mercoledì 24 maggio 2023

Sabato 27 in piazza Europa ore 15

Sabato 27 saremo in piazza Europa assieme a numerose associazioni attive sui temi della solidarietà e della sostenibilità per un confronto pubblico sul tema delle povertà.

L'evento è l'esito di un percorso di lavoro comune, associazioni, cittadini e cittadine, istituzioni insieme alla ricerca di risposte efficaci  al crescente problema delle povertà a partire da quella alimentare esistente anche sul nostro territorio.
Questo momento vuole mettere in evidenza la necessità  di costruire una comunità accogliente e solidale capace di rispondere ai bisogni di persone e famiglie che vivono situazioni di fragilità e costruire percorsi di partecipazione attiva.

Programma:
Ore 15 assemblea pubblica presso la sala Tau dell'Oratorio dello Spirito Santo in Piazza Europa.
Introduzione
Panel 1: Raccogliere le idee.
Panel 2: Le istituzioni rispondono

Dalle ore 15 alle 19 animazione per bambini e bambine, momenti di socialità e buon cibo.

Vi aspettiamo sarà la nostra ultima iniziativa prima delle vacanze.


    







 

lunedì 22 maggio 2023

PROSPERARE IN UN’ECONOMIA PARITARIA. DONNE E LAVORO di Chiara Giacomelli

 Uno dei temi più ampiamente trattati nel Report annuale sulla parità di genere 2023 dell’Unione Europea è la disparità di genere nel mondo del lavoro, con le sue implicazioni, conseguenze e questioni annesse: nello specifico l’occupazione, l’assistenza, la retribuzione e le pensioni. 

Nel 2022 è continuata la sfida per colmare il divario di genere nel mercato del lavoro, iniziata nel 2021, quando il piano d’azione del Pilastro europeo dei diritti sociali ha identificato l’obiettivo di dimezzare il divario occupazionale di genere (rispetto al 2019) come una delle tappe necessarie per raggiungere un tasso di occupazione complessivo del 78% entro il 2030.

Saranno indubbiamente necessari sforzi significativi per raggiungere questo livello entro pochi anni, ma è rassicurante constatare che, dopo una contrazione nel 2020, legata soprattutto alla pandemia, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è aumentata nuovamente l’anno successivo.

Tale considerazione complessiva, seppur incoraggiante, nasconde, in realtà, grandi differenze fra gli Stati Membri, tant’è che i dati mostrano che in alcuni Paesi il divario occupazionale di genere è persino aumentato rispetto al 2019. Emerge altresì dalle statistiche che il ricorso al part-time è nettamente superiore da parte delle donne piuttosto che degli uomini in tutti i Paesi, fatta eccezione solo della Romania. È anche vero, però, che per trarne considerazioni utili, bisogna osservare anche il tasso di occupazione complessivo e il relativo divario di genere, ma anche semplicemente ricordare che nei singoli Stati possono sussistere norme sul lavoro a tempo parziale diverse fra loro. Possiamo anche ipotizzare che le donne che non possono optare per il part-time (perché non disponibile, non sufficientemente retribuito o non abbastanza flessibile) decidano semplicemente di rimanere fuori dal mercato del lavoro. 

Come possiamo ben immaginare, anche avere figli influenza il tasso d’occupazione e, in particolare, tende ad avere un impatto positivo sull’occupazione maschile e l’effetto opposto sulla femminile. Questa tendenza si amplifica all’aumentare del numero dei figli, e rimane vera per tutti i livelli di istruzione, anche se il divario di genere è notevolmente inferiore nelle famiglie con un livello di istruzione più elevato.

