 17 dicembre 2015

Le modelle bambine da Paroladistrega


C’è stata la settimana della moda a Milano. Sfilate sulle varie passerelle, con i vari stilisti, delle varie case di moda, con le varie proposte. Ma non è questo che mi interessa, qui. Per carità, a me la moda piace. Sono una che va a caccia della scarpa che ha sognato la notte, perché deve trovarla esattamente così, quando si sveglia e va in giro in una decina di negozi. La moda mi piace eccome. Sono una femminista che porta il tacco 12 e pure 14, io.
Detto questo. Detto tutto il bene possibile di un settore che crea lavoro per giovani e non solo, che crea indotto, che crea esportazione, che rappresenta benissimo il nostro Paese all’estero…. detto questo. Dico pure che ho visto le foto delle sfilate. E sotto il vestito non c’era niente. Sì, “sotto il vestito niente”. Forse il messaggio degli stilisti è questo? Che dobbiamo vedere solo i vestiti, senza tener conto delle donne-manichino che li indossano?
Molte di noi, molte femministe, si scagliano contro il fatto che queste modelle siano magre, troppo magre, eccessivamente magre. Io non focalizzo solo o soprattutto su questo, perché da donna magra (taglia 40) che mangia come uno scaricatore di porto, capisco che possano anche esistere donne come me , magre ma felicemente amanti della pasta, della pizza, della cioccolata. Non esistono solo le formose, esistono anche quelle magre. L’eccesso non va mai bene, ma le donne magre hanno diritto di respirare come le altre.
Non voglio quindi fare come nella bottega del macellaio e soppesare un tanto al chilo: magra-grassa-secca-formosa… Non mi piace fare così. Ciascuna ha la propria costituzione. Ovviamente, senza entrare nello specifico di disturbi dell’alimentazione come l’anoressia: allora lì sono problemi seri.
Qui, vorrei sottolineare ben altro di quelle foto di moda. Vorrei riflettere sul fatto che  vedo spesso (non sempre, ma spesso) delle MODELLE BAMBINE- ADOLESCENTI (ad occhio e croce di 14-15 anni). E la cosa che mi dà fastidio nell’osservarle, sono i loro visi, non i loro corpi magri. Vedo visi truccatissimi come maschere teatrali, con capelli cotonati, occhiali da sole grandi come il loro viso. Finte, troppo finte. E il loro sguardo, fisso nel vuoto, senza un cenno di sorriso. Tutto senza emozioni, senza vita, come bloccato. Sembrano bambole di plastica.
Perché, mi chiedo, usare della bambine? Perché i loro bellissimi visi sono senza una ruga, senza occhiaie, senza imperfezioni? Va bene. Ma le donne che poi comprano abiti non sono bambine. Sono donne.
Io sono di una generazione diversa: quando ho iniziato ad appassionarmi di moda, da ragazzina, le modelle erano Naomi Campbell, Claudia Schiffer, Cindy Crawford, Monica Bellucci. Ragazze grandi, con una presenza sul palco da star. Con fisici mozzafiato, non magrissimi. Con carattere, forte personalità. Sono state le dive della moda.  Per me, le donne della moda erano e rimangono quelle. Con le loro gote, i loro sorrisi, gli occhi che perforano lo schermo. Vive. Non manichini.
Ora, da anni ormai, questo “uso” delle BAMBINE MODELLE mi fa davvero tristezza. Perché non fa bene alla moda, non fa bene al sistema socio-culturale (la moda è anche cultura), non fa bene ai consumatori. Soprattutto non fa bene a tutte quelle bambine “normali” che si identificano con queste bambine-modelle.
Perché il pericolo dell’identificazione non esiste per noi donne adulte. Ma per le bambine, per le ragazzine, sì, esiste.
E oltre a quei corpi magri, io temo quegli sguardi da avatar, fissi, senza vita. Quello scimmiottare il mondo adulto. Quel voler essere grandi a tutti i costi. Quell’annullare l’infanzia e l’adolescenza come se non servissero. Tolto il pannolone, ecco fatto che si è donne. Due chili di mascara, tacco alto, borsa griffata e sono pronte per affrontare il mondo. Non mi piace. Il messaggio che passa non è giusto.
Quegli abiti bellissimi dovrebbero essere indossati da donne. Le bambine vanno lasciate stare. Fatele giocare, fatele sognare. Non usatele come manichini senza vita.

mercoledì 16 dicembre 2015

Jane Austen nasce il 16 dicembre 1775

Ben 240 anni fa, il 16 Dicembre del 1775, a Steventon ( Hampshire) , nasceva quella che è diventata una delle più grandi scrittrici conosciute al mondo:  Jane Austen.
Jane Austen

