domenica 29 settembre 2013

Concorsi di bellezza infantili sotto accusa, canoni stereotipati del successo




 La Baby miss è... Bellissima               di Serena Donigaglia Digiacomo

In Francia, da pochi giorni, e’ attiva la legge che proibisce ai giovanissimi, inferiori ai 16 anni di eta,’ di partecipare ai concorsi di bellezza o sfilate di moda; pena il carcere e pesanti sanzioni. Tale legge e’ una novita’ per l’Europa, non esistono infatti precedenti in tal senso.
In Francia, Chantal Jouanno ,ex ministra dell’amministrazione Sarkozy, aveva proposto una legge, resa attiva da pochi giorni che proibisce ai giovanissimi,inferiori ai 16 anni di eta’, la partecipazione ai concorsi di bellezza ed ai defile’ di moda. Le pene previste per i trasgressori vanno dalle pesanti sanzioni sino alla detenzione in carcere per gli adulti implicati.
L’onorevole Chantal Jouanno, intervistata sull’argomento, dice che non si deve far credere alle bambine che il loro unico valore sia la bellezza.
Eppure se ci guardiamo intorno notiamo che la pubblicita’ televisiva, quella sulla carta stampata, i cartelloni o i manifesti pubblicitari comunicano un messaggio di bellezza stereotipata secondo canoni estetici ben definiti.
La pubblicita’” vende” la bellezza delle donne, ne vende i corpi e i volti trasmettendo precisi ruoli,canoni ed indicazioni non verbali per dare le coordinate della bellezza vincente.
Alle stesse bambine, nel contesto pubblicitario, viene insegnato ad essere oggetti sessuali, il sex appeal e un certo tipo di bellezza sono presentate come importanti qualita’ per divenire una futura donna di successo.
Le bambine sono pertanto costrette ad una adultizzazione precoce non avendo una capacita’ critica e fidandosi del mondo degli adulti .
Si vuole tentare quindi,con questa legge, che rappresenta una novita’ per l’Europa, di limitare l’ipersessualizzazione delle bambine.
Le madri delle future baby miss si oppongono alla legge restrittiva francese e vorrebbero poter continuare il loro “mercanteggio”incuranti delle conseguenze psicologiche sulle loro figlie.
Eppure la denuncia ai concorsi di bellezza infantili e’ iniziata almeno 60 anni fa quando,nelle sale cinematografiche,usci’ il film di Luchino Visconti dal titolo emblematico Bellissima.
Era il 1951, Visconti nel suo film mostrava uno spaccato sociale molto simile ,nei concetti,nei ruoli e nelle aspettative a quello attuale tanto da far pensare che il tempo non abbia prodotto progressi,in tal senso.
Tutt’ora esistono svariati concorsi di bellezza per bambini anche in Italia ;guardando on line il sito del concorso mister e miss Italia baby 2013 si notano molte assonanze con i concetti fin’ora descritti.
Gli organizzatori del concorso invitano i piccoli, di conseguenza i loro genitori, ad iscriversi alla Kermesse . Puntualizzano, nel regolamento, che tutti i bambni possono partecipare, al di la’ dell’aspetto fisico.
Paradossalmente, i vincitori del concorso 2012 Alessio e Desire’ si presentano attraverso un video che pubblicizza l’Evento, mettendo in risalto proprio la bellezza che li contraddistingue.
I loro atteggiamenti sono ammiccanti e rispondenti a certi canoni stereotipati del successo. Sono due piccole pop star ,comunicano un preciso e voluto modello vincente fortemente imitativo del mondo degli adulti .
Eppure Desire’ ha 8 anni ed Alessio 10.
Quasi sempre i bambini vengono spinti verso i concorsi di bellezza dai genitori che cercano di affermarsi attraverso di loro o pensano,erroneamente,di dargli un’opportunita’ ,credendo di facilitare la loro vita.I genitori sono si’ responsabili ma finche’ la televisione, la pubblicita’ e tutti i media in genere, porranno l’accento sulla bellezza intesa come potere, come arma di successo e di persuasione nei confronti degli altri non avremo un progresso evidente.
Rimane la speranza che il finale del film Bellissima, rivisto oggi come allora, faccia riflettere tanti genitori desiderosi del benessere dei loro figli.
Recita cosi’ la grande Anna Magnani sul finale:
…”Non vi siete divertiti, abbastanza tutti?..Non l’ho messa al mondo per far divertire nessuno..io".

