martedì 25 settembre 2018

Violenza di genere. Chi sensibilizzare? di Simona Sforza

Ci sono violenze che non emergono mai, fino a che non accade qualcosa di irreparabile, il femminicidio. La violenza è ancora percepita come un fatto privato e invece dobbiamo dire che no, non è così, a più livelli, ciascuno con le proprie competenze e responsabilità, dobbiamo accompagnare le donne affinché riescano a intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla violenza, affinché riescano a denunciare ciò che hanno subito.
Scrivo perché desidero poter dare il mio micro contributo per diffondere informazioni, notizie, condividere battaglie e in qualche modo a creare consapevolezza. Ci sono tanti modi per farlo, io lo faccio con i mezzi e gli strumenti che ho a disposizione. Scrivere serve anche a me stessa per mettere a fuoco pensieri, opinioni, riflessioni, dati e fonti. Ma soprattutto penso da sempre a un punto essenziale: le donne non devono essere lasciate sole, non devono restare isolate con ciò che la vita mette loro davanti, devono sentire che al loro fianco c’è chi le sostiene, le ascolta, gli crede e può aiutarle. Per questo è importante mettere in circolo le informazioni e fare passaparola. Ho ricevuto più volte dei segnali che le mie parole riescono ad essere utili, soprattutto riescono a fare emergere il desiderio di raccontare le proprie esperienze, di condividere la propria storia, perché non accada ad altre, affinché le cose cambino, ci sia un miglioramento. Questo vale a maggior ragione quando si tratta di un caso di violenza, quando si vive una delle esperienze più dolorose, capaci di segnarti nel profondo. Spesso si chiede alle vittime di violenza perché non hanno denunciato prima, perché hanno aspettato. Ci sono violenze che non emergono mai, fino a che non accade qualcosa di irreparabile, il femminicidio. La violenza è ancora percepita come un fatto privato e invece dobbiamo dire che no, non è così, a più livelli, ciascuno con le proprie competenze e responsabilità, dobbiamo accompagnare le donne affinché riescano a intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla violenza, affinché riescano a denunciare ciò che hanno subito. Dobbiamo mettere in campo tutti gli strumenti per proteggerle effettivamente ed efficacemente, e se hanno figli minori, assicurare loro altrettanta protezione. In caso di stupro o stalking non dobbiamo sfoderare il consueto armamentario volto a rivittimizzare le donne.
Ringrazio V. (iniziale fittizia) la donna che ha voluto condividere la sua storia. Penso che la sua testimonianza, insieme a quella di altre donne, possa servire a ribadire ciò di cui le donne hanno bisogno, a chiedere che le cose cambino al più presto. Ho rimosso ogni riferimento che potesse rendere riconoscibile questa donna, la sua esperienza ha un valore universale.
“Quando trovi la forza e il coraggio di uscire dalla “gabbia” della paura, e decidi di chiedere aiuto, la violenza che hai subito fino a quel momento, in qualche modo l’hai accettata, vorresti e cerchi di voltare pagina.
Magari, puoi anche accettare e fare i conti con l’insensibilità e l’omertà intorno a te, ma l’omertà e l’abbandono da parte delle Istituzioni a cui ti rivolgi, per chiedere tutela, protezione, aiuto e supporto…PROPRIO NO, NON SI PUO’ E NON SI DEVE ACCETTARE!!!!”
Esordisce così, V. in quella che è una esperienza di stalking da parte dell’ex, “un’enorme sofferenza e disagio, difficile da spiegare e quasi impossibile da comprendere”. Prova “un senso finalmente di sollievo”, pensando che la accoglieranno, dandole tranquillità e serenità e un senso di protezione; “invece, sin dal primo approccio, incontri atteggiamenti ostili”. V. vorrebbe sentirsi dire “tranquilla, ora ci siamo noi”, invece trova scarsa considerazione, atteggiamenti volti a scoraggiarla, sguardi solo di curiosità, nessuno che le creda. Si è ritrovata sballottata da un ufficio all’altro, una pratica che passa da un dipendente all’altro. Rimbombano le parole “non accoglienza”, “leggerezza”, avverti tutte le difficoltà che le si sono frapposte davanti alla denuncia, nel momento in cui ha finalmente trovato la forza di farlo. La documentazione allegata, l’insistenza con cui il suo stalker non demorde e continua a perseguitarla non sembrano sufficienti per un intervento tempestivo di allontanamento.