Ritroviamo percezioni stereotipate nei ruoli che “devono” ricoprire uomini e donne anche nella divisione delle responsabilità domestiche e di cura. Questo non fa altro che alimentare il circolo vizioso per cui, più ci si aspetta che le donne si assumano maggiori responsabilità domestiche e di cura, più gli uomini si concentrano sul loro “ruolo di capofamiglia”, occupando posti di lavoro di più alto livello – e quindi guadagnando di più – ed essendo meno coinvolti nelle faccende domestiche e nell’ educazione dei figli. A questo proposito, la direttiva sull’equilibrio tra lavoro e vita privata, adottata nel giugno 2019, ha lo scopo di promuovere l’introduzione, nei vari Paesi Membri, di riforme volte a incoraggiare una più equa condivisione delle responsabilità. La disponibilità di servizi di cura di qualità e a prezzi accessibili gioca un ruolo chiave sia nell’accesso al lavoro delle donne che nella condivisione dei carichi familiari.

Sembra, però, che anche le modalità di lavoro flessibili nascondano influenze negative sul divario di genere: sebbene, in linea teorica, siano state pensate per raggiungere un miglior equilibrio fra lavoro e vita privata, una ricerca condotta in Germania mostra che gli uomini tendono a sfruttare gli orari flessibili per migliorare le loro prestazioni lavorative, e non per far meglio fronte alle responsabilità familiari, come invece fanno, nettamente più spesso, le donne. Siamo ancora molto lontani da un’equa e completa corresponsabilità di entrambi i genitori. 

Ma, ovviamente, non è la sola gestione della famiglia che sembra ancora basarsi fortemente su stereotipi di genere: pensiamo ad esempio anche alle scelte di studio (e quindi di carriera) che sono troppo spesso guidate da convenzioni obsolete.

L’Osservatorio sull’istruzione e la formazione del 2022 ha evidenziato che le donne superano gli uomini in quasi tutte le statistiche sull’istruzione a livello europeo; tuttavia la percentuale di donne che si laureano in discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche (Stem) è costantemente inferiore rispetto a quella degli uomini. Questo si traduce, chiaramente, in una forte segregazione di genere, ossia l’ineguale distribuzione di figure maschili e femminili fra settori, occupazioni e campi di studio, un problema ancora profondamente radicato nell’Ue. Tale tendenza contribuisce anche ad aumentare il divario retributivo tra i sessi, a limitare l’accesso a determinati posti di lavoro e a perpetuare rapporti di potere diseguali nella sfera pubblica e privata. Per ovviare a questo problema, sono state avviate delle politiche nazionali che mirano ad attirare un maggior numero di donne nei settori a contenuto tecnico, ossia le attività Stem. Più di rado accade l’opposto, ossia il tentativo di attrarre più uomini verso le attività di istruzione, assistenza, salute e benessere, forse perché ciò richiederebbe anche un miglioramento delle condizioni di lavoro e della retribuzione in questo settore. Il Report si sofferma anche sulla «trappola dell’inattività», che consiste nella rinuncia da parte del partner che guadagna meno, quasi sempre la donna, a impegnarsi per un lavoro che, oltre a essere pagato poco, andrebbe perso in tasse addizionali e perdita di benefici sociali. E qui vengono in considerazione le diverse politiche fiscali dei diversi Stati membri. 

Maggiore eguaglianza nelle retribuzioni di uomini e donne avrebbe nel tempo impatti forti e positivi sulla crescita del Pil e condurrebbe a più alti livelli di occupazione e di produttività, come ha affermato anche una recente indagine dell’I.L.O. (International Labour Organization): l’investimento in permessi uguali per uomini e donne, l’accesso universale all’istruzione e alla cura nella prima infanzia e servizi di cura di lungo periodo potrebbero generare globalmente 299 milioni di posti di lavoro entro il 2035.

Insomma, un mondo del lavoro equo è ancora un obiettivo ben lontano: secondo le stime, anche per quanto riguarda il discorso prettamente salariale, le donne guadagnano in media solo 0,83 euro per ogni euro guadagnato da un uomo. 

Tale squilibrio nel guadagno medio fra uomini e donne conduce, inevitabilmente, a importanti differenze di reddito negli anni e, di conseguenza, a minori entrate pensionistiche: un’ulteriore prova del fatto che le disuguaglianze di genere si riscontrano lungo tutto il ciclo di vita ed espongono le donne a un maggiore rischio di povertà.