Figlia di un pastore anglicano, George Austen, e di Cassandra Leigh, crebbe in un ambiente culturalmente stimolante. Il padre si occupò personalmente della sua educazione insegnandole ben due lingue: il francese e le basi della lingua italiana. Durante il periodo che va dal 1784 al 1786, insieme alla sorella maggiore Cassandra, alla quale fu molto legata,  frequentò la Abbey School di Reading.
Nel 1794 scrisse la prima stesura di Lady Susan, un romanzo epistolare considerato quasi come una sperimentazione delle sue opere maggiori.
Nel dicembre del 1795 conobbe e si innamorò del giovane Thomas Langlois Lefroy . La famiglia del ragazzo si oppose alla loro frequentazione in quanto ritenevano Jane  socialmente inadeguata ed allontanarono  il giovane Lefroy da Steventon. Queste vicende vengono narrate nel film semi biografico Becoming Jan- Ritratto di una donna contro; diretto da Julian Jarrold,  racconta i primi anni di  Jane Austen, interpretata da Anne Hathaway, ed è incentrato sul suo rapporto con Thomas Langlois Lefroy, interpretato da James McAvoy.
Tra il 1795 e il 1799 iniziò la stesura di quelli che diventeranno i suoi lavori più celebri: Prime impressioni, prima bozza di Orgoglio e pregiudizio ed Elinor e Marianne che divenne Ragione e sentimento.
Terminò Prime Impressioni nell’agosto del 1797 all’età di soli 21 anni e, nello stesso anno, George Austen, colto dalle sue doti letterarie, contattò un editore proponendo la pubblicazione di quest’ultimo ma senza ottenere alcun esito positivo. Tra il 1788 e il 1799 scrisse Northanger Abbey , satira del romanzo gotico molto in voga in quei tempi, che inizialmente chiamò Susan.
Nel 1801, a causa del ritiro del reverendo Austen dalla sua attività ecclesiastica, tutta la famiglia si trasferì a Bath, che diventò il luogo dove Jane ambientò alcuni suoi romanzi. Nel 1804 iniziò la stesura del romanzo I Watson che resterà incompiuto.
A Bath il padre morì improvvisamente nel 1805, lasciando la moglie e le due figlie in precarie condizioni finanziarie seppur aiutate da Edward, James, Henry e Francis Austen.
Nel 1806, con gran gioia di Jane che detestava Bath, le tre donne si trasferirono a Southampton, dal fratello Frank, e successivamente, nel 1809, a Chawton, un piccolo villaggio dell’Hampshire a pochi chilometri dal loro luogo di origine, dove il fratello Edward mise a disposizione della madre e delle sorelle un cottage di sua proprietà.
Nel 1811 iniziò a scrivere Mansfield Park che terminò e pubblicò nel 1814.
L’editore Egerton pubblicò, nel gennaio del 1813, Orgoglio e pregiudizio, ultima revisione di Prime impressioni.
Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé parla di quest’ultimo nei seguenti termini:
“Senza volersene vantare o arrecare dolore al sesso opposto, possiamo dire che Orgoglio e pregiudizio è un buon libro. E comunque non ci sarebbe stato nulla di cui vergognarsi ad essere còlti nell’atto di scrivere Orgoglio e pregiudizio. Eppure Jane Austen era felice che un cardine della porta cigolasse, perché così poteva nascondere il suo manoscritto prima che qualcuno entrasse nella stanza. Per Jane Austen vi era qualcosa di disdicevole nello scrivere Orgoglio e pregiudizio. E dunque, mi chiedevo, Orgoglio e Pregiudizio sarebbe stato un romanzo migliore se Jane Austen non avesse ritenuto necessario nasconderne il manoscritto allo sguardo dei visitatori? Ne lessi una pagina o due per capire; ma non riuscii a trovare alcun segno del fatto che le condizioni materiali della vita dell’autrice ne avessero in minima parte danneggiato il lavoro. Ed era quello, forse, il vero miracolo della sua opera. Ecco una donna, agli inizi dell’Ottocento, che scriveva senza odio, senza amarezza, senza paura, senza protestare, senza far prediche. La stessa condizione nella quale scriveva Shakespeare, pensavo, guardando il testo di Antonio e Cleopatra. E quando alcuni paragonano Shakespeare a Jane Austen, forse intendono dire che ambedue erano riusciti a dissolvere nella mente ogni ostacolo; ed è per questa ragione che non conosciamo Jane Austen e non conosciamo Shakespeare, ed è per questa ragione che Jane Austen pervade di sé ogni parola che ha scritto, proprio come fa Shakespeare. Se qualcosa faceva soffrire Jane Austen, questa era la ristrettezza della vita che le veniva imposta. Era impossibile per una donna andarsene in giro da sola. Lei non viaggiò mai. Non attraversò mai Londra su un omnibus, né mai fece colazione da sola in un locale pubblico. Ma forse era nella natura stessa di Jane Austen non desiderare ciò che non aveva. Il suo genio e le condizioni della sua vita si accordavano completamente.”
Nel 1814 iniziò la stesura di Emma, concluso nel 1815 e pubblicato nel dicembre dello stesso anno.Questo fu l’ultimo romanzo  pubblicato in vita.
Nel 1817 iniziò a scrivere Sanditon, una satira sul progresso e sulle sue conseguenze  ma, a causa della malattia che la porterà alla morte, non lo terminerà. Il 18 luglio morì, all’età di 42 anni, a Winchester, dove si era recata, insieme alla sorella Cassandra, per tentare di curare la sua malattia. Nel dicembre dello stesso anno, il fratello Henry curò la pubblicazione del volume contenente L’abbazia di Northanger e Persuasione e, per la prima volta, sul frontespizio comparve il nome dell’autrice che pubblicò sempre i suoi romanzi anonimamente.
La vita di Jane Austen risulta molto frammentaria a causa delle scarse informazioni, dopo la sua morte infatti , la sorella Cassandra, e in seguito i fratelli e i loro discendenti, distrussero gran parte delle lettere e delle carte private che le erano appartenute.
Il nipote di Jane, Edward Austen Leigh, nel 1870 pubblicò la prima biografia a lei dedicata, Il ricordo di Jane Austen, dove presenta la zia come una donna semplice, pacata e dalla vita tranquilla:
“La sua vita fu singolarmente povera di eventi. Il suo quieto corso non fu interrotto che da pochi cambiamenti e da nessuna grande crisi. Dispongo perciò di scarsissimo materiale per un resoconto dettagliato della vita di mia zia; ma ho un ricordo chiaro della sua persona e del suo carattere; e forse in molti potranno essere interessati ad una descrizione di quella fertile immaginazione da cui sono nati i Dashwood e i Bennet, i Bertram e i Woodhouse, i Thorpe e i Musgrove, che sono stati invitati come cari amici presso il focolare di numerose famiglie, e sono da loro conosciuti intimamente, come se fossero davvero dei vicini di casa.”
Virginia Woolf la considerava “l’artista più perfetta tra le donne” , apprezzava la sua scrittura e la sua capacità di descrivere la società in cui viveva con semplicità:
“Qualunque cosa lei scriva è compiuta e perfetta e calibrata. […] Il genio di Austen è libero e attivo. […] Ma di che cosa è fatto tutto questo? Di un ballo in una città di provincia; di poche coppie che si incontrano e si sfiorano le mani in un salotto; di mangiare e di bere; e, al sommo della catastrofe, di un giovanotto trascurato da una ragazza e trattato gentilmente da un’altra. Non c’è tragedia, non c’è eroismo. Ma, per qualche ragione, la piccola scena ci sta commuovendo in modo del tutto sproporzionato rispetto alla sua apparenza compassata. […] Jane Austen è padrona di emozioni ben più profonde di quanto appaia in superficie: ci guida a immaginare quello che non dice. In lei vi sono tutte le qualità perenni della letteratura.” (The Common Reader, Hogarth Press, Londra 1925).
Ed infatti, Jane Austen ci ha regalato sei piccoli tesori, ma non tutti  furono dello stesso avviso della Woolf. Mark Twain in una lettera a William Dean Howells, scrisse a proposito di un altro scrittore: «Per me la sua prosa è illeggibile come quella di Jane Austen. Non c’è una sola differenza. Forse potrei leggere la sua prosa dietro compenso, ma non quella di Jane. Jane è del tutto impossibile. Mi sembra che sia stato estremamente caritatevole lasciarla morire di morte naturale» Gli attacchi a tema funebre resteranno fra i più riusciti di Twain, come questo a proposito di una delle sue opere maggiori: «Tutte le volte che leggo Orgoglio e pregiudizio mi viene voglia di disseppellirla e colpirla sul cranio con la sua stessa tibia». O ancora: «Quando comincio uno dei libri di Jane Austen, come Orgoglio e pregiudizio o Ragione e sentimento, mi sento come un becchino che entra nel Regno dei Cieli. So quali sarebbero le sue sensazioni e le sue opinioni in merito: arriccerebbe il naso e non troverebbe il posto di suo gusto».
(Per la felicità di Mark Twain, attualmente vi è una tesi ( la trovate qui) la quale sostiene che Jane Austen in realtà morì avvelenata dall’arsenico. ndr)
Jane Austen non trattò mai nei suoi romanzi gli avvenimenti bellici che caratterizzarono il periodo in cui vivette. Raccontò, con ironia, di personaggi che vivevano nelle campagne inglesi e che entravano nei sogni delle sue eroine. Ogni sua opera fu dedicata alle donne e ciò fa di lei una delle prime scrittrici ad analizzare l’universo femminile. Non raccontò storie fantastiche popolate da strani avvenimenti, narrò la quotidianità dei piccoli gesti e delle abitudini, descrivendo abilmente i pregi e i difetti di ogni suo personaggio.
Sempre Virginia Woolf scriveva di lei:
“Che genio, che integrità bisognava avere davanti a tutta quella critica, in mezzo a quella società puramente patriarcale, per insistere coraggiosamente nella realtà così come la vedevano gli occhi di una donna! Soltanto Jane Austen c’è riuscita; e anche Emily Bronte. Questa è un’altra piuma, forse la più bella, dei loro pennacchi. Scrissero come scrivono le donne, e non come scrivono gli uomini. Fra le mille donne che scrivevano romanzi in quell’epoca, furono le sole a ignorare completamente i perpetui ammonimenti dell’eterno pedagogo: scrivi questo, pensa quello. Furono le sole a dimostrarsi sorde a quella voce insistente, ora brontolante, ora condiscendente, ora dominante, ora ferita, ora scandalizzata, ora arrabbiata, ora familiare, quella voce che non lascia in pace le donne, ma deve sempre inseguirle, come una governante troppo onesta; scongiurandole, come Sir Egerton Brydges, di essere più raffinate; introducendo perfino nella critica poetica la critica del sesso; consigliando loro, se vogliono essere brave e vincere, suppongo un vistoso premio, di mantenersi entro certi limiti che sembrano convenienti al signore in questione.(…) Il linguaggio corrente agli inizi dell’Ottocento era più o meno questo (…) Questo è il linguaggio di un uomo (…). Charlotte Brontë, nonostante il suo splendido talento di prosatrice, barcollava e cadeva, con quell’arma ingombrante tra le mani. (…) Jane Austen le diede un’occhiata, si mise a ridere e s’inventò uno stile perfettamente naturale ed elegante, adeguato alle sue necessità, al quale d’altronde rimase sempre fedele. Perciò, con molto meno genio letterario di Charlotte Brontë, riesce a dire infinitamente di più.”

martedì 15 dicembre 2015

La Corte d’appello di Milano dispone la trascrizione di una adozione “piena” da parte della mamma sociale da articolo29

