giovedì 29 maggio 2014

Franca Rame un anno dopo

Un anno senza Franca Rame, ma sono i tanti suoi rac­conti e pen­sieri che ren­dono viva la pre­senza della grande attrice. La sua testi­mo­nianza civile e poli­tica è pre­ziosa volta com’è a comu­ni­care una idea della poli­tica intesa come cul­tura, ser­vi­zio e non come mestiere. Lo testi­mo­nia il suc­cesso del suo libro In fuga dal Senato che Dario Fo ha por­tato in tour­née, con il tutto esau­rito per l’Italia, e di cui, ancora per giu­gno, si annun­ciano nuove date.

Lo scorso gen­naio, l’Università La Sapienza di Roma ha dedi­cato a Franca Rame una gior­nata di stu­dio con­fe­rendo alla sua memo­ria il Dot­to­rato in Musica e Spet­ta­colo. La moti­va­zione evo­cava non solo «le sue doti di attrice, regi­sta e donna impe­gnata nella cul­tura e nel sociale» ma anche il valore «straor­di­na­rio» dell’Archivio da lei rac­colto e ordi­nato nel tempo (archi​vio​.fran​ca​rame​.it). Un patri­mo­nio docu­men­ta­rio mul­ti­me­diale che, a par­tire dalla antica tra­di­zione della com­pa­gnia tea­trale «Fami­glia Rame», rac­co­glie l’intera pro­du­zione arti­stica di Fo-Rame, costan­te­mente rivolta all’impegno civile e poli­tico. Un lavoro che si pre­senta come un’opera d’autore, per la lun­gi­mi­ranza e la sen­si­bi­lità archi­vi­stica di Franca Rame che qui rivela una capa­cità di impresa cul­tu­rale al fem­mi­nile non ancora pie­na­mente riconosciuta.

In campo inter­na­zio­nale, nume­rose sono le ini­zia­tive già svolte e quelle in pro­gramma. Rame è con­si­de­rata uni­ver­sal­mente una par­ti­giana dei diritti umani e della cul­tura, sem­pre «in prima linea». È una figura di grande attua­lità al tempo della crisi di valori che l’Europa attra­versa. Una lezione attuale, un’etica vis­suta in prima per­sona, non come pre­di­ca­zione ma come esem­pio. Il rigore e l’autonomia, le poe­ti­che e le poli­ti­che dei suoi per­so­naggi fem­mi­nili sono ancora vive e toc­cano le corde più pro­fonde dei sen­ti­menti e dei valori umani uni­ver­sali di egua­glianza, libe­ra­zione, giu­sti­zia sociale. L’efficacia di tali esempi è dovuta allo stra­nia­mento della grande attrice, che è garan­zia anti­re­to­rica, arte tea­trale, gran­dezza di cifre comi­che, iro­ni­che, dram­ma­ti­che, capa­cità di attra­ver­sare epi­ca­mente tutti i regi­stri recitativi.

Oggi Dario Fo cele­bra un anno di lavoro inar­re­sta­bile, carat­te­riz­zato da una pre­pon­de­rante pro­du­zione pit­to­rica. Per la prima volta scrive un romanzo sto­rico: La figlia del Papa. «La mia Lucre­zia Bor­gia, eroina anti­cor­ru­zione, ha il corag­gio di opporsi», dice Fo. Ma tutti, col­la­bo­ra­tori, amici, forse anche gli altri let­tori, scor­giamo nelle parole di quel testo e nei dipinti che lo cor­re­dano, un volto fami­liare. È Franca ad accom­pa­gnare ancora il lavoro di Dario. Nelle meta­mor­fosi di un fem­mi­nile imma­gi­nato da Fo come ine­sau­ri­bile fonte di intel­li­genza e f
orza cri­tica. Nella pre­sen­ta­zione della auto­bio­gra­fia di Franca Rame Una vita all’improvvisa Dario Fo scrive: «Abbiamo vis­suto insieme, per tanto tempo, una quan­tità di sto­rie che in dieci libri non si pos­sono ricor­dare».
Le tra­sfi­gu­ra­zioni dei per­so­naggi fem­mi­nili nel tea­tro del pre­mio Nobel sono da riper­cor­rere, ma sono i mille volti di Franca a incar­nare una costante imma­gi­na­zione: la volontà ope­rosa di un futuro migliore che solo il tea­tro sa ancora rac­con­tare. Gra­zie Franca.

Maria­te­resa Pizza, Archi­vio Franca Rame Dario Fo

mercoledì 28 maggio 2014

ADDIO MAYA ANGELOU, GRANDE SCRITTRICE E ATTIVISTA AFRO-AMERICANA

Puoi scrivermi in fondo alla Storia
Con le tue bugie amare, contorte,
Puoi gettarmi nel sudiciume e calpestarmi
Ma ancora, come polvere, mi rialzerò

La mia impertinenza ti turba?
Perché sei assalito dalla tristezza?
Perché cammino come se avessi pozzi di petrolio
che pompano nel mio soggiorno

Come le lune e come i soli,
con la certezza delle maree
come le speranze che si levano alte
ancora mi rialzerò

Volevi vedermi spezzata?
Con la testa china e gli occhi bassi?
Le spalle curve e cascanti come lacrime.
Squassata da grida profonde

La mia felicità ti offende?
Non la prendi terribilmente male
Perché rido come se avessi miniere d’oro
scavate nel mio cortile?

Puoi spararmi con le tue parole,
Puoi trafiggermi con gli occhi,
Puoi uccidermi con il tuo odio,
Ma ancora, come aria, mi rialzerò

La mia sensualità ti sconvolge?
Ti sorprende
che io danzi come se avessi diamanti
Tra le mie cosce?

Fuori dalle capanne della vergogna della Storia
Io mi rialzo
Sopra un passato radicato nel dolore
mi rialzo
Sono un oceano nero, vasto e prorompente,
sgorgando e gonfiandomi, sopporto la marea.
Lasciandomi indietro notti di terrore e paura
mi rialzo
In un’alba meravigliosamente chiara
mi rialzo
Portando i doni che i miei avi che i miei antenati mi hanno tramandato
Sono il sogno e la speranza dello schiavo.
Mi rialzo
Mi rialzo
Mi rialzo.

(STILL I RISE, M. Angelou )

martedì 27 maggio 2014

Con il 5,3% dei voti «Iniziativa femminista» conquista un seggio a Bruxelles. La leader Soraya Post, di etnia rom: «Femminismo sia parte integrante delle politiche europee»


Soraya Post, 57 anni, leader del partito femminista svedese eletta a Bruxelles (Reuters/Suslin)

«Le femministe al posto dei razzisti». Con questo slogan, il partito svedese «Iniziativa Femminista» ha combattuto la sua campagna elettorale per le Elezioni europee. Riuscendo a raggiungere domenica un risultato storico per la Svezia e per tutta l'Europa. Per la prima volta infatti una femminista entra nel Parlamento di Bruxelles, dopo avere raccolto la cifra record del 5,3% dei voti. «Dimostreremo a tutti che un nuovo modo di fare politica è possibile», ha scritto su Twitter Soraya Post, 57 anni, leader del gruppo, attivista per i diritti umani e «supereroe antirazzista», come lei stessa si definisce. Di fronte ai suoi supporter, dopo i risultati, non ha trattenuto l'emozione: «Oggi abbiamo fatto la storia, lo sapete vero? Ci siamo riuscite grazie alla forza dell'amore». Un successo ancora più clamoroso visto che il gruppo non ha ricevuto fondi pubblici. Candidati e attivisti hanno raccolto i loro voti casa per casa, in mezzo alla gente. «Se riuscite a mettere insieme almeno 15 persone interessate a quello che diciamo e a quello che vogliamo fare a Bruxelles, verremo noi da noi». Così le donne e gli uomini di Feministiskt initiativ si sono fatti largo tra i big. Raggranellando voto su voto e volando verso la vittoria.
«L'obiettivo: portare il punto di vista delle donne a Bruxelles»
Aborto, parità di retribuzione a prescindere da genere, età e etnia sono stati i punti su cui il partito più si è speso in questa campagna elettorale. E poi: un maggiore impegno per l'uguaglianza di genere e i diritti degli omosessuali e contro le discriminazioni. «Il Parlamento europeo deve fare uno sforzo», aveva detto qualche giorno fa Soraya Post in un'intervista al New York Magazine. Una battaglia anche personale, considerata la sua storia personale. Nata in una famiglia rom, «per molti anni ho vissuto come cittadina di serie B. Quando il partito femminista (che esiste dal 2005), le ha chiesto di candidarsi e ha accettato con entusiasmo. «Il femminismo deve diventare parte integrante di tutte le politiche europee, a cominciare dal budget per esempio. Voglio combattere per migliorare la situazione dei rom e per far questo bisogna essere dove si decide, nei palazzi del potere. Non appena sarò eletta mi metterò al lavoro».