Affrontare il divario retributivo di genere e le sue cause profonde è una delle priorità della strategia per la parità di genere 2020-2025. Nel 2023, l’Ue ha compiuto un importante passo avanti, approvando definitivamente la direttiva sulla trasparenza retributiva, che la Commissione aveva presentato nel marzo 2021. Con essa, l’Ue mira principalmente a fornire trasparenza sulle retribuzioni, facendo luce sugli effettivi divari retributivi e sui pregiudizi inconsci in questo contesto, sensibilizzando le persone (specialmente i datori di lavoro) alla questione. Gli Stati membri hanno tre anni di tempo per dare attuazione a questa Direttiva. A tutti/e i/le dipendenti verranno così forniti gli strumenti per valutare se sono retribuiti in modo non discriminatorio, ed eventualmente, per ricorrere alla giustizia, ottenendo il risarcimento e il pieno recupero delle retribuzioni arretrate.

Concludendo, nel gennaio 2023, è stato compiuto un altro importante passo: il Consiglio che riuniva i ministri dell’occupazione e degli affari sociali ha adottato una raccomandazione sul reddito minimo adeguato, individuato in una somma almeno equivalente alla soglia di rischio povertà nazionale. Questa iniziativa è di fondamentale importanza, in quanto contribuirà a raggiungere l’obiettivo del piano d’azione del Pilastro europeo dei diritti sociali di ridurre il numero di persone a rischio povertà o esclusione sociale di almeno 15 milioni, tra cui almeno 5 milioni di bambini. Agli Stati membri il compito di tenerne conto e di trasformare in leggi questo atto dell’Unione Europea che non ha valore vincolante.

Articolo di Chiara Giacomelli

Laureanda in Management presso l’Università di Pavia. Ama le cene in compagnia e leggere un libro che la tenga incollata fino ad addormentarcisi sopra. Ha tanti sogni nel cassetto, ma non sa da quale cominciare… perciò per adesso si limita a “fare la fuorisede” e a scrivere la tesi, sempre in compagnia delle sue cuffiette, da cui non si separa mai, e di una tazza di tè fum

https://vitaminevaganti.com/2023/05/13/prosperare-in-uneconomia-paritaria-donne-e-lavoro/?fbclid=IwAR350h8WKTfXZ12cGaxrbSYB9UbyGTXcKQONeUdO1Ysl7NgTo944CElsGOo

sabato 20 maggio 2023

Chiarimenti

 Abbiamo conosciuto durante il Consiglio Comunale il contenuto della mail con cui viene denunciata l'esistenza fra il personale del Comune di un clima di insicurezza e di atteggiamenti misogini rivolti ad alcune donne.

Non entriamo nel merito delle narrazioni di questa storia, ma ci rattrista il fatto che come spesso accade, le donne vengono tirate da una parte e dall'altra e diventano oggetto di battaglie, strumento per rivendicare l'unicità della difesa dei loro diritti.

Esprimiamo ancora una volta la nostra solidarietà e la nostra vicinanza a tutte le donne, a quelle vicine a noi ed a quelle lontane, che in tutti i luoghi pubblici e privati, nelle famiglie, nelle strade, nei luoghi di lavoro subiscono “attenzioni violente” da parte di taluni uomini. 

Conosciamo la difficoltà a denunciare abusi, maltrattamenti, violenze e capiamo la scelta di anonimato delle donne che subiscono violenza e temono ritorsioni conseguenti alla denuncia.

A suo tempo abbiamo contestato la scelta di Regione Lombardia di chiedere il codice fiscale [oggi non più] come primo atto di accesso ai centri antiviolenza, scelta che ha escluso il CADMI dalla possibilità di continuare a gestire La Stanza dello Scirocco perché non ha accettato la richiesta che avrebbe messo in pericolo le donne così facilmente individuabili.