“Le indagini, malgrado la documentazione attestante l’essere insistentemente infastidita e perseguitata, continuano e durano ben 4 mesi, alla fine dei quali arriva finalmente ”l’inevitabile” provvedimento amministrativo richiesto.”
“Provvedimento al quale, lo stalker, come da sua facoltà, fa ricorso al TAR, che con sentenza abbreviata, emessa nella stessa mattina della prima udienza, la rigetta, quale chiaro segno della non fondatezza.”
Sembra che malgrado tutti gli ostacoli, la vicenda si sia conclusa bene, V. pensa “Ho fatto bene a denunciare”.
Ma “dopo soli 20 giorni, dall’ordinanza del TAR, lo stalker, chiede la revoca del provvedimento all’Autorità che lo ha emesso, e che davanti al TAR si è opposta al suo annullamento, e ottiene la revoca.”
Nel suo racconto V. aggiunge: “ha fatto il bravo 6 mesi (4 dei quali, sono durate le indagini, e un altro mese il suo ricorso al TAR) , diranno nelle motivazioni di revoca della misura preventiva.”
V. si sente giustamente ferita, lesa:
“Vorrei che qualcuno mi spiegasse a cosa è servito denunciare …..e vorrei che qualcuno, chi di competenza, si chiedesse perché le donne hanno remore a chiedere aiuto o non riescono a denunciare, perché preferiscono soffrire in silenzio da sole! Nessuna persona che chiede aiuto, deve essere trattata così. Questa, voglio urlare…. è anche VIOLENZA, la peggiore con la quale, sei costretta a fare i conti. E continui a difenderti da sola.”
Fanno male queste parole, avverti ciò che significa la rivittimizzazione delle vittime.
V. mi ha affidato la sua storia con un messaggio: “penso e spero, che il racconto di una triste verità, possa sensibilizzare più di una semplice campagna, come da anni se ne vedono tante.”
Una volta uscite dal silenzio, le sopravvissute non possono essere abbandonate, hanno bisogno di sostegno. A volte sembra proprio che le cose non funzionino, che le procedure si intoppino, che la macchina non riesca a fare adeguatamente il suo lavoro, producendo veri e propri danni. C’è obiettivamente un problema, soprattutto non vi è certezza di cosa accadrà e che la giustizia compia sempre il suo dovere, che tutti i soggetti svolgano al meglio il proprio compito. In questo clima chiaramente si chiedono e si pretendono significative correzioni, che non ammettano alibi. Soprattutto, ci si augura che tutti, dico tutti i responsabili di questi reati ricevano lo stesso trattamento, senza che si creino sistemi di protezione o scappatoie, grazie ad omissioni e comportamenti di favore. La certezza di ottenere giustizia è indispensabile, qualcosa da assicurare sempre. Altrettanta cura, attenzione e scrupolosità deve essere prestata da ciascun soggetto, professionista, operatore di polizia venga a contatto con una donna che denuncia e chiede aiuto.
In ambito giudiziario, sin dal 2010, il Csm:
“ha operato nella direzione di incentivare la specializzazione dei magistrati in ordine al fenomeno della violenza di genere (delibera 11.2.2009 e 30.7.2010) sia nel settore penale che civile, sollecitando anche l’adesione di metodi organizzativi volti ad assegnare la trattazione in via esclusiva e prevalente di tutti gli affari riguardanti la materia in sezioni specializzate. Con la delibera del 12.3.2014, sono stati analizzati i moduli organizzativi volti alla trattazione tempestiva dei procedimenti penali in materia di violenza familiare, registrando una situazione fortemente disomogenea sul territorio nazionale ed indicando ulteriori direttive vincolanti in materia. Con la nuova Circolare sulla Formazione delle Tabelle degli Uffici Giudicanti per il triennio 2017-2019, si è ribadita la regola secondo cui i Tribunali organizzati in più sezioni civili e/o in più sezioni penali devono prevedere modelli di specializzazione che accorpino materie in base ad aree omogenee ad esempio, avuto riguardo, nel settore penale, alla trattazione di materie quali i delitti commessi in danno di soggetti deboli, i delitti di femminicidio, mostrando ancora una volta particolare attenzione al tema della violenza di genere.”
Il Csm altresì asserisce che:
