lunedì 31 marzo 2014

QUEL MESSAGGIO AI VIOLENTI: DA OGGI NESSUNO PUÒ SPERARE NELL’IMPUNITÀ di Michela Marzano


«La sentenza è giusta. Anche se nulla potrà ripagarmi».
È con queste parole che Lucia Annibali ha commentato la sentenza di condanna del suo ex fidanzato, che aveva pagato due sicari per aggredirla con l’acido. Vent’anni di reclusione per stalking e tentato omicidio, come era stato richiesto dal pubblico ministero. Per punire in modo esemplare un crimine esemplare. E mostrare così, speriamo una volta per tutte, che la violenza contro le donne non può restare impunita, che gli uomini violenti non possono più farla franca, che la giustizia, anche in Italia, può fare il proprio lavoro. Certo, nulla potrà mai ripagare Lucia per la sofferenza e l’umiliazione subite. Nulla potrà mai ridarle quello che ha perso per sempre. Nulla potrà cancellare quei mesi di lotte per non lasciarsi travolgere dal dolore ed andare avanti. Ma, adesso, Lucia non sarà più solo un simbolo delle violenze contro donne. Sarà anche il simbolo di una giustizia che, senza cadere nella trappola della vendetta, riconosce alle vittime della brutalità maschile il diritto di essere prese sul serio. Certo, il dramma delle violenze che tante donne subiscono quotidianamente non si risolve solo attraverso la punizione. Come accade ogni volta che si è di fronte ad un problema strutturale, per affrontare adeguatamente questa piaga contemporanea è necessario anche cominciare ad agire sulle cause, organizzando un serio piano di prevenzione. Si dovrà, prima o poi, affrontare concretamente la questione della riscrittura della grammatica delle relazioni affettive, insegnando a tutti, fin da piccoli, la necessità del rispetto dell’alterità e della dignità di ogni essere umano, indipendentemente dal sesso, dal genere o dall’orientamento sessuale. Si dovranno finanziare i centri anti-violenza e proteggere le vittime. Si dovrà trovare il modo per aiutare quegli uomini che, rendendosi conto della propria incapacità a controllare l’aggressività e la frustrazione, cercheranno il modo per evitare di passare un giorno all’atto. Ma come fare a portare avanti strategie di questo tipo se non c’è prima l’azione effettiva e simbolica della legge che interviene per punire i colpevoli?
Condannare i colpevoli e applicare la legge è il primo passo per lottare contro le violenze di genere. Non tanto e non solo per riparare i torti, perché quelli, molto spesso, non possono essere riparati. Quanto per dare a tutti un segnale chiaro e preciso: ci sono cose che non si fanno, crimini che la nostra società non è disposta a tollerare, gesti che saranno duramente sanzionati. Nulla è peggio del sentimento di impunità, quel “tanto poi non succede niente” che ha fino ad ora permesso a tanti uomini violenti di continuare ad agire come prima, di non rimettersi mai in discussione, di pensare che non ci fosse nulla di male a perseguitare o picchiare una donna, a deturparla col l’acido o ad ucciderla. Troppe volte gli uomini maltrattanti ne sono usciti indenni. Troppe volte le donne vittime non sono state ascoltate. Troppe volte sono state lasciate sole, talvolta anche rese responsabili di quanto stavano subendo.
Lucia Annibali porterà per sempre con sé i segni della violenza subita. Quell’acido ricevuto in pieno viso per deturparne i contorni e le forme. Quella volontà di cancellarne la specificità, costringendola all’anonimato dell’informe. Ma sarà anche, e per sempre, il simbolo della capacità che tante donne hanno di battersi e di andare avanti per riconquistare la propria soggettività. Sarà anche, grazie alla sentenza di ieri, il simbolo di una giustizia che accoglie e riconosce veramente il dolore delle vittime, punendo i carnefici in modo esemplare.

giovedì 27 marzo 2014

La rivoluzione dei papà di Emanuela Trinci


Babbi che ce la mettono proprio tutta per chiudere definitivamente con lo stereotipo che li ha visti come uomini impacciati e goffi (che non fanno vibrare nelle loro corde dell’anima la cura dei figli) relegandoli al ruolo - finché il bambino sia piccolo - di far stare bene la mamma! La metamorfosi che oggi appare è incontrovertibile e trasversale. Altro che padri padroni di antica memoria che consideravano degradante o futile l’accudimento dei propri bebè: David Cameron ha chiesto il congedo di paternità, alcune celebrità come Phil Collins o Brad Pitt hanno scalato le marce del lavoro per crescere i figli, così, al pari di tanti giovani, magari meno belli ricchi e famosi, che si ritrovano serenamente alle prese con tappetini multisensoriali, termometri a distanza, vestitini bio, strilli alla macaco, cacche modello Pollock eccetera ...

