domenica 23 dicembre 2018

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Un Natale ed un Anno Nuovo carichi di diritti

L'anno che sta per concludersi, il settantesimo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ci ha viste impegnate nella difesa dei Diritti conquistati faticosamente  da noi donne italiane.

Ci siamo occupate
- di difendere la legge 194,
- di contrastare il Ddl Pillon,
- delle braccianti agricole migranti e italiane sfruttate, abusate e violentate,
- della violenza in rete,
- del modello di accoglienza sperimentata dal Sindaco Mimì Lucano a Riace.

Accoglieremo l'anno nuovo intonando il canto “Combattente” di Fiorella Mannoia e vi aspettiamo per continuare a combattere contro le ingiustizie e per la diffusione dei “diritti, uguali e  inalienabili, che costituiscono il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”.
e per cantare con noi Combattente clicca sul link  https://youtu.be/2eX0nTuFwRI

Buone feste e serenità a tutte le donne e a tutti gli uomini del mondo soprattutto a coloro che vivono senza pace, senza diritti e senza dignità.

Buon Natale e felice Anno Nuovo.

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sabato 15 dicembre 2018

Cosa ci insegna il femminismo del Kurdistan di Alessia Ferri

Nel libro Curdi di Rosemberg & Sellier un capitolo scritto dalla giornalista Antonella De Biasi affronta il tema dell’emancipazione femminile in un lembo di terra tutt’altro che amico se si è nate femmine.

C'è una ragazza in una prigione turca che dipinge con il proprio sangue mestruale. Il suo nome è Zehra Dogan e sua colpa è aver realizzato un dipinto per denunciare la violenza e i soprusi perpetuati sul popolo curdo dal governo di Recep Tayyp Erdogan. Giornalista, pittrice e attivista del Pkk, il Partito curdo dei lavoratori, considerato un'organizzazione terroristica da Turchia, Stati Uniti e Unione europea, sta pagando con la propria libertà la volontà di non chinare la testa di fronte al regime. La sua è una delle storie più eclatanti di resistenza femminile all'oppressione ma non è la sola, visto che la Turchia è la nazione al mondo con più giornalisti incarcerati (anche più della Cina) e che la maggior parte di loro sono donne. A raccontarle è la giornalista Antonella De Biasi, autrice insieme a Giovanni Caputo, Kamal Chomoni e Nicola Pedde del libro Curdi, edito da Rosemberg & Sellier.

LE DONNE TURCHE MADRI DELLE MODERNE GUERRIGLIERE SIRIANE
In particolare Antonella ha approfondito la centralità della figura femminile nell'evoluzione della società patriarcale di questa etnia, concentrandosi sulle curde della Turchia. «Si parla molto delle guerrigliere siriane che hanno combattuto contro il sedicente Stato Islamico ed è giusto perché queste ragazze hanno messe in gioco la vita per difendere i diritti del proprio popolo, diventando protagoniste di una grande rivoluzione, femminile e non solo», spiega l'autrice, «Tuttavia pochi sanno che le loro azioni sono figlie di una battaglia portata avanti dalle donne delle generazioni precedenti, soprattutto turche».

LA RIVOLUZIONE FEMMINILE TURCA DEGLI ANNI OTTANTA
I curdi sono un gruppo etnico che vive nella zona settentrionale e nord-orientale della ex Mesopotamia, in un'area che comprende parti di Iran, Iraq, Siria, Turchia e in misura minore Armenia. La nazione che ne ospita il maggior numero è la Turchia, dove le donne hanno iniziato a far sentire la loro voce dopo il duro colpo di stato del 1980, che ha messo in carcere tanti oppositori quasi tutti di etnia curda appunto. «Con molti uomini dietro le sbarre le donne si sono rimboccate le maniche dando vita a una rivoluzione femminista giunta fino a quella delle guerrigliere che oggi in Medio Oriente sembrano talmente libere da essere associate al movimento #metoo». Giovani, alcune giovanissime attorno ai 16 anni, nonostante la società ancora patriarcale combattono appoggiate dai genitori (perché nei gruppi non sono ammessi uomini quindi la loro verginità è assicurata) con la sfrontatezza tipica dell’età ma anche con la consapevolezza che quella dell'emancipazione femminile per le curde sia una partita tutt'altro che vinta.