Con provvedimento in data 16 ottobre 2015, reso noto oggi (Corte Appello Milano, sez. Persone, Minori, Famiglia, 16 ottobre 2015 – Pres. Bianca La Monica, est. M. Cristina Canziani), la Corte di Appello di Milano ha ordinato la trascrizione dell’adozione di una minore da parte della propria mamma sociale nell’ambito di una coppia di donne.
La decisione rappresenta un nuovo momento di svolta, che arriva peraltro nel momento in cui è sempre più accesa la discussione sull’inserimento nella legge sulle Unioni civili della possibilità di adozione dei figli nell’ambito di coppie dello stesso sesso (cd. stepchild adoption). Attraverso la trascrizione del provvedimento straniero viene riconosciuta, per la prima volta nel nostro Paese, una adozione piena, o legittimante, della minore da parte della sua mamma sociale e non soltanto una adozione cd. “in casi particolari”, con conseguente instaurazione di un rapporto genitoriale del tutto identico a qualsiasi altro rapporto genitoriale (anche nei confronti, ad es., dei parenti della madre sociale, che oggi vengono così riconosciuti pienamente nonni e zii della ragazzina).
Pur rilevando l’impossibilità di disporre la trascrizione del matrimonio celebrato in Spagna fra le due mamme (per le ragioni già esposte dalla stessa Corte d’Appello di Milano in un recentissimo provvedimento) e, per conseguenza, del divorzio nel contempo intervenuto fra le due donne, la Corte ritiene invece meritevole di accoglimento la domanda di trascrizione nei registri dello Stato Civile, in base al disposto di cui all’art. 28 del DPR 396/2000, dell’ordinanza del giudice spagnolo che ha dichiarato l’adozione piena, con effetti legittimanti, della minore attribuendole anche il doppio cognome.
Nel provvedimento si dà atto che la minore è una ragazzina di dodici anni che sin dalla nascita «è stata adeguatamente amata, curata, mantenuta, educata ed istruita da entrambe le donne che hanno realizzato l’originario progetto di genitorialità condivisa, nell’ambito di una famiglia fondata sulla comunione materiale e spirituale di due persone di sesso femminile».
Il Collegio milanese rammenta quindi che «gli artt. 65 e 66 della legge in materia di diritto internazionale privato, prevedono che i provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone, nonché all’esistenza di rapporti di famiglia, come quelli di volontaria giurisdizione hanno effetto nell’ordinamento italiano e sono quindi riconosciuti senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento, quando producono effetti nell’ordinamento dello stato in cui sono stati pronunciati, non sono contrari all’ordine pubblico e sono stati rispettati i diritti della difesa» rilevando che l’ordinanza di adozione della minore emessa dall’autorità giudiziaria spagnola, con l’accertato pieno consenso della madre della bambina, non è certamente contrario all’ordine pubblico internazionale, essendo anzi del tutto conforme all’interesse superiore della minore.
Pur rammentando che la legge italiana in materia di adozione prevede all’art. 6 che essa è consentita ai coniugi uniti in matrimonio, i giudici milanesi rammentano come la stessa legge sulle adozioni «all’art. 25 prevede che l’adozione possa essere disposta, nell’esclusivo interesse del minore, nei confronti anche del solo coniuge che, per libera scelta, come consentito nel nostro ordinamento, nel corso di un affidamento preadottivo alla coppia, abbia deciso di porre fine alla convivenza coniugale con il coniuge e di separarsi» e come, dunque, «anche alla stregua di tale previsione normativa deve quindi concludersi che non possa ritenersi contraria all’ordine pubblico interno un’adozione da parte di una persona singola».
Il Collegio meneghino cita, quindi, la giurisprudenza di merito che ha affermato che l’art. 44, lettera d) consente l’adozione, sia pure con effetti non legittimanti, non solo in ipotesi di impossibilità di affidamento preadottivo «di fatto», ma anche in caso di «un’impossibilità di diritto», (Tribunale per i minorenni di Milano, sentenza n. 626/2007; Tribunale per i minorenni di Roma sentenze n. 299/2014 e n. 291/2015; Corte d’Appello di Firenze, sentenza n. 1274/2012) dando atto di condividere in pieno tale indirizzo e affermando che «appare evidente dunque che anche nell’ordinamento italiano non sussiste un divieto assoluto di adozione di un minore, in stato di abbandono o non, da parte di persona non coniugata (vedi, conforme, TM di Bologna, decreto 21 marzo/17 aprile 2013)».
Rilevato che l’adozione nell’ambito di una coppia dello stesso sesso non è in astratto contraria all’interesse del minore, per quanto riconosciuto dalla stessa Corte di Cassazione con sentenza n. 601/2013 (nella quale la Suprema Corte ha affermato come costituisca mero pregiudizio ritenere che “sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale”) e che «ogni situazione deve essere valutata singolarmente, tenuto conto del preminente interesse del minore rispetto alle figure genitoriali e al suo diritto di convivere e/o mantenere regolari rapporti significativi con tutte le figure adulte di riferimento, indipendentemente dalle loro tendenze sessuali, ritenute in concreto adeguate ad assicurargli l’affetto e la cura indispensabili per la sua armoniosa crescita», la Corte afferma dunque la piena conformità nel caso di specie dell’adozione legittimante all’interesse della minore interessata.
Affermano in conclusione i giudici milanesi che «non vi è alcuna ragione per ritenere in linea generale contrario all’ordine pubblico un provvedimento straniero che abbia statuito un rapporto di adozione piena tra una persona non coniugata e il figlio riconosciuto del partner, anche dello stesso sesso, una volta valutato in concreto che il riconoscimento dell’adozione, e quindi il riconoscimento di tutti i diritti e doveri scaturenti da tale rapporto, corrispondono all’interesse superiore del minore al mantenimento della vita familiare costruita con ambedue le figure genitoriali e al mantenimento delle positive relazioni affettive ed educative che con loro si sono consolidate, in forza della protratta convivenza con ambedue e del provvedimento di adozione».
L’adozione “piena”, difatti, «appare idonea ad attribuire alla minore un insieme di diritti molto più ampio e vantaggioso di quello garantito dall’adozione disciplinata dagli artt. 44 e segg. della L. 184/1983, anche nei confronti della famiglia d’origine dell’adottante, con la quale X sembra aver sempre mantenuto rapporti affettivi e di vicinanza significativi, come emerge dall’accordo regolatore del 21.12.2012, sottoscritto dalle due madri», «nessuna violazione dell’ordine pubblico internazionale comporta il riconoscimento di tali diritti, posto che X, con l’adozione della CC effettuata in base alla legge spagnola, mantiene intatti i propri diritti nei confronti della madre biologica e della sua famiglia d’origine e può godere, con sicuro vantaggio, del sostegno materiale non solo della madre adottiva, ma anche dei parenti della stessa».
Last but not least, la Corte dà altresì atto che, pur non essendo trascrivibile, è tuttavia «riconosciuto in Italia ex artt. 21 e segg. Reg. CE 2201/2003» l’accordo regolatore sottoscritto dalle due madri e omologato dal giudice spagnolo, riguardante l’affido, il collocamento, i rapporti della minore con le due donne e il contributo di ciascuna di queste ultime al mantenimento della figlia.
Com’è evidente, dunque, si è compiuto così un nuovo importante passo in materia di omogenitorialità, posto che è stato riaffermato che l’adozione del figlio del partner è del tutto conforme all’ordine pubblico internazionale, il rispetto dell’interesse superiore del minore essendone parte determinante, ha avuto ulteriore avallo il recente indirizzo inaugurato dal tribunale per i minorenni di Roma e, soprattutto, attraverso la trascrizione del provvedimento straniero ha avuto ingresso, per la prima volta nel nostro Paese, una adozione piena o legittimante della minore da parte di una madre sociale e non soltanto una adozione in casi particolari, che come detto instaura un rapporto genitoriale del tutto identico a qualsiasi altro rapporto genitoriale.

lunedì 14 dicembre 2015

Minori stranieri, uno su due di quelli arrivati in Italia scompare. “Scappano o finiscono sfruttati dalla criminalità” di Giuseppe Pipitone

