martedì 31 ottobre 2017

Perché non hanno detto no al mostro? La rubrica settimanale di Massimo Gramellini

Caro Massimo,
Aiutami a capire. Un produttore americano ha fatto avance pesanti ad attrici anche famose in cambio di lavoro, di una parte nei film. Ma loro, le attrici, potevano dire di no e non l’hanno fatto. Temevano di essere escluse dal cinema. Lo chiamano mostro, orco. Lo è. Ma una donna che è stata violentata da piccola o da grande, dallo zio o da uno sconosciuto, che cosa può pensare di queste attrici? Che potevano uscire dalla stanza del produttore e cercare un’altra strada. Scusa se non le comprendo, Massimo, ma ho un’amica che è stata violentata e non poteva scappare.
A questo e solo a questo penso io. Che è sempre meglio scappare, se si può. —B.

La storia del produttore porcellone ha prodotto un cortocircuito. Che un maschio abbia approfittato del proprio potere per ricattare donne la cui carriera dipendeva da lui è considerata un’ovvietà della quale non vale quasi la pena occuparsi. È sempre successo, si dice, e sempre succederà. Al centro del dibattito c’è invece la negazione del ruolo di vittime alle attrici che si sono sdraiate consapevolmente con quell’uomo pur di ottenere una parte. Ad attaccarle sono soprattutto altre donne, che riportano la propria esperienza personale, o quella di persone a loro vicine, per dimostrare che ci si può rifiutare di cedere a certi ricatti, sia pure a costo di rimetterci.
In fondo le attrici non sono state molestate in un vicolo buio o sotto l’effetto di qualche droga che aveva tolto loro capacità di raziocinio. Al momento di sdraiarsi sul divano avrebbero potuto dire di no e andarsene. Tante altre donne lo hanno fatto. La mia mail gronda dei racconti di professoresse, impiegate, dottoresse, commesse inchiodate all’ultimo grado della scala gerarchica per non avere voluto usare il trampolino più comodo: cedere alle voglie di chi aveva il potere di promuoverle. Se ci sono riuscite loro, perché non possono riuscirci tutte? È come per la corruzione: affinché esista bisogna essere in due. Non basta il funzionario che chiede la mazzetta, ci vuole anche l’imprenditore che gliela versa. Se l’imprenditore si rifiuta e lo denuncia, la corruzione svanisce. Così, se Asia Argento e le sue colleghe avessero detto di no alle avance del produttore, svergognandolo in una conferenza stampa collettiva, avrebbero assestato un duro colpo al fenomeno della prevaricazione sessuale.
Tutto vero. Ma anche tutto molto ipocrita. Perché sappiamo benissimo che il sistema tende a isolare chi dice di no: l’imprenditore che, rifiutandosi di pagare una mazzetta, fece scoppiare lo scandalo di Mani pulite non trovò più nessuno disposto a fare affari con lui. E ogni volta che un’attrice (per non parlare di una maestra o di un’operaia) ha denunciato dei ricatti sessuali è stata trattata come un’esibizionista o una poco di buono.
«Sventurato il mondo che ha bisogno di eroi», diceva Brecht. Invece il dibattito di queste settimane sta chiedendo proprio questo alle donne: di indossare i panni delle eroine. E chi non se la sente? Essere vigliacche, deboli o persino calcolatrici è una limitazione caratteriale, ma non un reato. E le leggi devono tutelare anche Don Abbondio. Intendo dire che l’azione benemerita di tantissime donne che hanno pagato a duro prezzo la difesa della loro dignità non rende automaticamente infami quelle che hanno compiuto scelte diverse. Il nucleo su cui dovremmo concentrare l’attenzione, senza darlo per scontato o derubricarlo a ovvia premessa, rimane lo squilibrio tra chi decide e chi si ritrova a essere oggetto delle sue decisioni.
Riparto dalla corruzione. In attesa del cambiamento della natura umana (vasto programma…) non si risolve il problema appellandosi alla integrità morale degli interessati. Bisogna piuttosto ridurre le occasioni in cui un funzionario o un politico possono esercitare il loro potere in modo indiscriminato. Se per ogni pratica che si fa in questo benedetto Paese bastasse mettere un timbro anziché dieci, le possibilità di chiedere soldi in cambio di timbri si ridurrebbero da dieci a una. Allo stesso modo, se certe decisioni sensibili venissero sottratte all’arbitrio di una sola persona (il manager, il barone, il primario, il produttore) e affidate a un piccolo comitato dove entrambi i sessi fossero rappresentati, forse – dico forse – certi ricatti a sfondo erotico si ridurrebbero di parecchio. Altrimenti occorrerà aspettare che quei ruoli siano occupati dalle donne. Con il rischio però che il problema, anziché risolversi, si ribalti.
https://www.vanityfair.it/vanity-stars/massimo-gramellini/2017/10/26/hanno-detto-no-al-mostro-massimo-gramellini

lunedì 30 ottobre 2017

“Sono stufa di dover avere paura di essere stuprata”

Di fronte agli ultimi casi di stupro, ai politici che ci dicono che dobbiamo essere “più caute” e alle giornaliste che vorrebbero che gli uomini vigilassero su di noi, rispondiamo con lo sfogo di una nostra lettrice: ci sentiamo così, furiose e amareggiate. Vogliamo meno giudizi, più femminismo ed educazione all’affettività nelle scuole, non certo misure securitarie. Faremo passi avanti solo quando capiremo che non si tratta di un’emergenza ma di un problema strutturale

Sono stufa di dover avere paura a camminare da sola di notte.