L'ERA ERDOGAN: BOOM DI DELITTI D'ONORE E SOPRUSI
«In Turchia col tempo le cose erano un po' migliorate e anche durante i primi anni di Erdogan al potere sembrava si stesse andando verso una sempre maggiore apertura visto che il dittatore si era presentato con l'abito del liberale e aveva dichiarato di voler stipulare la pace con i curdi. Dopo il fallito colpo di stato del 2013 le cose però sono peggiorate drasticamente e i curdi sono tornati ad essere i primi nemici, tanto che molti sono stati incarcerati senza motivo». Tra loro come sempre tante donne, costrette a subire ogni tipo di sopruso, in cella così come nella società civile, dove oggi sono aumentati vertiginosamente i delitti d'onore e sono all'ordine del giorno matrimoni combinati con spose al di sotto dei 18 anni, violenze domestiche, femminicidi e violenze sessuali. «Molte ragazze vittime di stupro denunciano ma oltre all'umiliazione di essere additate come provocatrici e parziali colpevoli, devono subire quello delle pene, spesso ridicole. Ricordo un episodio in cui uno stupratore venne condannato a dire cento preghiere».

IL PATRIARCATO ASSOLUTO DI IRAN E IRAQ
E quella turca, paradossalmente, è la situazione migliore perché in altre zone la questione femminile è ancora lontanissima dall'essere anche solo presa in considerazione. «Delle curde irachene e delle iraniane sappiamo pochissimo perché vivono in comunità governate dalla legge della sharìa che, nonostante nelle scritture del Corano non ve ne sia veramente traccia, vuole la donna sottomessa. Sono zone in mano a clan maschili dove le donne sono ancora schiacciate e ridotte a oggetti in mani altrui». Un giorno anche loro vedranno l'alba di una nuova primavera scandita al ritmo di un girl power consapevole e determinato, come hanno già fatto le ragazze turche e della Siria.

LA COMUNE FEMMINISTA NEL ROJAVA: IL SIMBOLO DELLA RINASCITA SIRIANA
Qui adesso, come racconta Antonella De Biasi, nonostante la strada verso la piena emancipazione sia ancora lunga, per nulla confortevole e piena di polvere e insidie, esiste una piccola oasi di speranza per un futuro più libero: il villaggio di Jinwar. Nell'area desertica del Rojava nel Kurdistan siriano è nata infatti una comunità autogestita di sole donne, una sorta di casa famiglia organizzata come un vero e proprio borgo, dove ogni ospite si sente tutelata e libera di esprimere se stessa senza limiti né giudizi. Una piccola comune femminista dove convivono vedove, ragazze madri, ripudiate dalle famiglie e molte altre, nata a pochi chilometri da Qamishli, in un’area fino a poco fa dominata dalla brutalità maschile che viveva all’ombra dell'Isis e dove migliaia di donne furono rapite dagli jihadisti per essere fatte schiave sessuali, prima di imbracciare elle stesse le armi e iniziare a combattere per liberarsi. Un luogo di rinascita, dunque, voluto proprio da molte di loro e dall'intento dichiarato fin dal nome visto che la parola Jin in curdo significa sia vita che casa. «Mi sembrava giusto raccontare queste ragazze che si aiutano a vicenda a prescindere dalla nazione di provenienza, che non hanno paura né della guerra né del carcere, e che stanno portando avanti una battaglia di emancipazione nella sostanza non molto diversa da quella che ha visto come protagoniste le nostre nonne, non dimentichiamo che il delitto d'onore in Italia è stato cancellato solo nel 1981», conclude l’autrice. Una via curda al femminismo, dunque, della quale sentiremo parlare ancora a lungo.
https://www.letteradonna.it/it/articoli/conversazioni/2018/12/10/donne-curde-combattenti-de-biasi/27291/?fbclid=IwAR3YqVxRzziqdcGozq9bldra5vJb_D-7M6Ce-2tfR4AkOf-zkEbcucnghhY

