domenica 27 novembre 2016

A Roma la carica delle duecentomila contro la violenza Rachele Gonnelli

Capitale donna. I più significativi sono i cartelli fatti a mano, come messaggi in bottiglia: «L’Amore non uccide», ricamato in una casa rifugio. Oppure: «Ti fa paura la mia libertà?»

Appoggiata a un parafango, occhiali con montatura pesante che scendono sul naso, truccatissima, in short e calze nere, regge un cartello con aria disinvolta e sigaretta in mano. Sta scritto semplice semplice: «Se non te la do non te la prendere».

È così, una miriade di cose spiazzanti di questo genere, piccole, grandi, singole, collettive, collettive tutte insieme: una marea, sì, fatta di tante, tantissime onde, una diversa dall’altra. Delle duecentomila persone che hanno sfilato ieri per le strade di Roma – dati delle organizzatrici – al novanta per cento donne, resta questo colpo d’’cchio di tanta complessità. Una dimensione che è lì, nel quotidiano, ma dispersa e poco illuminata, al contrario di ieri quando si è presentata in blocco, per conquistarsi la scena. La più grande manifestazione femminista mai vista dagli anni Settanta. Questa volta con i complimenti del questore per l’organizzazione.

Libere e libertà, le parole, a conti fatti, più gettonate. La manifestazione «Non Una di Meno», con i centri antiviolenza in testa, è stata convocata contro il femminicidio, per affermare uno scatto culturale della società intera nel senso del riconoscimento dell’autodeterminazione femminile, e per chiedere al governo, allo Stato – dalla magistratura ai medici alle forze di polizia – e al sistema dei media, un approccio non più antidiluviano e maschilista al problema della violenza contro le donne.

«La violenza amore non è», «Il patriarcato ci campa con il raptus della stampa», sono gli slogan delle donne di Perugia e Terni. Richiami a una narrazione sbagliata, deformante, arretrata, dei media, alla necessità di un aggiornamento dei codici linguistici per raccontare le donne e gli abusi: «architetta, sindaca, avvocata, anche la lingua va educata», hanno voluto dire da Vicenza, sposando in pieno ciò che da anni vanno predicando le giornaliste dell’associazione Giulia, scese anche loro in piazza ieri.
Poi, come sempre quando si parla certi temi, di sessualità, procreazione, desideri, rapporti di coppia, ruoli, tutto si interseca e si dipana in storie, ma i fili dei ragionamenti sono netti, non si aggrovigliano.

Al concentramento in piazza Esedra tra i primi ad arrivare ci sono Paolo e Diana, una coppia di trentenni, vengono da Livorno e Pavia. Lui, fotografatissimo, ha i capelli rossi e un cartello fuksia,
da lei per la verità, con un simbolo femminista e la scritta: «Educhiamo uomini migliori». Ci crede davvero: «Non penso che dipenda solo dalle donne farsi rispettare e spero mi verrà naturale insegnarlo a una figlia o un figlio, ho avuto la fortuna di avere un padre che è andato presto in pensione e faceva da mangiare, andava lui a parlare con i professori, vincere il maschilismo dipende anche dai modelli maschili che sappiamo trasmettere». Diana è abbastanza ottimista: «Non so se le nuove generazioni siano migliori, se penso alla cassa di risonanza dei social mi viene da pensare che si vada in peggio, ma poi di fronte a una manifestazione così grande e bella si capisce che invece la consapevolezza c’è e si sta diffondendo».

Poco più in là Matteo, 22 anni, porta un cartello un po’ osceno: «Io lavo i piatti», come fosse un gesto di cui farsi vanto. «Ma è che ne lavo tanti!», si scusa, al circolo Arci di Mantova.

Gli uomini, più o meno giovani, sono relegati dietro il Tir noleggiato dal comitato romano «Io Decido» – promotore insieme a Udi e DiRe del corteo nazionale – che divide quasi a metà la fiumana di manifestanti. Subito dietro il bilico che diffonde comunicati, bolle di sapone e taranta, una ragazza romana, Laura, porta sulle spalle una scatola di cartone su cui in verde ha vergato alla svelta la sua risposta: «In questo giorno tanti uomini sono pubblicamente solidali poi arriva domani, chiudono le porte e ti alzano le mani».

Creatività, ce n’è a iosa. Oltre alle consuete bande da strada, di ottoni e di tamburi da capoeira, oltre alle coreografie di trampolieri danzanti, alle coccarde «Io sono mia», alle silouette delle matrioske con i nomi delle donne morte, c’è anche un teatrino su ruote del bar-libreria Tuba del Pigneto: la quinta è una vagina con un pallino stroboscopico in cima, ogni tanto qualcuna tira fuori la testa e recita una poesia o un brano, di Carla Lonzi o Audre Lorde.

I più curiosi e significativi restano comunque i messaggi piccoli, fatti a mano, come pensieri in bottiglia. Il più strano: «La mia favolosità non è un invito a commentare». Mentre una biondina gira freneticamente alzando il suo che parafrasando Non Una di Meno, dice: «Non un euro di meno, il mio lavoro vale quanto quello di un uomo».

La favolosa coalizione di Bologna – si chiama così la rete di «transfemminismo queer e antifascista» nata per contestare le sentinelle in piedi con presenze ironiche e non muscolari e che da sola ha portato a Roma 300 persone – mostra in strada il suo Sfertiliy Game. L’impegno della Favolosa coalizione è concentrato soprattutto sulla difesa della legge 194, oltre alla ricerca laboratoriale di analisi su quello che chiamano «il deturnamento dell’immaginario femminile», in sostanza rivendicando il diritto a una sessualità svincolata da pretesi obblighi procreativi. Laboratori su questi temi denominati «gender panic» pare molto partecipati da ragazze dai 20 ai 35 anni. E dalla discussione fatta è venuto fuori che lo sciopero delle donne polacche contro la proposta di legge che cancellava la possibilità di abortire e l’analogo movimento in Argentina sono state sentite come un segnale, un campanello d’allarme anche in Italia a risvegliare le coscienze e la lotta per i diritti.

Frizione di fondo con il governo è sui finanziamenti ai centri antiviolenza. «La ministra fa solo tavoli tecnici, le Regioni si tengono i soldi in tasca e i centri sono sempre a rischio chiusura», sintetizza Maria Marinelli della casa-rifugio di Latina. Lì una donna che tenta di uscire da maltrattamenti domestici ha ricamato a mano uno striscione a fiori: «L’Amore non uccide». «Vogliamo che i centri siano gestiti da associazioni vere, che trattano le donne non da malate o da utenti, basate sui nostri criteri», dicono.

La rete dei 77 centri DiRe contesta la mancata salvaguardia di una impostazione non professionalizzante dei centri e delle case protette. Ma nella folla della manifestazione c’è anche un piccolo striscione retto da una delegazione del Consiglio nazionale degli psicologi. «Abbiamo posizioni diverse, noi pensiamo che visti i riflessi dei maltrattamenti sulle benessere delle donne e dei loro figli sia un diritto della donna essere assistita dalla sanità pubblica», dice una psicologa del pronto soccorso di Cagliari. «L’ultimo miglio, cioè il percorso nella casa protetta, è giusto sia fatto dalle associazioni di donne – prova a mediare una collega – ma la rete delle essere integrata, istituzionale e operativa».

È un mondo molto ampio quello che combatte la violenza di genere, che per la prima volta si è visto in piazza ieri ma esiste da tempo. Le donne di «Se Non ora Quando» di Osimo dicono che rispetto a quell’appuntamento che decretò la fine di Berlusconi «allora fu una reazione di pancia, ora c’è molta più elaborazione e organizzazione, ci siamo unite».
http://ilmanifesto.info/a-roma-la-carica-delle-duecentomila-contro-la-violenza/

sabato 26 novembre 2016

SABATO 26.11 ORE 21 SALA LA PIANTA


STASERA VI ASPETTIAMO NUMEROSE E NUMEROSI ALLA SALA LA PIANTA, via Manzoni Corsico

Da "Ferite a morte " di S.Dandini
reading a cura di Fabio Anelli

venerdì 25 novembre 2016

Femminicidio: una barbarie uscita dal passato di Luisella Battaglia

Di fronte ai femminicidi, una autentica ‘guerra di genere’, e ai richiami suggestivi alla barbarie della jihad, occorre meditare sulla nostra storia di barbarie giuridica

Con l’art 587 il nostro ordinamento giuridico interpretava il valore particolare che la società attribuiva all’onore personale e familiare, in connessione esclusiva con i costumi sessuali. Era un incentivo all’omicidio

L‘art. 544 del Codice penale accordava un trattamento privilegiato all’uomo che, avendo commesso una violenza carnale su una minorenne, offriva alla vittima un matrimonio riparatore. In caso di accettazione il reato era estinto

Il femminicidio rappresenta la sopravvivenza di idee antiche di onore legato alla proprietà del corpo femminile e all’affermazione della potestà maschile