venerdì 27 settembre 2013

Non vi è lecito di Sofia Sabatino



La Boldrini parla all’iniziativa “Convenzione di Istanbul e media”, ieri alla Camera. Fa un intervento articolato e molto interessante sul sessismo nelle pubblicità e nel linguaggio. Dentro di me penso che è bello sentire queste parole dalla Presidente della Camera che ha tanta visibilità, che è un riferimento e un esempio per molte ma che può anche suscitare qualche riflessione in molti. Pubblico su Facebook il video in cui interroga i partecipanti alla conferenza chiedendo loro come si sentirebbero se ogni giorno venissero chiamati al femminile, come a lei capita col “Signor Presidente” che sentiamo continuamente in aula.
Poi vedo su Facebook tanta gente che pubblica pezzi dell’intervento, fra cui quello in cui parla del ruolo della donna nella pubblicità. I commenti sono, per me, sconvolgenti. Gente che scrive “è stupida, oppure è matta.” oppure “ma in quale altro paese una cretina come la Boldrini verrebbe tollerata?” e così via.
Penso due cose. La prima che noi universo di associazioni di donne viviamo fuori dal mondo. Stiamo li a farci le pulci fra di noi, ma non ci rendiamo mai conto di quale sia il livello culturale che si respira fuori da noi. Non voglio generalizzare, che nessuna si senta offesa, ma forse dovremmo incominciare a prenderne atto e parlare del fatto che quei temi che per noi sono ormai acquisiti, di cui parliamo sempre, a cui la Boldrini ha soltanto fatto un accenno superficiale, sono praticamente sconosciuti ai più, che non riconoscono neanche il problema, mentre noi litighiamo sulle possibile soluzioni.
La seconda è che il 13 febbraio 2011 abbiamo gridato su un palco “non ti è lecito” segnando una linea di confine. Segnando un limite oltre il quale non ci si poteva spingere. Un limite che bisognava fissare nel dibattito pubblico ma che a catena ricadeva sulle vite materiali di tutte. Dalla battuta sessista fatta in ufficio che non era più lecita, alla presa in considerazione della nostra voce e del nostro volere.
Quello che sta succedendo a Laura Boldrini secondo me segna il continuo spostamento di quel limite, che a poco a poco tende ad essere dissolto. Laura è una donna libera che ha un grande curriculum, come tante altre donne. Ha una posizione di potere ma sta marcando la sua differenza. Quello a cui assistiamo è un attacco battente nei sui confronti, fatto di continui articoli sui giornalacci come “Ll Giornale” o “Libero” che si rivolgono alla Presidente della Camera con un linguaggio offensivo e irrispettoso, criticandola per qualsiasi cosa dice o fa, ma soprattutto per le posizioni forti che ha preso proprio sui temi di genere. Fatto delle parole di Grillo e dei parlamentari Cinque Stelle che la vedono come “oggetto del potere” (ma un uomo sarebbe mai stato denigrato con questa frase?), e a catena fatto di tutti quei commenti che leggiamo su Facebook, che tendono a sminuirla e raffigurarla come una scema inconsapevole (e che spesso vengono giustificati con quel “si scherza” o “che esagerazione non ci trovo nulla di male” tanto berlusconiano da far venire il vomito).
È una grande tristezza che noi donne (come è stato per la ministra Keynge) stiamo permettendo ancora una volta che quel limite venga oltrepassato. Io provo troppa rabbia, e sono sicura sia la stessa di tante donne, giovani e meno giovani.