venerdì 14 dicembre 2018

Amalia Ercoli-Finzi: "Alle bimbe regalate bambole e meccano, così sono diventata la signora delle comete" di Cristina Nadotti

Fa un appello alle ragazze: "Studiate ingegneria, non è solo da uomini"
Due minuti al telefono e di Amalia Ercoli-Finzi ci s'innamora. A 80 anni la prima ingegnera aerospaziale in Italia, la direttrice del progetto Rosetta per lo studio delle comete, ha il piglio travolgente di una giovane donna che cavalca il futuro.

"Fa bene il Politecnico a sensibilizzare le ragazze alla scelta consapevole di corsi di studio in scienza, tecnologia, ingegneria e matematica - dice Ercoli-Finzi - ma purtroppo non è un problema soltanto italiano. Le donne vanno ancora incoraggiate ovunque".

- Come?
"Fin da piccole, ben prima dell'iscrizione all'università. Già da ragazzine devono essere consapevoli che nessuna strada è loro preclusa. Per aiutarle bisogna eliminare gli stereotipi, perché le barriere sono soprattutto di tipo culturale, se non si iscrivono a facoltà scientifiche non dipende certo dalle loro capacità".

- Ci fa un esempio di come superare il problema culturale?
"Sarà banale, ma a una bambina va regalato un meccano insieme a una bambola, vanno aboliti tutti gli stereotipi di genere, si deve iniziare da lì".

- In passato ha raccontato di essere un'ingegnera nata, e che da piccola smontava le biciclette. La sua famiglia la lasciava fare?
"Per niente, non me lo lasciavano fare, ma io mi sono imposta ( ride di gusto, ndr). Comunque questo della scoperta e della curiosità è un discorso che vale anche per i ragazzi: bisogna lasciare che maneggino le cose, che le rompano per poi riaggiustarle. Purtroppo oggi c'è il concetto che per avviare qualunque macchinario basti schiacciare un bottone, invece bisogna incoraggiare bambine e bambini a sperimentare come funzionano le cose, aprendole e magari rompendole. Io facevo così e mi avanzava sempre qualche pezzo".

- Ha parlato della sua determinazione, ma quanti sono gli ostacoli per le donne in campo scientifico?
"Tanti, la tecnologia è l'ultima roccaforte degli uomini, sono sospettosi nei confronti delle ragazze che vogliono passare la soglia. Bisogna educarli, far loro capire che ostacolando le donne ostacolano il cammino della scienza".

- E quando le donne riescono a entrare nelle roccaforti maschili che succede?
"Succede che sono brave. Ritorno al punto di partenza, è indispensabile renderle coscienti fin da piccole delle loro possibilità, non sminuire i loro talenti".

- La scuola dell'obbligo è attrezzata per farlo?
"Guardi, preferisco sottolineare che le famiglie hanno un compito importante in questo senso, devono capire che sostenendo le ragazze nelle loro aspirazioni possono fare la loro felicità".