Sono stufa di dover tenere pronto il numero di qualcuno quando mi capita di percorrere zone isolate quando è buio.

Sono stufa quando parcheggio sotto casa di dover controllare che non ci sia nessuno prima di uscire dalla macchina.

Sono stufa di camminare veloce verso il portone e di tirare un sospiro di sollievo appena chiusa la porta alle mie spalle.

Sono stufa di non poter prendere i mezzi notturni da sola.

Sono stufa quando sono sola in macchina, di dover sperare di trovare parcheggio vicino al locale.

Sono stufa di sentirmi dire di non rispondere male ai commenti per strada che prima o poi magari mi succede qualcosa.

Sono stufa dei commenti volgari per strada, che arrivano spesso, che io indossi la gonna o i pantaloni della tuta.

Sono stufa per tutte quelle volte che qualcuno mi ha davvero inseguita e insultata perché rispondevo – o perché non rispondevo – e che ho sentito il battito accelerare per la paura che potesse succedermi qualcosa.

Sono stufa di avere la certezza che mi capiterà ancora tante altre volte, e come a me, a tante altre donne.

Sono stufa di sentirmi dire di non vestirmi troppo sexy perché poi me le cerco.

Sono stufa di sentirmi dire di non ubriacarmi che poi sembro facile.

Sono stufa di tutto questo da quando avevo 13 anni, perché a quell’età che è cominciato. O forse è semplicemente l’età in cui ne ho preso coscienza.

Sono stufa marcia di sentir dire che una donna potrebbe andarsi a cercare una cosa atroce e crudele come lo stupro.

Non vorrei che fosse così, ma a volte tutte queste cose messe insieme mi fanno sentire stufa di essere donna, perché è così estenuante da non avere nemmeno la voglia di raccontarlo.

Se mi vesto sexy è perché voglio sentirmi bella e non mi va di uscire con addosso un sacco della spazzatura che non mi valorizza. Se mi ubriaco è perché voglio ridere ancora di più e pensare un po’ meno. Se faccio la scema è perché voglio sentirmi leggera dopo una settimana pesante, come tutti in fondo, perché la vita è una. E poi mi viene da dire che se faccio tutte queste cose, sono anche un po’ fatti miei.

Se esco è perché voglio VIVERE. Non certo perché voglio che qualcuno mi stupri rovinandomi la vita per sempre. E se si arrivano a violentare le donne di 80 anni, certo il problema non sono le minigonne e i gin tonic di troppo.

E sono anche stufa di leggere e sentire le considerazioni che tutti si sentono in diritto di fare, dai giornalisti ai vicini di casa, quando solo il rispetto del silenzio dovrebbe avvolgere le vittime di uno stupro.

Perché sì, è stupro anche se sono drogata o ubriaca e non capisco che succede, è stupro anche se ho una minigonna inguinale, è stupro anche se in passato ho avuto svariati partner sessuali, è stupro anche se all’inizio ci sto e poi cambio idea, è stupro anche se non mi ribello e non urlo perché sono pietrificata, è stupro anche se salgo a casa di qualcuno con l’intenzione di fare sesso ma poi per qualche motivo non voglio più, è stupro anche se mentre sto facendo sesso vengo obbligata con la forza a farlo senza preservativo, è stupro anche se l’aggressore è mio marito.

È stupro tutto quello che viene dopo: la vergona e la paura di denunciare, l’imbarazzo nel dover raccontare ogni dettaglio a degli sconosciuti per la deposizione, il disagio di sapere che i tuoi cari lo sanno, l’amarezza di vedere come un’intera popolazione osi avere un’opinione su una cosa che è successa a te e non a loro, l’astio nel sentir dire da perfetti sconosciuti che non ti credono, e tante altre cose che io non posso nemmeno immaginare.

E infine sono stufa di vedere strumentalizzate queste vicende sempre nello stesso identico modo tanto da sapere già perfettamente la tipologia di commenti che sentirò da determinate persone, gli schieramenti politici a seconda che l’aggressore sia immigrato o italiano, carabiniere o muratore.

Perché in fondo lo stupro in sé pare essere sempre secondario, è molto più importante capire come usarlo al fine di rafforzare le proprie ideologie.