Europee 2014 Donne da record a Bruxelles, ora la sfida delle politiche

Storico risultato alle elezioni: entrano all'Europarlamento il 40% di deputate. Erano il 21%. Il record per il M5S con 9 su 17. Simona Bonafè del Pd più votata con oltre 288mila preferenze

Ci sono due donne, Simona Bonafé e Alessandra Moretti del Partito democratico, tra i “campioni” di preferenze di queste elezioni europee che si ricorderanno, forse, non soltanto per il successo di Renzi, l'insuccesso di Grillo, il crollo di Berlusconi o l'impresa vittoriosa di Tsipras. Con il 39-41% di presenze sul totale dei 73 eletti, le deputate italiane raddoppiano nella rappresentanza al Parlamento Ue. Erano il 21% della delegazione uscita dalle elezioni del 2009, tredici punti sotto il dato medio dell'emiciclo di Strasburgo (peggio di noi solo Polonia, Repubblica Ceca, Lussemburgo e Malta).

Per avere un quadro aggiornato della composizione per genere del nuovo Europarlamento bisognerà attendere ancora qualche tempo, ma oggi le italiane sembrano già pronte a colmare a lunghe falcate la distanza che le separava da paesi come la Danimarca, i Paesi Bassi, il Belgio, in cui la democrazia paritaria è un traguardo saldamento conquistato. E chissà che non possano ambire, presto, a insidiare i record di Finlandia e Svezia, che al Parlamento Europeo eleggoDonne da record a Bruxelles, ora la sfida delle politiche  Europee 2014no ormai più donne che uomini.

Intanto, il risultato italiano, che segna un avanzamento anche rispetto alle Politiche del 2013, si deve comprendere a partire dalle candidature. Il Pd, che ha ottenuto oltre il 40% dei consensi, aveva scelto cinque donne capolista e ricercato la parità di genere nella composizione delle liste. Il suo risultato, quindi, porta con sé un 45% di donne elette tra le sue fila. Poi c'è il Movimento 5 Stelle che presentava il 47% di donne, e si è comunque attestato al 21%, pari a 17 seggi. Di questi, più della metà (9) saranno occupati da donne. Forza Italia invece crolla al 16% ed elegge 4 eurodeputate su 13 seggi. La Lega, per ora, non porta neanche una donna in Europa, né lo fa il Nuovo Centrodestra-Udc. Per il risultato dell'Altra Europa con Tsipras (45% di donne candidate) si dovranno attendere le mosse di Barbara Spinelli e Moni Ovadia, entrambi eletti ma dichiaratamente non intenzionati ad andare a Bruxelles. Se al loro posto entrassero i secondi - Curzio Maltese, Marco Furfaro ed Eleonora Forenza - avremmo un'altra europarlamentare.

Oltre ai numeri – davvero straordinari per un paese che ha lungamente sofferto di una sottorappresentanza cronica delle donne – conta la qualità di questo voto, in tutto e per tutto un'espressione della forza politica autonoma delle candidate, che con il sistema delle preferenze si sono conquistate quasi ogni singolo consenso. E verrebbe da richiamare l'annosa querelle tra “quote” e “merito”, solo per dimostrare – se ancora fosse necessario – che le donne in politica di nient'altro hanno bisogno che di essere messe in condizione di giocare su un piano di parità nella competizione elettorale.
La presenza al 50% nelle liste dà i suoi frutti, con l'aiuto – forse – della norma transitoria sulla tripla preferenza di genere, che potrebbe avere spinto qualche elettore ed elettrice in più a indicare il nome di una donna sulla scheda.

Tutt'altra questione quella delle politiche che le elette andranno a promuovere in Europa. Tra di loro ci sono donne alla prima prova parlamentare, come quelle del Movimento 5 Stelle, di cui poco ancora si conosce, e altre già note per posizioni, in passato, poco women friendly. Quelle, per esempio, che bocciarono la risoluzione Estrela sui diritti riproduttivi e che il Pd ha ricandidato.
Resta il fatto che per la prima volta l'Italia va a Bruxelles portando davvero due sguardi differenti. Anzi, portando una pluralità di sguardi di uomini e di donne, con la speranza che facciano la differenza.

domenica 25 maggio 2014

Se l'Europa dell'austerity dimentica le donne di CHIARA SARACENO

Negli ultimi anni, l'Europa ha lasciato in secondo piano le politiche per la parità di genere che hanno da sempre contraddistinto la sua storia. E in Italia il peso delle differenze uomo-donna e della scarsità di servizi per i genitori si fanno sentire anche di più

INTRODURRE nella politica europea una maggiore e più sistematica attenzione per i problemi che affrontano quotidianamente le donne nel vedersi riconosciute le proprie capacità e aspirazioni, nel conciliare lavoro remunerato e responsabilità di cura, nell'assicurarsi che le condizioni di crescita dei figli siano adeguate e che la fragilità dei loro genitori anziani possa essere vissuta con dignità e così via non farebbe bene solo alle donne. Aiuterebbe anche a riorientare la politica europea, ridando vita a quel modello sociale europeo che sembra uscito dall'orizzonte motivazionale e dagli obiettivi della politica europea negli anni dell'austerity.

Non è sempre stato così. Anche se in posizione più debole rispetto agli obiettivi di politica economica e spesso senza potere vincolante, gli obiettivi sociali dell'Unione - dalle pari opportunità tra uomini e donne, alla lotta contro ogni forma di discriminazione, alle politiche di conciliazione, alla garanzia minima di risorse, all'investimento in formazione e piú in generale in capitale umano - hanno per decenni stimolato i singoli Paesi membri ad adeguare  le proprie norme giuridiche e a rafforzare il proprio sistema di welfare in direzione di una maggiore inclusività ed equità.

In questo modo hanno anche fornito strumenti di argomentazione e negoziazione a chi, all'interno di ciascun paese, era interessato a modificare assetti giuridici e di welfare, oltre che pratiche politiche e sociali in contrasto con quegli obiettivi. È vero che in campo sociale la discrezionalità degli Stati membri è stata sempre molto piú ampia che nel campo economico.

Per questo, ad esempio, l'Italia può continuare a non avere una misura di reddito minimo per i poveri né una indennità di disoccupazione universale, invece che un sistema frammentato che lascia molti disoccupati privi di protezione e i poveri senza sostegno, può avere una percentuale di giovani Neet (che né studiano né lavorano) altissima, un tasso di occupazione femminile molto lontano dall'obiettivo europeo per il 2010, così come un tasso di copertura di servizi per la primissima infanzia pure lontano dagli obiettivi comunitari, oltre che estremamente diseguale a livello intra-nazionale, senza correre il rischio di essere sottoposta a una procedura di infrazione.

La debolezza a livello europeo degli obiettivi sociali di equità, protezione dei più deboli, investimento sociale e nel capitale umano, e la loro subalternitá a quelli economici, è tuttavia apparsa in tutta la sua evidenza con le politiche di austerità, nella misura in cui queste, soprattutto in paesi a economia debole come l'Italia, sono state fatte soprattutto a carico del welfare e dell'istruzione, cioè in due campi cruciali sia per le pari opportunità sia per l'investimento sociale - per le donne, ma non solo. Invece che investire in capitale umano si rischia di distruggerlo e di impedirne la formazione, con effetti negativi sulla stessa capacità di ripresa economica.

Avere più donne nel parlamento europeo, oltre che nei governi nazionali e nelle istituzioni nazionali e internazionali ove vengono prese le decisioni che determinano le chances di un paese e dei suoi cittadini, può appunto aiutare a rimettere l'equità, l'investimento sociale, i bisogni di cura, al centro dell'agenda politica: non in alternativa alle politiche di bilancio, ma come fine di queste politiche e come prospettive da cui riconsiderare ciò che si considera un investimento, o invece una spesa eliminabile senza particolari danni.

Ormai dversi studi hanno mostrato che dove c'è più equità c'è anche maggiore possibilità di sviluppo (sostenibile). Certo, non basta che ci siano più donne. Come nel caso degli uomini, conterà quali donne, con quali programmi ed anche con quale capacità di incidere sull'agenda dei partiti di cui fanno parte.

venerdì 23 maggio 2014

L'Europa per le donne Mariagrazia Rossilli


L'Europa ha avuto un fondamentale ruolo di traino nelle politiche per le donne. Che hanno avuto una battuta d'arresto con la crisi, in un cortocircuito tra politiche europee e politiche nazionali.