Ventunesimodonna, da sempre vicina alla “Stanza dello Scirocco”, continua a far parte de “La Rosa dei venti” la rete che coordina i Centri Antiviolenza e gli Sportelli d'ascolto del nostro territorio ma è bene chiarire che la nostra presenza nella rete non prevede alcun ruolo attivo nella gestione dei centri, nessuna consulenza, né contatto con le donne che ai centri si rivolgono, anche se è capitato più volte di indirizzare al CAV donne che a noi si sono rivolte riconoscendoci un ruolo nel sistema.

Sosteniamo e promuoviamo la presenza del CAV nel nostro distretto e partecipiamo a periodiche riunioni di confronto assieme a rappresentanti delle amministrazioni locali, di varie associazioni e alle operatrici dei centri.

Sul tema della violenza maschile sulle donne organizziamo occasioni di dibattito per creare attenzione e sensibilizzazione (anche attraverso simboli “apparentemente” banali come la panchine rosse) e informiamo sull’esistenza dei luoghi preposti all’accoglienza del disagio, primi fra tutti i Centri Antiviolenza. 

In una realtà culturale come la nostra in cui fatica a diffondersi il valore del rispetto di tutte le diversità e la misoginia si aggira spesso indisturbata, sarebbe opportuno    realizzare anche nei luoghi di lavoro, pubblici e privati, e nelle pubbliche amministrazioni percorsi di riflessione e formazione per sanare e prevenire rapporti violenti nelle relazione umane e tra uomini e donne.


domenica 7 maggio 2023

L’ambiente domestico nell’arte delle donne Agnese Torres

Autocoscienza, rivoluzione femminista, ribellione alle norme sociali: tutto parte dalle mura di casa secondo tante artiste che hanno lavorato sulla domesticità dagli anni 70 a oggi

Il 26 marzo scorso si è conclusa la mostra Domesticanx presso il Museo del Barrio di New York, dedicato all’arte del centro e del sud America.

Il progetto espositivo riuniva sette artisti intergenerazionali sotto il tema del rapporto individuo-spazio domestico ispirandosi al concetto di 'domesticana', teorizzato dall'artista e studiosa Amalia Mesa-Bains negli anni '90 in contrapposizione al 'rasquachismo"'dominato dagli uomini.

Derivante dal termine 'rasquache', che nella cultura latina e chicana – dei messicani immigrati negli Stati Uniti - viene usato per descrivere un comportamento emblematico di una classe inferiore, questo concetto descrive una pratica artistica tipica della classe operaia che prevede il riutilizzo di vecchi oggetti per creare manufatti artistici di fortuna.

Quando adottata dalle donne, questa pratica assume il nome di 'domesticana', diventando uno strumento identitario ed emancipatorio dello spazio rappresentativo femminile. Quello domestico, appunto.

Ampliando l'originale teoria chicana e femminista attraverso la nuova sensibilità intersezionale latina, la curatrice Susanna V. Temkin ha accostato ad artiste affermate come Nitza Tufiño e Maria Brito, artisti emergenti di età, genere, orientamento sessuale e background differenti che hanno proposto le loro personali interpretazioni della sfera privata in un’ottica di sovvertimento degli antichi retaggi imposti dalle strutture di potere patriarcali e coloniali.

Seppur con un formato inedito e dando spazio anche ad altre minoranze, Domesticanx ha nuovamente imposto all’attenzione del pubblico un tema tanto complesso quanto affascinante: la spinosa dicotomia che da sempre caratterizza l’ambiente domestico, per tante donne luogo di cura e protezione, ma anche di costrizione e oppressione.

Nel corso della storia dell’arte, e soprattutto con la nascita dei più recenti movimenti femministi (come il femminismo radicale statunitense), moltissime artiste si sono cimentate nell’interpretazione e nella raffigurazione dell’articolato rapporto tra femminilità e sfera domestica, ognuna secondo la sensibilità del proprio tempo.