Dall'1 gennaio al 30 novembre i bambini e ragazzi arrivati in Italia non accompagnati sono stati 10.952. Di questi 5.902 sono irreperibili. Secondo un dossier della Caritas quelli di origine eritrea o afgana tentano di ottenere asilo nel Nord Europa, ma oltre 1.200 egiziani sono diventati merce per i peggiori traffici. E le adolescenti vengono impiegate per la prostituzione
Arrivano da soli, nascosti tra le centinaia di disperati che ogni giorno sbarcano sulle nostre coste a bordo delle carrette del mare. Hanno tra i sei e i diciassette anni, nessun genitore o familiare al loro seguito e neanche uno straccio di documento in tasca. Non parlano l’italiano o l’inglese, vengono identificati a fatica in base alle loro spontanee dichiarazioni e quindi assegnati ai centri di accoglienza. Poi, ad un certo punto, scompaiono nel nulla, e nessuno li andrà mai a cercare. Sono i minori stranieri non accompagnati che ogni anno si volatilizzano nel nostro Paese: ragazzini finiti in un buco nero che è impossibile da raccontare. Non è un problema secondario, e basta leggere le statistiche per accorgersene: ogni anno, infatti, più della metà dei minori stranieri ospitati dai nostri centri scompare senza lasciare traccia di sé.
Quasi seimila minori scomparsi nel 2015 – I numeri del ministero delle Politiche sociali parlano da soli: dall’1 gennaio al 30 novembre del 2015 sono 10.952 i minori non accompagnati arrivati in Italia. Di questi ben 5.902 sono irreperibili, scomparsi, svaniti: più di uno su due non si sa che fine abbia fatto. Sono soprattutto egiziani, eritrei e somali, hanno a malapena l’età per frequentare le scuole medie e di punto in bianco semplicemente non rispondono all’appello. Da lì in poi è come se non esistessero più, giovanissimi fantasmi che attraversano silenziosamente il nostro Paese. Dove vanno a finire? “Molto spesso questi ragazzi vengono con il numero di telefono dello zio, del presunto zio, del parente o della comunità a cui devono rivolgersi e non esistono soluzioni, se non di tipo coercitivo, per impedire loro di andare via. Sono convinti che il loro parente troverà per loro il percorso migliore per integrarsi”, spiegava alla commissione parlamentare d’inchiesta sui centri d’accoglienza il prefetto Mario Morcone, capo dipartimento per l’immigrazione del ministero dell’Interno.
La fuga: raggiungere la famiglia o il nord Ue – Dal primo gennaio 2015, infatti, anche la gestione dei minori stranieri non accompagnati è passata sotto la competenza del Viminale, che ha riconosciuto il pagamento di 45 euro al giorno per ogni ragazzo ospitato alle dieci strutture autorizzate, tutte nel Sud Italia. Un accordo che non è bastato ad arginare al problema, dato che i ragazzi non sono detenuti ma ospiti dei centri, molto spesso poco vigilati e abbandonati a se stessi: a un certo punto non si presentano a cena e vanno ad allungare l’elenco degli irreperibili del ministero. Perché fuggono? Spesso, come spiegava lo stesso Morcone, vanno via perché cercano di ricongiungersi ai familiari già presenti sul territorio nazionale o magari in altri Stati dell’Unione Europea. Sono in pochi, però, quelli che ci riescono: a spiegare che fine fanno gli altri c’è un recentissimo dossier pubblicato dalla Caritas. I minori di origine eritrea o afgana, per esempio, “cercano di restare al di fuori del sistema di accoglienza per evitare di esser fotosegnalati e vanno a infoltire le fila dei transitanti per poter proseguire il loro viaggio verso il nord Europa, trovandosi privi di qualsiasi forma di cura e di tutela basilare”. In pratica evitano di farsi schedare nei database italiani, Paese in cui sono arrivati e dove dovrebbero chiedere asilo secondo gli accordi Ue, per poi fuggire e provare ad ottenere lo status di rifugiato in altri Paesi del nord Europa. “È anche per questo motivo che è necessario il superamento dell’antistorico trattato di Dublino: il fenomeno dei minori non accompagnati scomparsi dimostra anche come il modello di accoglienza vantato in più occasioni dal ministro Alfano faccia acqua da più parti”, dice Erasmo Palazzotto, parlamentare della commissione d’inchiesta sui centri d’accoglienza.
Il buco nero: prostituzione e criminalità – Ma non solo. Perché oltre a chi fugge per andare a chiedere asilo in Nord Europa c’è anche chi in un modo o nell’altro è costretto a rimanere in Italia: non è riuscito a raggiungere la famiglia e finisce cooptato dalla criminalità, sfruttato, utilizzato come merce per i peggiori traffici. Secondo la Caritas è questa la fine che hanno fatto i 1.260 ragazzi scomparsi, che avevano dichiarato di provenire dall’Egitto. “Per le organizzazioni criminali – si legge nel rapporto – attirare nelle proprie attività minori stranieri che arrivano da soli nel nostro Paese, privi di riferimenti, con un debito sulle spalle da estinguere quanto prima, è molto facile. Sfruttano la normativa, legata ai permessi di soggiorno per minore età (il divieto di espulsione), a proprio vantaggio e si assicurano manovalanza a basso rischio e basso costo. Li attirano nelle grandi città (principalmente Milano e Roma), dove le comunità egiziane sono numerose e radicate”. Molti dei ragazzini arrivati in Italia, infatti, devono ancora saldare il debito acceso con gli scafisti che li hanno condotti sulle nostre coste. Il fatto che cerchino disperatamente denaro anche quando sono ormai in Italia, e che in qualche caso fuggano dai centri d’accoglienza proprio con quest’obiettivo, porta gli inquirenti a sospettare che gli esattori dei trafficanti di esseri umani siano attivi anche nel nostro Paese. Ma in questa storia di bambini che diventano fantasmi, il destino peggiore tocca alle ragazzine.
“Le adolescenti provenienti dall’Europa dell’Est, con un’età tra i 16 e i 17 anni, vengono principalmente sfruttate ai fini della prostituzione”, continua infatti il dossier della Caritas. “Le ragazze nigeriane, anche loro vittime di sfruttamento sessuale e tenute prigioniere dai trafficanti, vengono invece attirate in Italia con la promessa di un lavoro, ma già durante il viaggio scoprono l’inganno”. Gli esempi si sprecano: basta scorrere i titoli di cronaca o fare una passeggiata nele periferie e i sobborghi delle grandi città italiane.

domenica 13 dicembre 2015

SCHIAVE da Il corpo delle donne


Se alcuni programmi TV,  PIAZZA PULITA ne è un esempio, possono permettersi di mandare in onda una puntata dove sono invitati 10 ospiti e nessuna donna.
Se alcuni programmi TV, ieri sera PIAZZA PULITA ne era esempio, possono permettersi di mandare in onda un servizio sulla disperazione di anziani/e i cui risparmi sono stati rubati da alcuni Istituti di Credito, senza invitare una donna
bene:
la RESPONSABILITA' è solo NOSTRA. Cioè di noi DONNE.
Questo è un Paese maschilista.SIgnifica un PAese che non riconosce il valore delle DONNE.
Ma significa anche che è un Paese dove lo DONNE sono e RESTANO MARGINALI.
Io provo un dolore immenso quando incontro DONNE e RAGAZZE che dicono "no, io non so femminista".
CHe è come dire"sai, io accetto il femminicidio,accetto di essere pagato meno di un uomo.
Accetto che i maschi possano uscire liberamente mentre noi di notte dobbiamo avere paura. 
Accetto di non potere fare figli/e xche in questo Paese le politiche di conciliazione lavoro/famiglia non esistono. 
Accetto la pubblicità sessista, accetto essere definita "troia" se ho avuto relazioni con diversi uomini mentre un mio amico che ha rapporti con diverse donne è un gran figo. Accetto"
SCHIAVE. 
Schiave di lusso talvolta, laureate. Ma schiave nella testa. 
Schiave per una insicurezza atavica che si portano dentro da secoli. Per madri che le hanno cresciute rendendole dipendenti dalla figura maschile, dipendenti dallo SGUARDO di approvazione maschile e PADRI ignavi che hanno trasferito sulle figlie la loro mancanza di STIMA per il genere femminile.
SCHIAVE che, ed è l'azione più oscena, si battono CONTRO le DONNE che lavorano perchè il PAESE sia FEMMINISTA.
Si battono per restare MARGINALI.
Bene, nonostante la rabbia, la stanchezza, talvolta la sfiducia che mi annienta, per INNALZARE la CONSAPEVOLEZZA di queste DONNE NOI DOBBIAMO BATTERCI.

sabato 12 dicembre 2015

Questo uomo no, #68 - Ciao, sono il patriarcato

Ciao, sono il Patriarcato. So che da voi, politicamente, vanno di moda simpatiche siglette. Allora, se preferite, va bene anche chiamarmi Mr. P. Vi scrivo perché ho un’etica anche io, e sento che è giusto, a questo punto, ringraziarvi.

