mercoledì 25 dicembre 2013

Auguri donne in lotta, la speranza non la porta Babbo Natale (Eretica)



Natale. Volevo fare gli auguri a tutt*. In particolare a quelle donne che lavorano per le feste, con contratti terribili o in nero. Quelle che aggiustano le vetrine, puliscono cessi nei locali, servono ai tavoli dei pub, si esibiscono nelle discoteche, rivestono manichini per esporre merce o la indossano per esporla a clienti e guardoni.

Auguri alle ragazze che mostrano il corpo, vendono sorrisi, sponsorizzano prodotti. Alle hostess di centri commerciali che assumono personale di bella presenza e che restano in piedi per ore e ore e ore. A quelle che vanno in giro a corpo svestito e devono sorbirsi da un lato gli sguardi maliziosi dei sessisti e dall’altro quelli moralisti delle donne che immaginano siano dignitosi solo i mestieri in cui vesti da suora.

Auguri a tutte quante, sperando che datori e datrici di lavoro abbiano in mente di pagarle il giusto, che possano assentarsi per starnutire, mangiare, pisciare. Auguri a quelle che devono animare, intrattenere, fare giochi scemi per far ridere clienti paganti in ristoranti, hotel, villaggi, iniziative varie.

Auguri a quelle che sono state assunte con contratti che durano due giorni per rappresentare le istituzioni in momenti ufficiali. Sappiate che le “istituzioni” sono quelle che vi pagano dopo due secoli e alla faccia della meritocrazia se non vi sta bene un completino uguale a quello delle hostess dei centri commerciali allora non vi pigliano. Sempre di vendita, tutto sommato, si tratta.

Auguri alle collaboratrici in senso lato, a quelle che lavorano a partita Iva, quelle che devono esserci a Natale e poi al cenone di Capodanno e hanno il sangue ai piedi per l’andirivieni tra cucine e sale dei ristoranti mentre ubriachi festeggianti e pereppereppeppari le fanno inciampare. Auguri alle studentesse fuori sede che per mantenersi già lavorano e non tornano a casa sicché si sentono sole rimpiangendo perfino quello che normalmente non tollererebbero.

Auguri alle donne in vacanza che una vacanza, in effetti, poi non la vivono. Quelle che devono stare in cucina, a preparare pranzi e cene per venti persone, ché hanno il “piacere” di vivere momenti di intensa fatica in famiglia, dove i ruoli sono a volte stabiliti a priori e dunque vedi gli uomini a giocare a carte e le donne a servire anche il dessert.

Auguri alle sex workers che restano al freddo, per la strada, sfuggendo le ordinanze pro/decoro di sindaci che vogliono multarle e schivando i tiri a pallini di gomma di giovani annoiati in vena di originali puttan tour.

Auguri alle migranti, le invisibili, le clandestine che guardano città dalle vetrine illuminate senza scorgere nulla di familiare che regali loro calore, fiato, accoglienza.

Auguri alle ragazze che dopo il sesso non protetto, distratto, sfortunato, devono superare obiettori e pro/life e fare chilometri e chilometri per una pillola del giorno dopo.

Auguri a quelle che vanno alle feste, si divertono, si ubriacano e quando raccontano di uno che le ha molestate devono sopportare quell* che “se sei ubriaca allora vuol dire che ci stai”, perché se esci, vai in discoteca, balli e ti diverti, secondo alcun*, poi non puoi dire no. Dicono che non lo puoi fare.

Auguri alle ragazze che vanno in giro mano nella mano e incontrano qualcun@ che dice che se sono lesbiche è perché non hanno trovato l’uomo giusto che le fa godere.

Auguri alle disoccupate, le precarie, le pensionate senza una pensione, quelle che non sanno dove sbattere la testa e vivono queste giornate col terrore di uno sfratto, un licenziamento, un pagamento da effettuare, a evitare telefonate minacciose di esattori e le scampanellate di pignoratori.

Auguri alle ragazze in lotta, dentro e fuori casa, quelle autodeterminate, che occupano e liberano spazi da regalare a tutt*, che sorridono, “difendono l’allegria e organizzano la rabbia”, irriverenti con l’autorità a fare le pernacchie ai patriarchi e alle matrone.

Auguri a tant*, non necessariamente a tutt*, perché a Natale non è vero che si è più buoni. Semmai un po’ più ipocriti a compensare il mito della festività utile a comprare e vendere, anestetizzando la realtà, mercificando sentimenti, lacrimucce senza senso, mentre la gente continua a perdere vita, metro dopo metro, sapendo che nessuno gliela restituirà mai.