Tra queste c’è sicuramente Leonora Carrington che in La cucina aromatica di nonna Moorhead (1975) ha interpretato la domesticità attraverso una rappresentazione tenera e al contempo coraggiosa della cucina, considerata per secoli appannaggio sessista delle donne, ma qui caricata di magia e incanto.

Ricorrendo all’immaginario surrealista che vede nella magia e nel misticismo strumenti di autorealizzazione ed emancipazione personale, Carrington ha esaltato le origini celtiche della nonna materna e il leggendario e matriarcale popolo fatato Sidhe.

Se nel dipinto di Carrington lo spazio domestico è espressione della parte più benevola e premurosa dell’universo femminile (pur rivendicando una certa autonomia nei confronti della controparte maschile), per artiste come Judy Chicago e Miriam Schapiro, pioniere dell’arte femminista, la casa ha sempre rappresentato l’incarnazione dei più radicati stereotipi di genere.

Nell’installazione Womanhouse (1972), progetto conclusivo del loro Feminist Art Program presso il CaLArts Institute, Chicago e Schapiro hanno invitato oltre venti artiste a ripensare il ruolo della donna nello spazio domestico.

Il risultato è stato un’esaltazione e normalizzazione della quotidianità della femminilità attraverso la celebrazione di oggetti tabù come assorbenti e biancheria intima.

Nel 2018 il pionieristico progetto delle due artiste americane è stato inoltre il punto di partenza per la mostra Women House presso il National Museum of Women in the Arts.

Attraverso i lavori di trentasei artiste che spaziavano dalla scultura alla videoarte, la mostra ha fornito un quadro della pluralità di visioni delle donne sulla domesticità e sugli stereotipi ad essa ancora saldamente legati.

Nel 1998 è stata invece Tracey Emin a mettere in scena l’intimità femminile con My Bed, una delle opere più controverse degli anni ’90 per via della crudezza con cui l’artista aveva rappresentato la sua caotica vita privata nelle settimane successive alla fine della sua ultima relazione sentimentale: un letto disfatto circondato da biancheria, alcol, sigarette, preservativi e pillole anticoncezionali.

Tra coloro che hanno fatto della critica al concetto patriarcale di domesticità uno dei loro temi d’elezione si distingue Monica Bonvicini, famosa per i suoi lavori onesti e privi di retorica.

Nella sua ultima personale negli spazi di Galleria Raffaella Cortese, Pleasant (2022), l’artista ha presentato una serie di lavori su specchio che riportavano citazioni di famose scrittrici da cui traspariva tutto il disagio di vivere costrette all’interno delle mura domestiche. L’intento di riappropriazione femminista dello spazio emerge anche dalle sue feroci sculture fatte di pesanti catene di metallo e cinture di pelle nere: una cruda metafora della gravosità della routine casalinga.

Infine, tra le voci emergenti del panorama contemporaneo c’è chi, come la fotografa polacca Joanna Piotrowska, esplora la sfera domestica attraverso la complessità dei rapporti familiari, al contempo teneri e soffocanti, e chi, invece, ripudia il tradizionale concetto occidentale di casa.

È il caso di Hanna Burkart, artista viennese che nel 2016 ha rinunciato ad avere una fissa dimora per concentrare la sua ricerca sulla nozione di abitazione itinerante e sulle mutevoli interazioni tra spazio e comportamento umano da cui derivano opere fotografiche, installazioni e disegni.

Il nomadismo, normalmente associato ad uno stile di vita precario e immorale, diventa nell’esperienza di Burkart uno strumento di emancipazione e riappropriazione del proprio spazio all’interno del mondo. Autocoscienza, rivendicazione delle proprie origini, rivoluzione femminista e ribellione alle norme sociali: tutto parte dalle mura di casa.

https://www.internimagazine.it/approfondimenti/arte-femminista-casa/?fbclid=IwAR2POBBRePIaknH_y9PnB7g572uD2dOpXTPheyBfktvnQtQqjkRHIA90voo