Volevo prima di tutto ringraziarvi per la fuffa che si sta alzando intorno al tema della surrogacy, o maternità surrogata, o gravidanza eterologa, o utero in affitto - insomma, ciascuno se la chiama un po’ come vuole e a seconda della cosa che gli preme dire. L’importante - è questo che invece preme a me - è che nessuno tocchi il sistema economico, di potere e di classe che permette a tutto ciò di essere molto costoso, burocraticamente complicato, pochissimo accessibile, pieno di corruzione - come le adozioni, anche quelle mi stanno benissimo fatte così - ma sempre alla fine regolato dai soldi: è così che potrò prosperare ancora. Grazie! Vi consiglio una bella legge limitante le scelte personali - così tacitiamo per bene anche quelli che potrebbero testimoniare o raccontare della loro storia personale - con la scusa della “vita”, una cosa sottile ma efficace, tipo quella sull’obiezione di coscienza per i dottori. Visto l’aborto? Risolto! Legalmente non si fa più, e via al mercato nero!

E’ esattamente quello che succede con la prostituzione, state facendo un ottimo lavoro anche lì: tutti ad alzare questioni morali, chiacchiere etiche, fuffaggini legislative - l’importante, mi raccomando, è che la tratta rimanga prospera e che nessuno vada a rompere le scatole ai milioni di clienti maschi, magari con cose culturali tipo i programmi educativi nelle scuole, le testimonianze delle donne, i finanziamenti ai centri antiviolenza e antitratta. Per carità! Quello sì che mi farebbe male. Invece va bene così, tutti a tuonare stronzate dai giornali, dalle tv, sui social, e niente soldi e spazio a chi ne sa. Ottimo - come patriarcato, non potrei sperare in niente di meglio.

Ah, già che ci sono: ottimo il lavoro anche sui femminicidi e sulla violenza contro le donne, continuate così. Tutti lì a scontrarsi sui numeri delle vittime, e se una è vittima o no, e con la retorica delle vittime e della difesa a oltranza; ottimo anche lo spazio sempre crescente lasciato ai miei cari maschietti che lottano contro i femminismi, in difesa dei poveri uomini picchiati dalle donne. Che è sempre violenza patriarcale, e me ne vanto, ma tanto non lo capiranno mai, li ho educati bene. Eppure antropologia, sociologia, studi di genere, lo raccontano dati alla mano da decenni ‘sto rapporto tra potere e violenza, ma niente, tutti sordi, ipocriti e ignoranti: bravissimi, sono fiero di voi.

Occuparsi sempre e solo della punta dell’iceberg, mi raccomando; così il sotto, il sommerso dov’è il grosso, la massa pericolosa che fa i disastri veri, quello che tiene in piedi l’aspetto visibile del problema, nessuno lo tocca e nessuno ci bada. Splendido lavoro di copertura, mi compiaccio. Tipo quelli che pensano solo alla lotta contro il capitalismo - modestamente l’ho inventato io, ma se non ci fate caso è meglio, così nessuno mi rompe le scatole - oppure i meravigliosi tizi che continuano a sostenere che sono morto, finito, che c’è da pensare al post-patriarcato. Ma io di figli ne ho fatti già tanti, da un pezzo ci sono in giro tanti post-patriarcati, vi pare che sono sempre e solo quello dell’800 o del medioevo? Boh, contenti voi…

Mi raccomando eh, continuate così contro qualsiasi manifestazione culturale che potrebbe farmi perdere colpi: studi di genere, antropologia, filosofia interculturale, queer theory, femminismi - boicottate tutto! Sono tutte teorie complottistiche! Si stava meglio prima, viva la famiglia tradizionale e viva tutte le chiese che difendono i valori veri! Sempre contro la scuola che vuole aprire un po’ i cervelli, subito tutti dritti a lavorare e a fare tutto come le persone normali, mi raccomando! Ma quale sessismo, i problemi sono altri!

Ah, che pacchia. Lo ammetto, ero un po’ spaventato all’idea del web, invece il vecchio sistema che difende il patrimonio e il potere regge benissimo. Matrimonio, diritto ereditario, paternalismo, sessismo, fondamentalismo religioso - visto come reggono bene? Tutto in difesa dell’uomo eterosessuale col potere - oh, le cose fatte “come dio comanda”. Modestamente, ho messo in piedi un bel sistema, ma certo senza di voi che continuate a difenderlo, ammetto che dovrei faticare molto di più. Pensate, un esempio tra i tanti, che cosa mi dovrei inventare se solo fossero possibili le unioni civili! Sì che sarebbe l’inizio della fine! Invece, con lo spauracchio dei gay pedofili, è tutto a posto. O quanti problemi mi causerebbe l’aggravante penale “di genere”, proprio adesso che il trappolone del “raptus” sta funzionando alla grande! Invece, difendere sempre e ovunque “il buon padre di famiglia”, bravi così.

Beh, allora ciao, grazie ancora e ci vediamo tra qualche generazione.

Sempre vostro, con paternalistico affetto, Mr. P.

venerdì 11 dicembre 2015

Lynelle Cantwell, 17 anni, è stata eletta "la ragazza più brutta della scuola". La sua risposta mette tutti a tacere i bulli Ilaria Betti, L'Huffington Post

Lynelle Cantwell, studentessa canadese di 17 anni, è caduta dalle nuvole quando ha scoperto che il suo nome era stato inserito in un sondaggio online creato dai compagni di classe per votare "la ragazza più brutta", al quale hanno preso parte, in modo anonimo, più di 100 persone. Superato lo shock iniziale, Lynelle non è stata a guardare: attraverso la sua pagina Facebook ha scritto un messaggio contro chi guarda solo all'aspetto fisico, perdendosi tutta la bellezza che, invece, c'è intorno.

"Per la persona che ha creato il sondaggio. Mi dispiace che la tua vita sia così triste da portarti a buttare giù quella degli altri. Per le 12 persone che mi hanno votato, relegandomi al quarto posto. Mi dispiace anche per voi. Mi dispiace che non abbiate avuto la possibilità di conoscermi come persona. So che non sono la più bella a cui guardare. So che ho il doppio mento e che indosso una taglia XL. So che non ho un sorriso o un viso perfetti. Ma mi dispiace per voi. Non per me stessa. Io sono quella che sono. Posso non essere sembrare 'giusta' dall'esterno. Ma sono divertente, buona, gentile, semplice, non giudico ma sono comprensiva, pronta a dare un aiuto e super alla mano per parlare. E lo stesso vale per le altre ragazze che avete messo in lista. Solo perché non siamo perfette dal di fuori non significa che siamo brutte. Se questa è la vostra idea di bruttezza mi dispiace per voi. Seriamente, fatevi una vita."

La sua storia (e il suo coraggio) sono stati raccontati da molti giornali. Al Telegraph, la giovane ha descritto il momento della scoperta del sondaggio. Era con una sua amica (finita anche lei nella lista) ed entrambe guardavano incredule la pagina aperta sullo smartphone: "È stato doloroso. Ma ho voluto essere da esempio per lei, non volevo che mi vedesse sconvolta, così ho detto subito che non importava. Ho continuato a seguire le lezioni, mentre pensavo: 'Wow, le persone riescono ad essere davvero crudeli' e mi sono intristita. Ma durante la lezione successiva ho scritto il post su Facebook".
Il suo gesto è stato apprezzato dagli utenti, che l'hanno difesa e ringraziata. "Ti sono grata per aver avuto il coraggio di parlare di chi riesce ad essere così cattivo - si legge in un commento -. Le persone che si divertono a sottoporre te e altre ragazze ad un sondaggio, evidentemente hanno problemi di autostima". L'autostima che, invece, a Lynelle, nonostante tutto, non sembra mancare.