Sono quelli che Gianni Biondillo e Severino Colombo (Manuale di sopravvivenza del padre contemporaneo, ed. Guanda, pagine 252, euro 15), in pagine a dir poco esilaranti, hanno definito i Pa3, «padri autonomi di terza generazione», ovvero padri al cubo. E diciamo pure che fra i babbi o papà odierni, scartati gli spartani, i trendy o i marpioni, i Pa3 sono quelli che esprimono fieri la convinzione che la loro vita ruoti attorno a quella del proprio rampollo. Loro provano gusto, davvero, a cantare le ninne nanne la sera, e pur litigando spesso con la lavatrice o con le geometrie imperfette del rifare un letto, e pur faticando, arrancando, fra mestieri di casa, supermercati e pediatri, sono orgogliosi del loro nuovo ruolo, duro, ma essenziale.

Dopo essersi lasciati alle spalle il modello «tradizionale» di padre, ma anche quello in trasformazione, i Pa3 vivono la fase creativa della post-trasformazione: pronti a mettere in discussione comportamenti scelte e aspettative consolidate sull'argomento paternità all'interno della funzione dell’«essere genitori». Ma sia chiaro che il loro intento non è certo quello di sostituirsi alle mamme né tanto meno essere definiti «mammi». Essere scambiati con i mammi finisce, infatti, per non garantire un’identità autonoma. Significa, piuttosto, mutuarla dalle madri, diventandone solamente una versione maschile. In qualche maniera - è l’opinione espressa anche da Chiara Saraceno - le tante declinazioni, buffe curiose dissacranti, esplose con manualetti, film eccetera, attorno alla figura del mammo hanno trasmesso un messaggio poco chiaro sui ruoli di genere, minando la credibilità dell’uomo accudente, come se questi non fosse uomo, quindi non un padre «davvero», ma solo un uomo poco uomo, e alla fine persino poco virile!

E dunque, mentre i nuovi padri si scambiano opinioni, approfondiscono le questioni nei loro daddy blogger o cinguettano su Twitter, così da creare un gruppo di scambio e di reciproco sostegno, i dati ISTAT registrano il cambiamento in atto: l’85,4% degli uomini italiani è convinto che educazione e cura dei figli siano equamente distribuiti, e l’87% delle donne è convinto che i padri siano più collaborativi e partecipi dei padri di ieri.

Ma non solo. I babbi, ormai è cosa certa, sono coinvolti nella crescita del bambino anche a livello biologico. Alcune indagini di brain imaging, permettendo di osservare i cambiamenti a livello cerebrale, hanno mostrato come, in risposta allo stimolo del pianto del proprio bambino, anche il cervello del babbo riorganizza, riplasma - proprio come il cervello di una donna - le proprie aree cognitive, per il nuovo ruolo «curativo» che è chiamato a svolgere. Senza considerare come cullare il proprio cucciolo provochi nei padri una discesa del testosterone e una produzione maggiore di ossitocina e prolattina: ormoni questi che agiscono sul centro emotivo del cervello (amigdala). Un cambiamento ormonale significativo, certo meno intenso, ma simile a quello che accade nella madre.

E se «questa è la paternità, bellezza», bisogna convenire che fra ironie e picaresche avventure, quella dei padri è una rivoluzione silenziosa che sta cambiando il volto nonché i ruoli sociali delle famiglie occidentali, del rapporto fra genitori e figli e tra uomini - molti di loro padri separati, quando non gay - e donne.

martedì 18 marzo 2014

“Così questa riforma è incostituzionale bisogna dare le stesse chance a tutti”


Quote rosa? «Definizione inaccettabile»
. Donne elette? «Lo garantisce la Costituzione».
 Le soluzioni proposte? «Non me ne piace nessuna».
 La costituzionalista Lorenza Carlassare ha la “sua”, doppio capolista con possibilità di preferenza per chi vota.
Quote rosa, siamo dentro o fuori la Costituzione?
«Mi sono sempre battuta contro questa stupida denominazione di “quote rosa”, usata per abbassare la serietà e l’importanza di un discorso che riguarda la democrazia e l’integrazione della rappresentanza».
Una quota per le donne viola o è conforme alla Carta?
«La Consulta si è già pronunciata sul tema. Con la sentenza 49/2003 ha fugato ogni dubbio e ha respinto il ricorso del governo su una legge della Val d’Aosta che prevedeva la presenza obbligatoria di entrambi i sessi nelle liste elettorali».
Dalla Corte donne per forza in lista?
«Certamente sì, per garantire la parità di chance e d’elezione tra uomo e donna. Lo impongono importanti documenti internazionali e l’articolo 51 della Costituzione, rafforzato dalla modifica del 2003».
Una legge priva di questo sarebbe incostituzionale?
«Ritengo proprio di sì, perché l’articolo 51 è chiarissimo nel voler assicurare la parità di chance».
Alternanza uomo-donna, capilista alternati, il 40% di essi alle donne, quale promuove?
«Francamente nessuna perché non rispettano la parità di chance. L’alternanza non serve perché potrebbe essere eletto solo il capolista, e se è maschio il discorso è chiuso. La seconda è veramente stravagante, perché non vedo come si possano comparare collegi del tutto diversi tra loro. La terza è uguale alla seconda, ma ulteriormente peggiorata».
La sua soluzione?
«Se le liste non fossero bloccate andrebbe consentito il doppio capolista e la doppia preferenza. L’ha adottata la Regione Campania, il governo è ricorso alla Consulta, ma ha perso».
I vantaggi?
«Ci sarebbe la piena parità di chance perché all’elettore verrebbe consentito di esprimere una seconda preferenza per un candidato di sesso diverso. La preferenza, poi, eviterebbe il maggior vizio di incostituzionalità, un elettore cui viene negata qualsiasi possibilità di scelta».

