martedì 30 marzo 2021

Uomini che giocano con i diritti delle donne

  Uomini che giocano con i diritti delle donne

Ultimi rimbalzi: il ritiro da parte del Presidente turco Erdogan della “Convenzione di Istanbul” e la proposta della “Convenzione di Varsavia” nella Polonia del Presidente Duda

La “Convenzione di Istanbul”, il testo più avanzato per prevenire e contrastare la violenza sulle donne, è stata ritirata nella notte del 19 marzo dal Presidente Erdogan che l’aveva firmata per primo nel 2011 proprio nella città sul Bosforo. Motivo? Indebolirebbe la famiglia tradizionale, favorirebbe il divorzio e promuoverebbe i movimenti Lgbt. Il ritiro della Convenzione fa immaginare che la violenza sulle donne aumenterà nel paese nel quale nei primi mesi del 2021 sono state uccise da mani di uomini 74 donne e 300 nel 2020 con 171 morti sospette. Più di un omicidio al giorno. Per non dire delle donne che quotidianamente subiscono violenze e umiliazioni. 

In Polonia, non solo si progetta di annullare la “Convenzione di Istanbul”, ma viene  proposta come alternativa la “Convenzione di Varsavia” ispirata dall’organizzazione pro-life Ordo Iuris che da anni combatte omosessualità, aborto ed emancipazione delle donne. L’idea di fondo è che la principale causa della violenza sulle donne non sia da attribuirsi alla “diseguaglianza strutturale fra uomini e donne” (Convenzione di Istanbul), ma alla dissoluzione del matrimonio tradizionale. Come dire: se si protegge il matrimonio tradizionale e si vieta l’aborto viene eliminata la violenza sulle donne (sic!). La Polonia è un paese nel quale esiste una legge molto restrittiva che praticamente impedisce l’interruzione di gravidanza ed esistono città ”Lgbt free”, zone franche nelle quali fanatici alimentano odio e minacciano le comunità omosessuali.

Agli attacchi che stanno avvenendo in tutto il mondo, le donne rispondono organizzando e guidando proteste non violente. Occupano le piazze. Difendono non solo i diritti di genere, ma anche gli ideali di democrazia e di uguaglianza. Da Varsavia a Istanbul, da Melbourne a Città del Capo, in Thailandia, in Iraq, in Argentina, in Russia, in India, in Myanmar, in Ucraina, in Egitto, in Algeria, in Cile e in Canada. In numerose città di tutti i continenti. In molti paesi vengono picchiate, fermate ed arrestate, anche nel cuore della europea Londra dove la violenza dei bobbies si è riversata su centinaia di donne in piazza per “riprendersi le strade” “ libere dalle violenze maschili” e per  la veglia funebre in ricordo dell’ uccisione di Sarah Everard sparita mentre tornava a casa di notte. 

Brutta aria…Passi indietro se gli Stati rinunciando ad agire per l’eliminazione delle ingiustizie e della violenza di tutti generi diventano soggetti di violenze.

Ci uniamo alle donne di tutto il mondo per difendere gli spazi di libertà civili e le conquiste fatte in decenni e per contrastare le ingiustizie che avanzano in questi tempi di pandemia anche nel nostro paese.



lunedì 29 marzo 2021

Donne sull’orlo di cambiare il mondo Di Simona Maggiorelli

 La Turchia ha deciso di uscire dalla convenzione di Istanbul che fu sottoscritta nel 2011 proprio nella metropoli sul Bosforo. Nei giorni scorsi Erdoğan ha annunciato il decreto di recesso al trattato per la prevenzione dalla violenza sulle donne che obbliga i governi ad adottare leggi per contrastare il femminicidio, le mutilazioni genitali ma anche la violenza domestica. Da tempo il presidente turco ha fatto proprie le istanze dei fondamentalisti islamici e della destra nazionalista che considerano la convenzione di Istanbul un attacco alla sovranità nazionale e alla famiglia tradizionale. E questo è il risultato.

Così dopo aver cercato di silenziare le voci libere nell’università turca ora Erdoğan fa un ulteriore passo contro i diritti umani e delle donne in particolare. Fa rabbrividire che la ministra della famiglia e delle pari opportunità, Zehra Zumrut Selcuk, dichiari che «la lotta contro la violenza sulle donne è garantita dalle nostre tradizioni». L’idea che fermare la violenza sulle donne tra le mura di casa incoraggi i divorzi e l’unità della famiglia appartiene alla logica patriarcale che vuole la donna sottomessa al pater familias, in Turchia come altrove. E pensare che in Turchia le donne conquistarono il diritto di voto e di eleggibilità nel lontano 1930 (con il governo di Atatürk). La laicità della Costituzione kemalista è stata frontalmente attaccata da Erdoğan come hanno denunciato, anche sulle pagine di Left, il premio Nobel Pamuk, l’avvocato e scrittore Burhan Sönmez, scrittrici e attiviste arrestate o costrette all’esilio come Asly Erdoğan, Ece Temelkuran e Pinar Selek.