Il quadro che emerge dal Report on Progress on equality between women and men in 2013 dell’UE rivela poche luci e molte ombre. Progressi si registrano nel campo dell’istruzione in cui gli obiettivi dell’agenda politica “Europa 2020” possono dirsi, per quanto riguarda le donne, vicini a esser raggiunti, rispetto alla riduzione della dispersione scolastica (nel 2012 il 10,9% delle ragazze a fronte del 14,4% dei ragazzi) e al tasso di giovani 30- 34enni laureati (nel 2012 pari al 39,9% delle donne a fronte del 31,5% degli uomini). Non costituisce invece un progresso la riduzione dei gender gap rispetto al tasso di occupazione, disoccupazione e alle retribuzioni in quanto risultato più del peggioramento delle condizioni degli uomini che del miglioramento delle condizioni delle donne. Nella crisi la disoccupazione è aumentata per donne e uomini, ma nel 2012 il gap è ridotto allo 0,1% nella media UE-27 e sono 15 gli stati in cui la disoccupazione maschile supera quella femminile (erano 5 nel 2007). Mentre il tasso di occupazione maschile (20-65 anni) è diminuito (dal 77,7 % del 2007 al 74,5% nel gennaio 2014), quello femminile è un po’ aumentato (dal 62,1% al 63%), rimanendo però di 12 punti percentuali inferiore a quello maschile, differenza che diventa di 25 punti percentuali se si considerano donne e uomini genitori di bambini piccoli.
Disoccupazione e occupazione femminile sono entrambe aumentate perché molte donne sono entrate nel mercato del lavoro per compensare la perdita di lavoro o la riduzione del salario degli uomini. Se le donne non svolgono più il ruolo di “tampone” nel mercato del lavoro come durante le passate crisi economiche – visto che questo ruolo è ormai svolto oggi dai giovani - (1), è pur vero che la grande crescita del part-time involontario durante la crisi nasconde forme di parziale disoccupazione. Il part-time maschile, benché aumentato durante la crisi, rappresenta solo l’8% dei lavoratori nell’UE-27 di contro al 33% delle lavoratrici il 30% delle quali lo sono involontariamente. Continuando l’attuale trend, l’obiettivo di un tasso di occupazione (20-65 anni) del 75% potrà essere raggiunto per le donne solo nel 2038 e ci vorranno più di 70 anni per chiudere il gap retributivo tra uomini e donne che nel 2013 è nella media UE di 16 punti percentuali (nel 2010 era di 18 punti). E’ poi incalcolabile il tempo entro cui si potrebbe annullare il gap nelle pensioni medie che è di 39 punti percentuali. Sono soprattutto le pensionate over 65, le madri singole e le immigrate, a esser le più rappresentate tra i gruppi a rischio povertà ed esclusione sociale (il 26,9% di donne è a rischio povertà nell’UE-27 a fronte del 24,8% di uomini la cui povertà è comunque aumentata) (2).
Molti obiettivi dell’Agenda 2020 appaiono oggi irraggiungibili. A questi fallimenti ha contribuito la crisi economica, peraltro già in pieno svolgimento nel 2010 quando questi obiettivi erano stati stabiliti. Ma ad aggravare la stessa crisi, nonché il gap tra i vari paesi, hanno contribuito anche le politiche di austerità messe in atto dai governi, in larga parte indotte dall’UE. La combinazione degli effetti della crisi economica e di quelli indotti dalle politiche di austerità ha contribuito a rivelare a pieno i limiti della governance europea acuendo tensioni già presenti nelle politiche dell’Agenda di Lisbona e nella Strategia Europea per l’occupazione (SEO).
Come è noto, dalla fine degli anni ’90, allo scopo di aumentare il tasso di occupazione, le linee guida della SEO hanno raccomandato ai paesi membri di accompagnare misure specifiche volte a favorire l’occupazione femminile con l’adozione del gender mainstreaming. In particolare, le politiche per le pari opportunità raccomandate hanno riguardato la la conciliazione di responsabilità familiare e lavorative tramite congedi parentali, servizi di cura per bambini e anziani e l’incentivazione della flessibilità di contratti, tempi e condizioni lavorative. Mentre incentivava lo sviluppo di contratti di lavoro flessibili e atipici, di cui le donne son state le prime destinatarie, la Commissione europea raccomandava di di assicurare un equilibrio tra flessibilità del mercato e sicurezza di chi lavora, principalmente tramite l’adeguamento dei sistemi di sicurezza sociale. Tuttavia le politiche occupazionali e quelle relative ai sistemi di sicurezza sociale sono di competenza nazionale. Sotto la pressione congiunta dei tagli della spesa pubblica e delle riduzioni dei contributi per aumentare la competitività delle imprese, tutti i sistemi previdenziali hanno subito la competizione tra gli stati membri nelle riforme al ribasso. Da qui lo squilibrio tra flessibilità e sicurezza e la diffusa precarizzazione del lavoro, innanzi tutto di donne e giovani. La crisi economica ha aggravato questa situazione in quanto si è delineata la tendenza a sostituire i contratti di lavoro standard con quelli a tempo determinato e precari, tanto più che le politiche dell’UE hanno messo al primo posto la riduzione del deficit e del debito pubblico,sottovalutando la necessità di politiche per rilanciare crescita economica e domanda di lavoro. In questo quadro le politiche di austerità sono state adottate in assenza del gender mainstreaming. Nel settore pubblico le riduzioni di personale, salari e servizi (dalla sanità agli asili) ha colpito pesantemente le donne direttamente per la perdita di posti lavoro, rappresentando le lavoratrici il 70% dei dipendenti pubblici (media UE-27), e indirettamente per l’aumento del carico di lavoro di cura non retribuito.
Se l’assenza del mainstreaming di genere è grave nelle scelte delle politiche economiche nazionali, è forse ancor più grave la scarsa attenzione alle pari opportunità da parte della Commissione Europea. Nelle Country Specific Recommendations inviate annualmente dalla Commissione ai paesi membri la prospettiva di genere risulta pressoché assente. Negli anni della crisi e dell’austerità l’integrazione della dimensione di genere è stata effettiva solo nelle politiche europee per la ricerca scientifica, mentre è stata deficitaria nelle politiche sociali e per l’occupazione. Ciò trova conferma nel Social Investment Package adottato dalla Commissione Europea nel 2013 in cui si raccomanda agli stati membri di implementare misure volte all’inclusione attiva mediante la promozione della partecipazione al mercato del lavoro, l’adeguamento dei sistemi previdenziali ai nuovi rischi sociali, gli investimenti in istruzione e prevenzione della povertà infantile e in servizi per la salute. Non solo queste indicazioni non son declinate secondo la differenza di genere, ma risultano in parte inconciliabili con gli obiettivi dell’UE di riduzione del deficit e del debito pubblico. La crisi e le politiche di austerità hanno insomma fatto scivolare ai margini dell’agenda politica europea l’approccio di gender mainstreaming e le pari opportunità. E’ paradossale che questi sviluppi si siano verificati proprio quando il Trattato di Lisbona, pur senza nessun significativo trasferimento di competenze all’UE, conferisce un’inedita rilevanza agli obiettivi sociali con il riferimento all’economia sociale di mercato (art. 3) e con la clausola sociale orizzontale (art. 9) che dovrebbe introdurre una forma di mainstreaming della dimensione sociale in tutte le politiche. Il tutto è accaduto quando ha acquisito valore vincolante la Carta dei diritti fondamentali dell’UE che all’art. 23 stabilisce che la parità uomo donna deve essere assicurata in tutti i campi e, agli artt. 30-36, il riconoscimento di tutti i diritti sociali, dal diritto ai congedi di maternità e parentali al diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e all’assistenza sociale e abitativa per coloro che non dispongano di risorse sufficienti. Altrettanto paradossale è stato lo stallo nell’approvazione della legislazione vincolante in materia di diritti delle donne e parità di genere proprio quando il Parlamento europeo, composto da una rispettabile presenza femminile (circa il 35%), è divenuto colegislatore a tutti gli effetti. Nessuna legislazione vincolante è stata approvata, se si escludono la direttiva, frutto solo dell’Accordo quadro tra le parti sociali, che porta a 4 mesi la durata dei congedi parentali (2010/18/UE), la direttiva sull’uguaglianza e la tutela della maternità delle lavoratrici autonome (2010/41) e la proposta di direttiva in via d’approvazione che prevede che, entro il 2020, ci sia una presenza del 40% di donne nei consigli di amministrazione delle società con più di 250 dipendenti. Solo nel mese di Marzo 2014 la Commissione Europea ha approvato una Raccomandazione – non vincolante - per rafforzare il principio della parità retributiva tra uomini e donne attraverso una migliore trasparenza di categorie e sistemi salariali. Per l’opposizione di alcuni governi e delle organizzazioni imprenditoriali è invece bloccata da anni la proposta di direttiva migliorativa della normativa esistente sui congedi di maternità. Mentre sono senz’altro positive l’approvazione della direttiva sul traffico di essere umani e le campagne europee contro la violenza contro le donne, appare invece lesivo il voto con cui il Parlamento europeo ha respinto il rapporto Estrela sul riconoscimento dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne.

Insomma sembra essersi interrotto quel trend progressivo che ha fatto delle politiche di pari opportunità e dei diritti delle donne un elemento centrale dello sviluppo della Comunità europea fin dalla fondazione. Queste politiche devono essere rilanciate al più presto.

giovedì 22 maggio 2014

Trentasei anni fa veniva approvata la legge 194. La festeggiamo con i ritratti di due pioniere dell’autodeterminazione femminile. Con l'augurio che si arrivi davvero alla piena applicazione di Mariella Gramaglia