E chiosa con voce squillante: "Sono ottimista, sa, le cose stanno cambiando in fretta, lo vedo ovunque. Le donne sone sempre più sicure nelle loro scelte perciò andrà di sicuro meglio, non c'è modo, per fortuna, di tornare indietro".
https://www.repubblica.it/scienze/2017/11/07/news/amalia_ercoli-finzi_alle_bambine_regalate_le_bambole_e_il_meccano_cosi_io_sono_diventata_la_signora_delle_comete_-180471033/?fbclid=IwAR0hJEnUadM1O6TnC8aDQVC5IojIHPd2Qa8xfxYsA7Cx6GM13XWDkLB4qHQ

mercoledì 12 dicembre 2018

Left candida il comune di Riace al premio Nobel per la Pace

Siamo una rete di organizzazioni della società civile, Ong e Comuni che vogliono promuovere una Campagna a favore dell’assegnazione del premio Nobel per la pace 2019 a Riace, il piccolo Comune calabrese che invece di rinchiudere i rifugiati in campi profughi li ha integrati nella sua vita di tutti i giorni. Riace è conosciuta in tutta Europa per il suo modello innovativo di accoglienza e di inclusione dei rifugiati che ha ridato vita ad un territorio quasi spopolato a causa dell’emigrazione e della endemica mancanza di lavoro. Le case abbandonate sono state restaurate utilizzando fondi regionali, sono stati aperti numerosi laboratori artigianali e sono state avviate molte altre attività che hanno creato lavoro sia per i rifugiati che per i residenti.

Nel 2018 il Sindaco di Riace, Domenico Lucano, è stato arrestato, poi rilasciato, sospeso dalla carica e infine esiliato dal Comune con un provvedimento di divieto di dimora per “impedire la reiterazione del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. Un provvedimento che rappresenta un gesto politico preceduto dal blocco nel 2016 dell’erogazione dei fondi destinati al programma di accoglienza e inserimento degli immigrati, che lasciò Riace in condizioni precarie.

Gli atti giudiziari intrapresi nei confronti del Sindaco Lucano appaiono essere un chiaro tentativo di porre fine ad una esperienza che contrasta chiaramente con le attività dei Governi che si oppongono all’accoglienza e all’inclusione dei rifugiati e mostrano tolleranza in casi di attività fraudolente messe in atto nei centri di accoglienza di tutta Italia e in una Regione dove il crimine organizzato – non di rado – opera impunemente.

Supportare la nomina del Comune di Riace per il Nobel della pace è un atto di impegno civile e un orizzonte di convivenza per la stessa Europa.

Link al Modulo online per le aderire come organizzazione
https://drive.google.com/open?id=1XAMQJQAbP0mEgkqvBmIbXQWqfcAQClwSsXMNGuyfP-0

Link al Modulo online per aderire come privato cittadino
https://drive.google.com/open?id=1mBGI0d5DsfOgMG3g2FR_sfAha1At1G68maqySAWsXW0
Grazie

Il Comitato promotore:
Rete dei Comuni Solidali; Municipio VIII Roma; Comunità di base San Paolo; Left; ARCI Roma, Comuni Virtuosi; CISDA, Noi siamo Chiesa, ISDE, Festival “Roma incontra il mondo” 2019

https://left.it/2018/12/05/left-candida-il-comune-di-riace-al-premio-nobel-per-la-pace/





domenica 9 dicembre 2018

Ecco perché il governo ha fatto una "bastardata" contro gli orfani di femminicidio

La parola che ho pronunciato ieri di solito non appartiene al mio linguaggio, eppure è salita spontanea alle labbra
Mara Carfagna Deputata di Forza Italia, vicepresidente della Camera

Talvolta certe parole vengono direttamente dal cuore, e dalla rabbia. La parola "bastardata" che ho pronunciato ieri di solito non appartiene al mio linguaggio, eppure è salita spontanea alle labbra quando la Commissione Bilancio della Camera ha respinto il mio emendamento alla manovra economica per istituire un fondo di 10 milioni di euro a sostegno delle famiglie affidatarie dei bambini orfani di femminicidio, gli zii, i nonni, i parenti che crescono questi piccoli dopo la tragedia.