Sembra tutto sempre riprodotto in serie, da anni, da decenni e da secoli. E questo perché purtroppo ancora siamo ben lontane dall’essere libere.
https://pasionaria.it/stupro-lettera-sono-stufa-di-dover-avere-paura-siamo-ben-lontane-dallessere-libere/

domenica 29 ottobre 2017

Ma i Weinstein di noialtri, qui, non li nomina nessuno di Giulio Cavalli

Qualcuno di loro ha addirittura cambiato numero di telefono. Qualcun altro, invece, ha già scambiato due parole con il suo avvocato per prevenire l’attacco. Poi c’è il regista napoletano che non sa più dove sbattere la testa e non si perdona di avere esagerato anche via sms o via mail, convinto della propria impunità. C’è il mostro sacro della televisione che rassicura tutti dicendo di avere “amicizie politiche importanti”, di stare tranquilli, come se non si sapesse che i suoi cambi alla conduzione siano legati più al concedersi che chissà a quali scelte editoriali. C’è addirittura lo storico conduttore che gigioneggia negli speciali, sul caso Weinstein, come uno spettatore indignato qualsiasi. Tutto intorno poi un bel pezzo del cinema italiano (e della televisione) s’è fatto corporazione per dire che non bisogna “sparare nel mucchio” eppure poi, sotto sotto, sono in molti tra agenti e produttori a far intendere che chi denuncia è fuori, che è meglio ripensarci.

Da una settimana Dino Giarrusso de Le Iene confeziona servizi che sono un conato che dovrebbe intasare lo stomaco del Paese, una sequela di donne attirate con un copione o la promessa una trasmissione o di una parte usate come esca che alla fine si sono ritrovate davanti al bivio dell’amplesso come prerequisito essenziale per essere valutate. Ci sono le voci di donne che hanno avuto addosso le mani unte di chi poi scorrazza sui giornali a insegnarci l’etica. Ci sono anche le aspiranti attrici a cui gli agenti dicono di lasciar perdere, di non rovinarsi la carriera. «Stronzetta, non l’hai capito che qui funziona così?» ha detto un prezzo grosso della Rai, sposato e con figli, a più d’una.

E mentre loro, gli orchi, cominciano a tremare, in giro c’è uno strano silenzio: “va bene la difesa a Asia Argento”, dicono in molti, “ma succede dappertutto, bisogna cambiare il paradigma”. E nessuno sembra avere voglia di spingere davvero, sui nomi. Tutti a godersi la para-pornografia dei racconti e nessuno che alzi la mano per dire “questo dobbiamo cacciarlo”. Tutti a dire che negli Usa il nome di Weinstein è stato fatto troppo tardi e intanto qui i nostri Weinstein non li nomina nessuno.

«E perché non li fanno le vittime, i nomi?», mi chiedono. I nomi ci sono, tutti, segnati. Tutti. Solo che ancora nel 2017 non ci si rende conto che la forza di denunciare sta in una mobilitazione generale che deve confermare una possibilità di cambiamento e che è l’ossigeno necessario alle vittime per avere la forza. Forse non ci si rende conto che, ancora una volta, ci si sta perdendo sull’ultimo passo di una denuncia che sarebbe drammatico lasciare cadere.

Bisogna sentire coraggio intorno per trovare il coraggio. E intorno ci siamo noi. Noi che scriviamo sui giornali ma abbiamo l’anaffettivo vizio di disamorarci così in fretta delle storie e delle loro vittime; noi che se la denuncia non arriva dalla “nostra” trasmissione o dal “nostro” giornale la riteniamo meno degna e nel frattempo sono meno degne anche le sue testimonianze; noi che ci indigniamo leggendo il New York Times ma non toccateci i porci nostrani; noi che abbiamo imparato a difendere le donne senza nemmeno prenderci la briga di attaccare gli uomini che lo meriterebbero; noi che ci buttiamo sulla caccia alle streghe ma gli stregoni chissà perché li lasciamo tranquilli.

Noi che negli ultimi quindici giorni non siamo stati capaci di dire “state tranquille, denunciateli tutti, denunciamoli tutti, denunciamo tutto. Ci siamo noi, qui”. Anche se vi è antipatica quell’attrice. Anche se non guardate Le Iene.
https://left.it/2017/10/27/ma-i-weinstein-di-noialtri-qui-non-li-nomina-nessuno/

sabato 28 ottobre 2017

La violenza delle coppie giovani, oltre una ragazza su dieci aggredita prima dei 18 anni di Cristina Nadotti