Adele Faccio, ex partigiana, è stata parlamentare del partito radicale e attivista per i diritti civili. Nel 1973 fu tra le fondatrici del Cisa (centro per la sterilizzazione e l’aborto) e ne diventò presidente. Applicò all’interruzione di gravidanza gli stessi principi e le stesse pratiche di disobbedienza civile che già i radicali avevano sperimentato nella lotta contro il servizio militare obbligatorio. Organizzò i viaggi a Londra di donne incinte che volevano interrompere la gravidanza in modo sicuro e ambulatori italiani (come quello fiorentino di Giorgio Conciani) disposti a testimoniare il loro rifiuto del codice Rocco allora vigente, anche a rischio della repressione.
Per prima fece conoscere il metodo Karman (dal nome dell’americano Harvey Karman), basato sull’isterosuzione, un sistema assai più semplice e meno doloroso del raschiamento allora in uso. Dopo l’irruzione della polizia nell’ambulatorio di Conciani, il 26 gennaio 1975 si fece arrestare dichiarando pubblicamente di aver interrotto una gravidanza di sua volontà: all’epoca aveva commesso un “delitto contro l’integrità della stirpe” e rimase in carcere trentatré giorni.
Collaborò alla stesura della 194, ma opponendosi a ciò che riteneva un di più di “statalismo” e cercando - senza successo - di orientare la legge verso la liberalizzazione. Sua è anche l’eredità dell’Aied (associazione italiana per l’educazione demografica), fondata a Milano nel 1953 e finanziata anche da Adriano Olivetti. Detestata all’epoca sia dal mondo cattolico che dai comunisti, l’associazione creò una rete di consultori laici che gode ancora oggi di ottima salute (Gianfranco Porta, Amore e libertà, Storia dell’Aied, Laterza 2013).
Poncho e capelli all’Anita Garibaldi, Adele Faccio, meravigliosamente anticonformista, era la negazione dell’immagine televisiva tipo della parlamentare di oggi . Nell’ultimo periodo della vita si è dedicata alla pittura. È morta nel 2007 a 86 anni.
Nel 1971 Simonetta Tosi ha solo 34 anni. Eppure è già una professionista di punta. Laureata in Italia e poi alla Harvard Medical School di Boston, è ricercatrice di biologia cellulare al Centro nazionale delle ricerche. È a questo punto che il clima di quegli anni, l’interesse per la medicina sociale e infine l’incontro con il femminismo cambiano la sua vita come un turbine. Nel 1973 fonda il Consultorio femminista di via dei Sabelli nell’antico quartiere di San Lorenzo a Roma. Le sue colleghe conservano ancora i suoi taccuini: girava casa per casa, in una zona all’epoca povera, spiegando le tecniche anticoncezionali e cercando di prevenire gli aborti clandestini. Non sempre era ben accolta.
Nel 1975, quando viene approvata la legge sui consultori, non si sottrae al rapporto con le istituzioni pubbliche, anzi le incalza ad una concezione non gerarchica e chiusa del consultorio, tuttavia per molto tempo non chiude la sua esperienza autogestita che ha fatto scuola in tutta Italia. Nel 1978, quando è approvata la legge 194, comincia a lavorare all’Istituto superiore di Sanità e mette a punto un sistema di monitoraggio che, in larga misura, è usato ancora oggi per le relazioni annuali dei ministri.
Nel frattempo si ammala gravemente e muore nel 1984. In quegli anni, quando le riunioni si facevano lunghe e farraginose, aveva preso l’abitudine di mettere in guardia: “Guardate che io ho fretta”. Solo gli amici più cari capivano cosa volesse dire.

lunedì 19 maggio 2014

Svezia: Feministiskt initiativ per una Europa aperta in cui i diritti umani, l’uguaglianza e la giustizia sociale siano in cima all’agenda politica »Europee: una opportunità importante per le femministe


E’ il momento di creare un’Europa aperta dove i diritti umani, l’uguaglianza e la giustizia sociale siano in cima all’agenda. Da Feministiskt initiativ un appello per una maggiore presenza femminista al parlamento europeo.
Per promuovere l’uguaglianza, la giustizia sociale e i diritti umani delle donne e di controbilanciare le posizioni conservatrici, Iniziativa femminista concorrerà in Svezia alle elezioni del prossimo maggio per rinnovare il Parlamento europeo (PE) .
Iniziativa femminista Feministiskt initiativ(abbreviato Fi o F!), che nelle elezioni europee, nel 2009, ha ottenuto il 2,2% dei voti è data in aumento nei sondaggi.
Fuori i razzisti dentro le femministe!
Una politica femminista per l’Europa
E ’il momento di creare un’Unione europea aperta in cui i diritti umani, parità di genere e la giustizia sociale siano in cima all’ordine del giorno. Quando i nostri diritti sono sotto attacco dobbiamo essere dove vengono prese le decisioni! Altre femministe sono necessarie nelle stanze del potere. Sostituire i razzisti con le femministe!
E’ ora di creare una Unione Europea aperta, dove i diritti umani, l’eguaglianza, l’equità di genere e la giustizia sociale siano prioritarie nell’agenda politica. Quando altri e altre cercano di limitare i nostri diritti, dobbiamo essere presenti dove si prendono le decisioni.
Abbiamo bisogno di più femministe nello spazio del potere. Fuori i razzisti e dentro i/le femminist*
Le elezioni del parlamento europeo devono essere valutate alla luce del fatto che partiti razzisti, nazisti e fascisti di tutta Europa si stanno mobilitando. Diversi di loro già siedono al parlamento europeo ed esiste il rischio concreto che il loro numero aumenti.
Se non facciamo abbastanza per combattere la discriminazione strutturale daremo potere alle forze razziste e conservatrici. Dobbiamo innalzare il livello di ambizione nel lavoro per la democrazia e per i diritti umani universali.
Più partiti e iniziative femministe stanno prendendo vita in Europa e il nostro obiettivo a lungo termine è che, uniti e unite, si possa formare un gruppo parlamentare femminista.
L’iniziativa femminista svedese si candida alle elezioni presentandosi come una opzione per tutte quelle persone che vogliano sostenere una tendenza differente. La nostra politica si occupa di eguaglianza, diritti umani e libertà rispetto a tutte le forme di discriminazione. Vogliamo riassegnare i fondi e scommettere sul benessere, la sostenibilità, l’accessibilità e la sicurezza umana.
Sfidiamo l’immagine della Svezia e dell’Europa come paradisi di equità ed eguaglianza tra i generi.
E’ una immagine falsa che riduce i problemi e ostacola il reale cambiamento. E’ una immagine usata dai nazionalisti per rappresentare l’oppressione delle donne come un problema che proviene da altri paesi del mondo.
I diritti delle donne vengono utilizzati come clave da una retorica razzista che ha il solo scopo di chiudere le frontiere. Al contempo, questi stessi partiti, portano avanti le politiche più misogine. L’attenzione si concentra anche sulla cultura della quale si afferma che è uniforme a livello nazionale e si usa questo stesso argomento per costruire frontiere tra le persone.
Vogliamo un mondo senza frontiere
Una Unione europea aperta, dove i diritti umani delle persone rifugiate e delle persone migranti prive di documenti siano rispettati. L’attuale politica sull’immigrazione fa sì che la gente della parte ricca del mondo possa viaggiare senza impedimenti mentre le e i rifugiat* rischiano la propria vita per venire in Europa.
I criteri restrittivi per la concessione dei visti consolidano gli squilibri di potere tra gli stati e facilitano la possibilità di sfruttamento degli esseri umani. I muri levati e le frontiere chiuse comportano un aumento della tratta delle persone e con essa un commercio sessuale globale in aumento.
La violenza degli uomini contro le donne limita la libertà d’azione di queste ultime tanto in casa come in pubblico. Per eliminare la violenza sono necessarie una analisi femminista di tutte le aree della politica ma anche azioni vigorose all’interno della UE.
Le donne hanno i salari più bassi e un maggior numero di contratti precari. C’è bisogno di un mercato del lavoro meno precario e libero dalle discriminazioni. Spesso ci si aspetta che siano le donne a farsi carico della responsabilità principali nei confronti dei bambini, delle bambine, delle persone inferme e di anziani e anziane.
Ma tutte tutte le donne hanno diritto di poter conciliare la propria vita familiare con quella professionale. La realizzazione di un sistema di cura ben sviluppato per l’infanzia e per le persone anziane, gioca un ruolo fondamentale nel raggiungimento di questo obiettivo.
L’Unione europea è uno scenario importante per la creazione di un mondo sostenibile e per affrontare le sfide ambientali. La politica climatica deve basarsi tanto sulla solidarietà globale quanto su una politica di distribuzione giusta ed equa basata sull’eguaglianza di genere tra i paesi dell’UE. Il livello di ambizione della politica climatica dell’unione ha un gran impatto sulle politiche dell’ambiente e del clima di tutti i paesi membri. I prossimi anni saranno critici per quanto riguarda il contenimento dell’aumento della temperatura e per evitare che il surriscaldamento abbia effetti catastrofici sul nostro pianeta.
La politica agricola dell’UE finanzia una tipologia di coltivazioni insostenibile, tanto economicamente quanto dal punto di vista ecologico, così come una tipologia di allevamento degli animali del tutto sbagliata.
I fondi devono invece essere ri-orientati verso la promozione di una agricoltura, una silvicultura e una industria ittica, etiche e sostenibili.
L’UE rende difficile ai paesi poveri l’accesso al mercato europeo. E’ una politica alla Robin Hood, però capovolta. Noi invece vogliamo garantire l’accesso dei paesi poveri al mercato europeo.
E’ necessario rompere il deficit democratico e il dominio maschile nell’UE attraverso una politica che sia capace di scorgere il vincolo tra democrazia e diritti umani. L’agenda politica si trasforma inviando a Bruxelles un maggior numero di femministe e antirazzist*.
Aprire le frontiere
Fintanto che il mondo sarà segnato da ingiustizie come la guerra, la repressione da parte dello stato, la persecuzione, la povertà, la violenza, l’abuso sessuale e la mancanza di diritti, ci saranno persone che opteranno per attraversare le frontiere o fuggire in cerca di un rifugio e di una vita più degna in un paese diverso dal proprio dentro e fuori dall’Unione. Iniziativa femminista svedese considera che ogni essere umano dovrebbe avere il diritto e l’opportunità di vivere una vita sicura.
Una Europa pacifica
Bisogna finirla con i piani per una alleanza di difesa, un esercito e un riarmo militare congiunto. I paesi europei devono contribuire alla pace mondiale attraverso un commercio giusto, la diplomazia e investimenti sociali, no attraverso alleanze militari e programmi armati. Bisogna cancellare l’esportazione di armi e riconvertire l’industria degli armamenti alla produzione civile.
Proteggere la democrazia
In alcuni paesi dell’UE la democrazia cammina all’indietro, come i gamberi. E’ necessario un meccanismo di controllo per garantire che i paesi membri si adeguino ai criteri richiesti per essere membri. L’appartenenza all’UE comporta degli obblighi. La violazione dei diritti umani costituisce un motivo per l’applicazione di sanzioni.
Essere liber* dalla violenza e dallo sfruttamento sessuale
La violenza degli uomini contro le donne rappresenta il maggior problema di sicurezza dell’Europa. Vogliamo vedere una Europa libera dalla tratta delle persone e dalla prostituzione, per questo l’impegno contro tutte le forme di violenza deve intensificarsi.
Dobbiamo esportare la legge svedese sul commercio sessuale al resto d’Europa. E’ necessario aumentare la disponibilità di protezione e appoggio alle vittime di violenza, perseguire i delinquenti e aumentare la sicurezza giuridica attraverso l’aumento della conoscenza e del lavoro preventivo.
Una Europa accessibile
Libertà di circolazione in Europa anche per le persone disabili. La difficoltà di accesso dovrà essere classificata come discriminazione e la convenzione dell’Onu relativa ai diritti delle persone con disabilità deve essere integrata affinché tutte le persone, indipendentemente dalle proprie capacità, possano viaggiare e studiare nella UE, così come partecipare senza barriera alle elezioni e ai processi democratici.
Lavoro attivo per l’equità e l’eguaglianza di genere
E’ necessario attribuire un portafoglio per l’equità e l’eguaglianza di genere all’interno della Commissione europea. Bisogna dare status e priorità alle questioni dell’eguaglianza e dell’equità di genere all’interno del parlamento. All’interno dei bilanci dell’UE si devono generalizzare le analisi di equità ed eguaglianza di genere.
Tutti i paesi membri e tutti gli organi della UE devono ricevere direttive per la correzione della sotto rappresentazione delle donne e delle minoranza nei processi decisionali e nella pianificazione.
Sessualità, identità e salute riproduttiva
In un crescente numero di paesi dell’Unione europea si restringe il diritto all’aborto sotto la pressione delle forze conservatrici e nazionaliste.
Forze della stessa natura puntano al restringimento dei diritti delle persone LGBT a formare una famiglia e a vivere apertamente senza timore di subire intimidazioni e violenza.
Le persone trans vengono inoltre private del diritto sul loro corpo mediante, tra le altre cose, la sterilizzazione forzata. E’ ora di di cominciare a vedere l’autodeterminazione sul proprio corpo e il diritto a vivere apertamente, indipendentemente dalla sessualità, l’identità e l’espressione di genere come un diritto di tutti gli esseri umani.
Educazione prescolare e asili per tutte e tutti
La carenza di educazione prescolare e di asili si basa sull’idea dell’uomo come sostegno principale della famiglia e regola della vita lavorativa. Questo è un serio ostacolo per l’equità e l’eguaglianza delle relazioni e dello sviluppo economico. L’educazione prescolare e gli asili devono essere ampliati in tutti i paesi dell’UE. I diritti delle bambine e dei bambini alla cura e alla partecipazione devono essere posti al primo posto.
Una politica del clima femminista
Iniziativa femminista svedese vuole un sistema energetico sostenibile basato sulle risorse rinnovabili e le emissioni minime di gas a effetto serra. Si tratta di un sistema in cui le risorse si distribuiscono equamente tra tutti gli esseri umani, in solidarietà con le generazioni future. Abbiamo bisogno di rivedere e sfidare l’idea di una crescita costante e di un consumo sempre crescente.
L’Unione europea deve indirizzare i propri investimenti verso le energie rinnovabili, una rete ferroviaria integrata, il superamento dell’energia nucleare e dell’uso dei combustibili fossili.
Iniziativa femminista vuole promuovere una agricoltura sostenibile all’interno della quale vengono sviluppate e salvaguardate le questioni dei diritti degli animali.
Esiste una chiara relazione tra zootecnia e clima.
Una economia femminista
Verifichiamo ogni giorno come un numero sempre maggiore di paesi europei preferiscono anteporre gli interessi economici a breve termine ai diritti umani. Questa scelta colpisce soprattutto i gruppi sociali più vulnerabili.
Gli interessi economici non devono mai prevalere sui bisogno degli esseri umani. Decisioni economiche sempre più cruciali sono state poste fuori dalla portata della democrazia. I paradisi fiscali devono essere subordinati alle norme e ai regolamenti dell’UE e l’economia speculativa deve essere eliminata.