E allora ho giurato che questa storia non finisce qui. Non mollerò, andrò fino in fondo. Lo dobbiamo agli orfani e lo ho promesso a Renato, a Agnese, a Stefania, a tutti quelli che mi hanno raccontato la loro storia. Sono sicura che il mio partito ripresenterà questa proposta, ma oso persino dire che non mi interessa chi lo farà, anzi spero che saranno tanti, perché su questi temi abbiamo ottenuto i migliori risultati quando abbiamo trovato un accordo in nome dei valori più alti, oltre gli schieramenti.

E voglio proprio guardare in faccia uno a uno quelli che avranno di nuovo il coraggio di votare contro o di voltarsi dall'altra parte. Perché le famiglie si trovano in una estrema necessità e hanno diritto a questo denaro. Perché un bambino che ha visto la madre uccisa dal padre è traumatizzato, sconvolto, ha bisogno di cure lunghe e costose, di accudimento costante e di assoluta dedizione.

Ho conosciuto una nonna che non può più andare al lavoro, perché le sue nipotine vogliono stare solo con lei. Come può mantenerle?
Ho raccolto lo sfogo di una zia che non può lasciare solo il nipote superstite un istante.

Questa gente eroica si è rivolta al mio ufficio, qui alla Camera. Sono arrivate lettere, telefonate, richieste di soccorso, ho ascoltato parole che tolgono il fiato e colmano di indignazione. Per questo il 21 novembre, quando abbiamo lanciato da Montecitorio la campagna #nonènormalechesianormale contro la violenza sulle donne, ho pregato nonno Renato di venire a testimoniare in prima persona, e lui lo ha fatto con coraggio e dignità ammirevoli.

Il signor Renato cresce i nipotini con sua moglie dopo il femminicidio della loro giovane figlia, l'assassino sorprese la madre e i bambini davanti alla porta di casa e sua figlia non ebbe scampo. I figli la videro nel sangue prima che il grande riuscisse a portar via la sorellina e fuggire dalla vicina per chiedere aiuto. Come tante altre donne, la figlia del signor Renato aveva denunciato sette mesi prima di essere uccisa, ma lo Stato non ha saputo salvarla e questa è un'altra ragione di giustizia per cui i suoi figli e i suoi genitori hanno diritto a un fondo: nonostante le leggi, lo Stato non è riuscito a difenderle.

Il signor Renato ha raccontato come stanno i suoi nipotini alla Sala della Lupa:
"Servono medicine per farli dormire perché dormire è un tormento. Riescono a prendere sonno soltanto abbracciati a mia moglie, tutti e due. Li spaventa ogni rumore, ogni persona adulta che si avvicina, anche se con il tempo stanno lentamente migliorando. Sono terrorizzati dall'idea che un giorno il loro papà possa ripresentarsi perché vivono nella certezza che voglia tornare per ucciderli".

Come si fa a non provare un dolore profondo, una solidarietà piena? Ho sentito il dovere di intervenire subito, di scrivere un emendamento alla Manovra per creare un fondo dedicato, mi sono appellata a tutti i miei colleghi perché si trovasse un consenso trasversale intorno a questa proposta di civiltà.

Invece il cinismo e l'indifferenza hanno prevalso, ma io credo che alla fine non vinceranno.
https://www.huffingtonpost.it/mara-carfagna/ecco-perche-il-governo-ha-fatto-una-bastardata-contro-gli-orfani-di-femminicidio_a_23610453/?fbclid=IwAR0fN_PeU2Xs0HjQ0FLSPVn3hxZ8yu6AugLiXghw7cpJadRAQCjehbgThAc

GRAZIE

Grazie a Manuela Ulivi e  a Alessio Miceli che ci hanno spiegato con molta chiarezza la proposta di legge Pillon e la sua ricaduta sulla libertà dei bambini e delle bambine. ragazzi e ragazze e sulle donne tutte

Grazie alle donne e agli uomini intervenuti che con i loro interventi hanno reso la serata interessante e hanno aiutato a capire meglio questo argomento 

giovedì 6 dicembre 2018

Manovra, niente soldi per gli orfani dei femminicidi. Carfagna attacca: "Bastardata del governo"

 Mara Carfagna, vice presidente della Camera ed esponente di Forza Italia, all'attacco del governo e delle scelte in materia di legge di Bilancio dopo la bocciatura della proposta di destinare 10 milioni di euro al supporto delle famiglie che si prendono cura dei bambini che hanno perso la madre perché uccisa dal partner.