Il fenomeno è in crescita e riguarda anche i maschi. La psicologa: "Vivono esperienze molto diverse da quelle immaginate, senza rendersi conto di quanto stia succedendo loro e senza sapere come e a chi rivolgersi per chiedere aiuto". A ottobre un convegno a Rimini del Centro studi Erickson per discutere di un fenomeno in crescita
 Non è una sensazione dettata dagli ultimi fatti di cronaca, ci sono dati e studi a confermarlo: la violenza è un fenomeno in crescita e rilevante nelle coppie adolescenti. Uno dei pochi studi condotti nel nostro Paese sul tema, condotto su un campione di oltre 700 studenti delle scuole secondarie di secondo grado, ha evidenziato come più di una ragazza su dieci abbia vissuto esperienze di violenza nella coppia prima dei 18 anni. Il 16 per cento delle intervistate (e l'8 per cento dei maschi) ha subito gravi e ripetute violenze psicologiche o persistenti comportamenti di dominazione e controllo; il 14 per cento delle ragazze (e l'8 per cento dei ragazzi) ha subito violenze o molestie sessuali; più di un adolescente su 10 (senza differenze di sesso) ha subito violenze fisiche in coppia.
Di fronte alla violenza fisica o verbale i giovani sono spesso soli, come dimostra uno studio europeo per il quale in Italia il 50 per cento dei genitori ignora che i figli abbiano visto immagini a sfondo sessuale online e l'80 per cento non è a conoscenza che i figli abbiano subito minacce online.
Di questo e temi collegati si parlerà il 13 e 14 ottobre a Rimini in un convegno organizzato dal Centro studi Erickson, dal titolo 'Affrontare la violenza sulle donne - Prevenzione, riconoscimento e percorsi d'uscita nel quale una parte consistente sarà rappresentata dalla discussione della Teen dating violence, la violenza da appuntamento tra adolescenti e della violenza nelle giovani coppie. Si tratta, sottolineano gli organizzatori del convegno, di situazioni di violenza non facili da individuare e comprendere per le stesse ragazze che ne sono vittime, coinvolte da quello che dovrebbe essere il 'primo amore', ma che con l'amore e il rispetto che deve accompagnarlo non ha nulla a che fare.
"Quando si pensa alla violenza di genere, si è soliti immaginare coppie adulte, sposate o che convivono; in realtà esperienze simili si possono verificare anche tra giovani e giovanissimi che stanno scoprendo le relazioni di coppia spesso per la prima volta", chiarisce Lucia Beltramini, psicologa esperta in violenza su donne e minori che parteciperà come relatrice al convegno di Rimini. "Pensare alle prime esperienze d'amore in adolescenza evoca immagini di felicità e spensieratezza oltre che il mettersi in gioco nel rapporto con un'altra persona. Può però accadere che, proprio in questa fase della vita, i giovani si trovino a vivere esperienze molto diverse da quelle immaginate, spesso senza rendersi conto di quanto stia succedendo loro e senza sapere come e a chi rivolgersi per chiedere aiuto".
Uno dei problemi maggiori nell'affrontare il fenomeno è la necessità di spiegare ai ragazzi che quanbto stanno vivendo è violenza, non normalità, poiché spesso tali atti non sono riconosciuti come violenza e inaccettabili. In particolare, comportamenti di dominazione e controllo sono scambiati per segni di interessamento e amore. "Non vuole che parli con altri perché sono sua, ci tiene a me", si sente dire alle ragazze, frasi che fanno chiedere dove siano finite le battaglie femministe nelle quali al centro si poneva ben altro concetto, quel "io sono mia" fondamento dell'autodeterminazione.
Nelle giovani coppie, così come in quelle adulte, la violenza fisica può essere minimizzata "Mi ha colpita solo perché era nervoso". Le pressioni sessuali possono non essere riconosciute come tali "Se non gli dico di sì, mi lascia". Anche per la presenza di questi meccanismi di negazione, ragazzi e ragazze sono maggiormente a rischio di fare proprio un modello di relazione di coppia improntato all'esercizio del dominio sull'altro, che potrebbe riprodursi anche nelle future relazioni adulte e per il quale risulta cruciale un intervento precoce.
Visto questa tendenza alla negazione, al non riconoscimento del problema come tale, è fondamentale aiutare i ragazzi partendo dalla prevenzione. "Negli ultimi anni le riflessioni e gli interventi sul tema della violenza contro le donne e le ragazze hanno ottenuto maggiore diffusione e visibilità, e la volontà di realizzare interventi preventivi efficaci impegna istituzioni, comunità, operatori e operatrici che vorrebbero promuovere relazioni positive e rispettose tra ragazzi e ragazze. Anche la normativa è arrivata in aiuto", prosegue Beltramini. "Tali interventi non possono però prescindere da un'attenta analisi di quello che è il contesto sociale e culturale nel quale ragazzi e adulti si trovano a vivere, un contesto ancora fortemente permeato, anche a livello mediatico, da modelli stereotipati di maschile e femminile e rapporti tra i sessi poco improntati alla parità. Avere la possibilità di proporre percorsi di riflessione e di messa in discussione degli stereotipi sui ruoli di genere può permettere agli adolescenti di favorire lo sviluppo del senso critico e attivare processi metacognitivi importanti".
I sintomi ci sono e bisogna saperli individuare. Ragazzi e ragazze che hanno vissuto o stanno vivendo una relazione violenta possono presentare, più spesso degli altri, bassa autostima, perdita di interesse per ciò che accade in famiglia, a scuola o negli altri contesti di vita, problemi di memoria e concentrazione, difficoltà scolastiche. Per aiutarli è importante sostenerli perché superino paura e vergogna e tenere a mente che l'adolescenza è una fase di vita in cui non sono ancora adulti ma neanche bambini, perciò potrebbero presentare sufficiente consapevolezza di quanto accaduto per raccontare la loro esperienza. Nonostante questo, raramente chiedono aiuto in maniera diretta proprio perché bloccati da vergogna, senso di colpa, timore di non essere creduti, confusione
per i sentimenti provati, autocolpevolizzazione. Per rompere questo muro di silenzio è quindi fondamentale, sottolinea la psicologa, prestare loro attenzione, offrire uno spazio di ascolto non giudicante, rispettare i loro tempi e fornire le informazioni corrette sui servizi a disposizione.
http://www.repubblica.it/cronaca/2017/09/15/news/la_violenza_delle_coppie_giovani_una_ragazza_su_dieci_aggredita_prima_dei_18_anni-175557872/