giovedì 10 dicembre 2015

Donne e crescita: con pari poteri il Pil crescerebbe del 26% in dieci anni

Lo studio di McKinsey dice cosa accadrebbe se le donne avessero gli stessi ruoli degli uomini: si creerebbe in un decennio la ricchezza di Cina e Usa messe insieme. I margini maggiori in India. Quattro le lacune da colmare: istruzione, inclusione finanziaria, tutele legali e retribuire il 'lavoro' in famiglia
L'agognata parità di genere sul lavoro? Sarebbe una vittoria dei diritti ma anche uno stimolo per l'economia che stenta a uscire dalla crisi. Un nuovo rapporto del McKinsey Global Institute citato dal Wall Street Journal offre una nuova stima di questo potenziale non sfruttato. Secondo lo studio infatti se le donne avessero gli stessi ruoli degli uomini il Pil annuo globale aumenterebbe di 28 mila miliardi nel 2025, il 26% del Pil globale, che equivarrebbe alla ricchezza di Cina e Usa messe insieme.
Il rapporto tiene conto di alcuni indicatori di genere, tassi di partecipazione delle donne come forza-lavoro, ma anche tassi di mortalità ed inclusione sociale in 95 paesi che rappresentano il 90% del Pil mondiale. Ma anche una semplice riduzione del gap di potere tra uomini e donne darebbe un significativo contributo alla crescita: secondo lo studio infatti, se ogni paese esaminato migliorasse la parità sul posto di lavoro stimolerebbe la crescita per circa 12 trilioni in 10 anni.
Il più alto potenziale di vantaggio economico sarebbe in India, insieme con il resto dell'Asia del Sud, del Medio Oriente e del Nord Africa, che hanno segnato gli score più bassi in materia. Ma sia le economie avanzate che quelle emergenti avrebbero da guadagnarci. Secondo gli autori, 74 dei 95 paesi analizzati potrebbero incrementare il Pil di oltre il 20% nel 2025 se le donne venissero messe in condizione di esprimere il loro potenziale economico. Negli Stati Uniti ad esempio la parità di genere potrebbe aggiungere 4,3 trilioni di dollari all'economia, il 19% del Pil, mentre una riduzione del divario che porti il paese ai livelli della Spagna (che ha segnato il risultato migliore dell'area Europa-Nord America) aggiungerebbe 2,7 trilioni al prodotto interno lordo, il 12%.
Secondo i ricercatori McKinsey sarebbero i progressi in quattro aree chiave ad avere l'impatto maggiore: colmare le lacune in materia di istruzione; colmare il gap in termini di inclusione finanziaria e digitale; rafforzare le tutele legali per le donne e migliorare l'atteggiamento verso lavoro non retribuito, dunque il lavoro domestico e la cura dei membri della famiglia. "Conferire poteri alle donne non è solo un dovere morale ma è anche un'ovvietà in termini economici", ha detto Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale all'ultimo G20 ad Ankara. "Aiuterebbe a rilanciare la crescita - ha spiegato - aumentare il reddito complessivo pro capite, a
combattere la povertà e ridurre le disuguaglianze di reddito nel mondo". Un recente rapporto della Banca Mondiale ha rilevato che circa il 90% dei Paesi ha nelle leggi forme di discriminazione verso le donne, molte delle quali impediscono loro di partecipare pienamente all'economia.

domenica 6 dicembre 2015

La parità di genere si impara da piccoli di Stefania Prandi

La scuola fa differenza Il progetto promosso dall’associazione Scosse si occupa di formare gli insegnanti, l’obiettivo è crescere bambini e bambine in grado di esprimere le proprie potenzialità evitando modelli preconcetti
«È compito della scuola crescere bambini e bambine in grado di esprimere le proprie potenzialità, indipendentemente dal loro essere maschi o femmine, senza costringerli a seguire percorsi già tracciati». Così Sara Marini spiega l’obiettivo dei training formativi di educazione alla parità di genere, che porta avanti con l’associazione Scosse (acronimo di Soluzioni comunicative, studi, servizi editoriali), di cui è la vicepresidente. Tra le iniziative, promosse in diverse città d’Italia, che includono seminari di un giorno, laboratori, corsi di lungo termine, c’è «La scuola fa differenza». Si tratta di un progetto triennale che prevede la formazione e l’aggiornamento di 200 insegnanti dell’infanzia e degli asili nido pubblici, in 17 istituti, dalla periferia al centro di Roma. «Attraverso cicli di incontri nell’arco dell’anno scolastico, che in tutto durano 22 ore, spieghiamo alle maestre e ai maestri che lavorano con i bambini fino a sei anni, che è a quest’età che vengono introiettati i meccanismi di disparità di genere – racconta Marini. – Veniamo al mondo e abbiamo già un fiocco celeste o rosa sopra al portone di casa e un corredo di abitini del colore corrispondente; cresciamo e un cesto di bambole o macchinine diventa la reggia dei nostri giochi preferiti. Se siamo femmine, veniamo educate a dedicarci alla cura degli altri, a essere docili, a credere di non essere portate per i giochi meccanici e il calcolo, mentre se siamo maschi impariamo a non esprimere certe emozioni, a non mostrarci deboli, e a esasperarne altre, come l’aggressività. I modelli che influenzano lo sviluppo sono onnipresenti, attecchiscono anche nelle personalità apparentemente più autonome e “ribelli” o nelle famiglie più libere e anticonformiste, condizionando la fantasia dei più piccoli, la capacità di immaginare e di costruire la realtà».
Per scardinare questi schemi è necessario, prima di tutto, che gli insegnanti si mettano in discussione e si rendano conto dei condizionamenti che hanno fatto propri. «È un processo lungo, che richiede tempo – osserva la vicepresidente di Scosse. – Noi partiamo dall’osservazione di sé e poi arriviamo a quella dei comportamenti che si mettono in atto con i bambini e con le bambine. Da questo doppio lavoro emerge una convinzione diffusa da parte dei docenti che riguarda, ad esempio, la propensione maschile all’irruenza e alla mancanza di controllo e quella femminile alla dolcezza e alla posatezza. Cerchiamo di fare capire che certi comportamenti non sono naturali, cioè non sono dovuti a questioni biologiche, ma sono il risultato di condizionamenti sociali e culturali e vengono reiterati ogni volta che si dice a un bambino di non fare la femminuccia, quando piange, ad esempio, e a una bambina di non fare il maschiaccio, se si dimostra troppo energica oppure manesca».
I risultati del primo anno di incontri nelle scuole romane sono stati raccontati, con riferimenti teorici, bibliografici e con l’impiego di numeri e grafici, in un ebook scaricabile gratuitamente sul sito dell’associazione (il link è www.scosse.org/ebook – scuola – fa – differenza).
Scosse, nata da una start up universitaria nel 2011, include un numero variabile di educatrici, tra le 8 e le 12, in base ai periodi, ed è diventata un punto di riferimento per tutto il territorio italiano. Da due anni, in collaborazione con Stonewall di Siracusa e Progetto Alice di Bologna, organizza un meeting nazionale per chi si occupa di educazione di genere nelle scuole, dai nidi all’università. Nell’edizione dello scorso settembre, una parte importante del convegno è stata dedicata all’autoformazione, con laboratori, scambio di buone pratiche e condivisione di metodologie e strumenti didattici, con il contributo di esperte ed esperti da diversi Paesi europei (Gran Bretagna, Spagna, Portogallo, Francia).
Uno dei nuovi progetti avviati dall’associazione è «Costruisci il futuro, combatti il bullismo», con il quale è appena stato vinto un bando europeo. Si tratta di un’iniziativa coordinata dalla presidente di Scosse, Monica Pasquino, che sarà sviluppata in Italia e in altri cinque Paesi europei: attraverso l’educazione del personale scolastico, dei genitori e degli studenti delle scuole medie, mira a creare un clima di inclusione e apertura alle differenze per tutti, con particolare attenzione per i giovani più vulnerabili. Prevede seminari, lezioni e l’uso dell’«Antibullying radar», un sistema di analisi tecnologica che permette di identificare i primi segnali di allarme di bullismo nelle classi, in modo da prevenire episodi di violenza e sofferenza degli studenti e delle studentesse.
Un altro settore sul quale si concentra l’attività di Scosse è quello dei libri, che passa dall’osservatorio online «Leggere senza stereotipi». Obiettivo della piattaforma è l’analisi del panorama editoriale, alla ricerca di rappresentazioni che stimolino bambini e bambine a compiere scelte, fare esperienze, avere sogni e ambizioni, leggere il mondo in modo libero, a prescindere dal proprio sesso biologico. Dall’esperienza è nato un manuale, appena pubblicato con la casa editrice Settenove, fondata e gestita da Monica Martinelli. Il testo, intitolato appunto Leggere senza stereotipi, si rivolge a insegnanti, genitori, educatori che operano con i bambini fino a 6 anni, e si articola in vari percorsi, ciascuno legato a un tema chiave per la costruzione dell’identità di genere. Una breve introduzione teorica precede le schede dedicate agli albi italiani ed esteri, le proposte di attività, gli approfondimenti e i suggerimenti bibliografici, per offrire un agile strumento di lavoro anche a chi si avvicina per la prima volta a questi argomenti.