Auguri a voi. Consapevoli che la speranza deriva dalla lotta, dalla ribellione ché non c’è nessun babbo natale, leggendario o istituzionale, che potrà mai regalarvela.

Auguri, ancora. E auguri un po’ anche a me

venerdì 20 dicembre 2013

Si può discriminare con un giocattolo? Alle bambine solo pentole e cosmetici



L’educazione alla parità di genere passa anche dalla scelta dei regali di Natale. E’ questo il messaggio sostenuto dalla campagna “La discriminazione non è un gioco”, lanciata dal blog “Un altro genere di comunicazione” che si batte conto sessismo e omofobia. L’iniziativa punta il dito contro i giochi che riportano le bambine e i bambini dentro i confini artificiali “di genere”: il rosa, i trucchi, le bambole e le cucine per le femminucce, i giochi di costruzione, movimento, avventura, esplorazione per i maschietti. L’idea di focalizzare l’attenzione sui prodotti per l’infanzia è il risultato di un’inchiesta, durata diversi mesi, che ha rilevato che alle bambine sono riservati giocattoli di simulazione di cura della casa e della famiglia, che stimolano l’istinto di accudimento, mentre ai bambini giochi che simulano il lavoro, “prevalentemente virile cioè caratterizzato per successo sociale o forza fisica”. I giocattoli “neutri”, di tipo scientifico tecnologico, sono spesso caratterizzati dalle foto di soli maschi sulle confezione. Quando invece un gioco è destinato ad entrambi i generi, esiste spesso una “versione femminile”, dove ritornano i colori rosa e si abbassa il livello delle conoscenze richieste. Secondo “Un altro genere di comunicazione”, infine, “tra i giochi per bambine, molti veicolano un modello estetico imperante, fatto di make up anche per piccolissime e di canoni estetici fuorvianti e innaturali. Bambole sottili, dalle labbra turgide e gli occhi truccatissimi”.
Per superare questi stereotipi, spiega Judith Tissi Pinnock, autrice del manuale “Bellezza Femminile e Verità. Modelli e ruoli nella comunicazione sessista” e educatrice alla parità di genere nelle scuole, è necessario mettere in chiaro che “non esistono giochi da maschio e da femmina, perché sostenere questa differenza significa di per sé fare riferimento a categorie culturali, non naturali. Usciamo da questi vincoli offrendo ad ambedue i generi l’intera gamma delle opzioni possibili – dice Pinnock. – Se giocando s’impara, perché un maschio non dovrebbe divertirsi con un bambolotto e prepararsi a fare il genitore? E perché una femmina non dovrebbe usare costruzioni ed esperimenti preparandosi ad essere un’architetta, un’ingegnera, una scienziata?”.
Anche per i libri (regalo semplice ed economico per tutte le età), si possono seguire alcune indicazioni per combattere gli stereotipi, come quelle offerte dall’associazione Scosse. Tra i titoli suggeriti: “C’è qualcosa di più noioso di una principessa rosa?” che racconta la storia di Carlotta, stanca di principi azzurri e di doversi vestire di rosa; “Le mani di papà”, un libro cartonato per piccolissimi in cui le manone di un padre accompagnano la crescita, tra giochi coccole e scoperte quotidiane; “Più di un re”, un volumetto filastrocca che racconta la storia di Emma e delle sue due mamme; “Forte come un orso”, per definirsi e descriversi al di là dei cliché. Tra i protagonisti un bambino ‘operoso’ che si prende cura di bambole e animali e una bambina ‘selvaggia come una tigre’.

mercoledì 18 dicembre 2013

LETTERA DI UNA LIBRAIA PER UN NATALE CONTRO GLI STEREOTIPI DI GENERE


Care amiche (e cari amici),

in questo periodo il mio lavoro in libreria diventa un susseguirsi di pacchetti infiocchettati che finiranno sotto gli alberi delle case delle nostre bambine e dei nostri bambini.
Vengono comprati molti libri in più rispetto al resto dell’anno e credo che, proprio per questo, sarebbe giusto fare attenzione a quello che si sceglie e magari provare a selezionare, leggere e approfondire i regali che facciamo ai più piccini, che poi saranno i semini della loro cultura e della loro crescita intellettuale ed emotiva.
Per questo motivo, quest’anno, vorrei permettermi di darvi qualche consiglio, non perchè sappia più cose di voi, ma semplicemente perchè, per il lavoro che svolgo, conosco le ultime novità editoriali, nuovi editori emergenti, so quali libri non si trovano più e quali invece non sono ancora passati di moda.
Vi invio quindi una piccola lista di titoli in cui l’immagine della bambina, della donna, del femminile si pone fuori dagli stereotipi. E’ un elenco del tutto parziale ma spero vi possa tornare utile.
un abbraccio e un augurio di buone feste