venerdì 27 ottobre 2017

VIOLENZA: NON VOLTIAMO PAGINA da Rita Cugiola

La violenza di genere è costantente oggetto di riflessione e dibattito. Senza dubbio è semplice ed eticamente appagante disquisire dei soprusi (estesi a maltrattamenti domestici, aggressioni e persecuzioni sociali) sistematicamente perpetrati a danno esclusivo dell’altra metà del cielo.
Le varie, impercettibili sfumature di questo lato oscuro e intenzionalmente sottovalutato della realtà corcostante si stanno purtroppo palesando nella loro assurda complessità. Abusi sessuali, fisici e psicologici, assurti repentinamente a oggetto di sterili dissertazioni a opera di chi si affida all’impatto mediatico della demagogia per simulare una vaga opera di sensibilizzazione collettiva.
Mi riferisco a coloro che – per un motivo o per l’altro – si sentono attratti dai salotti televisivi ideati a esclusivo beneficio dello share.  Alludo a uomini decisamente poco coinvolti dalle problematiche femminili (forse troppo astratte e sfuggenti) ma anche ad alcune autorevoli esponenti del cosiddetto sesso debole, che schiave delle concezioni tradizionaliste – principale ostacolo a qualsiasi analisi razionale – seguitano incomprensibilmente ad addurre  vuote considerazioni di facciata, ricorrendo spesso a luoghi comuni e  frasi di circostanza.

Salvo rare eccezioni insomma, la questione inerente la lotta allo stupro non sembra focalizzare l’opinione pubblica.
Evidentemente i fautori dell’indifferenza e i cultori della retorica tendono tuttora a minimizzare l’entità di un problema che trascende gli impenetrabili confini del loro egocentrico microcosmo.
Non conoscono i reconditi risvolti del terrore, le molteplici incertezze (sopravvivenza inclusa) che derivano dalla consapevolezza di ritrovarsi impotenti in balìa dei carnefici. E nemmeno l’angoscia, il senso di umiliazione (talvolta persino di colpa) che affligge le reduci dall’inferno.
Ignorano il significato dell’umiliazione: mani incatenanti – estreme propaggini di corpi luridi e viscidi –  pronte a strappare l’anima; colpi devastanti che cessano di arrecare dolore nell’istante stesso in cui cominciano a delinearsi quali inevitabili complementi dello scempio in atto.
Una tragica rappresentazione destinatata a rimanere impressa nella memoria delle interessate, restìe per istinto alla condivisione verbale del dramma vissuto: del resto,  quasi nessuno sarà disposto ad ascoltare i lamenti provenienti da cuori tormentati e vilipesi senza incorrere nell’insidiosa trappola della stigmatizzazioe sociale.
Argomentare impropriamente sulle sofferenze inflitte alla popolazione femminile rischia quindi di sviare pericolosamente l’attenzione generale da ciò che quotidianamente avviene in ogni angolo del pianeta. Sarebbe auspicabile un maggior coesione da parte delle donne stesse, al fine di contrastare la persistenza di un retaggio patriarcale da cui gli aguzzini (biechi individui dalle menti labili) insistono a trarre linfa vitale per i loro crimini.
Oltretutto – è impellente ribadirlo – l’assenza di empatia nei confronti delle vittime equivale spesso a tacita condiscendenza con gli aggressori.
http://www.dols.it/2017/10/26/violenza-non-voltiamo-pagina/

giovedì 26 ottobre 2017

Caso Weinstein: perché proprio non ce la facciamo a credere alle donne Reinventare narrative ignorando i fatti: un commento alla vicenda – di Chiara Baroni