“non può non farsi carico di quanto contestato all’Italia dalla Corte E.D.U. con la sentenza 2 marzo 2017 (Talpis c. Italia), che ha affermato dagli artt. 2 e 3 Cedu scaturisca a carico dello Stato l’obbligo positivo di proteggere le persone vulnerabili, fra cui rientrano le vittime di violenze domestiche, attraverso misure idonee a porle al riparo da aggressioni alla propria vita e integrità fisica. Ne deriva la necessità di promuovere e condividere l’adozione di buone prassi finalizzate ad acquisire tra gli obblighi positivi quelli cosiddetti procedurali, dai quali discende il dovere per le autorità pubbliche di instaurare un procedimento penale effettivo e tempestivo. Inoltre, occorre essere consapevoli che la sanzione penale è solo uno degli strumenti necessari per contrastare la violenza contro le donne, essendo fondamentale agire anche in via preventiva in presenza di segnali di rischio che impongano un tempestivo intervento dell’autorità Giudiziaria. A tal fine, è importante avvalersi dell’apporto di saperi non strettamente giuridici e di figure professionali sempre più specializzate.”
In quest’ottica lo scorso 9 maggio 2018, il Csm ha approvato delle linee guida agli uffici giudiziari italiani, requirenti e giudicanti, fornendo gli indirizzi per meglio organizzare l’attività di indagine e i giudizi sui reati riguardanti la violenza di genere, per rendere più veloci i provvedimenti relativi ai femminicidi, attraverso: “specializzazione, celerità nella celebrazione dei processi, formazione dei giudici, coordinamento con le forze di polizia, con i servizi di cura e assistenza per le vittime di questi odiosi reati”, come ha precisato il vice presidente del Csm Giovanni Legnini.
Formare tutti i soggetti interessati, promuovere la loro specializzazione, fare attenzione a tutti i segnali, effettuare una prevenzione effettiva, assicurare ascolto, che presuppone una contestuale capacità di mettere in campo empatia del personale preposto. Ci auguriamo che le parole e gli impegni diventino realtà in tutta la penisola, in ogni caso di violenza, che non deve essere sottovalutata mai. Ci auguriamo inoltre che, visto che ciascuna donna ha bisogno di scegliere un proprio percorso ed il tempo per decidere di denunciare, il legislatore possa prevedere un innalzamento dei tempi utili per denunciare una violenza sessuale.
Di questi tempi corriamo il rischio di arretrare pesantemente in tema di diritti, tutele. Disegni di legge come il n.735 firmato dal senatore Simone Pillon, sono un chiaro esempio di come non si tiene nel giusto conto la violenza domestica, le sue conseguenze non solo sulle donne ma anche sui loro figli. La violenza assistita lascia pesanti segni e come ho più volte ripetuto, non si può in nome della bigenitorialità ad ogni costo, far finta di non vederla; se un figlio non vuole vedere il padre occorre verificare innanzitutto se ci siano episodi di violenza in famiglia, prima di escogitare allontanamenti coatti, incolpando la madre. Si rischia di confondere conflitto di coppia e violenza di genere, ponendo tutto pericolosamente sullo stesso piano. Non si può agitare lo spettro della Pas, per tenere sotto scacco le donne che vogliono divorziare e allontanarsi da un marito abusante. Una legge che serve a rendere più pesante l’iter del divorzio, che impone la mediazione familiare, di certo non aiuterà le donne a liberarsi dalla violenza. Questo è ciò che sta accadendo, questo è ciò che rischiano le donne se dovesse passare il DDL Pillon. Per questo vi chiedo di sostenere la petizione lanciata da D.i.Re Donne in rete contro la violenza.
Insomma, in una strategia di prevenzione e contrasto alla violenza di genere, da un lato è necessario sensibilizzare le donne che vivono esperienze di violenza a rivolgersi ai centri antiviolenza e alle autorità per denunciare e chiedere protezione, ma forse è ancora più rilevante e importante che i rappresentanti istituzionali, le forze dell’ordine, la magistratura e tutti coloro che sono chiamati ad aiutarle ed a far valere i loro diritti e tutele, sviluppino una sensibilità e una comprensione profonda del problema, dei significati e delle ricadute di una esperienza traumatica, nonché una capacità di ascolto e di accoglienza non giudicante e non rivittimizzante.
“Molti identificano la violenza, solo in uno schiaffo o in dei lividi sul corpo, ma vi assicuro è molto di più.” ricordiamoci le parole che ci consegna V. perché inquadrano esattamente cosa provano le donne e quanto profondi siano gli strascichi della violenza.
http://www.dols.it/2018/09/22/violenza-di-genere-chi-sensibilizzare/