martedì 13 maggio 2014

NIGERIA: PER BOKO HARAM UNA DONNA ISTRUITA È UN PERICOLO "l’educazione potrebbe aprire la mente, potrebbe dare più forza, in questo caso alla donna, che diventerebbe automaticamente consapevole dei propri diritti minimi ed essenziali e ovviamente inizierebbe a rivendicarli."


Intervista a Valentina Colombo, docente di Geopolitica del Mondo Islamico presso l’Università Europea di Roma.
(di Alessia Carlozzo)

Il rapimento di cento studentesse in Nigeria è solo l’ultima incursione in ordine di tempo del gruppo fondamentalista islamico Boko Haram a istituti scolastici e femminili.

R. – Il termine “Boko Haram” significa “l’educazione occidentale è vietata”, “è peccato”, per cui nella strategia di un’organizzazione di questo genere ovviamente tutto ciò che riguarda l’educazione, l’apertura mentale e l’apertura all’altro – nella fattispecie, poi, l’Occidente – è qualcosa che viene visto come un pericolo. Infatti, organizzazioni come Boko Haram ma non solo – tutto l’estremismo, il radicalismo islamico – partono da un presupposto che è quello che “pensare è peccato”. Per cui, è chiaro che chiunque fornisca educazione, istruzione che porti poi a un’apertura mentale – primo fra tutti, poi, se si tratta addirittura di donne che movimenti di questo genere ovviamente considerano come l’altro da attaccare, la metà dell’uomo, in ogni caso mai persone da considerare "esseri umani" – ovviamente, questo è un segnale di pericolo, di allarme, è considerato un qualcosa da eliminare, da estirpare assolutamente.

D. – Non è la prima volta che il gruppo islamista di Boko Haram colpisce una scuola e rapisce delle ragazze. Qual è poi il destino che spesso le attende?

R. – Un destino di donne che vengono usate come oggetti sessuali, che vengono sottoposte – per usare un eufemismo – a delle angherie, ma che sono concepite fondamentalmente come corpi da usare a proprio piacimento perché questo, così sostengono, “Dio lo vuole”, “Dio lo concede” nella loro interpretazione distorta e perversa dell’islam, che – in ogni caso, lo sappiamo – considera la donna come la metà dell’uomo. Nella loro visione, la donna viene concepita solo come corpo che provoca seduzione nell’uomo… Ebbene, queste ragazze, se sono fortunate vengono rilasciate dopo aver subito – con molta probabilità – violenze e soprusi a livello sessuale.

D. – Il nord della Nigeria è prevalentemente di religione musulmana. Qual è l’attuale condizione della donna, in quelle zone?

R. – In Nigeria, come nel resto del mondo islamico, la condizione della donna è segnata sia da un retaggio culturale – quindi da una cultura prevalentemente patriarcale – sia una visione della religione che va ad avvalorare la tradizione culturale e sociale della zona. Quindi, la donna che si voglia emancipare è la donna che deve assolutamente far fronte ai due livelli e, per far fronte ai due livelli, la chiave è assolutamente l’educazione. La donna che studia, la donna alfabetizzata, non è purtroppo un dato scontato in quelle zone: non solo in Nigeria, ma in tutto il mondo islamico, a parte rarissime eccezioni, l’analfabetismo delle donne è dilagante, sfortunatamente. Ecco perché la donna deve assolutamente ricevere istruzione se vuole migliorare la propria posizione sociale e culturale. Ed è per questo che movimenti come i Boko Haram attaccano chiunque fornisca e fruisca dell’educazione, perché l’educazione potrebbe aprire la mente, potrebbe dare più forza, in questo caso alla donna che diventerebbe automaticamente consapevole dei propri diritti minimi ed essenziali e ovviamente inizierebbe a rivendicarli. Tenere la donna nell’analfabetismo, tenere la donna all’oscuro di tutto, ovviamente è un gioco perverso, atroce, che però lascia via libera all’interpretazione più integralista, quale lo è quella dei Boko Haram.