venerdì 14 marzo 2014

La vergognosa disinformazione che cavalca le "quote rosa" e ne fa armi da guerra: contro le donne


Esce oggi sul Corriere, nella sezione "interventi & repliche", e sulla 27ora, una (molto opportuna) precisazione dell'Acccordo di Azione Comune per la Democrazia Paritaria: non si tratta di quote rosa. Facciamo chiarezza.
Si, facciamola: e scopriremo che
 

1. gli emendamenti per il riequilibrio di genere richiesti alla Legge elettorale niente hanno a che vedere con le "quote rosa" [di per sè, peraltro, ottima cosa];
2. approfondita la faccenda, semmai di quote azzurre, da sempre obbligatorie, si dovrebbe parlare.

Ma i  partiti e (spiace dirlo), compattamente anche la maggior parte dei media, hanno evidentemente interesse a sguazzare nella confusione: tanto da fare delle "quoterosa" un (velenoso) mantra ridicolizzante che vanifica tutti gli sforzi delle donne. Benché ciò che è davvero ridicolo siano solo le obiezioni maschili:
Ed eccco il testo completo del comunicato:
Il 10 marzo i deputati italiani si sono nascosti dietro al voto segreto per respingere emendamenti alla nuova legge elettorale volti a consentire anche alle donne un vero accesso alle candidature. Non si tratta, dunque, di "quote rosa": come portato quasi ovunque all'attenzione dell'opinione pubblica.

Ma proprio brandire in modo fuorviante lo spauracchio di presunte "quote rosa" ha consentito di ignorare il vero concetto da mettere a tema, confondendo l’opinione pubblica e dando un alibi a questo comportamento. Non è stata messa debitamente in luce la necessità, invece, di rompere meccanismi chiusi, oggi costruiti in modo da negare alle donne opportunità di candidature in posizioni di eleggibilità.
E attenzione - questo vigliacco copione si è già ripetuto in diversi consigli regionali, dalla Puglia alla Sardegna, per affossare leggi per la doppia preferenza: mentre nelle interviste, a parole, i politici inneggiano alla partecipazione delle donne, sottilmente adombrano forzature e poi la stroncano con un uso indebito del voto segreto.
Poco possono le donne contro questo sbarramento: nella consolidata tendenza alla cooptazione reciproca tra uomini (sia nelle cariche politiche, sia nel girotondo tra "poltrone decisionali" di vario tipo), le donne hanno oggettivamente un accesso ai media molto più scarso rispetto ai colleghi maschi (del resto quante segretarie di partito abbiamo? quanti direttrici di testate nazionali?) e assai minori mezzi economici in campagna elettorale (elemento trascurato di correttezza). E in conclusione: molto scarse possibilità di essere conosciute dall’elettorato. Se aggiungiamo che le donne vengono generalmente candidate in posizioni di facciata, senza eleggibilità, non è questo un meccanismo che garantisce semmai “quote azzurre”?
In tutto ciò le donne di oggi (non diversamente dalle "suffragette" dell’800) vengono sarcasticamente presentate, nelle interviste, da certa satira e da molta stampa, come figure ridicole: mezze calzette che pretenderebbero posti garantiti senza averne titolo. Visione molto opportuna, ma solo per la compagine maschile che con le donne non intende competere.
E il risultato è quanto avvenuto nell'aula di palazzo Montecitorio, proprio in concomitanza con l'8 marzo: uno schiaffo a tutte le donne del Paese, e un passo indietro nella Storia. Per uno scarto di pochi voti.
Vanificare la battaglia portata avanti dalle donne e dagli uomini alla Camera dei deputati, che hanno promosso e votato emendamenti per la rappresentanza (anche) di genere, è una ferita insanabile: non solo per il cammino delle donne, ma per l’avanzamento di un Paese in crisi.
Riteniamo doverosa questa denuncia, e di offrire un punto di vista più ampio all'opinione pubblica. Le donne, fuori e dentro il Parlamento, non si arrendono.
Con l’augurio all’Italia che la partita per uscire dall'anacronismo, che si riapre ora in Senato, si risolva positivamente.
12 marzo 2014, Acccordo di Azione Comune per
la Democrazia Paritaria
per info e contatti: danielacarla2@gmail.com