Alice

Bambin* da 3 a 9 anni:
Diaz Reguera, C’è qualcosa di più noioso che essere una principessa rosa?, Settenove editore, euro 16,00
Turin Adela, Rosaconfetto e altre storie, Motta junior, euro 20,00
Tutti gli altri titoli di Adela Turin ristampati da Motta junior (euro 9,5)
Kemp Ogilvie, Principessa ribelle, Nord sud, euro 12,00
Bichonnier, Mostro peloso, Emme, euro 12,5
Mahi, Bum baby bum bum, Lo Stampatello, euro 12,90
Scheffler, Zog, E. Elle, euro 6,50
Chedru, La principessa all’attacco, Panini, euro 14,50
Heidelbach, cosa fanno le bambine, donzelli, euro 19,5
Heidelbach, cosa fanno i bambini, donzelli, euro 19,5
Lindgren, Pippi calzelunghe
Colli Bedini, Storia incredibile di due principesse che sono arcistufe di essere oppresse, lapis, euro 11,00
Roncaglia, La principessa che leggeva troppe storie di principesse, Emme, euro 8,50

Bambin* da 9 anni in su
D’Elia, Nina e i diritti delle donne, Sinnos, euro 15,50
Pitzorno, L’incredibile storia di Lavinia
Pitzorno, extraterrestre alla pari, euro 12,50
Petricelli, Cattive ragazze, Sinnos, euro 12,00
Levi Montalcini, Le tue antenate, Gallucci, euro 13,00
Bindi Mondaini, Il coraggio di Artemisia, Einaudi, euro 11,50

infine una buona guida al corpo femminile per le bambine che diventano donne…
Redd, il mio corpo, Giunti, euro 16,5

lunedì 16 dicembre 2013

Oui, Je suis Feministe!



Io sono a Milano, che è in Lombardia, che è in Italia che è in Europa. Voi siete a Siracusa, Napoli, Tento, Pierolo, Ravanna, Mantova, Lecce…che sono in Italia, e che sono in Europa. Inizio così da un anno tutte le mie presentazione nelle scuole. Per far comprendere ai ragazzi/e che Europa non significa solo euro bensì idee che posso importare ed esportare dal mio Paese. Leggiamo questo utilissimo articolo di Giulia Camin da Parigi. Ragazze: non c’è cambiamento senza fatica, questo articolo è dettagliato, serio, completo e quindi richiede un po’ di tempo. Troviamolo, è importante:-)