sabato 10 maggio 2014

Crescere fuori dai ruoli di Giuseppina Manin

Sotto sotto lo sapevamo da sempre. Ora è arrivato il momento di dirlo ad alta voce e non mentire più ai nostri nipotini. Dir loro come vanno davvero le cose. Che ormai, sempre più spesso, sono le principesse a salvare dai draghi infuocati principi azzurri rammolliti. Che tocca alle rospe darsi da fare per trasformare con un bacio (e magari qualcosina di più) tanti bei tontoloni imbambolati. E a guidare i trattori nei campi sono ormai le nonne, mentre i nonni stanno a casa a preparare la crostata. Così come esistono bambini che amano le bambole e bambine che preferiscono giocare con il Lego o con i trenini. Persino i lupacchiotti non sono più quelli di una volta. Capita che detestino la caccia e preferiscano di gran lunga il giardinaggio, alla pari di certi orsetti temuti da tutti perché ritenuti ferocissimi mentre loro vorrebbero solo fare amicizia con qualcuno…
Ad anticipare la realtà di un mondo oltre i generi, arriva la fiaba. Sei libretti per l’infanzia, rivolti a piccoli lettori tra i 3 e gli 8 anni, arrivano a sventare, con storie divertenti, poetiche e molto colorate, i soliti stereotipi di un “maschile” e un “femminile” di maniera.
Si chiama Sottosopra la nuova collana pubblicata dalla torinese Edt e diretta da Irene Biemmi, ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze e Formazione dell’Università di Firenze, i cui primi sei titoli sono in questi giorni alla ribalta della Fiera del libro per ragazzi di Bologna e subito dopo nelle librerie. Una proposta insolita e allegramente “sovversiva” per promuovere un immaginario alternativo improntato al principio della parità di genere e all’interscambiabilità dei ruoli tra i sessi.
Che detta così sembra facile, ma non lo è per niente. Perché, nonostante ci si sforzi, i luoghi comuni su maschietti e femminucce sono duri a morire. Tra i tanti episodi di vita vissuta e patita, colpisce quello postato da Cristiana Raffa sul blog Abbiamo le prove di Violetta Bellocchio. Mamma non qualunque, donna liberal e sociologa della comunicazione, Cristiana riferisce con molto humor ma anche qualche angoscia un pomeriggio rosa shocking ai grandi magazzini.
«Mamma, me la compri? Voglio la felpa con i diamanti!». Il ditino puntato sulla maglietta dalle spalle arricciate e un orso tempestato di strass grandi come ghiande è quello di un bambino. Il suo bambino. «Amore mio – mormora imbarazzata mamma – non pensi sia un po’ da femmina?». E il bimbo implacabile: «A me piace». Cosa ti piace, chiede lei sempre più flebile. «I diamanti», risponde sicuro il piccino. In un lampo passano in mente le tante discussioni tra amiche, lei sempre una spanna avanti a sostenere: basta con gli stereotipi di genere.
Se a mio figlio piacessero pizzi e merletti, che male ci sarebbe? Però, quando l’ipotesi si fa realtà, quando lui s’incaponisce davanti quegli strass, a lei, mamma progressista, viene in mente solo Marilyn. E già vede il figlio scendere dal reparto casalinghi cantando Diamonds are the girl’s best friends con su una parrucca platino…
Contraddizioni più che lecite, uno sfogo sincero che ben riflette lo sconcerto identitario capace di cogliere, alla prova dei fatti, anche i più preparati. Facendoli bruscamente ripiombare in quei modelli polverosi prima tanto stigmatizzati.
Vedi, esempio sommo al cinema, la scelta di Guillaume. Guillaume Gaillenne, attore fantastico della Comédie Française, che in un film recente, Tutto sua madre racconta la sua storia di “bambino rosa”. Fin da piccolo allergico a ogni sport e innamorato dei film sulla principessa Sissi. Preferenze che maman, signora alto borghese di idee spalancate, accetta senza fare una piega. Ormai sicura del destino gay del figlio, decide di non intralciarlo e trattarlo fin da subito come una ragazza. Resterà delusissima quando lui farà il suo “coming out” da etero.
Ma ben prima di Guillaume, molte sono le identità capovolte già proposte dal cinema. Dall’ormai lontano caso di Billy Elliot, che il padre vorrebbe campione di boxe mentre lui sogna solo di danzare sulle punte, a quello più recente della ribelle Merida dai capelli rossi, che al ruolo di principessa preferisce quello di guerriera. Fino a Tomboy, la ragazzina dai modi di maschiaccio. Ed è fresco di debutto, al Teatro Spazio di Roma, Sissy Boy, pièce di Franca De Angelis ispirata alla vera storia di Kirk Andrew Murphy. Bambino che amava giocare con le Barbie e scrivere poesie, per questo spedito dai genitori da uno psicologo che lo sottopone a una “terapia riabilitativa” volta a correggere i comportamenti “effeminati” nei maschi. Naturalmente con esiti disastrosi. Manipolazioni violente e crudeli, per fortuna sempre più rare.
In questo senso le favole capovolte possono tornare utili non solo ai bambini ma anche ai loro genitori.

venerdì 9 maggio 2014

Gli adolescenti e l’immagine di sé condizionata da mass media e stereotipi sessuali

La cultura dominante, intrisa di stereotipi di genere, e la società, sempre più sessualizzata, come influenzano lo sviluppo di ragazzi e ragazze, le loro interazioni sociali, la loro vita sessuale? Orientano, per esempio, i maschi a soffocare le proprie emozioni (perché cose da femmine) e le femmine a essere ossessionate dal corpo per adeguarsi ai canoni di bellezza mediatici?
Secondo un’indagine realizzata dall’associazione inglese GirlGuidindg, la stragrande maggioranza delle adolescenti britanniche (7-21 anni) denuncia il peso del sessismo che si insinua in maniera più o meno subdola nella loro vita. L’87 per cento pensa di essere giudicata più in base al corpo che alle capacità. Più di un terzo (36 per cento) delle 1.288 ragazze intervistate denuncia di essersi sentita stupida per il fatto di essere femmina. Il 76% è convinto che in quanto femmine saranno giudicate negativamente per comportamenti sessuali considerati invece accettabili per i coetanei maschi. E più della metà ha avuto a che fare con molestie e apprezzamenti sessuali sgradevoli: fischi, battute volgari, insulti, sguardi ammiccanti, palpeggiamenti, sia a scuola sia in strada. Per non parlare del fatto che 1 su 5 dichiara di essere stata a dieta almeno una volta quando ancora sedeva tra i banchi della scuola elementare, pressate come sono fin da piccole dai canoni estetici veicolati dai media e dalla società in genere. E tutto ciò influisce sulla loro autostima e sulle loro aspettative, anche professionali.
Provando a fare un viaggio lungo lo stivale, non stupisce, purtroppo, che anche tra gli adolescenti italiani gli stereotipi di genere sono ingombranti, bombardati come sono fin da piccoli da modelli che identificano l’uomo come coraggioso, logico, intraprendente, dominante e la donna più sensibile, remissiva, vulnerabile, predisposta alla cura degli altri. Modelli stereotipati che stabiliscono comportamenti appropriati per l’uomo, altri per la donna. “Perché – come ribadisce Adriana Laudani, dell’Unione Donne Italiane di Catania – gli stereotipi di genere non solo definiscono ciò che le persone sono, ma anche come dovrebbero essere, creando aspettative differenti su ciò che è consono per una metà del cielo e meno per l’altra: hanno cioè una funzione normativa, privando di fatto i giovani di un pezzo di libertà, forzandoli ad aderire a ciò che la società, più o meno esplicitamente, impone a un vero uomo e a una vera donna”.
Catania
L’Udi di Catania, insieme al Dipartimento di scienze politiche e sociali dell’ateneo cittadino, proprio per capire se e quanto gli stereotipi di genere siano diffusi e interiorizzati dai giovani, ha raccolto lo scorso anno 114 questionari, compilati da studenti e studentesse delle ultime classi di alcuni istituti superiori della città, dai quali emerge fortemente il peso dei condizionamenti sociali. Se i ragazzi, infatti, considerano fondamentale per il proprio futuro la carriera, le ragazze mettono al primo posto gli affetti, la possibilità di formare una famiglia e avere dei figli. Tanto che la preoccupazione maggiore per i primi è trovare/perdere il lavoro, per le seconde le perdite affettive. “Anche per quanto riguarda il sesso, emergono due pesi e due misure – spiega Laudani -: se le ragazze hanno comportamenti sessuali cosiddetti liberi sono considerate poco affidabili, invece gli stessi comportamenti sono giudicati leciti per i ragazzi: del resto troia, mignotta e puttana sono indicati, da entrambi i generi, come gli insulti più adatti per una donna”. E se una ragazza vive la propria sessualità liberamente è etichettata come “facile” e, nell’ipotesi di una storia d’amore, non piace ai ragazzi come partner. Agli adolescenti catanesi non piacciono neppure le presuntuose (“chi sono: quelle che dimostrano in fondo il fatto loro, di sapere?” si chiede l’avvocata Laudani) e brutte (“è palese l’ossessione per l’aspetto fisico”). “I ragazzi, insomma, sottolineano l’importanza dell’esteriorità, le ragazze più degli aspetti relazionali: il rispetto, la gentilezza, la sincerità”. Così come emerge una maggiore condiscendenza delle ragazze ad assecondare eventuali imposizioni del partner: dall’uscire da sola o con gli amici, al vestirsi in modo appariscente. E ancora, se occuparsi delle faccende domestiche è pratica condivisa dalla maggior parte delle studentesse, due terzi dei ragazzi, invece, non lo fa mai: “questi dati, ovviamente, non vogliono avere un valore statistico ma, senza alcun intento di generalizzare, rappresentano uno spaccato dell’universo adolescenziale e, con rammarico, mi vien da affermare che decenni di femminismo sembrano passati invano, perché la cultura degli stereotipi sessuali è ancora dominante e tra i giovani è ancora diffuso il mito che se una donna subisce violenza, in fondo in fondo, un po’ se l’è cercata” conclude Laudani.