sabato 5 dicembre 2015

Mamma dai, me lo compri quel giocattolo? di Giovanna Badalassi

Quante volte le mamme si saranno sentite rivolgere questa domanda? E quante volte avranno ceduto? Dietro a questa semplice, innocente domanda si celano business miliardari, ingenti giri d’affari ma anche scelte di marketing che possono contribuire al superamento degli stereotipi di genere, o, al contrario, incentivarli ancora di più (possibile?).
Il mercato dei giocattoli nella UE è consistente: secondo una ricerca UE  il consumo di giochi valeva un giro di affari di 12,4 Miliardi di Euro nel 2008. Di questi 5,7 erano prodotti in Europa, 8 erano importati dall’Estero, mentre 1,4 erano esportati verso altri paesi. In Europa il business dei giocattoli occupa più di 100.000 persone e 2000 aziende. Non poco. 
Dietro a questa economia si celano diverse dimensioni di genere: le scelte delle mamme che sono le principali acquirenti di giocattoli per i figli, l’educazione dei bambini e delle bambine attraverso la scelta dei vari prodotti. E’ una vera “Gender Economy”!.
Una cosa è infatti certa: attraverso il gioco si tramanda una visione di identità di genere che non necessariamente corrisponde ai reali talenti e inclinazioni dei bambini e delle bambine. Maschi che giocano alle bambole e femmine con le ruspe sono da noi ancora un tabù.
Detto questo, chiediamoci se le aziende produttrici di giocattoli facciano solo il loro mestiere, cogliendo e accentuando le culture di genere locali dei vari paesi dei loro clienti, o se potrebbero avere anche una capacità educativa per la loro clientela. La risposta è chiara, ma la realizzazione in pratica difficile. Solo le aziende più illuminate sanno indirizzare i propri clienti piuttosto che accontentarli. Tocca quindi prima alle mamme e ai papà maturare la consapevolezza che anche la scelta dei giochi è un momento fondamentale di costruzione dell’identità dei bambini e delle bambine, poiché incide su un immaginario del sè infantile che ci accompagna poi per tutta l’età adulta.
In altri paesi la consapevolezza dei genitori è più matura, al punto che le case costruttrici di giocattoli propongono nei paesi più avanzati pubblicità di giochi neutre e non stereotipate, mentre in Italia, come ben dimostrato nell’articolo di Giulia Siviero su “il Post” sui giocattoli sessisti,  siamo ancora al rosa e alle mitragliette.
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Toys R Us, Catalogo svedese
Il cambiamento deve quindi partire dai genitori (e dai nonni!!!). Ogni tanto parte anche da bambine intraprendenti. Una ragazzina in UK ha criticato DC Comics perché non fa fumetti con Supereroine. La sua lettera, diventata virale, ha costretto Dc Comics a correre ai ripari e promettere di proporre anche supereroine donne, scoprendo così all’improvviso che stava lasciando scoperta una bella fetta di mercato di ragazzi. Buonismo dell’azienda? No! Puro marketing.
Se le aziende stanno cercando attraverso l’analisi di mercato di capire come sta cambiando la società nei vari paesi, è importante che anche noi consumatrici ne siamo consapevoli e che cerchiamo di comprendere bene la differenza nel gioco tra bambini e bambine.
Qual è quindi la situazione in Italia? Anche se crediamo di conoscerla, è importante aiutarci con  i numeri per capire meglio. 
La prima differenza tra maschie e femmine relativamente al gioco riguarda la diversa quantità di tempo libero che maschi e femmine possono dedicare a questa attività: in un giorno medio settimanale, le bambine tra i 3 e i 13 anni hanno 18’ in meno di tempo libero rispetto ai coetanei, quelle tra i 14 e i 19  ne hanno 47’ di meno. Pare quindi che le aspettative sociali di un maggiore impegno familiare per le donne siano talmente elevate e scontate che anche i modelli educativi in qualche modo si sono evoluti in una forma di addestramento delle bambine ad un maggiore sacrificio dedicato alle incombenze familiari o allo studio a scapito del tempo libero e del gioco. 
Una seconda differenza riguarda il genitore con il quale giocano i bambini. Tra madre e padre l’impegno nel gioco con i figli è molto differente: tra i bambini da 3 a 10 anni solo il 35% gioca tutti i giorni con il padre, il 57% invece con la madre. 
Ne consegue che la scelta dei giochi preferiti dai bambini e dalle bambine è fortemente influenzata dall’offerta di gioco da parte dei genitori. Tra i 6 e i 10 anni i maschi giocano infatti soprattutto a pallone (74,2%), ai videogiochi (65,8%), fanno giochi di movimento (51,1%), con le automobiline e i trenini (51,1%), mentre le preferenze delle bambine vanno al disegno (77,7%), alle bambole (67,6%), ai giochi di movimento (64,1%) e ai videogiochi (47,5%).
Certamente la scelta dei bambini e delle bambine è influenzata anche dalla caratterizzazione di genere contenuta nei giochi. Un caso di particolare sbilanciamento di genere al maschile si può osservare ad esempio nei videogiochi i quali, tra l’altro, rappresentano un importante canale di alfabetizzazione alle nuove tecnologie per i giovani. L’uso dei videogiochi è una prerogativa maschile per il 28,6% dei maschi contro il 14,8% delle femmine, con un picco nella fascia di età tra gli 11 e i 14 anni (l’83,5% dei ragazzi contro il 66,4% delle coetanee). D’altronde tale caratterizzazione di genere non può stupire se si pensa alla tipologia di offerta dei più famosi videogames. Basta a tal proposito osservare le copertine di quelli più famosi dove gli stereotipi di ruolo sono particolarmente marcati.
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Un’analisi di genere sulle caratteristiche fisiche e di ruolo dei protagonisti dei videogames condotta negli USA  conferma questa tendenza: su 67 personaggi analizzati, 55 erano uomini vestiti o parzialmente vestiti contro 12 donne. Gli uomini erano sempre protagonisti (19 personaggi), antagonisti (21), supporter (17), eroi (23), cattivi (23). Il ruolo comunque minoritario delle donne si esprimeva nel ruolo della supporter (13), abbinato o alternato con quello dell’assistente (8) e della persona salvata (5).

Quindi, mamme, papà e….nonni, la prossima volta che comprate un giocattolo pensateci bene! 

venerdì 4 dicembre 2015

Le italiane sono più sessiste degli uomini: "I maschi non devono stirare né stare a casa con i figli" Ansa

Donne italiane? Portatrici sane di stereotipi, almeno secondo un'indagine socio antropologica sull'identità di genere condotta per il sesto osservatorio Cera di Cupra da Eikon Strategic Consulting.

L'indagine, attraverso il metodo della narrazione, ha chiesto al campione di immaginare una storia con protagonisti un uomo e una donna che vivono fasi tipiche della vita personale e professionale.

La professione immaginata più spesso per la donna è l'impiegata o l'insegnante mentre molto basse sono le percentuali con cui entrambi i sessi indicano un lavoro meno tradizionale, come l'imprenditrice, il medico o l'informatica. Il desiderio del matrimonio è attribuito alla donna dalla grande maggioranza del campione sia maschile (52,8%) sia femminile (43,4%), mentre all'uomo si attribuisce maggiormente il desiderio di convivere.

Nella conduzione della vita domestica, c'è apertura a ruoli più simmetrici nella coppia: tranne che per lo stirare che è una peculiarità femminile (sia per il campione maschile 69,5%, che ancor più per quello femminile con il 76,5%), uomo e donna collaborano per la maggioranza del campione maschile e femminile. L'opzione che sia l'uomo a fare da solo però, raccoglie percentuali molto basse, quelle del campione femminile addirittura più basse di quello maschile.

Ma è sulla gestione dei figli che lo stereotipo di genere emerge in tutta la sua forza: di fronte alla scelta di come affrontare l'arrivo di due gemelli, solo il 6% del campione femminile ipotizza che possa essere l'uomo a prendersi una pausa lavorativa per seguirli, a fronte del 14,3% del campione maschile. Che sia la donna a restare a casa con i bambini è la risposta indicata dalla maggioranza del campione, ma più dalle donne (41,2%) che dagli uomini (36,1%).

giovedì 3 dicembre 2015

Altro che Natale, il problema è che il cattolicesimo non rende le donne libere di Elisabetta Addis Headshot

La scuola di San Donato, a Sassari, non ha accettato la proposta, informale, di una visita pastorale dell'arcivescovo Atzei in occasione del Natale. La scuola San Donato è un modello di integrazione delle fasce disagiate e dei bambini e delle bambine figlie di migranti. Dei 250 alunni, 122 sono di famiglie immigrate e di altre religioni. Sassari è la città in cui sono nata e in cui lavoro: posso testimoniare direttamente che la scuola di San Donato ha una meritata fama di eccellenza per come la dirigente scolastica ha saputo gestire l'integrazione sociale e culturale in uno dei quartieri più problematici della città.