L’altra sera ho ceduto alla tentazione e, cenando, ho seguito in streaming il confronto tra i tre candidati alle primarie del PD. Quattro gli uomini in scena: tre i candidati, un presentatore mediatore del dibattito. Neanche una donna presente. La domanda riguardante le pari opportunità è stata essenzialmente una e verteva, mi pare, sulla questione donne e lavoro. Quali le politiche da attuare? Quale futuro per le donne italiane e per il paese intero bisognoso di risorse in cui investire? Pochi, pochissimi, i secondi per rispondere a questa domanda, una fra tante.
Ho ripensato a quando, a pochi mesi dalle elezioni presidenziali, il 7 marzo 2012 ero al teatro La Cigale a Montmatre,Parigi, per seguire un dibattito non ripreso dalle telecamere in cui i candidati alle elezioni presidenziali rispondevano alle domande di 45 associazioni femministe francesi. Ricordo perfettamente la risposta di François Hollande, ma anche quella di Eva Joly o di Jean-Luc Mélenchon, al quesito “ Lei è femminista? Se sì, ci spieghi perché”. Quella sera credo di aver definitivamente capito che parlare di femminismo in Francia è piuttosto normale. Ricordo anche il piacere del sentir parlare dei politici in un luogo altro dalla televisione. Il tempo di un teatro, la calma, la lentezza di un dibattito lontano dagli slogan che utilizzano i politici pressati da un cronometro e l’assenza di quelle scenografie ridicole che rendono la politica più simile ad un quiz a premi che a qualcosa di concreto e reale che parla di noi e delle nostre vite.
Oggi ho ceduto di nuovo alla tentazione di collegarmi con l’Italia attraverso questo mezzo diabolico e meraviglioso che è internet; è domenica è a pranzo mi sono concessa un telegiornale. Uno dei pochi visibili dall’estero è quello del TG3. Al termine del notiziario, viene mandata in onda la rubrica “Fuori Linea”. L’avvilimento arriva con una delle notizie commentate: in Italia, per festeggiare i 18 anni, tra le ragazze si è diffusa una nuova moda, quella dei video pre-diciottesimo; si tratta di video clip da mostrare ad amici e parenti alla propria festa dei 18 anni. Le immagini che scorrono nel servizio mostrano ragazzine scimmiottare cantanti o attrici, la maggior parte indossa un costume da bagno. Il servizio mi ferisce e indigna non tanto per le immagini, indicative del rapporto che hanno con i media gli adolescenti di oggi, ma perché dalle parole della commentatrice non traspare alcuna riflessione critica. Nessuna riflessione sul perché queste ragazze vogliano sentirsi e vedersi nel ruolo di celebrità, nessuna riflessione sul fatto che le immagini mostrate siano un susseguirsi di stereotipi mediatici in cui la sessualizzazione precoce del corpo di queste adolescenti regna protagonista ( verso la fine vediamo una donna-cavernicola sensualmente selvaggia in stile Shakira, ragazza seminuda nella natura stile madre-terra o venere post-rinascinentale etc etc). Ma il punto centrale arriva con l’intervista ad un giovane uomo che ci spiega che per fare un regalo di questo tipo bisogna considerare di spendere dai 600 ai 1500 euro. La presenza di questo signore è quindi di tipo pubblicitario: è un fotografo e organizzatore, qualcuno che trae profitto da questo fenomeno, le immagini infatti lo ritraggono mentre scatta foto a delle ragazze. Le ragazze viste nei video sono giovani, non ancora maggiorenni visto che il video dovrà essere pronto per i festeggiamenti della maggiore età. Questo servizio a mio parere non è soltanto pericoloso, ma direi pedagogicamente anche disonesto; è collegato e segue nell’immediato la messa in onda di un telegiornale (trasmissione di informazione percepita dai più come obbiettiva e capace di filtrare le notizie più importanti e autentiche). Il tema principale, che è quello della mediatizzazione delle adolescenti, viene normalizzato, banalizzato; affrontato senza alcuna reale riflessione critica né sulle giovani generazioni né sulla nostra società così incapace di stare dalla parte delle adolescenti spesso gettate in pasto ai media con noncuranza.
L’Italia è al 71 esimo posto del Global Gender Gap Report 2013 (potete scaricare il pdf qui http://reports.weforum.org/global-gender-gap-report-2013/ l’Italia la trovate a pagina 232).