"Movimento 5 stelle e Lega hanno trovato soldi per tutto: detassare i massaggi e i trattamenti di bellezza negli hotel, consentire ai turisti di fare shopping con 15 mila euro in contanti e far costare meno la birra prodotta nei birrifici artigianali. Promettono soldi a pioggia col reddito di cittadinanza, assumono "navigator", ma non sono riusciti a far spuntare 10 milioni di euro per le famiglie che si prendono cura degli orfani di femminicidio, delle migliaia di bambine e bambini che hanno spesso assistito all'assassinio della madre da parte del padre. E' una vergogna che tradisce tutti gli impegni pubblici presi dai partiti della maggioranza", l'accusa della parlamentare Fi.


Il mancato recepimento dell'emendamento delude anche Stefania Mattioli, socia fondatrice del Rebel Network e destinataria dell'affido delle figlie, di 4 e 6 anni, della figlia Claudia, vittima di femminicidio. "La verità è che gli orfani di femminicidio e le famiglie che si occupano di loro sono lasciati soli dallo Stato. Non ci sono ancora gli strumenti burocratici per attingere ai miseri 3 milioni stanziati dal precedente governo e quello attuale sembra molto più impegnato negli slogan che su misure concrete", il suo commento. "Quello che so io sulla pelle mia e delle bambine di mia figlia Claudia, vittima di femminicidio, è che con le chiacchiere non si aiuta nessuno". Mattioli ringrazia Carfagna e si domanda "come possano guardarsi la mattina allo specchio tutti i parlamentari che hanno rifiutato l'inserimento di questo emendamento".
https://www.repubblica.it/economia/2018/12/05/news/manovra_niente_soldi_per_gli_orfani_dei_femminicidi_carfagna_attacca_bastardata_del_governo_-213485869/?fbclid=IwAR1JVW6yMPJGTYmIfMJaBRARiPcuKSEQDAzex2i0XFaMkl4zC2LK5Vbgvcc

martedì 4 dicembre 2018

Non Una di Meno, voci maschili nella marea femminista di Giansandro Merli e Natascia Grbic

Al corteo femminista contro la violenza maschile sulle donne erano presenti anche degli uomini. E ci hanno spiegato i motivi per cui hanno deciso di partecipare