domenica 23 settembre 2018

Violenze sessuali e domestiche a Milano: 85 episodi al mese, boom nel primo semestre Dati rilevati dal Soccorso Violenza Sessuale e Domestica (SVSeD) del Policlinico

La violenza sessuale e domestica a Milano, secondo i dati del primo semestre 2018 rilevati dal Soccorso Violenza Sessuale e Domestica (SVSeD) del Policlinico, risulta in lieve aumento (+5% nel confronto con i primi 6 mesi del 2017). Il quadro, comunque preoccupante, è stato presentato da Alessandra Kustermann, direttore pronto soccorso e accettazione ostetrico-ginecologica, soccorso violenza sessuale e domestica (SVSeD) e consultori familiari del Policlinico di Milano, nel corso di una conferenza stampa svoltasi presso la sede dell’Ordine dei Medici.

Gli accessi complessivi al SVSeD sono stati 511, in media 85 al mese, di cui 206 riguardanti la violenza sessuale, 289 la violenza domestica e 16 la combinazione delle due violenze. Le vittime, in stragrande maggioranza (484), sono risultate le donne. La nazionalità delle vittime è risultata pressoché pari: 254 di nazionalità italiana e 254 di nazionalità straniera. 369 persone sono state inviate al SVSeD del Policlinico attraverso i pronto soccorso degli ospedali milanesi e le forze dell’ordine. Ben 102 casi di violenza hanno riguardato bambini e adolescenti, 385 i casi che hanno riguardato persone comprese tra i 18 e i 54 anni, mentre sono stati 24 i casi di violenza subita da over 55 anni. Gli aggressori sono in larga misura riconducibili all’ambiente familiare o ex famigliare: in 189 casi l’aggressore è stato il marito o il partner, in 71 casi l’ex marito o l’ex partner, in 67 casi si è trattato di genitori, figli e altri componenti della famiglia. In 64 situazioni i colpevoli sono stati invece amici o colleghi, mentre sono stati 70 i casi di violenza imputabili a un aggressore sconosciuto.

“Il nostro SVSeD – ha spiegato Alessandra Kustermann - è un centro antiviolenza pubblico, collocato in un grande ospedale e questo consente alle donne di ricevere un aiuto immediato anche da un punto di vista sanitario e medico legale, oltre che psicologico e sociale. I progetti che le donne decidono di intraprendere per uscire dalla violenza sono molteplici e complessi, a volte si possono interrompere. L’importante è che le donne sappiano che possono tornare a chiedere aiuto anche dopo molto tempo, perché gli operatori di SVSeD restano disponibili ad aiutarle e sono coscienti delle difficoltà che possono aver determinato un’interruzione nel percorso di separazione dal maltrattante”.
http://www.milanotoday.it/cronaca/violenze-sessuali-dati.html

mercoledì 12 settembre 2018

IL PRIMO GIORNO SENZA SCUOLA. Nel Settembre 1938 la campanella non suonò per migliaia di ragazze, ragazzi e docenti ebrei italiani.