Il problema è strutturale e culturale e deve essere affrontato trasversalmente. La Francia non è il paradiso delle pari opportunità, capiamoci. Il fatto che io abbia trovato un lavoro qui e che io qui mi senta meno discriminata rispetto alle esperienze vissute in Italia non è necessariamente connesso a dati statistici rassicuranti. La differenza di salario tra uomo e donna qui si aggira intorno al 27%, rendiamoci conto. Però delle differenze sostanziali ci sono e si vedono. La Francia, nel Global Gender Gap report 2013, è al 45 posto. Ho letto post e articoli francesi in cui si manifestava molta amarezza nei confronti di un risultato non ancora all’altezza delle aspettative. In Francia la Ministra des Droits des Femmes, e porta voce del governo Hollande, si chiama Najat Vallaud-Belkacem, origini marocchine, classe 1977 (ha due anni in più di me e questo mi fa sorridere visto che da noi in Italia a 45 anni si è ancora giovani). Già dando un occhiata al sito internet potete rendervi conto del lavoro che la Ministra, aiutata da numerose associazioni, sta svolgendo per mettere in moto un sistema educativo anti-discrimatorio di lotta agli stereotipi a partire dall’infanzia e dalle scuole. E’ lì che si agisce per costruire una cultura anti-violenta del rispetto. Qui http://femmes.gouv.fr/category/prevention/ trovate le informazioni sul progetto ABCD: Egalité au coeur de notre école un dispositivo costruito nel corso di oltre un anno di lavoro volto realizzare progetti educativi sulla decostruzione di stereotipi e discriminazioni fra maschi e femmine. Il sito fornisce materiali per accompagnare un lavoro sperimentale realizzato nel corso dell’anno scolare 2013-2014 in 10 provveditorati volontari e riguarda 275 scuole e oltre 600 classi. Questo esperimento servirà da rodaggio, in futuro le classi che potranno partecipare saranno sempre più numerose. Qui un link con risorse gratuite scaricabili per la formazione di insegnanti, operatori, educatori, altre per attuare attività didattiche pedagogiche nelle classi o associazioni interessate http://www.cndp.fr/ABCD-de-l-egalite/accueil.html. Si tratta di un lavoro finanziato dallo stato volto alla sensibilizzazione dei cittadini e alla difesa e valorizzazione dell’infanzia e dell’adolescenza e costituisce solo una piccola parte del progetto di legge per la parità tra i sessi presentato nel luglio scorso e scaricabile qui http://www.najat-vallaud-belkacem.com/2013/07/03/tout-savoir-sur-le-projet-de-loi-pour-legalite-entre-les-femmes-et-les-hommes/ .
Gli assi più importanti di questa legge sono volti ad assicurare la parità nelle imprese come all’interno della convivenza domestica, a contrastare la povertà femminile legata a un mondo del lavoro ostile e refrattario alla valorizzazione delle risorse femminili, e a proteggere le donne da tutte le forme di violenza e generare la parità. Fa parte proprio di questo disegno di legge il divieto di realizzare concorsi di bellezza per minorenni, le cosiddette “mini-miss” (sempre per restare nel tema della difesa dell’infanzia). Vi prego di dare una letta, una rapida occhiata anche solo ai titoli e testi brevi contenuti nelle pagine che vi ho linkato; il francese non è una lingua così lontana dall’italiano e anche se non siete francofoni/e sono certa che riuscirete comunque a cogliere la struttura e la ricchezza dei materiali messi a disposizione da uno stato che lavora con e per i propri cittadini e cittadine. Vi sottopongo questa pioggia di link perché sono certa che una conoscenza approfondita dei passi in avanti fatti dalla Francia (o da altri paesi) in direzione di un’educazione alla parità e al rispetto fra i sessi non possa che farci bene e darci qualche spunto per fare altrettanto in Italia. Ne abbiamo bisogno!
Mi sono recentemente collegata al sito di un Ministero che praticamente non esiste, un ministero fantasma, quello italiano delle “Pari opportunità” http://www.pariopportunita.gov.it/ . Penso quindi al video http://www.youtube.com/watch?v=7HuGdeVG_40 che ho visto qualche giorno fa in cui Lorella Zanardo durante un incontro Ted Conference spiega l’immenso lavoro, non sempre riconosciuto, che sta facendo nelle scuole italiane con Nuovi Occhi per i Media. Ma mentre Lorella gira l’Italia in lungo e largo, e centinaia di blogger e associazioni di volontarie e volontari cercano di cambiare il paese attraverso l’innalzamento di consapevolezza, cosa sta facendo lo stato italiano? Sventola il tema del Femminicidio solo quando é materia sensibile per una campagna elettorale? Perché da noi non esiste per davvero un Ministero dedito alla difesa della parità e dei diritti delle donne? Alla protezione dell’infanzia, all’educazione al rispetto contro ogni forma di discriminazione e violenza? Pretenderemo risposte in materia prima di tornare alle urne? Come lo pretenderemo? Come ci organizzeremo per avere risposte, far circolare proposte, essere parte attiva ?
Pensiamoci e facciamolo studiando come si stanno muovendo anche altre paesi, soprattutto europei, per trovare una strategia comune e muoverci rapidamente nella stessa direzione. Voi cosa ne pensate?