Ora che il famoso produttore è stato scaricato da tutti e ha perso il suo potere, sempre più donne, più o meno celebri, si stanno facendo avanti per raccontare la loro testimonianza, per dire che sì, è successo anche a loro.
Vulture ha pubblicato la lista completa delle testimonianze (riassunte) rilasciate finora dalle donne che accusano Weinstein. Vi invito veramente a leggerla tutta (se non siete ferrati in inglese copiate tutto e mettetelo dentro Google Translate, qualcosa si perderà ma sono certa che rimarrà abbastanza da farsi un’idea). Ve lo consiglio perché sembra, come spesso succede, che dei fatti non importi molto a nessuno, e che si passi più tempo a discutere dello stato della nota opinionista su Facebook o del titolone di un pessimo quotidiano.
Si è diffusa così una narrativa che è quella del sesso in cambio di favori, sulla quale ci spertichiamo a discutere e a fare la morale, che lui è un porco, però anche loro… che vi è stato bene finché avete fatto carriera, e poi vi svegliate tutte adesso?
Ecco, questa narrativa è completamente falsa. Rinnovo l’invito a leggere nel dettaglio tutte le testimonianze: per la maggior parte dei casi si tratta di donne che lavoravano per lui, attrici, modelle e anche dipendenti della società, che si relazionavano con lui per motivi di lavoro, per motivi di lavoro si accordavano per incontrarlo. Sempre Vulture definisce questa situazione “classico scenario da molestia alla Weinstein: un incontro professionale che si trasformava in un’occasione per molestie sessuali”.
Ci si incontrava per pranzo magari, e poi si veniva portate in camera con una scusa, prendere una sceneggiatura e cose così (non stiamo parlando di un lavoro in banca, ed incontrare un produttore famoso nella privacy di una camera d’albergo non sembra così fuori dal mondo). “Oddio sono importante, Harvey Weinstein ha preso dello champagne per me! Fantastico, credo che lavoreremo molto assieme”, pensava qualcuna, come Lauren Holly, attrice canadese a cui alla fine degli anni ’90 fu consigliato di non denunciare. Oppure si ci si era accordati per un incontro per colazione ma poi Weinstein mandava a dire che aveva poco tempo e faceva dirottare le malcapitate dritte nella sua tana. O magari ci si riuniva in stanze – non solo d’albergo ma anche nella sede stessa della compagnia – con altre persone, che servivano a dare all’incontro una parvenza di professionalità, persone che però poi sparivano lasciando le vittime sole con Weinstein. Anche quella di usare altre persone, in particolare altre donne, per dare alla vittima una falsa sensazione di sicurezza, è un’altra “tipica mossa alla Weinstein”.
(Ma del resto a Harvey Weinstein non serviva neanche di rimanere da solo in una stanza, dato che c’è chi, come l’attrice Angie Everhart, racconta che il produttore cominciò a masturbarsi davanti a lei al festival di Venezia quando capitarono sulla stessa barca).
Tutto questo per spiegare che non stiamo parlando di una processione di attricette pronte a immolarsi fuori dalla sua porta in cambio di una parte, ma di un collaudato sistema di trappole, che serviva ad incastrare una donna da sola con lui in un luogo appartato per il tempo necessario ad aggredirla, con le stanze d’hotel elette a scenario prediletto perché ideali a mettere in atto il suo copione: farsi una doccia, spesso con porta aperta, per poi emergere in accappatoio, chiedere un massaggio, denudarsi, aggredire la malcapitata. Queste donne non ci sono “state”, non “gli è andata bene allora e oggi si lamentano”. Sono scappate, si sono chiuse in bagno, sono state costrette magari almeno a baciarlo sulla soglia della porta perché lui permettesse loro di uscire.
E sono andate poi avanti con la loro vita, portandosi dietro un senso di disgusto e di colpa per quello che era successo, come ben spiegato dall’attrice Cara Delevingne che, in merito alla sua esperienza, che l’ha vista fuggire dalla stanza dove il produttore l’aveva attirata per un menage a trois, racconta:
“Ho comunque ottenuto la parte e mi sono sempre sentita come se l’avessi ottenuta per quello che era successo. Da quel momento mi sono sentita uno schifo per aver preso parte al film. Mi sentivo come se non me lo meritassi. Esitavo a denunciare, non volevo ferire la sua famiglia. Mi sentivo in colpa come se avessi fatto qualcosa di sbagliato. Ero terrorizzata dal fatto che questo genere di cosa era successa a molte donne che conosco ma nessuna aveva mai detto niente per paura”.
Non stiamo parlando di favori sessuali in cambio di ruoli, ma di un uomo che ha abusato per tre, quasi quattro, decadi della sua posizione, della sua rete di influenze, per molestare qualunque donna gli aggradasse, garantendosi l’impunità per mezzo di intimidazioni, accordi di riservatezza, pressioni.
È per questo che “non hanno denunciato prima”. “Era la sua parola contro la mia”, ha dichiarato una delle tre donne che assieme ad Asia Argento e all’attrice Lucia Evans muove al produttore le accuse più serie (con loro il produttore sarebbe riuscito nel suo intento di obbligare le donne a rapporti sessuali) ma che per il momento è rimasta anonima. “Ho pensato a quanto fosse impressionante il suo team di avvocati, a quanto avevo da perdere, e ho deciso di andare avanti e basta”. La donna avrebbe continuato a frequentarlo per motivi di lavoro dopo l’incidente e ha riconosciuto che questo comportamento avrebbe fatto pensare, dall’esterno, ad un normale rapporto di lavoro. L’anonima vittima ha dichiarato al New Yorker, “Ero in una posizione vulnerabile e avevo bisogno del mio lavoro. Il mio senso di vergogna e di colpa è aumentato”.
Stiamo parlando di donne che hanno subito molestie, e che anche quando, nel migliore dei casi, sono riuscite a filarsela prima che la situazione precipitasse, se ne sono andate portandosi via un senso di disgusto e impotenza. Nel corso della loro carriera si sono trovate magari a incrociare di nuovo i percorsi con Weinstein, e a dover far finta di niente. Con i loro rifiuti si sono in alcuni casi effettivamente precluse delle opportunità e hanno danneggiato la loro carriera (come sostengono alcune di loro), o quelle dei loro compagni. O magari, se invece ottenevano un ruolo, erano costrette a sentirsi in colpa, a chiedersi se era per quello che era successo in quelle stanze.