Oggi 12 settembre 2018 suona la campanella. E' il primo giorno di scuola.
Nel Settembre 1938 la campanella non suonò per migliaia di  ragazze, ragazzi e  docenti ebrei italiani. Fu il loro primo giorno senza scuola.
Le leggi razziali italiane furono annunciate  dal  “Manifesto della razza”, pubblicato il 15 luglio 1938 sul Giornale d'Italia  col titolo "Il Fascismo e i problemi della razza" ed il 5 agosto dalla rivista La difesa della razza. Il “Manifesto della razza”, firmato da dieci scienziati e sostenuto da intellettuali, scienziati ed uomini di fede, definisce l'idea di razza, codifica l'esistenza di una razza italiana ariana, sostiene la necessità di essere razzisti.
La legislazione fascista stabilì chi era ebreo per parentela o per credo religioso, definì i conseguenti divieti tra i quali: il matrimonio tra italiani ed ebrei, avere alle proprie dipendenze domestici di razza ariana, trasferirsi in Italia se stranieri, svolgere la professione di notaio e di giornalista, iscriversi ed insegnare nelle scuole pubbliche.
La scuola fu la prima istituzione a dover fare i conti con la legislazione razziale.
Il decreto Regio "Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista" promulgato il 5 settembre 1938 fu il primo di circa 180 decreti firmati dal re Vittorio Emanuele III e voluti da Benito Mussolini. Meglio noti come “Le leggi razziali”  rimasero in vigore fino al 1944.
La campanella non suonò per migliaia di ragazze e ragazzi. Quel settembre del 1938 fu per loro il primo giorno senza scuola. Più di 300 docenti vennero allontanati dalle università italiane. Senza contare gli insegnanti, i ricercatori e gli autori di libri di testo messi all’indice dal regime, gli scienziati e gli intellettuali che emigrarono all'estero.
Da quel settembre sono trascorsi 80 anni. Su questa pagina oscura della storia italiana dopo il silenzio sta arrivando una rimozione preoccupante e la riproposizione in modo diverso di valori (appartenenza, razza, confini, frontiere, muri, sovranismo) che hanno caratterizzato il razzismo del ventennio.
Creare confini con  chi pratica altre religioni, ritenere  “diversi” e “diverse” solo un problema, “disumanizzare” gruppi di persone, immaginare una società nella quale gli indesiderati possano occupare i posti bassi, esasperare le identità sono segnali non troppo latenti di un neorazzismo in assenza di razze, adattato al XXI secolo, non nominato, ma rinnovato e reinterpretato nei pregiudizi e nei comportamenti.

di seguito i documenti: Regio decreto per la difesa della razza nella scuola fascista
                                      Il manifesto della Razza - 1938

REGIO DECRETO-LEGGE 5 settembre 1938-XVI, n. 1390
Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista. 
VITTORIO EMANUELE III
PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTA' DELLA NAZIONE
RE D'ITALIA
IMPERATORE D'ETIOPIA

Visto l'art. 3, n. 2, della legge 31 gennaio 1926-IV, n. 100;
Ritenuta la necessità assoluta ed urgente di dettare disposizioni per la difesa della razza nella scuola italiana;
Udito il Consiglio dei Ministri;
Sulla proposta del Nostro Ministro Segretario di Stato per l'educazione nazionale, di concerto con quello per le finanze;
Abbiamo decretato e decretiamo:
Art. 1
All'ufficio di insegnante nelle scuole statali o parastatali di qualsiasi ordine e grado e nelle scuole non governative, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere ammesse persone di razza ebraica, anche se siano state comprese in graduatorie di concorso anteriormente al presente decreto; né potranno essere ammesse all'assistentato universitario, né al conseguimento dell'abilitazione alla libera docenza.
Art. 2
Alle scuole di qualsiasi ordine e grado, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica.
Art. 3
A datare dal 16 ottobre 1938-XVI tutti gli insegnanti di razza ebraica che appartengano ai ruoli per le scuole di cui al precedente art. 1, saranno sospesi dal servizio; sono a tal fine equiparati al personale insegnante i presidi e direttori delle scuole anzidette, gli aiuti e assistenti universitari, il personale di vigilanza nelle scuole elementari. Analogamente i liberi docenti di razza ebraica saranno sospesi dall'esercizio della libera docenza.
Art. 4
I membri di razza ebraica delle Accademie, degli Istituti e delle Associazioni di scienze, lettere ed arti, cesseranno di far parte delle dette istituzioni a datare dal 16 ottobre 1938-XVI.
Art. 5
In deroga al precedente art. 2 potranno in via transitoria essere ammessi a proseguire gli studi universitari studenti di razza ebraica, già iscritti a istituti di istruzione superiore nei passati anni accademici.
Art. 6
Agli effetti del presente decreto-legge è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi religione diversa da quella ebraica.
Art. 7
Il presente decreto-legge, che entrerà in vigore alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Regno, sarà presentato al Parlamento per la sua conversione in legge. Il Ministro per l'educazione nazionale è autorizzato a presentare il relativo disegno di legge.
Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a San Rossore, addì 5 settembre 1938 - Anno XVI
VITTORIO EMANUELE
Mussolini - Bottai - Di Revel
Visto, il Guardasigilli: Solmi.
Registrato alla Corte dei conti, addì 12 settembre 1938 - Anno XVI
Atti del Governo, registro 401, foglio 76 - Mancini.