giovedì 13 marzo 2014

LETTERA alle PARLAMENTARI: LOTTA DURA SENZA ALCUNA PAURA



Chi siede alla Camera, da noi eletto ed eletta, in questo momento tenga a mente che è lì a rappresentare non solo adulti e adulte forti, ma in particolare le fasce deboli della popolazione, i ragazzi, le ragazze, i bambini le anziane tra gli altri: coloro che non hanno spesso parole per dire il loro talvolta insopportabile disagio.
Ci ricorda Giuseppe De Rita, direttore del Censis, che le donne dopo i 50 anni,se non dispongono di un alto reddito, cosa comune nel nostro Paese, vanno spesso incontro ad una vita faticosissima fatta di cura dei nipoti, cura degli anziani, cura dei malati fino ad arrivare ad un vero e proprio burn out, sindrome di esaurimento fisico ed emotivo, che le annienta. Chi ha provato a doversi occupare di un malato di Alzheimer o di demenza, sa cosa intendo.
Nelle fasce deboli rientrano anche le bambine, le ragazzine in questi anni preda di giornali e televisioni voyeur che indagano senza pietà né comprensione sulle loro abitudini sessuali, come nel caso delle baby prostitute, per nutrire la curiosità malata di adulti annoiati, senza tenere conto della loro giovanissima età e del loro bisogno di essere protette nel rispetto del patto intergenerazionale.
Ci sono poi le donne che devono abortire, esperienza devastante, che non trovano uno straccio di dottore disposto a rispettare la legge 194, aggiungendo così disagio all’immenso dolore.
Ci sono le ragazzine e i ragazzini che lasciano la scuola troppo presto, avendo noi italiani uno dei più alti tassi di abbandono scolastico in Europa.
Ci sono i centri antiviolenza che chiudono,abbandonando nel terrore donne e bambini che lì trovavano riparo.
DI queste fasce deboli ogni rappresentante politico onesto e serio può e deve farsi carico.
Ma è certo che i disagi che coinvolgono le donne e i bambini sono più facilmente presi in carico dalle donne, sia per conoscenza diretta del problema o per un sentire comune.

Credo dunque che le deputate che si sono trovate ieri a dovere affrontare la vergogna del boicottaggio del decreto sull’alternanza di genere- a scrutinio segreto quindi da parte di individui miserabili incapaci di affrontare le conseguenze del loro gesto, dei troll della politica insomma-debbano emanciparsi velocemente da ogni logica di partito per fare gli interessi di chi rappresentano, nulla è più importante.
Ogni mezzo è lecito: si tratti di bloccare l’Italicum al Senato, di occupare il Parlamento o di rinnegare i compagni di partito: la Missione a cui sono chiamate è un salto culturale definitivo per il Paese che dia giusta rappresentanza a quell’enorme numero di donne, la MAGGIORANZA della popolazione, che sono ingiustamente sottorappresentate in Parlamento.
E’ necessario compiere l’ultimo faticoso passo che è l’emancipazione dall’approvazione maschile, il vero scoglio da superare per una reale parità di diritti.
Superare la paura di sentirsi dire: “non è il momento, ci sono questioni vitali per il Paese, il tema delle quote verrà dopo.”
Non c’è tema più urgente di questo. La questione di genere va affrontata ora con coraggio facendosi carico di un tema che, se non risolto, allontanerebbe moltissime elettrici da partiti che non possiamo più definire democratici.

martedì 11 marzo 2014

IL CARTELLO DEI SESSISTI (Chiara Saraceno)