Bologna
La situazione, però, non sembra cambiare di molto risalendo lungo la penisola. A Bologna, la Casa delle Donne per non subire violenza nel 2011 ha coinvolto 490 studenti (età media 16 anni e mezzo) in un’indagine su adolescenti e stereotipi. Da questionari e focus group emerge una visione delle differenze e delle relazioni tra generi di tipo asimmetrico, stereotipico, orientato alla “giustificazione” della violenza. Per esempio: per il 70,5% dei maschi e il 66% delle femmine, alla maggior parte delle ragazze piace esibire il proprio corpo; oltre la metà del campione ritiene che la maggior parte dei ragazzi vuole uscire con le ragazze solo per avere rapporti sessuali (55% delle femmine e  57% dei maschi) e, ancora, il 56% dei maschi e il 43% delle femmine concorda sul fatto che a un appuntamento il ragazzo dovrebbe pagare tutte le spese. Inoltre: imprecare e dire parolacce è considerato più brutto per una ragazza; in media le ragazze non sono considerate sveglie quanto i ragazzi (da notare che lo afferma il 28%  dei maschi e  il 42% delle femmine), anche se poi le percentuali si invertono (43% dei ragazzi e 7% delle ragazze) nel considerare i ragazzi leader migliori delle ragazze.
In generale, gli adolescenti bolognesi interpellati concordano sul fatto che sia gli uomini sia le donne dovrebbero farsi carico dei lavori domestici, se entrambi lavorano fuori casa, ma se il 12% dei ragazzi ritiene che le loro coetanee dovrebbero essere più interessate a diventare brave mogli e madri, altro che carriera professionale, lo pensa solo il 5% delle studentesse. Inoltre, è considerato normale che un ragazzo spinga una ragazza ad avere rapporti sessuali se si frequentano (lo pensa il 75,1% degli studenti e il 55% delle ragazze), così come c’è una tendenza trasversale a giustificare eventuali comportamenti violenti all’interno della coppia, soprattutto quando possono essere attribuiti alla gelosia. E, ahimè, ragazzi e ragazze in sostanza concordano nel colpevolizzare la vittima in caso di abuso: il 56% dei maschi e il 51% delle femmine ritiene che qualche volta le ragazze provocano le aggressioni sessuali con il loro modo di vestirsi.
“Il fatto che le donne siano state tradizionalmente considerate inferiori agli uomini e l’organizzazione della società che non tiene in considerazione il punto di vista delle donne sono alcune delle cause della violenza, secondo studenti e studentesse – spiega Maša Romagnoli, psicologa del servizio minori della Casa delle Donne di Bologna -. E proprio come conseguenza di questa percezione delle donne, secondo il nostro campione, gli uomini hanno sviluppato una sorta di possessività fisica e psicologica verso le loro partner. Le ragazze hanno anche sostenuto inoltre che la cultura e la storia hanno sempre identificato la donna con il ruolo di madre negandole qualsiasi altra forma di diritti e modo di essere e questo ha contribuito a far percepire le donne come soggetti deboli, solo come corpi e nient’altro”.
“In generale – conclude – sia da questa indagine, sia dai laboratori che facciamo nelle scuole superiori del territorio, emerge chiaramente che gli adolescenti avvertono il peso delle pressioni sociali. L’uomo deve essere dominante, deve guadagnare molto, non deve chiedere mai, e in fondo tutto gli è concesso, anche rispetto alla sessualità: per esempio, se un ragazzo offre una cena a una ragazza è normale che poi lei accetti di andare a letto. Le donne, invece, sono ancora ingabbiate da un lato nell’immagine di donna seduttrice, da cui deriva l’importanza dell’aspetto fisico e l’idea che l’uso del corpo possa essere uno strumento per arrivare, dall’altro in quella di regina del focolare, perché una volta sposata, il suo compito principale è quello di prendersi cura di casa e famiglia”.

Trieste e dintorni
Anche in Friuli Venezia Giulia, il Laboratorio di psicologia sociale e di comunità dell’Università di Trieste ha coordinato una ricerca per analizzare le relazioni tra adolescenti, su un campione di 726 ragazzi e ragazze, studenti dell’ultimo anno di 14 scuole della regione. Dai questionari raccolti (a fine 2007) emerge che, anche se la maggior parte degli intervistati rifiuta i modelli più tradizionali, in cui la donna deve stare casa, fare figli, lasciar decidere il marito, accettare il rapporto sessuale anche controvoglia, mentre l’uomo è tenuto a provvedere economicamente alla donna e alla famiglia e deve essere sessualmente sempre all’altezza, una percentuale non trascurabile di maschi aderisce ancora a un modello di donna che non si discosta molto dal tradizionale “che la piasa, che la tasa e che la staghi a casa”.
Per quanto riguarda la sessualità, i giovani sembrano vivere due universi paralleli. Quello delle immagini dei mass-media dove i riferimenti al sesso, e in particolare al corpo femminile, sono declinati in termini di “porno-soft” e suggeriscono modelli di mascolinità vincente e di femminilità perennemente seduttiva. Cui si affianca però anche un ritorno a valori tradizionali nel modo di approcciare la sessualità: l’importanza attribuita (soprattutto dalle ragazze) alla prima volta e alla verginità. Le adolescenti vivono insomma la contraddizione tra le immagini dalle quali sono bombardate, che le vorrebbero “veline seduttive”, e la minaccia del “marchio sociale” più temuto, quello di “ragazze facili” che viene utilizzato come forma di esclusione sociale talvolta anche dalle stesse coetanee.
E se ci sono ragazze che denotano consapevolezza della propria sessualità e del proprio diritto a scegliere, se e quando fare sesso, altre invece sembrano vivere il sesso in modo funzionale ai desideri dei ragazzi. E non è raro che per compiacere al partner rinuncino a fare alcune cose (dal look alle uscite con gli amici) perché immaginano o sanno che sarebbero sgradite. I maschi, dal canto loro, in parte appaiono molto spavaldi e in parte sono preoccupati di non essere “all’altezza” e temono i giudizi degli altri coetanei. E riconoscono di fare pressioni, sistematicamente, per ottenere un rapporto sessuale che non sempre le ragazze desiderano, o di cui forse temono le conseguenze in termini di “reputazione”.
“Da non trascurare inoltre sono i dati relativi alla violenza che soprattutto le adolescenti vivono già nelle prime relazioni di coppia– precisa la psicologa Lucia Beltramini– : dai dati raccolti emerge infatti che il 16% delle intervistate ha subito gravi violenze psicologiche e comportamenti di dominazione e controllo dal proprio ragazzo; più di una ragazza su 10 pressioni, molestie o violenze sessuali in coppia”.
Il peso dei luoghi comuni e dei pregiudizi più diffusi nella nostra società, che tanto condizionano il pensiero di giovani e adulti, appare evidente infatti quando si tocca questo tema: anche se di fatto tutti condannano lo stupro come azione orribile e vergognosa, il pensiero dominante li porta a giustificare l’azione violenta e a biasimare la vittima. In particolare i maschi finiscono più spesso con il considerare accettabile la violenza nella coppia e a condividere i peggiori pregiudizi sullo stupro (è la vittima a esserselo cercato). Dalle parole di ragazze e ragazzi (oltre ai questionari sono stati condotti dei focus group), è stato possibile cogliere anche quello che Patrizia Romito, Daniela Paci e Lucia Beltramini definiscono un allarmante cambiamento nelle abitudini sessuali di alcuni di loro, come la diffusione di comportamenti sessuali rischiosi: per esempio il sesso visto come una fonte di guadagno in termini economici. Alla richiesta del perché le ragazze siano disposte a una simile svalorizzazione del proprio corpo, maschi e femmine sono concordi nell’attribuire la colpa alle ragazze stesse e al loro incessante desiderio di essere viste, apprezzate, accettate. E anche se per alcune ragazze la verginità e la reputazione sono valori importanti, allo stesso tempo pare non essere un problema riprendersi nude con il telefonino e condividere tali immagini per piacere ai ragazzi.
Altro dato che emerge è il consumo di pornografia, che entra nella quotidianità di ragazzi e ragazze fin da molto piccoli (riguarda, anche casualmente, più dell’80% dei maschi e circa la metà delle femmine): “perché gli piace” (60% dei maschi e 7% delle femmine), “per acquisire informazioni sul sesso” (36% dei ragazzi e 17% delle ragazze), perché è “eccitante” (65% dei maschi e 11% delle femmine).
In particolare bisognerebbe riflettere sul fatto che in molti riferiscono che il materiale pornografico è il loro unico modello di riferimento sessuale fino al momento di avere le prime esperienze. Ma che tipo di sessualità conoscono in questo modo, se il materiale che sfogliano e guardano presenta (anche) violenza, dominazione, immagini della donna come oggetto da usare, ferire e poi gettare?
Insomma, non dobbiamo lasciarci ingannare dall’atteggiamento apparentemente più aperto: il fatto che il sesso sia vissuto da alcuni con maggior disinvoltura e disinibizione non significa che la maggior libertà sessuale, presunta o reale, sia sinonimo di maggiore consapevolezza e i tre spaccati sui diversi, ma in fondo simili, microcosmi giovanili indicano quanto e come ancora sia dominante tra le nuove generazioni un’adesione a modelli culturali di tipo tradizionale. Attenzione, dunque, a dare per scontata tra i giovani la parità di genere. Queste ricerche, seppure non possano essere considerate una rappresentazione esaustiva degli adolescenti italiani, sicuramente evidenziano l’importanza e l’urgenza di introdurre nelle scuole italiane percorsi di educazione sessuale e di educazione al genere: ecco cosa dovrebbe (anche) fare un paese civile.

giovedì 8 maggio 2014

La lettera che la Società Italiana delle Storiche ha mandato alla Ministra Giannini sulla questione dell’educazione al genere nella scuola.