Negli ultimi anni, e in particolare dopo la stretta autoritaria imposta dopo il fallito golpe del 2016, la condizione delle donne in Turchia ha subito una pesante regressione e il numero dei femminicidi, piaga endemica, è cresciuto moltissimo. Sono già più di 70 i casi accertati dall’inizio di quest’anno. Intanto, come scrive qui Chiara Cruciati, Erdoğan vuole mettere fuori legge il partito curdo e di sinistra Hpd, moltiplica gli attacchi militari in Siria e Iraq e, foraggiato dalla Ue, continua a bloccare i migranti e richiedenti asilo. Emma Bonino, che tanto ha lottato contro le mutilazioni femminili, contraddittoriamente spinse molto negli anni passati per l’ingresso della Turchia di Erdoğan in Europa. E questo ci dice molto delle pesanti contraddizioni dell’Europa liberale che si dice culla dei diritti umani ed esternalizza le frontiere affidandole a chi viola ferocemente quei diritti.

Ma su un punto la fondatrice di Più Europa aveva e ha ragione: nonostante i diritti conquistati sulla carta le donne sono- siamo- ancora invisibili. Anche in Europa, anche in Italia.

Accadeva prima che scoppiasse la pandemia. Ed è tanto più drammaticamente vero oggi. Le donne hanno retto sulle proprie spalle un anno di crisi sanitaria ed economica, durante il lockdown dovendosi dividere fra “lavoro agile”, la didattica a distanza dei figli, la cura degli anziani e della casa. A dicembre i dati dell’Istat hanno messo nero su bianco quel che già avevamo descritto: la gran parte delle persone che hanno perso il lavoro in Italia sono donne. Il 98 per cento dei posti andati perduti a dicembre erano occupati da donne, impegnate nei settori più colpiti dalla crisi come il terziario, il turismo, la cultura, perlopiù con partite Iva, contratti precari e a tempo determinato, senza garanzie. È accaduto nel silenzio generale, senza adeguate politiche di governo che mirino a sostenere e a rilanciare questi settori anche per il futuro del Paese. E nulla è cambiato da questo punto di vista nel passaggio dal governo Conte al governo Draghi. Insieme ai giovani le donne restano le più penalizzate.

Ma le donne sono anche la metà del mondo, una metà resistente, resiliente, nolente o volente, multitasking. Preparate, spesso creative e dotate di una intelligenza nuova che a che fare con la sensibilità, le donne hanno qualità fondamentali per uscire dalla crisi in cui siamo piombati e che ha reso evidente a tutti l’importanza della salute, del benessere psicofisico, della qualità delle relazioni e delle reti di protezione sociale. E questo è il dato che l’establishment politico non “vede”, che non vuol vedere.

Non si comprende che investire sulle donne non è (solo) un imprescindibile fatto di giustizia sociale, ma anche un volano per l’economia, anche solo per il fatto che – banalmente – se le donne lavorano aumenta anche la domanda di servizi. A questo proposito la rete nazionale Il Giusto mezzo chiede l’utilizzo delle risorse del Recovery Fund per la riduzione del gender gap, per sostenere la formazione e il lavoro femminile.

Con una precisa visione: le donne non sono solo una fascia debole da sostenere ma anche e soprattutto soggetti attivi del cambiamento, vogliono contare nella società e in politica per poter cambiare quella normalità malata che ci ha portati dritti in questa catastrofe sanitaria. Ed è questo aspetto meno raccontato del ruolo chiave che oggi giocano le donne in politica che abbiamo voluto mettere al centro di questa storia di copertina che abbiamo realizzato chiedendo a esponenti di sinistra progressiste, laiche, ambientaliste di mettere su carta idee e visioni per riprogettare il futuro.

Le donne sono sull’orlo di cambiare il mondo, per dirla con Annamaria Gallone, la direttrice del Fescaal, il festival del cinema africano dell’Asia e dell’America Latina, intervistata su questo numero.

Uno studio del World economic forum, curato da Supriya Garikipati dell’Università di Liverpool e da Uma Kambhampati dell’Università di Reading, sostiene che i Paesi guidati da donne, dalla Nuova Zelanda alla Finlandia, siano quelli che hanno reagito meglio alla crisi pandemica, chiudendo prima, proteggendo di più la popolazione. Indagheremo per verificare se sia andata effettivamente così. Quello che è certo, intanto, è che le politiche sovraniste, suprematiste, di presidenti e leader aperturisti in nome del profitto e della produzione ad ogni costo si sono dimostrate disastrose. Basta pensare all’ecatombe di morti nel Brasile del negazionista Bolsonaro e negli Usa di Trump, dove il maggior numero di vittime si è stato registrato fra gli afroamericani e le minoranze più povere. Senza dimenticare il Boris Johnson della prima ora che freddamente diceva alla popolazione di rassegnarsi alla perdita dei propri cari più anziani, come se il darwinismo sociale fosse un ineluttabile dato di natura e non il portato anche di politiche ultra liberiste.