Weinstein faceva inoltre sfoggio della sua capacità di fare terra bruciata attorno a chiunque, dava avvertimenti alle sue vittime invitandole a pensarci a fondo prima di non essere gentili con lui. Faceva notare loro come era in grado di usare la stampa per screditare chi gli si opponesse. Che è un po’ quello che sembra essere successo alla modella Ambra Battilana Gutierrez, aggredita fisicamente da Weinstein nella sede della compagnia in tempi più recenti (marzo 2015). La modella ha fatto quello che in molti invocano a gran voce: denunciare. Dopo la sua denuncia, la polizia ha registrato grazie a lei i comportamenti disgustosi del produttore, ma il procuratore ha rinunciato a procedere quando il passato della ragazza (la modella è stata anche alle famose feste del nostro ex-Presidente del Consiglio) è cominciato a venire fuori sui tabloid. Non credibile.
Quando ci chiediamo perché le vittime di abusi non si facciano subito avanti, proviamo a pensare a tutto questo. Pensiamo che lo stupro è l’unico reato per cui il processo, almeno mediaticamente (ma non sempre solo mediaticamente) si fa anche alle vittime. Pensiamo che in questo caso non solo bisognava provare che i fatti fossero realmente accaduti, ma anche mettersi contro un enorme sistema di potere che aveva le capacità di zittire le vittime e relegarle ai margini. Certo, se il sistema si è tenuto in piedi fino ad oggi è anche per la fortissima omertà che lo ha protetto, ma tra tutte le persone che hanno taciuto, mi rifiuto di scaricare la responsabilità sull’anello più debole di quella catena, che sono appunto le vittime, contro le quali invece l’opinione pubblica è stata più vocale, nel rimproverarle e zittirle, ancora una volta.
La risposta al perché hanno scelto di non denunciare dunque in realtà non è difficile da trovare a volerla cercare, e basterebbe leggere le testimonianze dirette delle donne coinvolte per farsi un quadro della situazione, prima di sparare sentenze. Le vittime avevano tutto da perdere nell’attaccare un sistema di potere come quello di Weinstein, e ad affrontare l’abuso davanti al mondo. Un mondo che è sempre veloce ad accusare chi si fa avanti di essere in cerca di soldi o fama, a far loro il terzo grado sulla loro vita sessuale, sul loro passato.
Ciò che sta succedendo in questi giorni sui social, e purtroppo anche su quotidiani nazionali, dove è scattata la gara ad esprimere giudizi, a fare la battuta più salace e prendere più like, dimostra quanto questo meccanismo sia stato ancora una volta perfettamente funzionante. Quello che è accaduto è esattamente quello che le vittime temevano: poca attenzione come sempre all’aggressore, tutta per le vittime. Per le loro motivazioni, per non aver denunciato prima, subito, per non essersi sapute imporre. Per le loro scuse, e i nostri rimproveri, che “ti è andata bene perché ci hai guadagnato”, ignorando evidentemente cosa siano le dinamiche di potere e quali fossero quelle in atto.
A questo proposito, come si diceva, la testimonianza di Asia Argento è una delle tre che fanno riferimento agli episodi più gravi e deplorevoli denunciati finora, ed è anche quella che, per il fatto di trovarsi nella zona più “moralmente grigia”, ha attirato maggiormente lo scherno, la derisione e la ferma condanna della Gente, ma pure dei giornalisti (alcuni) e le opinioniste (sic) che ci tengono a ricordarci che non è così che ci si comporta, o almeno loro non avrebbero fatto così.
L’attrice ha parlato, nega di avere intrattenuto una relazione con il produttore, ammette di non averlo denunciato per non inimicarselo, per non danneggiare la sua carriera. Parla della difficoltà nell’elaborare il suo senso di colpa per non essersi saputa opporre, per non essersi saputa difendere e per esserci ricascata alcuni anni dopo. E perché non dovremmo crederle? E se anche non fosse tutto esattamente come dice lei, se nella sua versione della storia qualche angolo fosse un po’ smussato, per uscirne meglio, sentirsi meno responsabile per quello che è accaduto, cancellerebbe il fatto che quello che ha subito è un grave abuso che le ha evidentemente segnato la vita?
È il momento di cominciare ad esercitare un po’ di empatia, di smettere di esprimere giudizi sferzanti, e cominciare seriamente ad ascoltare le vittime di abusi, per costruire un clima in cui denunciare sia veramente una scelta praticabile, senza che alla vergogna e alla colpa che ci si porta dietro, e che i carnefici come Weinstein abilmente sfruttano per rimanere impuniti, si aggiunga il giudizio sferzante della società.
Asia Argento non è una vittima che piace. Fa antipatia, è “ricca e famosa di famiglia”, non ricalca la narrativa della vittima ideale, non è una Santa Maria Goretti che si immola per lavare l’onta e che con il suo sacrificio salva se stessa e il suo aggressore. È una donna molto più reale, in un mondo reale, che come spesso succede, non solo alle attrici, col suo aggressore ha dovuto continuare a convivere, venire a patti, senza poterlo escludere totalmente dalla sua vita. Gli aggressori non sono sempre sconosciuti in vicoli bui, nella maggior parte dei casi sono nelle nostre case, o nei nostri uffici. La realtà non è sempre bianca o nera, e illuminare quella zona grigia che sta nel mezzo può portare alla vista cose non belle, che magari avremmo preferito non vedere, ma che nondimeno esistono. Sarebbe più facile prendere le parti di vittime con cui si può empatizzare maggiormente, più simpatiche, meno compromesse, più palesemente vittime insomma. Ma poi nella realtà queste vittime non esistono quasi mai, si trova sempre un po’ di colpa da addossare loro, c’è sempre qualcosa da mettere in dubbio nelle loro storie.
Ma magari dice così perché si è pentita di esserci stata e ora denuncia…
Lui ha fatto male, ma lei non era certo una santa…
Prima c’è stata e ora lo accusa perché vuole i suoi soldi… o fama, attenzione, e così via.
Basta. Facciamo uno sforzo: quando una donna (e in generale una vittima), trova il coraggio di riportare un abuso, ascoltiamola.
https://cavecanem2017.wordpress.com/2017/10/19/caso-weinstein-perche-proprio-non-ce-la-facciamo-a-credere-alle-donne/