martedì 24 settembre 2013

Come si insegna ai ragazzi a non uccidere le donne


 MARIA NOVELLA DE LUCA e DIEGO LONGHIN   
   Repubblica 24/9/2013


BAMBINI a lezione di “rispetto tra i generi” per combattere omofobia, razzismo, e rifiutare sempre e comunque la violenza sulle donne. Contro il femminicidio parte dal comune di Torino il primo progetto istituzionale in Italia di “educazione alla differenza” nelle scuole.
BAMBINI e ragazzi chiamati a capire e scoprire cosa vuole dire la parità tra i sessi. Perché di fronte alla tragedia del femminicidio, e di tutte le nuove forme di razzismo, è da loro che bisogna ricominciare. Nelle aule dei più piccoli e in quelle dei più grandi, in palestra, fuori dalle scuole, nei campetti di calcio, all’oratorio. In quell’età acerba in cui molto si scopre, molto si sperimenta, ma subito si sovrappongono giudizi, stereotipi. Così nelle scuole elementari di Torino si analizzeranno fiabe e cartoni animati, e alle medie si discuterà di Storia, ma partendo, finalmente, dal punto di vista femminile. Educazione sentimentale 2.0. Se a Torino le “lezioni di genere” salgono in cattedra, il movimento è in realtà più ampio, è fatto di genitori, insegnanti, educatori, che hanno deciso di reagire, preoccupati dalla deriva “intollerante” delle generazioni più giovani. Quelle stesse che quando arriva l’adolescenza partecipano o subiscono le campagne su Facebook, dove il sesso è un’arma, e chiunque sia differente viene emarginato, con conseguenze a volte irreparabili. Gli adolescenti suicidi, il femminicidio, l’anoressia in nome di una bellezza impossibile… Spiega Umberto Magnoni, direttore del settore formazione del Comune di Torino: «Se ho la giusta percezione della differenza, se riconosco il ruolo dell’altro sesso, so anche che quella persona non è inferiore a me».
In Francia l’hanno chiamato “Abcd de l’egalitè”, un vero e proprio programma ministeriale per le scuole primarie, in Svezia sono ripartiti dagli asili, in Inghilterra dalle campagne contro i negozi di giocattoli troppo “sessisti“, in Italia molti licei organizzano spontaneamente corsi di “educazione di genere”.
 Gran parte di questi corsi, seguiti negli ultimi due anni da oltre sedicimila studenti, sono organizzati da un team coordinato da Lorella Zanardo, manager, scrittrice e autrice alcuni anni fa di un fondamentale documentario “Il corpo delle donne”, visto online da 5 milioni di persone.
 «Dopo il successo di quel documentario, in cui mostravo come i media mercificassero il corpo delle donne, ho ricevuto centinaia di richieste da parte di professori e professoresse, che mi chiedevano di incontrare i ragazzi proprio per parlare di questi temi, consapevoli di quanto la televisione influenzi i rapporti tra i sessi». Da qui è nato un fortunato progetto, “Nuovi occhi per i media”, con cui Zanardo e il suo team stanno girando le scuole d’Italia. «Mostriamo ai ragazzi i programmi che seguono di più, e poi senza mai criticare le scelte, proviamo a far vedere come dietro una semplice ripresa ci siano mille contenuti.
Uno dei tanti quiz di prima serata ad esempio: quando entra la candidata la telecamera prima inquadra le gambe, poi risale verso il seno, si ferma sulla scollatura, e infine mostra la faccia. Quando entra il candidato uomo lo zoom è subito sul volto…».
Una decostruzione dell’immagine insomma, che dopo le prime resistenze, i ragazzi iniziano a seguire. Perché, paradossalmente, i figli delle madri cresciute negli anni della lotta per la parità e del femminismo, stanno vivendo un salto all’indietro nel rapporto tra ragazzi e ragazze. Graziella Priulla, docente di Sociologia all’università di Catania, ha pubblicato di recente un manuale per le scuole superiori dal titolo “C’è differenza”. Un viaggio attraverso tutte quelle leggi, dal voto al divorzio all’aborto che hanno cambiato la vita delle donne. Ma un racconto anche della violenza maschile, e dello sfruttamento del corpo femminile. «Parlando con i miei studenti mi sono accorta che non sapevano nulla di tutto questo. Le ragazze cercano sempre di più di assomigliare a stereotipi tradizionali, i maschi si offendono se si chiede loro chi lava i piatti in famiglia…”.
Da una parte la sessualità sempre più esibita e precoce, dall’altra una grammatica dell’amore nutrita di simboli che si pensavano superati per sempre. «Nella mia classe ho delle studentesse brillantissime ma del tutto soggette alla volontà dei loro fidanzati coetanei», racconta Maria Monni, prof di Matematica di Cagliari. «Negli ultimi anni ho visto affievolirsi il sentimento di autonomia delle ragazze e aumentare il senso di orgoglio dei maschi in quanto maschi. Una vera regressione». Che ci sia ormai uno scarto infatti tra ciò che sono le bambine e le ragazze e la loro rappresentazione nella società è sempre più evidente. Lo sottolinea Irene Biemmi, ricercatrice
di Scienza dell’Educazione all’università di Firenze, che ha analizzato decine di libri di testo delle scuole elementari, per descrivere poi il ruolo femminile che ne emerge. «Un’analisi sconfortante — ammette Biemmi — i maschi fanno almeno 50 professioni diverse, e molte prestigiose, e le donne soltanto 15, e tra queste ci sono la mamma, la fata e la strega…». E naturalmente anche la maestra, visto che l’82% del corpo docente è femminile, ma purtroppo e paradossalmente, «sono le stesse insegnanti a veicolare modelli arcaici, e infatti è proprio dalla loro formazione che si dovrebbe ricominciare».