Dinanzi all’ondata crescente dei femminicidi, se vogliamo accantonare sia il dibattito teorico sull’appropriatezza o meno del termine, sia la liturgia rituale delle deprecazioni, non ci resta che riflettere sulla ‘guerra di genere’ che si sta scatenando con inaudita violenza nel nostro paese. Credo, infatti, che, al di là di richiami suggestivi alla barbarie della jihad, che ravvisa somiglianze tra i maschi assassini e i guerriglieri del califfato, sia più proficuo meditare su una storia abbastanza recente di barbarie giuridica tutta nostra che forse ci può illuminare sulla criminalità di certi comportamenti.
Dovremmo, ad esempio, ricordarci che per lungo tempo il nostro Codice penale aveva previsto un trattamento speciale per chi commetteva un delitto per causa d’onore. Secondo l’articolo 587 “Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni”. Il nostro ordinamento giuridico interpretava così il valore particolare che la società attribuiva all’onore personale e familiare, in connessione esclusiva con i costumi sessuali. Di fatto, il diritto di recuperare il proprio onore, commettendo un delitto sanzionato con una pena irrisoria, funzionava come incentivo all’omicidio, tanto più che chi non se ne avvaleva subiva una pesante sanzione, particolarmente in certe comunità, dalla pubblica opinione. Indimenticabile è il quadro tracciato da Pietro Germi in “Divorzio all’italiana” con l’irrisione inflitta a Fefè da tutta una comunità che si trasmette le “ultime novità sul fronte delle corna” in attesa che venga compiuto il delitto riparatore - un delitto che, come sappiamo, servirà al protagonista per liberarsi da una moglie ingombrante e convolare a nuove nozze. Così la legge, invece di contrastare la barbarie del costume, la recepiva elevandola a diritto. Alla stessa matrice ideologica può esser fatto risalire l‘art. 544 del Codice penale che accordava un trattamento privilegiato all’uomo che, avendo commesso una violenza carnale su una minorenne, offriva alla vittima un matrimonio riparatore: in caso di accettazione, il reato era estinto. In tal modo, il diritto dello stupratore a fruire dell’impunità, grazie al matrimonio riparatore, sanciva la violazione dell’integrità e della dignità come comportamento tollerato dal nostro ordinamento.
Si ricorderà che fu una ragazza coraggiosa, nel 1966, Franca Viola, a rifiutare imprevedibilmente di sposare il suo aggressore e, quindi, a inchiodarlo alla sanzione penale. Un gesto di grande valore simbolico che significava il rifiuto di subire la tirannia del costume e l’arretratezza del diritto e, insieme, la volontà di affermare la dignità della donna. Barbarie del diritto - si dirà - da cui ci siamo felicemente liberati (entrambi gli articoli furono abrogati nel 1981). Ma la realtà non è così semplice. Come dimostra la strage odierna, le sopravvivenze di quelle idee antiche di onore, legato alla proprietà del corpo femminile e all’affermazione della potestà maschile, sono ancora sotterraneamente presenti tra noi. Certo, abbiamo avuto la liberazione sessuale, il riconoscimento almeno formale di pari diritti, l’avanzata del femminismo ma… si tratta solo della punta dell’iceberg. Nel femminicidio riaffiora infatti l’idea mai sopita di fare giustizia, di ristabilire l’ordine patriarcale violato.
Non esiste, come ameremmo credere, un’evoluzione progressiva dell’etica. Come il luogo della terra in cui abitiamo è sorretto da vari strati geologici, così il presente dei nostri costumi è formato da elementi costitutivi di età differenti, ciascuno dei quali si è formato in altri contesti. Le nostre concezioni del bene e del male crescono una sull’altra come strati sovrapposti che esprimono spesso disarmonie e lacerazioni della coscienza. Dovremmo oggi riconoscere di trovarci in presenza di aberrazioni ideologiche che appartengono a periodi diversi della nostra storia, una storia troppo recente perché ce ne possiamo dimenticare. Per questo non bastano le vaghe promesse che nelle scuole si introducano corsi mirati a un ‘riequilibrio di genere’, o gli annunci tardivi di ‘una cabina inter-istituzionale antiviolenza sulle donne’. Nel frattempo si chiudono i centri anti violenza e le case delle donne che garantivano una continuità nell’impegno e nei servizi a favore delle vittime! Nella situazione di emergenza che stiamo vivendo, il legislatore deve intervenire in maniera urgente e decisa, inserendo - come da più parti si propone - il femminicidio fra i reati per i quali il condannato non può ottenere benefici penitenziari e trattando gli assassini come i mafiosi, compreso il sequestro dei beni e il risarcimento immediato del danno. Ma il vero risarcimento degli errori del passato è che venga sancita la gravità assoluta di un crimine che offende la nostra coscienza civile, riportandoci ad una barbarie che abbiamo vissuto e che credevamo di avere definitivamente superato.
http://www.noidonne.org/articolo.php?ID=05672

giovedì 24 novembre 2016

A Roma si manifesta contro la violenza sulle donne

Il 25 novembre in tutto il mondo è la giornata contro la violenza sulle donne e a Roma è stata indetta una manifestazione nazionale il 26 novembre.

Perché? “La violenza maschile sulle donne non è un fatto privato, non è un’emergenza, ma è un fenomeno strutturale e trasversale della nostra società”. Questo è il pensiero alla base del movimento Non una di meno, nato in Argentina. La rete italiana ha coinvolto donne di ogni età, ma anche uomini. In piazza si manifesterà per sottolineare l’inefficacia dei programmi istituzionali nel contrasto al femminicidio. Ma anche per per ricordare le vittime, per combattere le ingiustizie sul lavoro e per ottenere la parità dei salari. L’obiettivo finale è quello di creare un Piano femminista contro la violenza maschile, che porti alla revisione del piano antiviolenza adottato dal governo italiano nel 2015.
Quando si manifesta? Il 26 novembre. Il corteo parte alle 14 da piazza Esedra a Roma e si conclude in piazza San Giovanni. Il 27 novembre alle 10, nella scuola elementare Federico Di Donato della capitale, si terrà poi un’assemblea per decidere come cominciare a lavorare su un piano antiviolenza nazionale.
Chi organizza gli incontri? La rete italiana Non una di meno, che è promossa da Donne in rete contro la violenza (D.i.re), Io decido e Unione donne in Italia (Udi). La manifestazione è il frutto di mesi di confronto tra i diversi collettivi.
Quali sono i dati sulla violenza contro le donne in Italia? Una donna su tre in Italia è vittima di violenze fisiche, psicologiche e sessuali. Sono più di sei milioni le donne che hanno subìto violenza nell’arco della loro vita. Dall’inizio del 2016 in Italia sono state uccise 93 donne. Le violenze, fisiche e psicologiche, avvengono ovunque: negli uffici, nelle scuole, per strada, negli ospedali, di persona, attraverso internet o altri mezzi di comunicazione. Nella maggior parte dei casi avvengono nell’ambiente domestico, e gli autori sono familiari o conoscenti.
Qual è il ruolo dei centri antiviolenza? Ogni anno i centri antiviolenza offrono supporto e assistenza a più di 16mila donne. Molti di questi centri rischiano la chiusura per ragioni burocratiche, legate alla revoca degli spazi a loro assegnati, e a causa dei tagli alle risorse. Per esempio, a Roma il Servizio sos donna è stato chiuso il 26 giugno, lasciando sole più di 300 donne che avevano appena cominciato un percorso di riabilitazione.
http://www.internazionale.it/notizie/2016/11/23/manifestazione-violenza-donne

martedì 22 novembre 2016

IMPORTANTE

vi ricordiamo che mercoledì 23 alle  20.30 vi aspettiamo tutte e tutti al BemViver,via Monti 5 Corsico, per parlare insieme degli effetti della violenza sulle donne  sui figli e le figlie, vittime invisibili e trascurate dalla nostra società










venerdì 18 novembre 2016

Domenica 20 novembre ore 14 Tutti e tutte al Parco Cabassina di Corsico


Comunicazione sulla Festa dell’Albero

Domenica 20 novembre si terrà la Festa dell’Albero al Parco Cabassina. Per l’occasione abbiamo organizzato un pomeriggio tutti insieme al parco per giocare e scoprire la natura in autunno. Grazie alla partecipazione di tutti i comitati genitori di altre associazioni locali e alla collaborazione di tanti volontari, è stato possibile realizzare una Caccia al Tesoro ricca di giochi dedicati agli alberi.

Abbiamo però dovuto rinunciare al patrocinio del Comune di Corsico, rilasciato al Circolo Il Fontanile per questo evento, poiché per il coinvolgimento delle altre associazioni si è reso indispensabile richiedere un’estensione di patrocinio. Richiesta presentata il giorno 7 novembre ma che ci è stato comunicato non essere stata gestita dall’amministrazione per mancanza di tempi tecnici.

Per la buona riuscita dell’evento abbiamo dunque rinunciato al patrocinio e come da indicazione dell’assessore di riferimento, abbiamo proceduto alla richiesta alla Polizia Locale per la concessione d’uso degli spazi che ci è stata regolarmente rilasciata.

Domenica alle 14,00 al Parco Cabassina vi aspettiamo quindi alla Festa dell’Albero per giocare e festeggiare insieme.


Corsico, 18 novembre


Circolo Il Fontanile Corsico-Buccinasco
Comitato Genitori Buonarroti
Comitato Genitori Copernico
Comitato Genitori Galilei
Comitato Genitori Dante
Ventunesimodonna
BuonMercato

mercoledì 16 novembre 2016

Per un ragazzo su quattro la violenza sulle donne è dovuta al troppo amore\ Posted on 18 novembre 2015 by Blogdelledonne

Per un giovane su cinque quello che accade in una coppia non deve interessare agli altri. Per uno su quattro, la violenza sulle donne è dovuta a “raptus momentanei, giustificati dal troppo amore”. Per uno su tre, gli episodi di violenza domestica “vanno affrontati dentro le mura di casa”. Questi i dati che emergono dal rapporto “Rosa Shocking 2. Violenza e stereotipi di genere: generazioni a confronto e prevenzione”, presentato oggi alla Biblioteca del Senato a Roma dall’associazione We World Onlus. Il rapporto è diviso in due parti: nella prima, We World Onlus compie un’analisi degli investimenti in termini di prevenzione della violenza contro le donne. Nella seconda, condotta insieme a Ipsos Italia, viene svolto un sondaggio per capire come i giovani tra i 18 e i 29 anni si posizionino su questi temi.