Lettera aperta al ministro dell’Istruzione Stefania Giannini

All’on. Stefania Giannini

Ministra dell’Istruzione, Università e Ricerca

All’on. Teresa Bellanova

Sottosegretaria al Ministero del Lavoro

Vari organi di stampa e d’informazione hanno dato notizia del blocco deciso dal Sottosegretario di Stato Miur, on. Gabriele Toccafondi, al programma UNAR contro le discriminazioni “basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere”, programma avviato dalla Ministra Carrozza.

Altri episodi, istituzionalmente meno gravi, ma non meno rilevanti, hanno mostrato in atto una campagna di mobilitazione di settori dell’opinione pubblica contro l’introduzione della cosiddetta teoria del gender nelle istituzioni scolastiche del paese.

Vorremmo innanzitutto segnalare la parzialità e anche l’erroneità delle affermazioni che hanno accompagnato questi episodi, precisando la complessità della questione contro ogni pretesa riduzionistica.

Non esiste, infatti, una “teoria del gender”. Con questa categoria, usata in modo fecondo in tutta una serie di discipline che ormai costituiscono l’ambito dei gender studies, non si introduce tanto una teoria, una visione dell’essere uomo e dell’essere donna, quanto piuttosto uno strumento concettuale per poter pensare e analizzare le realtà storico-sociali delle relazioni tra i sessi in tutta la loro complessità e articolazione: senza comportare una determinata, particolare definizione della differenza tra i sessi, la categoria consente di capire come non ci sia stato e non ci sia un solo modo di essere uomini e donne, ma una molteplicità di identità e di esperienze, varie nel tempo e nello spazio.

Proprio per la sua notevole capacità analitica e il suo carattere non prescrittivo il gender ha aperto nuove e importanti direttrici di ricerca che nella comunità scientifica e nell’insegnamento superiore di molti paesi sono ormai riconosciuti e sostenuti, a differenza di quanto accade nel nostro Paese: del resto, la disinformazione di cui stiamo avendo prova in queste settimane conferma ampiamente il ritardo cumulato. In Francia, ad esempio, dal 2010 le disposizioni del “Programme d’Histoire-Géographie”, così come quelle dell’insegnamento di “Sciences de la vie et de la terre”, prevedono una trattazione articolata per sesso, genere e orientamento sessuale.

Ciò che a nostro avviso risulta più grave, tuttavia, è che tali interventi censori vengano messi in atto da un organo dello Stato non in seguito a un serio dibattito culturale e scientifico, ma per effetto di pressioni politico-ideologiche ispirate alle posizioni espresse sul tema da alcuni esponenti del mondo cattolico.

Anche per questo, riteniamo necessario affermare non solo la legittimità e serietà delle iniziative bloccate, ma anche l’urgenza di avviare l’educazione al genere nel nostro sistema scolastico, riprendendo il lavoro avviato nei decenni precedenti (in particolare col progetto POLITE, pari opportunità nei libri di testo), purtroppo ignorato nelle Indicazioni Nazionali per la scuola superiore del 2010.

Rifiutando di lasciare la dimensione educativa alla formazione offerta da agenzie extracurricolari, l’educazione al genere può contribuire ad una formazione civile e intellettuale più completa: essa aiuta a riflettere sugli stereotipi sessuali, che tanto facilmente vengono riemergendo nelle nostre società, a combattere i pregiudizi, a sviluppare consapevolezza dei condizionamenti storico-culturali ricevuti. Di qui l’aiuto che essa può dare allo sviluppo di una società più giusta e tollerante, aperta al riconoscimento delle differenze, nel segno di un approccio critico alle idee e ai saperi, di una lotta più consapevole contro le discriminazioni sessuali e l’omofobia, e di una prevenzione efficace e capillare di schemi di comportamento violenti, frutto di stereotipi del passato incapaci di dialogare con le esigenze e le realtà dell’oggi.

Privare la scuola pubblica di questo ruolo ci pare miope e ingiusto.

Il Direttivo

della Società Italiana delle Storiche

mercoledì 7 maggio 2014

Se l'uomo forzuto fa la maglia Libri per bambini contro gli stereotipi


Ettore è un uomo STRAORDINARIAMENTE forte. Ammirato dal pubblico e invidiato dai colleghi. Ma non è un macho come gli altri. Ha un segreto: ama lavorare a maglia. Lo deve fare però di nascosto; ai maschi non sono permessi passatempi tanto femminili. E infatti il forzuto sollevatore di pesi con un debole per l'angora, alla fine, si troverà a difendere la sua “diversa” mascolinità.
Quella di Ettore è solo una delle sette storie pubblicate da “ settenove ”, piccolissima casa editrice fondata a settembre del 2013 a Cagli, nelle Marche, dalla trentenne Monica Martinelli. Una laureata in giurisprudenza che ha un obiettivo: fare qualcosa contro la violenza sulle donne.
Ad ogni inchiesta sul dramma continuo dei femminicidi emerge: l'unico modo per affrontare davvero il problema – che è un problema culturale e non un'emergenza - è partire dall'educazione. Sì, ma come? Martinelli ha deciso di farlo con le favole. Storie magiche, fantastiche eppure estremamente realistiche che raccontano coppie, famiglie e avventure con uno sguardo diverso. Perché le principesse non sono per forza bambole vestite di rosa e destinate ad attendere tutta la vita uno sposo; i papà aspettano i figli come le mamme, nel senso che si preparano al loro arrivo con lo stesso entusiasmo; e le bambine come Cloe sfidano i pregiudizi indossando zainetti di Spiderman scuola.
Quelle di settenove sono storie semplici (e con disegni d'autore) che mettono in discussione , fra leoni, giochi e avventure, i modelli più formalizzati del binomio maschile/femminile. E per questo fanno paura. All'inizio di aprile, militanti di Forza Nuova hanno organizzato delle manifestazioni di fronte alle Librerie Paoline di Treviso, Trieste e Verona, per protestare contro la vendita di libri pubblicati dalla casa editrice marchigiana. Ricevendo una risposta piccata delle suore: "è libertà d'espressione".
Fa paura, il cambiamento. Tanto che ogni volta che si propone una storia o un romanzo in cui Cenerentola non sia sempre e solo l'innamorata-Cenerentola ma magari un'astronauta coraggiosa uno stuolo di autorevoli firme si indigna per “l'ideologizzazione della fantasia” e la “politicizzazione delle favole”. «Ma quale ideologia!», ribatte Monica Martinelli: «I nostri libri la liberano la fantasia, non la rinchiudono. A imbrigliarla sono piuttosto gli stereotipi, i canoni prefissati che tanti autori difendono, e ripetono. Le nostre storie non fanno altro che proporre dei modelli nuovi».
La politica, c'entra, però, eccome. Anche se resta in disparte quando entra in gioco la fantasia. “settenove” infatti prende il nome dall'anno 1979, l'anno in cui «le Nazioni unite hanno adottato la Convenzione Onu sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna; in cui Nilde Iotti è salita alla terza carica dello Stato; e la Rai ebbe l’audacia di mandare in onda il documentario “Processo per Stupro“, di Loredana Rotondo».
Il messaggio è chiaro: questa è una casa editrice combattiva. «Viviamo in una società ancora fortemente patriarcale», commenta la fondatrice – e unica dipendente fissa, ad oggi: «Da quarant'anni in Italia si discute di ruoli, stereotipi, di “gap” da ridurre. Eppure, ancora adesso, appena si affronta l'argomento alla radice - partendo, cioè, dall'educazione - si solleva un casino».
I primi a sentirsi attaccati sono gli uomini, racconta Martinelli: «Ma sbagliano: perché anche loro sono vittime di questi stessi modelli». Lo dimostra la resistenza che ha avuto uno dei suoi titoli, “Papà aspetta un bimbo!”: «L'ho portato a una fiera. Ogni ragazzo che passava lo guardava un po' storto. Mi dicevano: “Ah, è un libro sulle pari opportunità”. E io a spiegargli che no, era solo una bella storia sulla paternità. Altri pensavano fosse una sorta di manifesto per le famiglie omosessuali, quando in copertina c'è una mamma in cinta con di fianco il compagno».
Sarà possibile cambiare qualcosa, partendo dalle favole? «Io ci credo», sostiene la creatrice: «Il mio obiettivo è fare libri belli. Così belli che attirino anche chi non è per nulla interessato a questi temi, o che è addirittura contrario ad affrontarli. Che li prenda così solo perché piacciono, perché sono belle storie». Per poi scoprire che sono belle storie che fanno cambiare.