domenica 22 settembre 2013

Giuliano il 14°.La Consulta resta una cosa da uomini

mercoledì 18 settembre 2013

Posto occupato

Abbiamo aderito alla campagna "Posto occupatoimpegnandoci a

partecipare ai Consigli Comunali, alle riunioni organizzate dallìAmministrazione occupando almeno una sedia;
occupare più sedie in tutte le manifestazione che si svolgeranno nel nostro Comune;
a riservare  sempre una sedia  nelle nostre riunioni pubbliche e con le socie.



Ventunesimodonna ha iniziato il suo percorso il 14 Settembre 2013  nel corso della Notte Bianca a Corsico.
Durante  l’incontro con la giornalista italo-siriana Susan Dabbous  abbiamo occupato 3 sedie, di cui una ben “vestita” in posizione strategica  e ne abbiamo spiegato  il significato.
Abbiamo anche occupato una sedia  al Bem Viver Cafè

Posto occupato


“Posto occupato”, perché le donne uccise non siano dimenticate
di Laura Preite, da La Stampa, 31 luglio 2013

 
Cristina doveva accompagnare i figli in piscina, Paola andare a prendere la mamma dal medico, Luciana doveva andare a lavoro, Laura ritirare la posta. Per loro ci sarà sempre un posto vuoto, non ci sono più, uccise dai loro compagni o ex, tramutati in stalker e assassini. Per loro ci sarà sempre un “posto occupato”, che è il nome dell’iniziativa ideata da Maria Andaloro, 43 anni. «Posto occupato vuol dire che lì non ti puoi sedere – spiega Andaloro – lei poteva esserci seduta ma è stata ammazzata. È come se queste donne fossero ancora tra noi, e in effetti, è così, la loro assenza peserà ogni giorno ai loro cari». Aggiunge Andaloro, «per non dimenticare ciò che è successo, più posti occupati ci saranno e più non potremo fare a meno di capire che uno schiaffo è solo l’inizio: gli uomini non devono darlo e le donne non se lo devono prendere».

 

Chiunque può decidere di riservare un posto per tutte quelle vittime di femminicidi che hanno pagato con la vita la loro sottomissione o il tentativo di riscatto, perché la violenza può aumentare quando la donna decide di interrompere la relazione. Basta scaricare la locandina dal sito www.postoccupato.org e attaccarla a una sedia o panchina, a un cinema, a un teatro, a un evento. Sono già un centinaio, in un solo mese, le persone, associazioni, comuni, università che hanno partecipato o intendono farlo. Alcuni, come il comune dove Andaloro vive, Rometta, 6 mila abitanti in provincia di Messina, hanno occupato permanentemente un posto per le donne uccise dalla violenza maschile: nell’anfiteatro comunale sul mare e nel centro storico, davanti al Municipio.

 «Vorrei che fossero occupati posti permanenti, nei consigli comunali ma mi auguro anche in Parlamento». Andaloro è stupita del successo dell’iniziativa: «Colpisce molto, tutti riconoscono il messaggio semplice e potente. Finora purtroppo le campagne e iniziative promosse su questo tema sono state recintate dalle appartenenze, la nostra iniziativa parte dal basso, è questa la sua forza». Continua: «Non è una gara a chi è più bravo: dobbiamo stare tutti da una parte, uomini, donne, giovani, bambini, anziani perché la violenza la dobbiamo isolare».

 
Ma com’è nata l’idea? «Siamo un gruppo di otto persone. L’idea mi è venuta perché volevo fare qualcosa di concreto per arginare la strage di donne. La mia paura era che ci abituassimo a 4-5 secondi di indignazione su Facebook e il secondo dopo continuassimo a postare foto e canzoni, come se nulla fosse successo».