Emergono così dati contrastanti: cresce l’attenzione sul tema, in particolare nelle regioni del centronord, ma, rispetto al 2013, calano da 16,1 a 14,4 milioni gli investimenti in prevenzione e contrasto alla violenza di genere. Dall’analisi condotta dall’istituto Ipsos, inoltre, emerge una chiara frattura generazionale: i giovani tra i 18 e i 29 anni rispondono a tutte le domande con un atteggiamento sensibilmente più indulgente nei confronti della violenza di genere rispetto al resto del campione. Particolarmente allarmanti i risultati di due domande: per il 19% dei giovani, contro la media nazionale del 13%, è normale che un uomo tradito diventi violento; la violenza, inoltre, è dovuta “agli atteggiamenti esasperanti delle donne” per il 16% dei giovani contro la media dell’11%. L’analisi Ipsos conclude suddividendo il campione in tre diverse classi: il 45% del campione rientra nella classe “dalla parte delle donne senza se e senza ma”, il 35% preferisce relegare la violenza di genere a episodi domestici, il 20% individua nella donna le responsabilità delle violenze.

“È importante non dimenticare le dimensioni della violenza sulle donne, i cui numeri continuano ad essere allarmanti”, dichiara Marco Chiesara, presidente We World Onlus, che spiega: “Nel nostro paese sono quasi 7 milioni le donne che hanno subito violenza, ma di queste solo l’11,8% denuncia. Questo e’ un dato su cui ci dobbiamo confrontare”. “Il lavoro di We World Onlus- prosegue Chiesara- si basa su tre livelli: advocacy, sensibilizzazione e azione. Questo rapporto, che si unisce ai nostri progetti sui territori e negli ospedali di tutta Italia, rappresenta un passaggio fondamentale per affrontare questo tema”.

“Questo rapporto è un lavoro straordinariamente importante, un salto qualitativo fondamentale che sara’ distribuito tra tutti i parlamentari della Repubblica”. A dichiararlo e’ la vice presidente del Senato, Valeria Fedeli, durante la presentazione del rapporto  “Ringrazio We World Onlus – prosegue- anche perche’ ha un presidente uomo. In Italia questo e’ un problema perche’ la campagna internazionale ‘He for She’ per il coinvolgimento degli uomini nella lotta alle violenza di genere, stenta a partire. Per questo- annuncia la Fedeli- il 15 dicembre rilanceremo questa campagna in Italia, con la presenza di almeno venti universita’”. La vicepresidente del Senato, infine, fa un richiamo al linguaggio della politica, “che dovrebbe essere piu’ responsabile: non si capisce perche’, quando parla Gasparri, anziche’ usare argomenti di merito deve offendere la donna, chiamandoci ‘velone’. Anche quello linguistico e’ un aspetto del problema della violenza di genere.

(Fonte: D.I.RE)

https://stopviolenzadonne.wordpress.com/2015/11/18/1254/

martedì 15 novembre 2016

Questa vignetta riassume perfettamente la vita quotidiana di una mamma Di Eleonora Giovinazzo

Dall’asilo alla scuola, dal lavoro al supermercato, dalla casa allo studio medico. Il tutto senza tregua. Niente paura, è “solo” la vita quotidiana di una mamma, che oltre a lavorare come casalinga spesso lavora anche al di fuori della vita familiare. Un’esistenza riassunta perfettamente nella vignetta creata da André-Philippe Côté, pubblicata in origine sul quotidiano Le Soleil e ben presto giunta in ogni parte del mondo grazie agli apprezzamenti del web.



“Mi sento un po’ depressa dottore”, ammette la protagonista nell’ultimo riquadro. “Faccia un po’ di sport”, le consiglia il medico. Come se la donna non corresse da una parte all’altra già abbastanza. Il suggerimento dello specialista è sicuramente valido, in tanti lo avranno dato alle proprie madri o mogli. Ma è estremamente difficile che una mamma, magari impossibilitata ad avere il sostegno di nonni o tate, riesca a trovare anche il tempo di fare sport, o in qualche modo di rilassarsi ed estraniarsi da una vita che ama ma che la assorbe.

“Anche il mio dottore mi ha prescritto di fare attività fisica”, scrivono alcune donne commentando la vignetta su Facebook. Tutte e tutti sono comunque concordi su una cosa: questo disegno si avvicina in modo spaventoso alla realtà. “Ha avuto un successo inaspettato - racconta il vignettista del Quebec (Canada), classe 1955 - Indice che la situazione delle donne che vivono in Occidente si somigli molto. Io ho tratto ispirazione principalmente dalle donne della mia famiglia, mia moglie e le mie due figlie (ha anche due figli maschi, n.d.r.), ma ho riscontrato la stessa situazione anche nelle giovani famiglie che conosco. La relazione lavoro-famiglia è davvero difficile per le donne. Anche nei casi in cui gli uomini siano collaborativi nella gestione delle faccende e nelle attività dei figli, la situazione non cambia di molto. E’ una questione davvero complessa”.
http://www.huffingtonpost.it/2016/11/13/vignetta-vita-mamma_n_12910308.html

lunedì 14 novembre 2016

DACIA MARAINI: ha vinto il patriarcato ma non finirà così di Cecilia Sabelli

Elezioni USA • Interviste
Per Dacia Maraini, scrittrice, drammaturga, saggista, popolarissima icona del femminismo italiano, che oggi compie 80 anni e li festeggia con una mostra dedicata alla madre gallerista e pittrice, non ci sono dubbi: l’elezione di Trump rappresenta un ritorno a una forma di arcaismo e per le donne il segno di un’altra vittoria del patriarcato. Le abbiamo chiesto perchè di questo metà America non ne ha tenuto conto e se i tempi sono comunque maturi per dare un’altra occasione all’America di avere come futuro leader una donna.

A l’Unità ha detto che Hillary si è scontrata con un’America in cui pesa ancora e tanto la misoginia. Ebbene, non ce l’ha fatta. Che segno è questo per le donne americane e di tutto il mondo?
Sul piano simbolico è di nuovo una vittoria del patriarcato, non c’è dubbio. Perché rispetto a quello che si dice, io non vedo questa differenza tra i due. Io capirei se si fosse trattato di un rivoluzionario di destra. Accusano Hillary di essere una donna legata al potere economico, ma perché lui non lo è? Dietro di lei ci sono i mondi della finanza dei grandi affari. Ma lui è ancora peggio.

Già, che effetto le ha fatto la sua vittoria?
Mi ha fatto un effetto di sorpresa e anche di preoccupazione, d’inquietudine. Non per il fatto che si tratti di un presidente repubblicano, ne abbiamo avuti tanti, ma per quanto ha sempre dichiarato.

A cosa si riferisce in particolare?
Prima di tutto mi inquieta che ritenga i problemi legati al cambiamento climatico delle sciocchezze. Stavamo prendendo la direzione giusta, congiuntamente con altri paesi, per affrontare questo problema da cui derivano pericoli per il mondo intero, come lo scioglimento dei ghiacci, le alluvioni, i tornado che portano a grandi disastri. Poi, che voglia cancellare quel poco che Obama è riuscito a fare per la salute pubblica: la possibilità concessa con l’Obama Care agli americani più poveri di curarsi attraverso un’assistenza dal quale prima erano esclusi. È un fatto gravissimo, è antisociale. Penso infine al suo atteggiamento verso le donne, molto sprezzante, addirittura direi razzista. E poi a tanti altri aspetti, ma questi per primi.

Come si spiega il fenomeno Trump?
Per me sono valide le parole di Wilhelm Reich, grande studioso psicanalista allievo di Freud, che ha scritto un libro sulla psicologia delle masse. Secondo Reich, quando si affronta una crisi, economica soprattutto, ma anche etica, ideologica, i popoli esprimono un bisogno arcaico, lo stesso che legava il branco animalesco originario: ricercano un capo, un padre del branco. Il prescelto può essere cattivo, violento, criminale, brutale, non ha importanza: conta che sia un capo e per esserlo deve avere un certo carisma.

È il caso di Trump?
Lui ce l’ha. Il carisma non è qualcosa che ha a che vedere né con il programma politico e neanche con l’onestà di una persona. Il carisma è il carisma: ce lo aveva anche Hitler, quindi si capisce che è relativo alla capacità di coinvolgere emotivamente le folle, però come un capo, come un padrone, come un padre. Reich sostiene si tratti di una forma di arcaismo. Credo che questo ragionamento sia condivisibile. Altrimenti, come spiegarsi quanto accaduto: gli americani, che erano nel loro momento migliore, avevano votato Obama che rappresenta esattamente il contrario di Trump, (si preoccupa del clima, degli emarginati, delle minoranza etniche, che ha molto rispetto per le donne), come hanno potuto a un certo punto votare in maggioranza il suo opposto? A me risulta molto strano. Il ragionamento di Reich mi convince perché effettivamente ora la crisi sta impoverendo il paese, le differenze tra ricchi e poveri si stanno allargando. Questo è un segnale di mancanza di democrazia. Probabilmente, il Paese sentendosi in pericolo si rivolge, però, alla persona sbagliata secondo me. Dovrebbe, invece, chiedere più democrazia non meno democrazia.

Soprattutto se si tratta di donne, allora ci si domanda come è possibile, nonostante le ragioni socio-economiche che anche lei ha citato, non abbia contato l’appartenenza di genere?
Le donne sono dentro una cultura. Non tutte sono consapevoli che questa è una cultura che le punisce e le emargina. Ci sono dentro fino al collo senza rendersene conto, soprattutto le donne più ignoranti, infatti, le proteste vengono dalle università, dalle professioniste. Le donne consapevoli non hanno certamente votato per Trump. Hanno votato le donne più semplici che non hanno avuto la possibilità di sviluppare un pensiero proprio e quindi si sono adeguate al pensiero comune in quel momento.

Possiamo dire che non si è riusciti a far capire fino in fondo l’enorme peso simbolico di investire una donna di un ruolo tanto importante…
Certo. Però pensiamo adesso anche che metà America non la pensa come Trump. Anche analizzando i voti, lui ha vinto perché ha avuto una maggioranza, però c’è comunque una metà dell’America che non lo vuole. Mi pare che lo slogan delle giovani donne, delle universitarie scese in strada, sia proprio “non mi rappresenta”, che non è un insulto ma è come dire che non ci si riconosce nelle sue idee e nella sua politica.