venerdì 13 dicembre 2013

Nelson Mandela:Imparare a Vivere senza Consenso


I potenti piangono, pare.
Io non ci credo.
Piangi qualcuno che hai amato e stimato per ciò che è, non per ciò che rappresenta.
In questa foto Mandela ha l’età di molte di voi che leggete qui: un giovane avvocato, di belle speranze. Un uomo che crede che in un Paese democratico ognuno debba essere messo in grado di esprimere al meglio il proprio potenziale di persona.
In Sud Africa non c’era libertà. E dunque questo giovane uomo trascorre 30 anni, un terzo della sua vita in una cella.
Molti anni fa lessi “Lungo Cammino verso la Libertà”. Non è un libro appassionante, è a tratti noioso, però una delle lettura più edificanti che abbia mai fatto.
Perchè da quello scritto di MAndela ho imparato la pazienza, la perseveranza, l’andare avanti a testa bassa talvolta come un mulo, sopportando la fatica e l’umiliazione. Perchè se hai un ideale, e ideale significa molto più di obbiettivo, devi essere preparato a sopportare molto.
30 anni in una stanza raccontati in un libro: i giorni si susseguono e non c’è molto da dire , vero? Per noi figlie e figli di questi anni, è incomprensibile, abituati come siamo a politici e a manager che devono raggiungere obbiettivi trimestrali. Una farsa incredibile, perchè non c’è cambiamento reale che non abbisogni di tempo e fatica.
Non è stato Nelson Mandela solo il paladino della lotta all’apartheid. E’ stato l’esempio per molte attiviste e attivisti della fatica implicita che si deve sopportare nella preparazione alle battaglie per i diritti, che comportano sacrifici immensi, abbattimento dell’ego per decenni, e una forte centratura su cosa conti veramente nella propria vita.
Io che sono un granello di sabbia al cospetto di questa roccia d’uomo, devo la mia centratura a persone come lui, che mi hanno ispirata. Persone che mi tengono salda ai miei prinicipi e ai miei ideali, impresa difficile, circondate come siamo da falsi richiami.
Ragazze e ragazzi che leggete: ricordate che se ora ai funerali di quest’uomo andranno a migliaia i potenti di tutto il mondo, c’è stato un tempo lungo in cui da Mandela non andava nessuno. 30 anni, 365giorni x30, di solitudine e di rifiuto. Nessun consenso. E mentre sei in prigione, è durissimo riuscire a credere che ce la farai, che da lì uscirai e che la tua lotta sarà premiata.
Potresti anche non farcela. Ed è un pensiero che annienta.
Le persone come Mandela sono un faro, una luce nelle nostre vite. Insegnano a chi ha orecchie e testa per comprendere, di non farsi distrarre dal bisogno di consenso, perché le battaglie per i diritti il consenso dal mondo lo ottengono solo a battaglia vinta.
Coraggio delle proprie idee.
Ragazze che leggete, la battaglia per i diritti delle donne non prevede consensi dai conformisti, bisogna imparare ad essere forti e a farcela, se credete fermamente che ne valga la pena.
Ho fatto un esercizio: ho recuperato i quotidiani di 40 anni fa: molti dei nomi sulle prime pagine, non ci sono più. Ma quel che è importante tenere a mente è che non ci sono più nemmeno nel nostro ricordo. Spazzati via, famosi per qualche anno, non hanno lasciato nulla al mondo.
Immagino la stessa fine la faranno i tanti inutili di questa epoca e i loro cantori.
Nelsono Mandela, mentre i giornali scrivevano di politici dell’epoca i cui nomi ora non ricordiamo, stava ore sdraiato su una panca in una cella. Pensava. Dai più dimenticato.
Ecco, quella forza consapevole, ostinata e illuminata, di preparare pazientemente il domani del mondo, è la cosa più bella che ci ha lasciato.