Il manifesto della Razza - 1938
Pubblicato, con il titolo Il fascismo e i problemi della razza, su “Il Giornale d'Italia” del 14 luglio 1938, il Manifesto degli scienziati razzisti o Manifesto della razza, anticipa di poche settimane la promulgazione della legislazione razziale fascista (settembre-ottobre 1938). Firmato da alcuni dei principali scienziati italiani, Il Manifesto diviene la base ideologica e pseudo-scientifica della politica razzista dell'Italia fascista.
Da "La difesa della razza", direttore Telesio Interlandi, anno I, numero 1, 5 agosto 1938, p. 2.
Il ministro segretario del partito ha ricevuto, il 26 luglio XVI, un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle università italiane, che hanno, sotto l'egida del Ministero della Cultura Popolare, redatto o aderito, alle proposizioni che fissano le basi del razzismo fascista.
1. Le razze umane esistono. La esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti di milioni di uomini simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi.
Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori o inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti.
2. Esistono grandi razze e piccole razze. Non bisogna soltanto ammettere che esistano i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma bisogna anche ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come per es. i nordici, i mediterranei, i dinarici, ecc.) individualizzati da un maggior numero di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista biologico le vere razze, la esistenza delle quali è una verità evidente.
3. Il concetto di razza è concetto puramente biologico. Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno delle differenze di razza. Se gli Italiani sono differenti dai Francesi, dai Tedeschi, dai Turchi, dai Greci, ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una storia diversa, ma perché la costituzione razziale di questi popoli è diversa. Sono state proporzioni diverse di razze differenti, che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia, infine, che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze.
4. La popolazione dell'Italia attuale è nella maggioranza di origine ariana e la sua civiltà ariana. Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L'origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell'Europa.
5. È una leggenda l'apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici. Dopo l'invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l'Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: i quarantaquattro milioni d'Italiani di oggi rimontano quindi nella assoluta maggioranza a famiglie che abitano l'Italia da almeno un millennio.
6. Esiste ormai una pura "razza italiana". Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico-linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l'Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.
7. È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l'opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l'indirizzo ariano-nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra-europee, questo vuol dire elevare l'Italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.
8. È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d'Europa (Occidentali) da una parte gli Orientali e gli Africani dall'altra. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l'origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili.
9. Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l'occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all'infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l'unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani.
10. I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo. L'unione è ammissibile solo nell'ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall'incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani.
I firmatari:
Lino Businco, docente di patologia generale, 'Università di Roma
Lidio Cipriani, docente di antropologia, Università di Firenze
Arturo Donaggio, docente di neuropsichiatria, Università di Bologna, nonché presidente della Società Italiana di Psichiatria
Leone Franzi, docente di pediatria, Università di Milano
Guido Landra, docente di antropologia, Università di Roma
Nicola Pende, docente di endocrinologia, Università di Roma, nonchè direttore dell'Istituto di Patologia Speciale Medica
Marcello Ricci, docente di zoologia, Università di Roma
Franco Savorgnan, docente di demografia, Università di Roma, nonché presidente dell'Istituto Centrale di Statistica
Sabato Visco, docente di fisiologia, Università di Roma, nonché direttore dell'Istituto Nazionale di Biologia presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche
Edoardo Zavattari, direttore dell'Istituto di Zoologia dell'Università di Roma.