Eppure c’è chi insiste che nel caso di Hillary non sia stata bocciata la donna ma la sua appartenenza all’establishment…
Ma quale establishment, questa cosa mi fa molto ridere. Trump lo è anche di più perché è di quell’establishment che vuole rimanere tale, e che non vuole fare nessuna concessione ai più poveri, agli emarginati. C’è forse la sirena di Trump che ha affermato di voler abbassare le tasse, di dare lavoro, c’è la paura dell’immigrazione: questo è ciò che senza riflettere molto ha convinto molti tra coloro impoveriti dalla crisi a votarlo.

I tempi sono comunque maturi per dare presto un’altra occasione all’America di avere come futuro leader una donna?
Si, penso di si, e credo che molti americani si pentiranno di questo voto.

Ci conforta, significa che siamo tornati indietro di molto ma non al punto di dover “ricominciare”?
No e poi io stimo molto il popolo americano, conosco le sue risorse straordinarie. Si è trattato di una mancanza di consapevolezza politica. Quando vedranno gli effetti di questa scelta probabilmente se ne renderanno conto.
http://www.cheliberta.it/2016/11/13/dacia-maraini-ha-vinto-il-patriarcato/







domenica 13 novembre 2016

Certo, non tutti gli uomini odiano le donne…Ma tutti gli uomini godono dei privilegi generati da un sessismo diffuso.

Le cose vanno male. Negli ultimi mesi è stato quasi impossibile aprire un giornale o accendere la televisione senza imbattersi nella storia di un’altra ragazza minorenne violentata, un’altro esponente politico donna molestato, un’altra trans uccisa. Ma, appena le donne, le ragazze e un numero crescente di uomini iniziano ad esprimersi contro il sessismo e l’ingiustizia, accade qualcosa di curioso: alcune persone lamentano il fatto che parlare di pregiudizi è di per sé una forma di pregiudizio.
Oggi si chiede alle donne che vogliono parlare di misoginia di modificare il linguaggio in modo da non ferire i sentimenti degli uomini. Non bisogna dire: “Gli uomini opprimono le donne ” – Perché è sessismo, un sessismo analogo a quello che colpisce le donne, forse peggiore. Invece bisogna dire: ” Alcuni uomini opprimono le donne.” Qualunque cosa tu faccia, non generalizzare. Questa è una cosa fanno gli uomini . Non tutti gli uomini – solo alcuni uomini.
Questo tipo di battibeccho semantico è un modo molto efficace per mettere a tacere le donne.
La maggior parte di noi è cresciuta imparando che essere una brava ragazza significa mettere i sentimenti delle altre persone prima dei nostri. Non dobbiamo dire quello che pensiamo se c’è anche solo una possibilità che possa sconvolgere qualcun altro o – peggio ancora – farlo arrabbiare. Per questo soffochiamo il nostro discorso con una profusione di scuse, avvertimenti, toni pacati. Ci preoccupiamo innanzi tutto di  rassicurare i nostri amici e persone care che “loro non sono come quegli uomini che odiano le donne”.
Ovviamente non tutti gli uomini odiano le donne. Ma questa società odia le donne e quindi gli uomini, cresciuti in una cultura sessista, hanno la tendenza a fare e dire cose sessiste, spesso senza volerlo. Noi non giudichiamo gli uomini per quello che sono, ma questo non significa che non chiediamo che il loro comportamento cambi. Ciò che pensano davvero delle donne è molto meno importante di come le trattano ogni giorno.
Anche l’uomo più delicato e dolce del mondo ottiene benefici dal sessismo. È così che funziona l’oppressione. Migliaia di persone “per bene” continuano a vivere in un sistema ingiusto, semplicemente perché è più facile. Quando qualcuno chiede un cambiamento di questo sistema ingiusto sarebbe opportuno ascoltare, invece di voltare le spalle o urlare, come farebbe un bambino, “non è colpa mia!”.
No, non è colpa tua. Sono sicura che tu sei una bella persona. Ciò non significa che non hai la responsabilità di fare qualcosa a riguardo.
Senza invocare stupidi stereotipi di genere sul multitasking, dovremmo essere tutti d’accordo sull fatto che è relativamente facile per il cervello umano elaborare più di un idea contemporaneamente. E ‘ un grande, complesso organo, il cervello, ha circa le dimensioni e il peso di un orribile, marcio cavolfiore e ha spazio sufficiente a contenere la trama di diverse serie TV e il numero di telefono della ex-amante, che torna sempre utile dopo sei bicchierini di vodka. Se non fosse in grado di gestire idee complesse, allo stesso modo in cui ci permette di disporre di una gran quantità di informazioni personali, saremmo ancora sugli alberi invece che belli comodi in grandi città.
Pertanto non dovrebbe essere troppo difficile, per un maschio di media intelligenza,  comprendere che mentre tu, individuo, nella vita di tutti i giorni, mangiando patatine e giocando a  BioShock 2, certo non odi o fai del male alle donne, gli uomini come gruppo – come una struttura – certamente lo fanno. Non credo che la maggior parte degli uomini sia così stupida da non capire questa distinzione e, visto che non lo sono, dobbiamo intensificare i nostri sforzi affinché l’intero sistema ne prenda atto.
E’ ancora difficile parlare con gli uomini di sessismo senza incontrare un muro  difensivo che spesso sfuma in aperta ostilità, persino in violenza. La rabbia è una risposta emotiva assolutamente comprensibile in chi viene accusato di essere implicato in un sistema che opprime le donne – ma la soluzione non è quella di indirizzare la rabbia verso le donne. La soluzione non è cercare di evitare il dibattito con l’accusa di “sessismo inverso” per smettere di sentirsi a disagio, come se questo in qualche modo bilanciasse il problema.
E’ il sessismo che dovrebbe mettere a disagio. E ‘ doloroso e destabilizzante ricevere attacchi misogini, ma dovrebbere essere altrettanto doloroso osservarli da di fuori con la consapevolezza che anche tu sei coinvolto, anche se non sei un misogino. Quando un gruppo del quale si è membri agisce contro altri esseri umani, si dovrebbe reagire nello stesso modo in cui si reagisce quando un medico martella il ginocchio per testare i nervi. Se nulla si muove, c’è qualcosa di terribilmente sbagliato.
Dire che “tutti gli uomini sono tutti immersi in una cultura sessita” – tutti gli uomini, non solo alcuni uomini – può suonare come un’accusa. In realtà si tratta di una sfida. Tu, singolo uomo, con i tuoi personali sogni e desideri, non ha chiesto di nascere in un mondo in cui essere un ragazzo ti regala vantaggi sociali e sessuali sulle ragazze. Nessuno vuole vivere in un mondo in cui le bambine vengono violentate per poi essere accusate in Tribunale di aver “provocato l’aggressione”, dove il lavoro delle donne è mal pagato o non pagato, nel quale le donne sono chiamate troie e puttane soltanto perché chiedono il diritto ad avere una vita sessuale appagante. Nessuno di voi ha scelto tutto questo. Quello che potete scegliere, in questo momento, è quello che succederà da adesso in poi.
Si può scegliere, come uomo, di contribuire a creare un mondo più giusto per le donne – più giusto per gli uomini, anche. Si può scegliere di sfidare la violenza, la misoginia ovunque la si incontra. Si può scegliere di rischiare, di spendere energie a supporto delle donne, stando dalla parte delle donne, trattando le donne nella vostra vita come pari. Si può scegliere di alzarsi in piedi e dire di no: ogni giorno, sempre più uomini e ragazzi stanno facendo questa scelta.

Sarai uno di loro?

(traduzione di Of course all men don’t hate women. But all men must know they benefit from sexism, di Laurie Penny)
https://ilricciocornoschiattoso.wordpress.com/2013/10/26/certo-non-tutti-gli-uomini-odiano-le-donne/

sabato 12 novembre 2016

A chi butta a mare la fatica di 50 anni di lotte delle femministe americane

A chi butta a mare la fatica di 50 anni di lotte delle femministe americane dicendo che Hillary Rodham Clinton e Donald Trump sono uguali, sostenendo inoltre che siamo 'persone' e che quindi non conta il genere vorrei rispondere con le parole di Lorella Zanardo, postate alla sua pagina Il corpo delle donne, ricordando che Rodham Clinton ha preso 200 mila voti in più di Donald Trump. Ma soprattutto che la sua sconfitta è una debacle per tutte, perché a lei si è preferito un uomo che odia visceralmente le donne, e questo odio incarnato in uno dei più influenti uomini della terra, ora al potere, non è una bazzecola.
CAGNE, SCIATTONE, CICCIONE , MESTRUATE e INAFFIDABILI
"Dai sì dai che mi piace, dai ancora dimmelo ancora che sono una cagna"
No, non è una dichiarazione rubata sul set di un porno. No.
Ė il masochismo delle donne. A noi donne ci piace essere trattate male. Emerge dalle elezioni americane.
Diceva Dacia Maraini durante una conferenza che dall'analisi dei libri erotici scritti da donne,emerge che la maggior parte di questi fa godere la protagonista attraverso atti di masochismo: mi meni e mi piace, mi insulti e godo, parrebbe.
E certo che ognuna nella fantasia ė libera di godere come vuole, ci mancherebbe.
Fa peró preoccupare quando questa tendenza masochistica esce dall'alcova e si esprime nelle urne.
Le donne hanno votato Trump piū di quanto ci si sarebbe aspettato.
Hillary Clinton pare non le convincesse.
Che ė come dire" Io vorrei andare al mare, Hillary mi offre la montagna. Preferisco andare all'inferno con Donald".
Perlomeno strano, no?
Non tanto, se si considera che molte donne che non hanno vissuto come devastante essere definite "cagne" dal Presidente che hanno contribuito ad eleggere, hanno introiettato l'umiliazione da tempo, spesso diventata la cifra della loro vita familiare e lavorativa.
Trump non fa indignare se si è abituate ad essere poco considerate, se da anni la denigrazione e la non considerazione accompagna le relazioni affettive e lavorative.
Trump diventa cosį piū familiare e certo meno disturbante dell'algida Clinton, rea di moltissimi sbagli ma anche formidabile conquistatrice di diritti per le donne.
Anche per quelle donne che non l' hanno votata e hanno preferito non confrontarsi con un cambiamento che forse avrebbe potuto essere epocale.
https://www.facebook.com/groups/249783391777356/permalink/1147015912054095/

venerdì 11 novembre 2016

Amiche in Arena, esce oggi il cd/dvd. Il ricavato sarà devoluto ai centri antiviolenza sulle donne. Grazie da tutte noi.