martedì 3 dicembre 2013

Lettera agli uomini che odiano le donne di Cristina Comencini


Noi donne occidentali siamo le prime madri libere dal destino della maternità: possiamo scegliere di essere donne senza figli. Nella madre antica, il primo anno di vita e quelli seguenti creavano nel bambino un’idea di donna che si prolungava nell’età adulta, in cui il destino della ragazza era quello di sposa e madre e quello dell’uomo di trovare la donna madre dei suoi figli.
Non c’era rottura, contraddizione, tranne quella che derivava dall’infelicità e dal sacrificio insiti nel destino femminile. A noi, madri nuove, viene richiesto un doppio salto mortale: dobbiamo essere pronte allo stato fisico e mentale che permette lo sviluppo del bambino, ma restiamo donne libere, ambivalenti nel desiderio di vivere pienamente il rapporto esclusivo a due col bambino ma di non esiliarci dal lavoro lasciato. Nel passaggio di testimone dalla nuova madre alla nuova figlia, la bambina ne osserva la vita: la libertà, il lavoro, la parità e comincia a cercare, a costruire la sua identità sulla nuova identità della madre. Il figlio maschio di questa nuova madre e la madre nuova di questo figlio affronteranno invece una relazione molto complessa: la sessualità, l’immaginazione, il desiderio, la sicurezza iniziano a formarsi in lui con la madre dedita dei primi mesi e dei primi anni, che si trasformerà poi davanti agli occhi intimiditi del ragazzino, in una donna forte, sicura di sé, piena di autorità, che va fuori nel mondo senza paura, concorre col padre, tiene testa agli uomini.
Questo figlio cresce con l’idea che l’uomo non è sempre simbolo di forza, che il padre non ha l’esclusività del ponte col mondo, che non può riferirsi a lui per ogni aspetto della sua virilità nascente. Il padre gli sembra a tratti impaurito e lui tenderà a difenderlo contro la madre, prendendo così le parti di se stesso, messe a dura prova dalla sicurezza materna. Il ragazzo vede fuori casa molte ragazze che somigliano alla madre nuova che ha scoperto crescendo e non sa assolutamente come dovrà affrontarle, amarle, farci l’amore, pensa che potrebbe prendere la scorciatoia e incontrarne una più fragile o tradizionale, che si faccia guidare e proteggere da lui. E qualche volta la trova, ma non sa che anche nella più tradizionale delle donne il germe dell’autonomia conquistato dalle nuove madri è fiorito all’insaputa della ragazza. Capiterà che la ragazza si senta incerta come lui, che odi la madre nuova, con tutta la sua sicurezza vincente. E allora specularmente al ragazzo in cerca di un passato impossibile, si fingerà sottomessa, materna, unica. Una felicità fragile che si fonda su una frase fondamentale: noi non ci lasceremo mai.
E poi un giorno, lei o lui dirà la frase proibita: ti lascio. Solo che se la pronuncerà lui, lei piangerà e scriverà sul diario e ne parlerà con le amiche come nell’Ottocento. Lui invece potrebbe pensare di ucciderla, come si uccideva in duello nell’Ottocento per una donna, o farlo come avrebbe voluto qualche volta sopprimere la madre che quest’epoca gli ha dato. La violenza sulle donne — si celebra oggi la giornata mondiale contro il femminicidio — è frutto di questo nuovo, non un retaggio dell’antico. Usa forme antiche ma è del tutto nuova e legata alla libertà delle donne, delle madri, alle loro contraddizioni, al mutamento troppo lento degli uomini, dei padri di fronte a questa nuova libertà. Eppure è negli uomini, nei padri, nella loro riflessione, nella ripresa del loro ruolo centrale accanto alle donne che siamo oggi, che io penso possa compiersi la rivoluzione che le donne hanno iniziato.
Le nuove donne devono continuare a essere differenti dagli uomini e fare valere in tutti i campi la ricchezza della loro storia, della loro intelligenza, dei loro pensieri, ma devono anche cambiare nel profondo e lasciare agli uomini la loro parte di responsabilità nel nuovo mondo. I ruoli dell’uno e dell’altra, rimanendo differenti, possono sovrapporsi e prendere l’uno dall’altra. E la madre può cedere la sovranità assoluta per una libertà conquistata che apre le porte di un mondo vasto, ricco della presenza di Due diversi ma pari. E penso che il padre possa insegnare la sua nuova forza al figlio: un dominio sovrano che deve trasformarsi nell’accoglimento della differenza delle donne, della loro parità. Può insegnare al figlio a non averne paura, a parlarne, sottraendo così il dialogo sui sentimenti all’impero delle donne. Forse la nuova forza degli uomini è fatta anche del pianto di Ulisse — uomo per eccellenza — che nell’isola dei Feaci ascolta il racconto della guerra di Troia e piange, coprendosi il viso col mantello purpureo, «come donna piange lo sposo che cadde davanti alla città». Forse l’uomo può piangere ora come uomo, senza coprirsi il viso, anche davanti al figlio, e aprirsi nel racconto all’altro da sé. E le donne al contrario possono diventare più lievi, manifestare la loro imperfezione, dare ai figli la manifestazione vera di quello che sono e la possibilità di tenere testa senza violenza alle giovani donne libere che incontreranno nella loro vita adulta. Abbiamo la fortuna di vivere uno dei cambiamenti più importanti della storia, il mutamento profondo del rapporto tra i due generi, questo mutamento può cambiare il mondo e in questo nuovo mondo le donne e gli uomini possono amarsi e comprendersi molto più di prima.