Non è passata l’alternanza uomo-donna nelle liste elettorali. La curiosa neutralità del governo e del decisionista Renzi su questo punto e il voto segreto hanno lasciato libero il campo al “cartello” che da sempre e trasversalmente difende strenuamente la quota azzurra. Anche parte del Pd, in contrasto con lo statuto e le dichiarazioni ufficiali, si è schierata a difesa del mantenimento dello status quo.
Una situazione che lascia alla discrezione delle segreterie dei partiti se e quante donne mettere in condizione di essere elette di fatto proteggendo lo status quo in cui gli uomini sono maggioranza. Perché solo di questo si tratta. È un errore, infatti, parlare di quote rosa ogni volta che si cerca di scalfire il monopolio maschile, di ridurre le “quote azzurre”, che molti uomini (ed anche qualche donna) continuano a ritenere un naturale diritto divino in tutti i luoghi di potere politico ed economico. Sarebbe molto più corretto parlare di norme antimonopolistiche, che impediscano la formazione di un “cartello” basato sul sesso. Sarebbe più chiaro qual è la posta in gioco e chi sta difendendo che cosa. E forse molte donne smetterebbero di sentirsi in colpa, o“panda”, ogni volta che si chiede una correzione. Perché la categoria (auto–) protetta, molto strenuamente, è quella degli uomini, che sono riusciti a far passare come ovvia e meritevole la loro presenza, mentre quella delle donne è sempre frutto o di usurpazione indebita, o di graziosa concessione, non di meccanismi che consentano di correre alla pari.
Renzi ha dichiarato che la “vera parità” c’è quando le donne che fanno lo stesso lavoro degli uomini sono pagate come loro. Ma questa è solo una parte del problema. La questione è che le donne, nel lavoro come in politica partecipano a corse con handicap. Non mi riferisco solo al peso del doppio lavoro, ma proprio al fatto che sono corse truccate da chi detiene le chiavi di ingresso e dagli arbitri. Che di “cartello” si tratti è evidente ovunque, che si tratti di consigli di amministrazione delle società quotate in borsa, di Corte costituzionale, di presidenze e membership nelle Authority, di presidenze dei vari enti pubblici e parapubblici, in generale di nomine nei posti che contano, chiunque sia chi ha il potere di nomina. È ancora più evidente nel caso delle liste bloccate. Perché, esattamente come era nel Porcellum, nulla è lasciato al caso e tanto meno alla scelta degli elettori (con in più la beffa delle candidature multiple. L’elezione o meno di un numero congruo di donne non dipende né dalla disponibilità degli elettori a votarle, né dalla disponibilità di un numero adeguato di donne con le competenze e riconoscibilità necessarie. Dipende esclusivamente dalla posizione in cui saranno in lista. Solo perché il Pd alle ultime elezioni ha messo molte donne in posizione alta nelle proprie liste, la percentuale di donne oggi presente in Parlamento è la più alta di sempre. Bene che ne siano diventate consapevoli anche molte parlamentari di altri partiti. Meno, apparentemente, le neo-ministre, stranamente silenti sul punto, come se la cosa non le toccasse e non ne sentissero alcuna responsabilità e con loro gran parte delle vecchie e nuove “renziane”. Sosterranno che pur di far passare l’Italicum si possono anche sacrificare le “quote rosa”, senza rendersi conto di difendere così quella azzurra e in ogni caso di aver contribuito ad ulteriormente indebolire la credibilità del loro partito, sempre più inaffidabile nella difesa dei propri principi, quanto disposto a tutti i compromessi sulle richieste altrui (si veda anche l’accettazione delle candidature multiple). Chi si è opposto all’alternanza uomo-donna in lista non ha fatto altro che difendere la quota maschile, che, nel caso di alcuni partiti (ad esempio la Lega), può arrivare al cento per cento. Certo, ci sono molte altre cose discutibili in questa nuova legge elettorale dal punto di vista della democrazia e della rappresentanza. La democrazia non si risolve con una presenza equilibrata di uomini e donne nelle liste elettorali. Le donne come tali, inoltre, non sono necessariamente meglio degli uomini come tali. Allargare il pool degli eleggibili, tuttavia, potrebbe, chissà, persino far riflettere un po’ meglio sulle caratteristiche necessarie, mettere in moto dinamiche differenti, dentro e fuori i partiti e nella definizione delle priorità nelle cose da fare. Diverse ricerche hanno mostrato che una presenza consistentedidonneneiconsiglidiamministrazionemiglioralaperformancedelle aziende. Perché non dare questa chance anche alla gestione del Paese?

La norma imposta dalle norvegesi più di un secolo fa: un’azione da tener presente » Quale democrazia? paritaria, di genere o rappresentativa?



Il confuso dibattito su legge elettorale e scarsa presenza di donne, manca proprio di fondamenta e perciò svolazza a caso su parole senza senso: che vuol dire democrazia paritaria? che vuol dire democrazia di genere? e perchè non usare il termine collaudato di Democrazia rappresentativa?

Preferisco questa ultima locuzione e spiego perché.

Quando le donne norvegesi -ben più di un secolo fa - ottennero (prime al mondo) il riconoscimento del loro diritto di voto attivo e passivo, la democrazia era già detta a suffragio universale, quando tutti i maschi avessero il voto e nemmeno mezza donna.

Per questo le norvegesi, ragionando sulla realtà e non su astratte definizioni di principio, si dissero che -se avessero lasciato fare alle cose così com’erano - verso il 3300 sarebbero arrivate al 4% circa, sicché si proposero di trovare uno strumento provvisorio, tale da agire sulla cultura che aveva prodotto una rappresentanza solo maschile o quasi, in modo che il mutamento (sarebbe più giusto dire la mutazione) diventasse alla fine culturale e irreversibile, senza innestare revanscismi e rappresaglie e vendette.

Fecero dunque approvare dal parlamento una "clausola di non sopraffazione sessuale" per la quale le liste debbono sempre essere confezionate in modo che nessun genere abbia più del 60% di candidature, nessuno meno del 40%. La norma rimane in vigore fino a che questa partizione non meccanica nè solo aritmetica, ma equilibata sia divenuta abituale: é ancora in vigore anche in Norvegia, tradotta in italiano da chi non capisce nè il norvegese, nè la logica "quote rosa": invece essa impedisce sia la presentazione di liste solo maschili, sia di liste solo femminili, agendo su due generi e offrendo spazi modificabili e non burocratici, in altri termini è antipatriarcale, ma non intende avviare il matriarcato.