Una serata unica e tutta al femminile, tenutasi nella cornice prestigiosa dell’Arena di Verona, per unire le voci contro il femminicidio e ogni genere di violenza sulle donne, proprio in un momento in cui le pagine di cronaca sono pieni di tristi e disarmanti episodi.

Un coro e un grido di voci importanti e amate, mosse da quell’ istinto di protezione e solidarietà che è tipico delle donne: questo è stato il concerto Amiche In Arena, lo scorso 19 settembre.

Il progetto è nato da un’idea di Loredana Bertè e di Fiorella Mannoia -Direttore Artistico dell’evento-e ha visto la partecipazione straordinaria di grandi Artiste della musica italiana.

Insieme alle padrone di casa Bertè e Mannoia, si sono avvicendate sul palco Gianna Nannini, Elisa, Alessandra Amoroso, Emma, Patty Pravo, Irene Grandi, Noemi, Paola Turci, Nina Zilli, Irene Fornaciari, Bianca Atzei, Elodie, Antonella Lo Coco, Aida Cooper.

Un totale di 16 Artiste che hanno deciso di mettersi insieme con la loro musica perché la violenza finisca e non accada mai più.16 voci che si sono alternate nel corso di 32 brani in scaletta, con imperdibili duetti e collaborazioni inedite.

L’11 novembre tutte le emozioni di quella serata indimenticabile ritornano con un imperdibile progetto discografico che racconterà tutta la musica e le suggestioni del concerto in due versioni: Standard 2 CD + DVD; Deluxe Box 2 CD + DVD con Libro Fotografico con le più belle immagini della serata.

Il ricavato delle vendite di questo progetto discografico sarà devoluto in beneficenza all’Associazione D.i.Re. - Donne in rete contro la violenza, a sostegno dei 77 Centri Antiviolenza appartenenti alla rete e distribuiti su tutto il territorio italiano.

I centri aderenti della rete D.i.Re. sono gratuiti, per lo più autofinanziati e attivi su tutto il territorio nazionale. Operano da anni grazie all'impegno di molte volontarie e consulenti di accoglienza professioniste. Accolgono donne che subiscono violenza maschile anche ospitandole per allontanare dal pericolo. La situazione di molti centri è ad alto rischio di sopravvivenza per le gravi difficoltà economiche e la mancanza di risorse e molti stanno drammaticamente lottando per restare aperti.

Amiche in Arena è il più grande evento musicale mai realizzato in Italia a sostegno della lotta contro il femminicidio e la violenza sulle donne.
http://www.amicheinarena.it/it/

giovedì 10 novembre 2016

Maschi e femmine, rompere gli schemi di Laura Fano

Sono tempi bui. Notizie orrende si susseguono giorno dopo giorno. E la gravità degli avvenimenti mi rende incapace di scriverne. Per questo motivo ho deciso di concentrarmi invece su una cosa piccola piccola, insignificante ai più: lo spettacolo di teatro delle mie figlie.

Le mie figlie frequentano una scuola dell’infanzia pubblica a Roma e quest’anno si è deciso di fare teatro come attività integrativa, grazie a un accordo con una compagnia esterna. Tutti molto contenti… fino allo spettacolo finale. Nella recita, in cui i bambini e le bambine impersonavano nativi americani, non so quante volte – avrei dovuto contarle! – è stato ribadito che i ‘maschi’ fanno questo e le ‘femminucce’ quest’altro. E ciò che toccava alle ‘femminucce’ consisteva nell’aspettare i maschi andati a combattere, nel pettinarsi, truccarsi e, una volta tornati i compagni, curare le loro ferite. Niente di più. Nessuna partecipazione attiva, se non un piccolo balletto ancheggiante alquanto imbarazzante.

Ma colpo di scena! Una bimba, A., si ribella a questo schema rigido e decide che è più divertente unirsi ai maschi. Peccato che non le venga permesso, alla faccia della creatività e della libertà di espressione dei bambini, che questa compagnia teatrale tiene molto a sottolineare. A. viene letteralmente presa e messa sulla panca accanto alle sue ‘pie’ compagne, ad aspettare passivamente i guerrieri. Il punto più terribile però è stato per me la scena in cui due bambini di tribù diverse decidono di sposarsi contro il volere dei padri. Di fronte alla rabbia di questi, il bambino risponde indicando la bambina: “È stata tutta colpa sua!”.

Erano quelli i giorni in cui si verificavano circa tre femminicidi al giorno e questa frase mi ha raggelato il sangue. Significa far passare il messaggio, già dalla più tenera età, secondo cui la colpa è sempre della donna, furba adescatrice, mentre l’uomo, vittima indifesa, non ha alcuna responsabilità del proprio comportamento. Agghiacciante.

Io ho due figlie femmine. Hanno solo tre e cinque anni eppure sono già stufa di ciò che vedo e sento, di ciò che viene loro detto di fare in quanto ‘femmine’, così come di tutto ciò che non possono fare in quanto ‘femmine’. Ovviamente, se avessi figli maschi, sarei altrettanto furiosa che gli venisse insegnato di andare a combattere!

Il teatro dovrebbe servire proprio a rompere gli schemi, mischiare i ruoli, sperimentare combinazioni nuove. Se viene usato per rafforzare orribili stereotipi, meglio farne a meno. La nostra scuola può davvero farne a meno, perché è una bella scuola dove le maestre, tra mille difficoltà, portano avanti iniziative educative e stimolanti, e dove, per ubicazione geografica, i bambini sperimentano la convivenza tra culture diverse e assorbono questa ricchezza quotidianamente. Spero davvero che questo spettacolo possa far riflettere tutti, genitori e maestre, su quale strada intraprendere l’anno prossimo.

Ho sentito dire che il vento sta cambiando. Non mi sembra affatto. Siamo nel 2016 è l’aria è molto più asfissiante di quando andavo a scuola io. Lunedì potremo svegliarci con un sindaco donna, come lei ama descriversi, ma ciò di cui avremmo bisogno è una sindaca con un’agenda femminista, e soprattutto di un governo con un’agenda femminista. C’è bisogno di iniziare da qui, dall’asilo, portare le nostre bambine e i nostri bambini su una strada diversa. Far capire loro che non esistono ‘cose da maschi’ e ‘cose da femminucce’; crescerli semplicemente come bambini che giocano e sperimentano insieme, a pallone, con le bambole, con le macchinine, con la cucina, e con tutto il resto, ma tutti insieme appassionatamente.

A. forse lo ha già capito, e spero che continui a ribellarsi.
http://comune-info.net/2016/06/maschi-femminucce-rompere-gli-schemi/