Proprio in Gran Bretagna, la settimana scorsa, donne che manifestavano pacificamente sono state caricate dalla polizia. Era una veglia in memoria di Sarah Everard, rapita e uccisa da un poliziotto. La sicurezza, la libertà e l’emancipazione della donne è una questione che riguarda tutti.

Inquietanti segnali di involuzione confessionale e repressiva arrivano non solo dalla Turchia ma anche dal cuore dell’Europa, dalla Polonia di Kaczyński. Le attiviste e i giovani giustamente si sono riversati in piazza in oceaniche manifestazioni di protesta. Dobbiamo fare rete, respingere l’offensiva ai diritti delle donne a livello internazionale ma dobbiamo anche ascoltare la loro voce. È un’occasione per tutti. In molte parti del mondo le donne stanno scrivendo una nuova geografia politica, culturale, economica. Le donne sono protagoniste dell’impegno ambientalista. Dalle donne di sinistra – come leggerete anche in questo numero – vengono proposte che fanno la differenza per il futuro. L’empatia, l’attenzione per gli altri, per gli affetti, per la qualità della vita, per i bisogni e le esigenze delle persone, insieme alla capacità di governare i processi politici ed economici, sono le leve del cambiamento. E non sono certo un’esclusiva femminile, basta che gli uomini abbiano voglia di mettersi in gioco e scoprire queste qualità dentro in sé. La partita è aperta e quanto mai suggestiva perché per immaginare un mondo diverso, più giusto e più umano, serve una grande mobilitazione di intelligenza collettiva.


https://left.it/2021/03/25/donne-sullorlo-di-cambiare-il-mondo/?fbclid=IwAR0YLvHizi22c9DhOE0v2drm9fnzYqG6xeF76_LJJu30SPtEBAA3uS4xvP8

sabato 6 marzo 2021

“Le politiche sociali vanno con le pari opportunità” Linda Laura Sabbadini Silvia Mari

La direttrice centrale Istat e Chair W20 ribadisce la necessità di "superare la frammentazione che porta ad una perdita di visione"

 “Servono fatti e i fatti sono gli stanziamenti, prima ancora delle decontribuzioni. Se non abbiamo infrastrutture sociali che liberano le donne dal carico non riusciremo a raggiungere i risultati. La priorità sono i servizi”. È Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale Istat e Chair W20, a ribadire con forza quali siano le azioni prioritarie da mettere in campo per interventi che siano decisivi sul fronte dell’occupazione femminile. Intervenuta questa sera alla conferenza ‘Tra vita e lavoro: ancora una questione femminile?, organizzata da Fai Cisl, ha ricordato la necessità, soprattutto in questa fase storica, di superare “la frammentazione che porta ad una perdita di visione nelle politiche sociali. Avremmo dovuto avere- ha detto ancora Sabbadini- un ministero delle Politiche sociali. La Famiglia dovrebbe stare con le politiche sociali non con le Pari opportunità. Se frammentiamo si fanno piccole cose, ora abbiamo invece bisogno di una grande sfida. Sono le politiche sociali che vanno con le pari opportunità”.

E il Recovery? “Ha stabilito- ha ricordato Sabbadini- che il 57% dei fondi vadano su tecnologia e green, settori a prevalente occupazione maschile. Dobbiamo cambiare questa configurazione, ma non sarà con con il Recovery che la cambiamo. Questa è una battaglia agli stereotipi su cui fare piani straordinari che ci daranno risultati tra 30 anni. Nel frattempo dobbiamo dare però una sterzata- ha detto con forza- e servono contrappesi per un riequilibro. Un piano per le infrastrutture sociali, strumenti di assistenza e cura per arrivare ad esempio, alla Germania, che ne ha uno tre volte il nostro e ha saputo trasformare il lavoro non retribuito in lavoro per il mercato. Tutto questo va affiancato alle azioni per l’imprenditoria femminile“.

“La pandemia– ha spiegato la Chair W20- ha avuto degli effetti penalizzanti più per le donne. Dopo la crisi del 2008-2009 e quella del 2013 gli uomini non avevano ancora recuperato i livelli occupazionali pre crisi del 2008, mentre le donne si, pur essendo a livello più basso. Il primo nodo da affrontare- ha detto nel suo intervento- è che bisogna darsi una strategia per lo sviluppo dell’occupazione femminile. Una questione- ha detto con forza Sabbadini- che non è mai stata affrontata seriamente e che si sposa con la mancanza di un piano adeguato delle infrastrutture sociali”.