Troppo compllcato per i nostri Soloni? ripassino un po’ la grammatica, per favore, e poi parlino: se no tacciano, che fa lo stesso.

09|03|14  Lidia Menapace

lunedì 10 marzo 2014

Italicum, lettera-appello delle parlamentari per la parità di genere nella legge elettorale



 Una lettera appello inviata ai leader dei partiti per rincarare la dose sulla necessità di garantire la parità di genere nell'Italicum. Un documento bipartisan sottoscritto dalle donne parlamentari che arriva all'indomani di un aspro confronto politico. Il voto finale sulla riforma della legge elettorale, infatti, alla fine è slittato direttamente a lunedì per consentire a Fratelli d'Italia di celebrare oggi la propria assemblea nazionale. Un rinvio che cozza con i desiderata del premier Matteo Renzi - che avrebbe voluto chiudere entro la settimana - ma che fornisce tre giorni di tempo per lavorare attorno all'ultimo scoglio rimasto: la parità di genere nelle liste bloccate.

Il testo della lettera-appello
In queste ore si sta discutendo alla Camera la nuova legge elettorale, un traguardo importante ed atteso da parte dei cittadini e delle cittadine italiane.
Siamo consapevoli dell'importanza e della necessità di approvare nuove regole che presiedano al buon funzionamento della nostra vita democratica e che definiscano la rappresentanza e l'efficienza del nostro sistema politico.
Siamo altresì convinte che non sia possibile varare una nuova legge senza prevedere regole cogenti per promuovere la presenza femminile nelle istituzioni e per dare piena attuazione all'articolo 3 e all'articolo 51 della Costituzione.
Per questo abbiamo sottoscritto in maniera trasversale alcuni emendamenti. La nostra convinzione è che l'intesa politica raggiunta possa guadagnare in credibilità e forza da una norma capace di collocare il nostro Paese tra le migliori esperienze europee.
La responsabilità della politica sta ora nel trovare una soluzione ad una
questione di civiltà e di qualità della democrazia che troverebbe il favore non solo delle donne, ma di tutti i cittadini che hanno fiducia nelle nostre istituzioni e nella possibilità di renderle migliori.

A firmare l'appello, insieme ad alcune parlamentari di Pd, Ncd, Sc, Per l'italia, ci sono anche alcune rappresentanti di Forza Italia (come ad esempio Michaela Biancofiore, Anna Grazia Calabria, Michela Brambilla, Mara Carfagna, Elena Centemero, Gabriella Giammanco, Giuseppina Castiello, Catia Polidori, Renata Polverini, Stefania Prestigiacomo, Laura Ravetto, Iole Santelli ed Elvira Savino), partito in parte contrario all'inserimento delle cosiddette 'quote rosa' nel testo di riforma del Porcellum. Il deputato azzurro Ignazio Abrignani, infatti, oggi ha detto a SkyTg24: "Confermo, almeno per quanto mi riguarda, ma io so che sarà così anche per il mio gruppo, che noi voteremo contro questo emendamento".

Il documento è stato spedito al presidente del Consiglio (che è anche segretario Pd), al presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, al segretario di Ncd, Angelino Alfano, alla segretaria di Scelta civica, Stefania Giannini, e al presidente dei Popolari per l'Italia, Mario Mauro. Stilato dalle deputate, è stato poi sottoscritto anche da molte senatrici. Per l'occasione è stato anche creato un account su Twitter: @paritadigenere.

Ma lo scontro sulla parità uomo-donna non accenna a trovare una soluzione. Stamani la presidente della Camera, Laura Boldrini, ha commentato così la riunione che si è svolta con le deputate sul tema: 
"Abbiamo avuto in incontro per fare il punto della situazione sulle questioni di genere, ho raccolto la preoccupazione delle deputate che sono venute a questo incontro, la preoccupazione è che questa legge elettorale non ci faccia fare un passo in avanti ma anzi c'è il rischio che ci faccia fare un passo indietro e questo sarebbe davvero un paradosso". E ancora: "E allora io mi sento di fare un appello a tutte le forze politiche, a tutti i deputati e le deputate affinchè facciano in modo che non si ritorni indietro e che venga riconosciuta alle donne la possibilità di essere candidate in posizione eleggibile".
"Ce lo dice la Costituzione - spiega ancora - e quindi non è solamente una questione sociale, che già sarebbe abbastanza, ma ci sono due articoli della Costituzione, il 3 e 51, che parlano di parità e la parità passa anche per una legge elettorale che tenga presente questo aspetto. Io credo che noi dovremmo considerare questa una grande opportunità, non vorrei si trasformasse in una occasione persa".