mercoledì 9 novembre 2016

COSA FARAI DA GRANDE? OVVERO DI DONNE E DI SCIENZA di Sara Sesti

Quanti stereotipi – e il recente l’articolo del matematico Odifreddi lo dimostra – sulla relazione tra donne e scienza. Ma qualcosa cambia, tra progetti online che portano alla luce sapienza scientifica delle donne ed editoria. Perché raccontare le scienziate è importante per le bambine e le ragazze
Alla domanda «Cosa farai da grande?», poche bambine rispondono «La scienziata». Del resto sono ancora poche le ragazze che scelgono all’università le discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics). Quali sono i motivi di questa difficoltà? Questione di gusti, di predisposizione o solo di stereotipi duri a morire?
Recentemente, a riaccendere le polveri è stato il matematico Piergiorgio Odifreddi con un articolo su Repubblica del 16 ottobre intitolato  ”Il talento delle donne per la scienza”  Dopo avere elencato gli esigui numeri delle donne insignite dei maggiori premi mondiali per la scienza – 17 Nobel di cui 12 per la Medicina, 2 per la Fisica, 2 per la Chimica, 1 per l’Economia, 2 Premi Turing per l’informatica, 1 Medaglia Fields per la Matematica e dopo aver segnalato che nessuna ha mai vinto il campionato mondiale di scacchi – da ciò deduce che le donne non sono versate per l’astrazione, mentre lo sarebbero di più per le attività ”concrete”. L’Unione dei Matematici Italiani  ha preso una netta posizione contro questa conclusione e contro la replica di Odifreddi. Il matematico ha fornito dati ben noti da tempo, che vanno letti e interpretati secondo quanto attestano sia la pluriennale esperienza di docenti e ricercatori, che i risultati di numerosissime analisi sull’argomento: la scarsa presenza femminile nella ricerca scientifica non è dovuta alla mancanza di doti innate, ma è il frutto di convenzioni sociali dure a morire.
Le ragazze non vengono sufficientemente indirizzate verso gli studi scientifici, essendo gli studi umanistici considerati più rispondenti alla ‘natura femminile’ La vita accademica e della ricerca può entrare in conflitto con importanti scelte personali: ricerca e cura familiare sono ben difficili da conciliare, in mancanza di politiche adeguate e in presenza di una cultura che delega alle donne attività domestiche e cura di bambini e anziani. Ciò porta spesso promettenti giovani ricercatrici a rinunciare a brillanti carriere. Insomma, ribaltando l’opinione di Odifreddi, è proprio l’idea (o forse è meglio dire il pregiudizio) da lui espressa ad essere una delle cause della scarsa presenza femminile in ambito scientifico. Per fortuna, e grazie ad impegno e attenzione continui per bilanciare idee preconcette, le cose stanno cambiando, sempre più donne accedono alle carriere scientifiche e dimostrano, con i fatti, che l’intelligenza, concreta o astratta che sia, è, per fortuna, trasversale al genere.
Questo dato è portato in evidenza da una iniziativa che sta vedendo la luce proprio in questi giorni. È stata costruita infatti una piattaforma online che raccoglie 100 nomi e relativi curriculum di esperte italiane a partire dall’area STEM, settori storicamente sottorappresentati dalle donne e al contempo strategici per il nostro Paese. Il sito,  frutto del  progetto ‘100 donne contro gli stereotipi”  dell’Osservatorio di Pavia Media Research, dell’associazione  Giulia, (Giornaliste Unite Libere Autonome) con la partnership del Centro Gender & Equality in Research and Science dell’Università di Milano, e di Wikimedia Italia, in collaborazione con la Fondazione Bracco e con il sostegno della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, si propone come strumento di ricerca di voci femminili prestigiose e autorevoli che possano contribuire al dibattito pubblico dentro e fuori i media, una risorsa chiave per giornaliste e giornalisti, agenzie e uffici stampa ma anche aziende e imprese, pubbliche amministrazioni, comunità locali, scuole e università. Se ne parlerà al Palazzo Ducale di Genova il 3 Novembre.
Questo  progetto va ad arricchire in modo significativo i molteplici interventi messi in atto per fare conoscere alle giovani modelli diversi dai tradizionali, così che possa aumentare la loro libertà di sognare il futuro e vengano ampliate le loro possibilità di scelta. Negli ultimi tempi si sono moltiplicate anche le iniziative editoriali destinate alle giovani lettrici, sin da bambine, con l’intento di promuovere una narrazione diversa della femminilità e tra le eroine più moderne e anticonvenzionali le scienziate non mancano. Tra le novità va ricordata la raffinata Ipazia e la musica dei pianeti della regista Roberta Torre, edito da rueBallu. Dedicato ai più piccoli, ma non solo, il libro racconta l’incontro tra una bambina-astronauta e l’astronoma-filosofa Ipazia. Vissuta ad Alessandria nel 5° secolo, Ipazia era maestra di un vasto e profondo sapere scientifico cancellato per centinaia di anni insieme alla sua vita dalla violenza del cristianesimo integralista. Buio del dogma contro libertà di pensiero e di ricerca: un conflitto fin troppo attuale.
Si rivolge agli adolescenti la collana “Donne nella Scienza” della casa editrice Editoriale scienza. L’ultimo arrivato è il volume Siate gentili con le mucche, in cui Beatrice Masini racconta l’emozionante storia di Temple Grandin, oggi celebre zoologa e attivista dei diritti animali, nonostante sia affetta da autismo. È l’undicesimo volume sulle biografie di scienziate: scritte in forma di romanzo breve, narrate in prima persona, con illustrazioni efficaci, sono dedicate ai bambini e alle bambine sopra gli 11 anni.
Il libro di Simona Cerrato La forza nell’atomo ripercorre la vita di Lise Meitner, scienziata austriaca di origine ebraica, che insieme ai chimici tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassmann scoprì la fissione nucleare sul finire degli anni Trenta. La sua storia, che abbraccia tutto il Novecento, si svolge sullo sfondo dei due conflitti mondiali, la persecuzione degli ebrei, il dibattito sulla bomba atomica e sull’applicazione bellica delle scoperte scientifiche. Quando il collega Otto Hanh riteneva ancora azzardato esporre pubblicamente la teoria, fu Lise Meitner a scrivere sulla prestigiosa rivista Nature una delle lettere più celebri della storia della scienza, datata dicembre 1938. Negli anni successivi la scienziata, fuggita dalla Germania nazista e rifugiata in Svezia, rifiutò di andare negli Stati Uniti a lavorare al Progetto Manhattan, il programma di Oppenheimer per l’ideazione e la costruzione delle prime armi atomiche. Otto Hahn invece partecipò al progetto, fallito, di costruirne una tedesca e dopo la guerra ricevette il premio Nobel, che fu invece negato a Lise Meitner.
Un altro bel libro di Editoriale scienza è La trottola di Sofja in cui Vichi De Marchi racconta l’intensa vita di Sofja Kovalevskaja, affascinante matematica russa, prima donna in Europa a ottenere una cattedra universitaria, scrittrice piena di talento e appassionata sostenitrice dell’emancipazione femminile. Fino alla seconda metà del Novecento poche donne hanno avuto accesso al sapere matematico e spesso si è trattato di figure anomale, quasi sempre oggetto di derisione e di implacabile sottovalutazione. È passata alla storia l’agghiacciante battuta, attribuita ad Hermann Weyll, matematico tedesco allievo di Hilbert, secondo cui “ci sarebbero state solo due donne matematiche nella storia, Sofja Kovalevskaja ed Emmy Noether: la prima non era una matematica, la seconda non era una donna”. Sottintendeva che la prima – che diede importanti contributi alla teoria della rotazione di un corpo rigido, la trottola, appunto – era “troppo bella” per essere una matematica, la seconda – inventrice della teoria degli insiemi e interlocutrice di Einstein – aveva un aspetto “troppo mascolino” per essere una donna.
E infine: pensando alle ragazze delle scuole superiori, ma anche alle loro insegnanti, insieme alla storica Liliana Moro, ho scritto il libro Scienziate nel tempo,  appena uscito nelle edizioni LUD – Milano nella sua quarta edizione ampliata e aggiornata che raccoglie 75 biografie di scienziate.
http://www.cultweek.com/donne-scienza/

martedì 8 novembre 2016

Senato continua #staffetta contro femminicidi: 49 parlamentari Pd ricordano a aula e paese ogni donna uccisa da compagni fidanzati e mariti



bellissima iniziativa in Senato per tenere desta l'attenzione della politica sul dramma del femminicidio.
Tante tantissime troppe donne uccise da chi diceva di amarle, da chi viveva vicino a loro

lunedì 7 novembre 2016

A Massa Carrara sportello antiviolenza gestito da ex Forza Nuova. E le donne?di Nadia Somma

Oggi propongo alcune riflessioni sulle quali penso sia importante confrontarsi insieme a chi vuole lavorare con donne vittime di violenza.
Giorni fa il Centro antiviolenza D.U.N.A. di Massa Carrara ha criticato l’apertura di uno Sportello antiviolenza su iniziativa del sindacato Unione generale del lavoro (Ugl) e dell’Ente nazionale di Assistenza sociale (Enas). Alla presentazione erano presenti due deputate, l’ex segretario generale dell’Ugl ed ex governatrice del Lazio Renata Polverini, in quota Forza Italia, e la democratica Martina Nardi. Lo sportello sarà gestito da due uomini, Daniele Pepe, responsabile Enas a Massa, e Bruno Quieti, segretario provinciale Ugl.
Le attiviste di D.U.N.A sono preoccupate per il rischio di improvvisazioni sulla pelle delle donne e lo hanno detto forte e chiaro: “I centri sono gestiti da donne con una forte formazione sulla violenza di genere alle spalle, non sono semplici servizi, che rispettano l’autodeterminazione, la libera scelta della donna che inizia un percorso per uscire dalla situazione di violenza per cui cerca aiuto nel rispetto delle linee nazionali e internazionali che prevedono requisiti ben precisi”. Poi le militanti hanno fatto riferimento a un episodio avvenuto sei anni fa, quando uno dei due promotori dello Sportello, Daniele Pepe (all’epoca responsabile regionale di Forza nuova, in particolare del settore giovanile chiamato Lotta Studentesca), organizzò un incontro pubblico contro l’interruzione volontaria di gravidanza e la legge 194; in quell’occasione  un gruppo di uomini e donne aggredirono verbalmente con minacce di stupro e ingiurie di carattere sessista alcune femministe intervenute nel dibattito per difendere il rispetto della legge 194. Le donne di D.U.N.A. si domandano come possa operare correttamente una persona che, da una parte, per credo politico, rinnega l’autodeterminazione delle donne garantita dalla 194, e dall’altra, per il ruolo che viene ad assumere presso lo Sportello antiviolenza, deve salvaguardare, allo stesso tempo, il medesimo principio.
Ho contattato Daniele Pepe che non ha voluto confrontarsi al telefono con me ma si è reso disponibile a uno scambio di messaggi. Mi ha scritto di non voler entrare in polemica. Rispetto all’episodio del 2010 ha risposto che “l‘iniziativa di aprire uno sportello inteso come centro di ascolto e di assistenza è stata lanciata a livello nazionale dall’Enas, ente già operativo a livello locale da oltre 40 anni per l’assistenza sociale a tutti i lavoratori, comprese le donne”. “Con queste premesse – ha proseguito Pepe – non sono in grado di rilasciare dichiarazioni specifiche su un singolo episodio avvenuto oltre 6 anni fa e del quale si è reso estemporaneamente protagonista una persona dalla quale sono state prese debite distanze. L’episodio fu criticato allora così come ora e qualificato come assolutamente inadeguato, fuori luogo e abbandonato dagli organizzatori della conferenza dell’epoca. Certamente lo spirito e le ragioni che stanno alla base dell’apertura dello sportello di ascolto patrocinata dall’Enas non hanno nulla a che vedere con ideologie politiche che, peraltro, non appartengono all’Ente di assistenza sociale”. Pepe si è augurato che “per tali ragioni l’iniziativa, salutata come positiva dall’opinione pubblica, potrà essere ulteriormente coltivata confidando che ogni ragione politica possa restarvi estranea e, al contrario, sia favorita ogni tipo di collaborazione con altre realtà esistenti”.
La  presentazione dello Sportello antiviolenza dell’Enas e Ugl,  è stata accompagnata da una locandina con il simbolo femminista e il titolo “Donne e diritti violati. Dal femminicidio alle molestie sul lavoro“.
Ma dietro il linguaggio e  al simbolo ci sono anche i contenuti legati alla storia e al pensiero che li ha espressi?
Se fosse così non ci sarebbero due uomini a lavorare in quello Sportello perché quei contenuti, nati dal pensiero femminista fondano gli interventi sulla relazione fra donne perché è attraverso la valorizzazione reciproca, che la donna sperimenta un Sé positivo che la muova a riprogettare la propria vita. E se non sono quelli i saperi sui quali opererà lo Sportello a Massa Carrara allora perché accreditarsi con quella forma?
 Sportelli e Centri antiviolenza sorgono in tutta Italia dettati anche dalla buona volontà di aiutare le donne ma non si conosce che metodologia adotteranno né su quale lettura del fenomeno della violenza fonderanno le loro azioni e i loro progetti.
Esistono già cosiddetti centri e sportelli anti-violenza che violano la convenzione di Istanbul perché svolgono mediazione di coppia che è assolutamente sconsigliata in situazioni di violenza perché espone le donne a rischi e processi di vittimizzazione (purtroppo avviene anche nelle istituzioni quando si confonde conflitto con violenza). Non si dovrebbero allora definire i criteri qualitativi che definiscono che cos’è un centro antiviolenza nel rispetto delle direttive internazionali e anche chiedere ai soggetti che fondano luoghi per le donne vittime di violenza quali metodologie adotteranno, quali analisi sulla violenza,  quali letture del fenomeno, quali competenze e quale formazione?  
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/11/04/a-massa-carrara-sportello-antiviolenza-gestito-da-ex-forza-nuova-e-le-donne/3166317/