mercoledì 25 ottobre 2017

Guardatele negli occhi: sono le donne che hanno inchiodato il potere che violenta

Eccole: una per una. Hanno inchiodato il signore di Hollywood, Weinstein. E dopo il cinema ha iniziato a tremare il mondo dello sport, della politica. E la denuncia è diventata liberazione

Le donne che hanno denunciato  Weinstein nella foto del Guardian

  Le donne che hanno denunciato  Weinstein nella foto del Guardian

Ci hanno messo la faccia. Quella volta che le donne non hanno avuto paura e ci hanno messo nome e cognome il mondo del cinema ha tremato, il mondo dello sport si è ritratto, il mondo della politica è sobbalzato. Harvey Weinstein non è un caso isolato. Ora il vaso si è rotto. E le ripercussioni non si fermano. Un'onda. Scrive il Guardian in un interessantissimo articolo firmato da Gaby Hinsliff: "Il re dei film ilm si trova ad affrontare le indagini di polizia in due differenti paesi, deve rispondere di accuse di stupro, deve fare i conti con la fine del suo impero commerciale dopo che decine di attrici e assistenti si sono presentate per denunciarlo. Ma le increspature di questi sassi buttati nel mare del silenzio, della complicità, dell'indifferenza non si sono fermate con le denunce di Angelina Jolie, Gywneth Paltrow o Lupita Nyong'o. E' una partita gigantesca, globale. Sotto accusa non c'è solo l'industria cinematografica e televisiva, ma il mondo della moda, della musica, dello sport. Sconvolgente la dichiarazione della ginnasta americana McKayla Maroney che ha denunciato un ex medico di squadra di averla ripetutamente molestata dall'età di 13 anni".
Secondo il Guardian, tra le giornaliste americane girava privatamente una specie di foglio Excel con i nomi degli uomini "di potere" da evitare. Poi, però, dopo le mail, i whatsapp, i messaggini privati finalmente le donne ci hanno messo la faccia, come sappiamo. In Italia sui social con l'hashtag #quellavoltache, a sostegno anche di Asia Argento, attaccata frontalmente e purtroppo non solo dai media più conservatori, nel resto del mondo con un'altra parola chiave - #metoo - usata per la prima volta da Tarana Burke, attivista afro-americana, e rilanciata in queste settimane dall'attrice Alyssa Milano, e ritwittato mezzo milione di volte in sole 24 ore.
Non solo Harvey Weinstein, purtroppo. C'è il produttore canadese Gilbert Rozon, ci sono giornalisti compiacenti come l'ex conduttore di Fox News Bill O'Reilly e rockstar che cadono dal pero, c'è l'allenatore e c'è il politico (e in Italia di politici satrapi ce ne intendiamo). L'ultimo della serie è il regista James Toback: lo hanno denunciato trenta giovani attrici. E chissà quanti altri arriveranno se perfino il commissario europeo per l'uguaglianza di genere, Věra Jourová, ha dichiarato a Bruxelles di essere stata vittima di una violenza sessuale , aggiungendo: "Non tenetelo come un segreto. Non abbiate paura di dirlo ".
Forse una nuova consapevolezza è ora, è qui, sta crescendo come un'onda che non si ferma per un sasso scagliato. Guardatele queste donne. Hanno volti, hanno nomi e cognomi, spesso sono star e non hanno bisogno di luci o di clamori. Hanno detto #metoo o #quellavoltache. Ci hanno messo la faccia per le bambine di oggi, di domani, per un futuro di parità dove nessun essere umano prevarichi l'altro solo perché ha più potere, più soldi, più fama.