Nel Pd, è Francesco Boccia (presidente della commissione Bilancio di Montecitorio) a far sapere: "Non voterò contro perchè sono uomo di parito, ma non voterò nemmeno a favore se l'impianto della legge rimarrà così, senza scelta dei candidati, senza parità di genere, senza riforma del Senato"

sabato 8 marzo 2014

L’8 MARZO CHE VORREI

L’8 marzo che vorrei non è fatto di ingressi gratis ai musei, di corse in taxi senza pagare, di pacchetti benessere regalati alle signore. Ma non è fatto neanche di discussioni, analisi, omaggi, inchieste che occupano lo spazio di un giorno, due se va bene.
L’8 marzo che vorrei dovrebbe guardare avanti, come con sempre minor frequenza avviene, in tempi come i nostri che sono spalmati sull’attimo, in tempi come i nostri in cui  l’onda della storia è sempre più corta, e si accorcia sempre di più fino ad annullarsi.
L’8 marzo che vorrei dovrebbe essere fatto di progetti che non durano un mese, cinque, dodici, ma riguardano le generazioni che verranno, perché concentrarsi solo sull’istante è la peggior forma di egoismo sociale, e politico, che io conosca.
L’8 marzo che verrà domani cade in un momento in cui ci si spacca sulla parità di genere nella legge elettorale: e non deve sorprendere, comunque la si pensi sulle quote, ed è importante peraltro che la diversità di opinioni ci sia, e sia rispettosa, e che la discussione infine non prefiguri la spaccatura tra femminismi, che è faccenda che ingolosisce molto chi li considera ciarpame per battutine argute o, di contro, fiore all’occhiello da sostituire quando lo si ritiene appassito. Non deve sorprendere perché dimostra che la questione delle pari opportunità non è stata affatto accolta fino in fondo nel nostro paese. La si è osservata, tollerata, utilizzata. Ma non fatta propria.
L’8 marzo che ci tocca vede ancora infinite problematiche irrisolte, in ogni ambito: perché, come detto  altre volte, quando si analizzano le disuguaglianze che riguardano le donne, e quando si combatte per dissolverle, si intende lavorare per appianare tutte le disuaglianze sociali (e, sì, di classe).
L’8 marzo che vorrei è quello che ci ricorda e ci impone di non guardare solo all’oggi dei nostri cortili: ma, per esempio,  alle donne spagnole che vengono ricacciate indietro di decenni per quanto riguarda la possibilità di decidere liberamente sulla maternità. E non solo: perché varrebbe la pena ricordare la bocciatura al parlamento europeo della risoluzione Estrela sulla “salute e diritti sessuali e riproduttivi” nella quale si stabiliva, tra le altre cose, il diritto “all’aborto sicuro e legale” in Europa, e proponeva di promuovere educazione sessuale e di genere per bambine e bambini.  Ci riguarda, e da vicino.
L’8 marzo che vorrei è quello dove non solo si cerchi un argine ai fondamentalismi di ritorno, ma si lavori davvero per quelle bambine e quei bambini, affinché possano diventare persone più libere dagli stereotipi, dalla paura, dalla rabbia, dalla povertà.
L’8 marzo che vorrei, infine, è quello dove si pensa anche alle donne che leggono. Non sarà di molto appeal parlarne: ma le lettrici, in Italia, sono quelle che salvano l’editoria e la cultura, perché se non ci fossero il precipizio in cui pure sta precipitando il mondo editoriale sarebbe ancora più profondo. E se non si ragiona, anche qui, a lungo termine, se non si promuove davvero la lettura, se non si pensa a leggi anti-monopolio e insieme a provvedimenti che aiuterebbero eccome a leggere di più (l’Iva sugli ebook, abbassata da alcuni paesi europei, ma non dal nostro), avremo davanti un paese più povero. Perché leggere non è una faccenda da circolo intellettuale, come si vorrebbe: leggere significa trovare parole. E chiunque abbia parole ha forza.
Dunque, buon 8 marzo a tutte e tutti, nonostante tutto e forse proprio per questo.

venerdì 7 marzo 2014

FESTA DELLA DONNA: ORIGINI E STORIA DELL'8 MARZO

In molti pensano che la Giornata Internazionale della Donna sia nata in memoria delle operaie morte nel rogo di una fabbrica di New York. In realtà la storia di questa festa è molto più complessa

Una giornata in cui ricordare le conquiste sociali e politiche delle donne, un'occasione per rafforzare la lotta contro le discriminazioni e le violenze, un momento per riflettere sui passi ancora da compiere. La Giornata Internazionale della Donna, che cade ogni anno l'8 marzo, è tutto questo e anche di più. È un modo per ricordarsi da dove veniamo, noi donne, e dove stiamo andando.