domenica 6 novembre 2016

#paroledamore, in rete la campagna per combattere la cultura sessista

Ditelo anche voi, per non sentirlo più
Per combattere la cultura sessista, per cambiare i pensieri e quindi le azioni, occorre prima di tutto cambiare le nostre parole.
Se ne parla tanto, ma in pochi sanno riconoscere il sessismo che si annida nella vita quotidiana.
Il regista e fotografo Pietro Baroni e Luz hanno raccolto le frasi più comuni che offendono, sminuiscono, discriminano o imprigionano le donne in ruoli preconfezionati: è nato così il video «Parole D’amore», che da oggi sarà condiviso con l’hashtag #paroledamore.
«E’ arrivato il momento che donne e uomini lottino insieme contro la cultura sessista - commenta Baroni -. E’ una questione che dovrebbe interessare a tutti».

 ascoltatelo a questo link  http://luz.it/features/parole-damore-words-love

pubblicato da
http://www.lastampa.it/2016/10/26/multimedia/italia/cronache/paroledamore-per-combattere-il-sessismo-wn66QgvkRu1ZvI2Ysg1yXO/pagina.html

venerdì 4 novembre 2016

Sessismo, nessun sogno è troppo grande per le bambine di Alice Pilia Drago

I sogni delle ragazze si infrangono – o quantomeno si ridimensionano notevolmente – a un certo punto tra le scuole medie e primi anni delle superiori. Una ricerca commissionata in Uk da Girlguiding rivela che il 64% delle ragazze tra gli 11 e i 21 anni si aspetta di subire discriminazioni sul lavoro e solo il 35% di loro crede di avere le stesse opportunità dei ragazzi. Il gender gap inizia durante l’adolescenza in tutta Europa, quando il percorso di studi e carriera di ragazze e ragazzi si biforca nettamente alle superiori. Gli stereotipi sono straordinariamente forti: il 67% degli intervistati è convinto che le ragazze non abbiano le capacità necessarie per una carriera scientifica di alto livello.

Per capire meglio la questione parlo con Miriam Gonzalez Durantez, ambasciatrice di femminismo e mobilità sociale attraverso le iniziative Inspiring Women e Inspiring Girls. Miriam Gonzalez è una di quelle donne formidabili che non possono che ispirare ammirazione. Visceralmente spagnola, trapiantata a Bruxelles e poi a Londra, e quindi profondamente Europea, Miriam Gonzalez si è costruita un curriculum da capogiro e una famiglia da cartolina. Ha senso dell’umorismo e carisma, e ha fatto sua la missione di incoraggiare le ragazzine a sognare in grande.


Per Miriam Gonzalez il primo passo per sconfiggere gli stereotipi di genere è riconoscere che esistono ancora, nonostante il lungo cammino di emancipazione. Mi racconta che l’idea di fondare Inspiring Girls è nata dal lavoro che già faceva con Inspiring Women, un programma di networking e mentoring professionale.

Gonzalez conferma quello che tutte sappiamo: “Se abbiamo successo nel lavoro siamo ‘aggressive’, se ci piace la moda siamo ‘superficiali’, se ci interessiamo alle scienze siamo ‘secchione’, se cerchiamo di difendere i nostri diritti siamo ‘fanatiche’. E sentirsi sempre criticate ha un impatto sulla nostra autostima. Ci porta a limitare le nostre aspirazioni”.

Il seme della poca fiducia in noi stesse infatti viene piantato molto presto. Nasce nei sogni ridicolizzati delle bambine, nelle discriminazioni sottili percepite dalle ragazzine, nelle etichette dei ruoli di genere che ci vengono inevitabilmente assegnate. Per aiutare le donne bisogna lavorare con le ragazzine e Inspiring Girls ha l’obiettivo di fornire alle più giovani stimoli, idee, ispirazione e modelli positivi.

I modelli di Miriam Gonzalez sono stati sua madre e suo nonno materno: “La famiglia è importantissima ma a volte non basta” mi dice “è importante dare alle bambine la possibilità di venire a contatto con realtà diverse, espandere i loro orizzonti il più possibile, ispirarle e nutrire la loro curiosità. Per questo Inspiring Girls si fonda sulla partecipazione di volontarie che si propongono come modelli, raccontando storie di successi e fallimenti e fornendo spunti e idee. Venire a contatto con modelli di donna diversi aiuta le ragazzine a crearsi un percorso personale e un network di riferimento che le aiuta a definire e portare avanti i loro progetti per il futuro.

Miriam Gonzalez ha avuto l’intuizione, e a rendere concreta la visione per Inspiring Girls in Uk e a livello internazionale pensa Begoña Lucena che in pochi mesi ha creato il nucleo di un movimento con aspirazioni globali. Infatti a novembre Inspiring Girls verrà lanciato anche in Italia, dove il programma sarà gestito da Fondazione Valore D, e poi in Serbia, Spagna e Zambia. Il modello di Inspiring Girls è semplice: “Chiediamo alle volontarie solo un’ora di tempo all’anno che useranno per raccontare la loro storia a piccoli gruppi di ragazze” precisa Miriam “un’ora all’anno la possono trovare tutti. Starà a scuole e centri di aggregamento giovanili organizzare gli eventi e selezionare le volontarie più adatte”.

Ma nel 2016, in paesi come la Gran Bretagna o l’Italia c’è davvero bisogno di iniziative come Inspiring Girls? Dopotutto la parità è legge e le discriminazioni sono sanzionate.

Miriam Gonzalez sorride: “Il sessismo è stato eliminato a livello legale e stiamo facendo passi avanti nel mondo del lavoro. Secondo alcuni questo è più che sufficiente. Per me no. Diciamo che siamo al 90%, che abbiamo fatto molta strada, ma non siamo ancora arrivate alla meta. Parità significa 100%”. La fondatrice di Inspiring Girls ha ragione: il sessismo è ancora molto radicato a livello culturale.

In Italia l’Istat dipinge un quadro desolante: un quarto degli italiani crede che quando i posti di lavoro scarseggiano i datori di lavoro dovrebbero dare la precedenza agli uomini. Il 13% della popolazione pensa addirittura che sia innaturale per un uomo avere un capo donna e due persone su 10 pensano che l’uomo dovrebbe prendere le decisioni più importanti riguardanti la famiglia. Le bambine italiane chiaramente percepiscono e in qualche modo assimilano queste opinioni e l’impatto sulla loro autostima può essere devastante.

“In tutto il mondo alle bambine viene in qualche modo impedito di sognare in grande” commenta Miriam Gonzalez “le barriere che le bambine incontrano in Zambia sono chiaramente diverse da quelle delle bambine italiane eppure il risultato è sempre una certa mancanza di fiducia in noi stesse. La sensazione di non essere all’altezza. Il timore di non avere il permesso di fare certi progetti, avere certe aspirazioni”.

La dimensione locale del programma quindi è essenziale. Per avere impatto, i modelli proposti alle bambine devono essere vicini per lingua, cultura e contesto. Le volontarie devono poter raccontare storie personali che le ragazzine trovano coinvolgenti e vere. Miriam Gonzalez però precisa che “la tecnologia permette anche di dare accesso e visibilità a modelli internazionali. Se una bambina in Serbia vuole sapere com’è la vita di una ricercatrice del Cern, Inspiring Girls può organizzare una video chiamata e creare un dialogo”.