Ha parlato di “tara” Linda Laura Sabbadini, ricordando come il nostro Paese “abbia fatto una legge sui nidi pubblici nel 1971 mai attuata, dato che oggi abbiamo il 12% dei bambini in questi nidi”. E ancora: “Non abbiamo investito nel welfare di prossimità, per anziani e per disabili”, perché “le politiche sociali– ha aggiunto- sono sempre state considerate un costo e non un investimento“. Temi mai affrontati, a differenza di Paesi come “la Germania, la Francia o i Paesi Scandinavi”.

Anche sui valori demografici bassi dell’Italia in tema di natalità, Sabbadini ha lanciato una riflessione: “Ci dobbiamo interrogare- ha concluso- se non sia dovuto a questo carico che sta troppo sulle donne”.

https://www.dire.it/04-03-2021/609256-sabbadini-le-politiche-sociali-vanno-con-le-pari-opportunita/?fbclid=IwAR3M7LDmcl8qrcQMf_W8wd1_gIiPtFRV23b0JyQA9_TWHRYJFwOZOEjOVhE


8 marzo 2021

Anche quest'anno per l'8 marzo nelle piazze non risuoneranno le voci delle donne.  Niente sciopero femminista.  Niente feste private o pubbliche.

Speravamo che fosse diverso, che avremmo potuto festeggiare insieme l'8°compleanno di ventunesimodonna raccontandoci le donne ribelli, resistenti, più o meno conosciute, di ieri e di oggi. 

 Non sarà così ma grazie alla tecnologia, che abbiamo imparato ad usare, potremo trascorrere la serata insieme guardando il film "La risata del gabbiano" lunedì 8 marzo alle 21 come da volantino 

Vi auguriamo un buon 8 marzo e di vederci presto



 

giovedì 4 marzo 2021

Nemonte Nenquimo e la forza delle donne indigene nominate “eroine per la difesa del Pianeta” di Marta Rizzi

Le tribù indigene sono state e continuano ad essere leader nella lotta per l’ambiente e la giustizia sociale. Nel 2020, ad alcune delle donne di queste tribù è stato insignito il ruolo di “paladine ambientali”, grazie al loro lavoro e alla loro forza di volontà per la protezione del pianeta.

Nemonte Nenquimo, leader dei Waorani, una tribù indigena che risiede nel Parco Nazionale di Yasuni nell’Ecuador – uno degli ecosistemi più ricchi di biodiversità di tutto il mondo – è stata ufficialmente riconosciuta come una delle 100 personalità più influenti dell’anno 2020.

Soltanto l’anno prima Nemonte aveva fatto causa al governo ecuadoriano di Quito ed aveva ottenuto come risultato la salvaguardia di circa 202.000 ettari di territori indigeni nella foresta Amazzonica, proteggendoli così dallo sfruttamento e dell’estrazione petrolifere. Un risultato incredibile mai ottenuto prima!

Nemonte, a soli 34 anni, è oggi cofondatrice dell’associazione non profit Ceibo Alliance, e rappresenta senza ombra di dubbio un esempio per tutta l’umanità, non solo per i risultati ottenuti, ma soprattutto per la sua forza e la sua tenacia. Nemonte, come afferma lei stessa, trova ispirazione dall’educazione ricevuta durante la sua infanzia da parte dei suoi genitori, dei suoi nonni e degli antichi capi tribù del suo villaggio.

Ma Nemonte non è l’unica donna a battersi per il pianeta; come lei, moltissime altre attiviste si sono fatte conoscere negli ultimi anni per la loro perseveranza ed il loro coraggio: parliamo, ad esempio, di Vandana Shiva, convinta che le donne siano i veri motori del cambiamento, e che nel proprio paese, l’India, ha sostenuto le imprese agricole create e gestite da contadine, di qualsiasi età e estrazione sociale; o ancora Wangara Maathai, biologa originaria del Kenya, scomparsa nel 2011, vincitrice del premio Nobel per la pace nel 2004: Wangara fu la mente del Green Belt Movement, un’organizzazione contro lo sfruttamento massivo del suolo forestale che coinvolse un numero elevatissimo di donne con lo scopo di piantare alberi e sementi.

Queste donne hanno dimostrato una forza di volontà incredibile e continuano, con i loro insegnamenti, a ispirare nuove generazioni nella lotta di un bene più grande: la salvezza del Pianeta.

https://www.positizie.it/2021/03/02/nemonte-nenquimo-e-la-forza-delle-donne-indigene-nominate-eroine-per-la-difesa-del-pianeta/?fbclid=IwAR27-NtwbizvGM2kPX_6nZwQQks81D_g2SRSKAFpl9L2exQhj4kcd0NPc6I