Massimo Gramellini si è espresso sulla vicenda criticando la dirigente e dichiarandosi favorevole al mantenimento della tradizione cattolica, senza conoscere a fondo quella scuola; come pure aveva fatto Michele Serra nel caso analogo della scuola di Rozzano, che tra l'altro si è poi rivelato una montatura. Mi permetto, io che non ho pulpiti altrettanto prestigiosi, di spiegare loro sommessamente perché da italiana, battezzata, madre di due figlie, sono grata alla dirigente per non avere consentito la visita di un vescovo cattolico nella sua scuola, e chiedo una scuola rigorosamente laica: non per non urtare la sensibilità dei musulmani, ma perché la presenza della chiesa cattolica in una scuola, oggi, urta la mia sensibilità di cittadina italiana.

Ho cercato di educare le mie figlie alla parità, a non sentirsi inferiori ai loro coetanei maschi, a pretendere gli stessi diritti. Ho cercato di educarle alla libertà, al rispettare le scelte di ciascuno e ciascuna, e a non rinunciare alla propria. Ho cercato di educarle al rispetto della ragione, della logica, e del metodo scientifico: per credere a un'affermazione, questa doveva essere supportata da fatti. In un mondo pieno di bufale e di ciarlatani, il rispetto rigoroso dell'evidenza dei fatti e della coerenza interna dei ragionamenti è indispensabile per il progresso civile, per lo sviluppo umano.

La chiesa cattolica oggi è in contrasto pieno con questo progetto educativo. È una religione in cui si crede ancora che solo i maschi abbiano un certo qualcosa in più che le femmine non hanno, lascio a voi individuare di cosa si tratta. In virtù di quest'organo solo i maschi sarebbero capaci di guidare, di mediare con il sacro, di essere sacerdoti. Insegna alle mie figlie che loro, in quanto donne, sono "mancanti", incapaci per natura ad accedere a uno dei sacramenti. A quel sacramento, guarda caso, che apre la strada del potere decisionale dentro la chiesa: per cui questa esclusione significa anche sottomissione. Questo è in contrasto con il primo principio del credo educativo che ho esposto, la parità.

In questi stessi giorni la chiesa cattolica sta acconsentendo, in molte sue parrocchie e sedi, con un assenso silenzioso, ad una campagna contro una fantomatica teoria "gender" che mischia insieme elementi di sessuofobia, di omofobia, e soprattutto, di misoginia. In nome della lotta a questo fantomatico gender si vorrebbe continuare a negare alle coppie omosessuali alcune libertà e diritti basilari: di essere accanto ai propri cari nel momento della malattia, di gestire con la stessa facilità delle coppie eterosessuali contratti, abitazioni, e proprietà, di adottare. Libertà fondamentali che non esistono in Italia anche grazie alla feroce opposizione delle gerarchie cattoliche. Tutto in contrasto con il secondo punto del mio progetto educativo, la libertà.

Nelle scienze sociali in tutto il mondo si studia una relazione sociale, chiamata gender e in italiano genere, che spiega che le differenze tra uomini e donne sono in parte biologiche, e in parte culturali. Che le diverse culture hanno diverse idee su cosa dovrebbero fare i maschi e cosa dovrebbero fare le femmine. C'è una differenza tra quel che ci si aspetta che una donna faccia in Arabia Saudita, in Italia, in Giappone, negli Stati Uniti. C'è una differenza tra quel che ci si aspettava che una donna facesse 100 anni fa, e quello che ci si aspetta possa fare oggi. Anche tra quello che ci si aspettava che un uomo facesse 100 anni fa, morire gratis in guerra per la patria, sfidare a duello d'onore, picchiare la moglie e i bambini. Anche i maschi hanno un genere, e anche il genere maschile era diverso, per fortuna, rispetto a quello di oggi. Il genere esiste, è una rappresentazione sociale dei due sessi che cambia nel tempo e nelle culture. Prendersela col gender è negare un fatto evidente. E questo è in contrasto con il terzo punto del mio progetto educativo: è ignoranza dei fatti.

La chiesa cattolica ha chiesto scusa giustamente per lo scandalo dei preti pedofili, scandalo che tuttavia indicava che nella visione del sesso di alcuni suoi membri, e soprattutto nell'istituzione del celibato dei preti, ci sono elementi problematici non ancora del tutto sviscerati. La chiesa cattolica è corresponsabile, e questo è ancora più grave, del dolore e del sangue di molte donne costrette ancora ad abortire in condizioni terribili. Anche in Italia, come ha ben messo in luce il servizio sull'ultimo numero di Pagina99 in edicola, l'eccesso di obiezione e di burocrazia probabilmente spinge a soluzioni illegali e pericolose. E questo nel nome di credenze che non tengono conto di fatti biologici: un embrione è un grumo di cellule, anche se con delle potenzialità, e un feto non è un bambino. Ragionevolmente, e ascoltando il parere dei biologi e dei ginecologi, dovremmo poterci mettere d'accordo. C'è un punto entro il quale una donna deve essere libera di decidere del proprio corpo, e mandare a monte un inizio di gravidanza indesiderata, e un punto in cui invece non può più. Come infatti propone la civilissima legge 194, contro la quale i cattolici continuano a battersi con successo, rendendola quasi inapplicata. Tutto ciò mentre si ostinano ancora anche a essere contrari alla contraccezione. Abbiamo visto purtroppo che esistono anche i terroristi cristiani, che in USA sparano nelle cliniche in cui si praticano legalmente interruzioni di gravidanza.

Potrei aggiungere che la stessa idea che la verità stia in un solo libro, sia esso vangelo, bibbia, corano, o capitale, è un'idea superstiziosa. Nessun Dio o Dea sarebbe stato così settario da rivelarsi solo ad alcuni e ed altre invece no, e la conoscenza sta in tanti libri, e nel dialogo, e in rete. Ma quello che mi importa di più è mettere in luce che non posso accogliere nella scuola di tutti e tutte, in nome della tradizione, il rappresentante di un'istituzione così apertamente schierata, proprio sui temi politici per me più cruciali dell'oggi, contro quei valori di parità dei diritti e libertà che dobbiamo difendere contro tutti i terrorismi.

In queste condizioni non posso presentare alle mie figlie un vescovo vestito di ori e porpore, chiedendo che gli sia dato ascolto come a persona di importanza e degna di uno speciale rispetto. Non nella scuola laica, che deve insegnare ai ragazzi e alle ragazze a pensare autonomamente, fuori dai dogmi, dentro la libertà. Nella scuola laica non c'è posto né per il vescovo, né per l'imam, né per il rabbino, né per il pastafariano. Al massimo ci potrebbe esser posto per tutti loro insieme, compreso anche un, o una, rappresentante dell'ateismo. Ma non per celebrare il Natale: per discutere di fede e ragione.

Anche nella mia casa ci sarà un presepe, perché anche a noi piacciono le tradizioni, e canteremo insieme "Tu scendi dalle stelle": ma è una casa privata. Nella sfera pubblica, per ora, non possiamo dimenticarci di cosa è ancora in gioco, oggi, in questo paese. Neanche per il piacere, pur grande, di condividere insieme i canti di Natale e i ricordi dell'infanzia. Sono ancora in gioco la parità, la libertà, il rispetto delle persone, il rispetto della conoscenza fondata su ragione e fatti. Assenza di libertà e parità che colpiscono soprattutto donne e omosessuali.

Io, italiana e battezzata, non voglio che nella scuola di mie figlie abbia accesso il rappresentante di una religione che nei primi anni della sua storia è stata amica delle donne, ma che ora è in aperto contrasto con punti cardine del progetto educativo di fare di loro persone libere e ragionevoli. Questo stesso progetto desidero che sia loro proposto anche nella scuola per la quale pago le tasse. Quindi ringrazio la dirigente della scuola di san Donato per il rispetto che ha mostrato verso di me e le mie figlie, anche se ormai sono grandi e non vanno alla sua scuola, verso le persone di cultura laica che la pensano come noi.

Gramellini e Serra provengono da una cultura simile alla mia, grazie alla quale hanno avuto successo, sono arrivati in una posizione autorevole nel mondo giornalistico. Non so niente della loro vita privata: ma sospetto che se fossero donne o omosessuali sarebbero meno indulgenti verso le tradizioni, e più attenti e sensibili verso le dinamiche di potere e oppressione ancora in atto.