L’appello di Inspiring Girls non potrebbe essere più chiaro. Per le più giovani è un incoraggiamento a essere curiose e coraggiose, e cercare molti modelli positivi. Per le volontarie il messaggio è che tutte possiamo essere buoni modelli: non è necessario aver vinto un premio Nobel o essere campionesse olimpiche. Chiunque possa dire di aver lavorato con passione per realizzare le proprie aspirazioni è un ottimo modello. Senza contare che raccontare la nostra storia alle più giovani è un’ottima occasione per ricordare a noi stesse tutti i nostri piccoli e grandi successi. Troppo spesso infatti le donne sono riluttanti a parlare con orgoglio degli obiettivi professionali e di vita che hanno raggiunto, ma quello che Inspiring Girls vuole comunicare a tutte, volontarie e bambine, è che non esistono aspirazioni migliori di altre, e non ci sono sogni troppo grandi per le bambine.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/11/02/sessismo-nessun-sogno-e-troppo-grande-per-le-bambine/3162940/

mercoledì 2 novembre 2016

Addio Tina Anselmi, la donna che fece tremare i piccoli uomini del potere

Persona di eccezionale coraggio e di straordinaria normalità, si è scontrata contro i poteri occulti che negli anni Settanta avevano invaso le istituzioni. Per l'ex partigiana una sfida più rischiosa di quella con il fascismo
Non l'avevano mai dimenticata. I vertici del Paese, colpevolmente, sì. Loro, Licio Gelli e i suoi amici, no. Non la dimenticavano e la odiavano come la loro peggiore nemica. Lo si capì nel 2004 quando il ministero delle Pari Opportunità commissionò a Pialuisa Bianco un dizionario biografico delle donne italiane. Alla voce Anselmi Tina si leggevano parole come queste: « Moralismo giacobino, istinto punitivo... I 120 volumi degli atti della Commissione, che stroncò Licio Gelli e i suoi amici, gli interminabili fogli dell'Anselmi's list, infatti, cacciavano streghe e acchiappavano fantasmi». E ancora: «improbabile guerriera. Furbizia contadina». Così un governo aveva ben pensato di ricordare la prima donna ad aver occupato l'incarico di ministro in Italia. Ad aver commissionato il testo era stata la responsabile delle Pari Opportunità Stefania Prestigiacomo. Il presidente del Consiglio era quel Silvio Berlusconi che faceva parte degli «amici di Gelli», tessera numero 1816 della loggia massonica P2, gruppo 17, settore editoria.
Non avevano mai dimenticato lei e i quasi tre anni, dall'ottobre 1981 al maggio 1984, in cui Tina Anselmi aveva presieduto la Commissione parlamentare di inchiesta sulla P2. Una sfilata ininterrotta di ministri, generali, ambasciatori, segretari di partito, direttori di giornale, banchieri, magistrati. Si giustificavano: «Enrico Manca: nel 1980 il 4 aprile entro come ministro del Commercio estero nel governo Cossiga. A fine aprile conosco Gelli a un ricevimento all'ambasciata argentina. Visita di Maurizio Costanzo, che disse di essere massone, e a nome di Gelli mi chiese se ero disponibile a aderire alla massoneria. Quando mi vidi negli elenchi di Gelli telefonai a Costanzo, ma questi mi confermò di aver telefonato a Gelli la non disponibilità...». «Bisignani (Luigi) pagato da Gelli, è ancora in rapporto con Gelli...». Apparivano untuosi, viscidi come il loro capo, di fronte a quella donna che li interrogava.
Non fu solo la prima donna a diventare ministro, ma soprattutto una grande artefice del welfare italiano. Cercò di fare luce sula P2 e anche per questo poi fu emarginata. Aveva tutte le doti per diventare presidente, ma quando ci fu la possibilità il centrosinistra non ebbe il coraggio di mandarla al Quirinale e le preferì Napolitano
Una donna contro i poteri occulti che negli anni Settanta avevano invaso le istituzioni come cellule tumorali che avvelenano un corpo sano. Di eccezionale coraggio. E di straordinaria normalità. «Tina, nome di battaglia Gabriella, anni diciassette, giovane, come tante, nella Resistenza. Non ho mai pensato che noi ragazze e ragazzi che scegliemmo di batterci contro il nazifascismo fossimo eccezionali, ed è questo che vorrei raccontare: la nostra normalità....». Comincia così la sua autobiografia, "Storia di una passione politica" (Sperling & Kupfer), curata da Anna Vinci e pubblicata dieci anni fa. Una ragazzona del profondo Veneto, campionessa di giavellotto e pallacanestro a livello regionale, «in un tempo in cui lo sport era un'attività prevalentemente maschile», a 17 anni era entrata nella Resistenza dopo un colloquio con un'amica che aveva il fidanzato partigiano, «una ragazzina passata direttamente dalla vita in famiglia alla lotta armata». Aveva scelto il nome Gabriella come l'arcangelo Gabriele, il messaggero dell'annunciazione: staffetta partigiana, cento chilometri al giorno in bicicletta, la fame e la paura.
Non aveva mai dismesso l'abito della resistente. Neppure quando, dopo la guerra, aveva cominciato a praticare un altro sport tutto maschile, la politica. Militante dell'Azione cattolica, amica e discepola di Aldo Moro, l'unica ammessa dalla famiglia in casa durante i 55 giorni del sequestro del leader dc, eletta deputata nel 1968, prima donna a essere nominata ministro, nel 1976, a 49 anni, nel terzo governo Andreotti, ministro del Lavoro e poi ministro della Sanità. Una donna in politica che portava uno spirito inedito nelle stanze del governo: spiritosa, anti-retorica, il contrario esatto di certi successivi modelli narcisisti e tutti auto-riferiti, una che di sé scriveva, con semplicità: «La ventata di leggerezza che nella mia infanzia ha spazzato tante volte via la malinconia mi accompagnerà fino alla fine, e avrà sempre per me l'odore del cocomero di nonna Maria e del panetto con l'uva di nonno Ferruccio». Ingenua, eppure consapevole di tutte le sottigliezze della politica. Esponente di quella generazione che aveva ricostruito l'Italia e che alla politica attribuiva primato e nobiltà, non in nome di una parte ma di tutti.
Quando nel 1981 il Parlamento votò l'istituzione di una commissione di inchiesta sulla loggia di Gelli sembrava destinata a una luminosa seconda parte della carriera politica nelle istituzioni: presidente della Camera o del Senato. Invece il suo sì alla richiesta di guidare la commissione, arrivata da Nilde Iotti presidente della Camera, le cambiò la vita.
L'incontro e lo scontro con il volto oscuro del potere. Quella coltre di mistero, fango, sporcizia, ricatto che inquinava, e inquina ancora, la vita pubblica italiana. Per l'ex partigiana una sfida più rischiosa di quella con il fascismo perché più sottile, con le parti in gioco non dichiarate. La Anselmi ha raccontato giorno per giorno quegli anni nelle pagine di diario pubblicate da Chiarelettere nel 2011. La pedinarono («esco da Palazzo San Macuto e mi accorgo di essere pedinata fino a casa da un uomo di statura piuttosto bassa, robusta, dell'età di quaranta, quarantacinque anni», annota all'una e un quarto di notte l'8 febbraio 1983), indagarono su di lei («Il giorno 7 gennaio 1985 sono venuti da me Lo Presti di Treviso e un suo collaboratore. Si sono dichiarati di professione agenti investigativi privati. Mi hanno raccontato di essere stati incaricati di indagare su di me, sui miei beni, sui miei parenti, per avere elementi contro di me. Hanno rifiutato di collaborare»), fu lasciata sola dagli uomini del suo partito, la Democrazia cristiana. «Lei ritiene di non poter fare nulla per impedire che materiale giudiziario venga sfruttato contro di me. Lei aveva tutti gli strumenti per bloccare un'operazione infame. Non li vuole usare», le scriveva Flaminio Piccoli, presidente della Dc.
Dai socialisti: «Formica (Psi) mi ha detto ieri che la commissione P2 va chiusa e basta». E dall'opposizione comunista: «Non mi pare che il Pci voglia andare fino in fondo. Il gruppo pare abbandonato a se stesso. La stessa richiesta loro di non approfondire il filone servizi segreti fa pensare che temano delle verità che emergono dal periodo della solidarietà. Ipotesi: ruolo di Andreotti che li ha traditi? O coinvolgimento di qualche loro uomo?». «Nulla si può escludere, neppure che Tina Anselmi sia una calunniatrice», scrisse infine Gelli al presidente della Repubblica eletto nel 1985, Francesco Cossiga.
In tanti pensavano a lei per il Quirinale, in realtà. E poi nel 1992, quando il suo nome risuonò più volte nell'aula di Montecitorio durante le votazioni per il presidente della Repubblica e il settimanale di Michele Serra "Cuore" l'aveva candidata ufficialmente, e non c'era nessun intento satirico. E invece dopo la commissione la sua carriera politica di fatto terminò. Come aveva previsto un suo grande amico, partigiano come lei, Sandro Pertini. «Con Pertini parlano spesso del mio coraggio. Sanno che sono sola in questo compito», appuntava il 20 settembre 1983. E il 10 maggio 1984, alla chiusura dei lavori: «Visita a Pertini. Mi ringrazia per quello che ho fatto per il paese e per l'Italia. Mi conferma la sua stima e la sua amicizia, per il coraggio che ho. Annota che nel Palazzo non si avrà la volontà di andare a fondo e di accogliere la mia relazione».
«Se la loggia P2 è stata politica sommersa, essa è contro tutti noi che sediamo in questo emiciclo. Questo è il sistema democratico che in questi quaranta anni abbiamo voluto e costruito con il nostro quotidiano impegno: non può esservi posto per nicchie nascoste o burattinai di sorta», aveva concluso il suo compito il 9 gennaio 1986, presentando nell'aula della Camera il lavoro della commissione. Sono passati trent'anni, non è andato via questo odore di stantio che si avverte in molti, troppi passaggi politici e economici. Ma neppure passerà il ricordo di Tina Anselmi. La ragazza della Repubblica che non hai smesso di sorridere nei momenti più difficili. La donna che fece tremare i piccoli uomini del potere. È lei, non i traditori dello Stato che lo hanno usurpato, a meritare a pieno diritto il titolo di patriota.
http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/11/01/news/addio-tina-anselmi-la-donna-che-fece-tremare-i-piccoli-uomini-del-potere-1.287051