Ma da dove nasce questa ricorrenza? Una leggenda molto celebre narra che la Festa della Donna sia stata istituita nel 1908 in memoria delle operaie morte nel rogo di una fabbrica di New York, la Cotton. In realtà, appunto, si tratta solo di una leggenda nata negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale.

La Giornata Internazionale della Donna nacque infatti ufficialmente negli Stati Uniti il 28 febbraio del 1909. A istituirla fu il Partito Socialista americano, che in quella data organizzò una grande manifestazione in favore del diritto delle donne al voto. Il tema era già stato a lungo discusso negli anni precedenti sia negli Usa (celebri sono gli articoli della socialista Corinne Brown) sia dai delegati del VII Congresso dell'Internazionale socialista (tenutosi a Stoccarda nel 1907).

Le manifestazioni per il suffragio universale si unirono presto ad altre rivendicazioni dei diritti femminili. Tra il novembre 1908 e il febbraio 1909 migliaia di operaie di New York scioperarono per giorni e giorni per chiedere un aumento del salario e un miglioramento delle condizioni di lavoro. Nel 1910 l'VIII Congresso dell'Internazionale socialista propose per la prima volta di istituire una giornata dedicata alle donne.

Il 25 marzo del 1911 cadde la goccia che fece traboccare il vaso: nella fabbrica Triangle di New York si sviluppò un incendio e 146 lavoratori (per lo più donne immigrate) persero la vita. Questo è probabilmente l'episodio da cui è nata la leggenda della fabbrica Cotton. Da quel momento in avanti, le manifestazioni delle donne si moltiplicarono. In molti Paesi europei, tra cui Germania, Austria e Svizzera, nacquero delle giornate dedicate alle donne.

La data dell'8 marzo entrò per la prima volta nella storia della Festa della Donna nel 1917, quando in quel giorno le donne di San Pietroburgo scesero in piazza per chiedere la fine della guerra, dando così vita alla «rivoluzione russa di febbraio». Fu questo evento a cui si ispirarono le delegate della Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste a Mosca quando scelsero l'8 marzo come data in cui istituire la Giornata Internazionale dell'Operaia.

In Italia la Festa della Donna iniziò a essere celebrata nel 1922 con la stessa connotazione politica e di rivendicazione sociale. L'iniziativa prese forza nel 1945, quando l'Unione Donne in Italia (formata da donne del Pci, Psi, Partito d'Azione, Sinistra Cristiana e Democrazia del Lavoro) celebrò la Giornata della Donna nelle zone dell'Italia già liberate dal fascismo.

L'8 marzo del 1946, per la prima volta, tutta l'Italia ha ricordato la Festa della Donna ed è stata scelta la mimosa, che fiorisce proprio nei primi giorni di marzo, come simbolo della ricorrenza. Negli anni successivi la Giornata è diventata occasione e momento simbolico di rivendicazione dei diritti femminili (dal divorzio alla contraccezione fino alla legalizzazione dell'aborto) e di difesa delle conquiste delle donne.

sabato 1 marzo 2014

Solidarietà all'assessore Guastamacchia




Un vile atto intimidatorio agito  nei confronti dell’Assessore Guastamacchia,  ci fa riflettere su quanto gli atti e il linguaggio della politica, di certa politica,  non sapendo come esternare legittimamente un dissenso , si manifestino  in  comportamenti assurdi e assolutamente incivili. Intimidazioni, minacce, violenze verbali fanno parte di una cultura che come donne  non ci appartiene, pertanto riteniamo di dover esternare pubblicamente il nostro disagio con la lettera allegata.

Lettera aperta
Esprimiamo la nostra solidarietà all'assessore Emilio Guastamacchia che, in occasione di un confronto pubblico organizzato dall'Amministrazione comunale in vista della consultazione sul nuovo municipio, ha subito un personale atto intimidatorio.

Estendiamo la solidarietà a tutta la Giunta Municipale colpita indirettamente attraverso un suo assessore.

Consideriamo particolarmente grave che in un momento in cui nella città si riavvia un dibattito su un tema particolarmente sensibile, come è la costruzione di un nuovo municipio, i linguaggi già inopportunamente aspri e concitati , vengano affiancati da intimidazioni, attacchi personali, azioni violente.

Consideriamo legittime le diversità di posizioni su qualunque questione venga posta a pubblico dibattito o attenga alla vita della città, non possiamo tollerare le esasperazioni dei toni che, diventati “naturali” strumenti di dibattito, a livello nazionale su mass-media e social network, si stiano rappresentando negli ultimi periodi anche a livello locale.

Ci rivolgiamo a tutte le cittadine ed a tutti i cittadini, a tutte le donne e gli uomini che hanno ruoli politici e pubblici affinchè il confronto politico e amministrativo, che può anche avere toni severi, possa nella città essere condotto nell'alveo della democraticità.

Insulti, attacchi personali, intimidazioni, minacce, violenze verbali fanno parte di una cultura che come donne non ci appartiene e vorremmo sostituire con azioni positive che diano alla politica la sua dignità delle origini.