«Tu a questo corteo non ci dovresti stare proprio».
«Perché sono un uomo?».
«No, non per quello. Perché se non riesci a capire e ad accettare che la testa la tengano le donne è inutile che vieni».
Il botta e risposta è estratto da un video di oltre 3 minuti che repubblica.it dedicò lo scorso anno alla manifestazione di Non Una di Meno del 25 novembre. Le immagini si riferivano a un unico episodio: quello di un ragazzo che pretendeva di stare in testa al corteo, nell’unico spezzone che vedeva invece protagoniste e in prima linea i centri antiviolenza. La richiesta del ragazzo era evidentemente fuori luogo,  indelicata e irrispettosa verso donne che hanno intrapreso percorsi di uscita da abusi e violenze.
Il fatto, comunque, era quasi insignificante nell’economia di quell’enorme mobilitazione che portò in piazza decine di migliaia di donne e uomini sui temi del piano femminista contro la violenza maschile sulle donne. Resta quindi il dubbio su quale dei diversi attori coinvolti abbia fatto la figura più magra: a) il maschietto che non riusciva proprio a spiegarsi perché, per una volta, non poteva prendere la testa di un corteo che evidentemente non aveva neanche aiutato a costruire; b) il giornale che aveva voluto trasformare uno scambio di battute in una notizia scandalistica da home page, con un video voyeuristico di pochi secondi più breve di quello che la stessa testata aveva dedicato alla copertura di tutta la manifestazione.
Comunque, dietro il primo spezzone aperto da donne e soggettività lgbt*qia+, la partecipazione maschile ai cortei di Non Una di Meno è sempre stata ricevuta positivamente. «Dopo tre anni possiamo vedere che anche gli uomini, a modo loro, sono parte di questo movimento – racconta Ambra, attivista di NUDM – In tanti sono entrati nei collettivi locali o in quelli delle scuole, sostengono l’attivismo delle ragazze e discutono insieme. È un segnale positivo».
Anche nel corteo di sabato scorso hanno sfilato tantissimi uomini. Una componente minoritaria, ma presente e caratterizzata da una forte intergenerazionalità. Con tutte le differenze che questa comporta. «Manifestare oggi non è un’esigenza mia personale – dice Beppe, 57 anni, insegnante a Padova – È un’esigenza politica. Bisogna contrastare le misure di questo governo che creano muri e scavano fossi». Francesco di anni ne ha 40 e lavora in televisione, a Roma: «Condivido le istanze di questo corteo. Sono un paio d’anni che leggo le cose che Non Una di Meno esprime in vari contesti. In quanto uomo non so, ma in quanto “me” sono molto d’accordo sulle posizioni del movimento». «È già il terzo anno che partecipo a questa manifestazione – racconta Alessio, informatico genovese di 34 anni – Dalle donne che conosco ascolto storie costanti di violenze subite. Non mi sarei sentito la coscienza a posto rimanendo a casa». Nicola, studente di fisica al quarto anno, università La Sapienza: «Sono venuto in piazza perché sostengo il movimento femminista. È una questione centrale al giorno d’oggi. Anche come maschi ci riguarda molto. Il modello maschilista fa male anche a noi. O almeno, personalmente sento che mi hanno inculcato fin da piccolo dei modelli di uomo e donna che mi creano problemi in prima persona. È una lotta che è giusto portare avanti per tutta la società».
Forse più di altri movimenti del passato recente, Non Una di Meno sembra avere la capacità di incidere nella vita quotidiana, sul piano dell’immaginario, della ricezione dei modelli culturali e dei dibattiti in tv e social network. Ma anche su quello delle relazioni interpersonali e della costruzione dei modelli di comportamento dentro i rapporti affettivi. Alessio: «Più che il movimento, credo mi abbiano cambiato le singole donne che ne fanno parte. Hanno influenzato il mio modo di affrontare le relazioni. Mi sento più consapevole dei miei comportamenti, quando faccio o dico cose maschiliste penso di riuscire a rendermene conto prima. È un piccolo passo». Francesco, studente universitario ventunenne: «Non Una di Meno si è posta in modo aperto. Alcune lotte femministe del passato sono state per certi versi escludenti. Mentre questo movimento ha fornito anche agli uomini strumenti nuovi di partecipazione politica». «Quando ero più ragazzino e non riflettevo su certe cose, davo per scontato le dinamiche del rapporto uomo donna – dice ancora Nicola – Un movimento come Non Una di Meno fa riflettere, migliorare e aiuta a mettersi in discussione».
Claudio ha 60 anni, fa l’educatore e ha in testa una metafora avvincente: «Gli uomini dovrebbero rifiutare l’idea di essere gli addetti a difendere la casa e procacciare il cibo. Dovrebbero vivere di più la quotidianità e il senso di cura. Ho lavorato per il servizio civile e il servizio civile, che viene dalla non violenza, trasforma la “difesa” in un’idea di cura, di prendersi cura del bene comune. Penso che questo grande cambiamento, che rivede il ruolo della polizia e l’idea della sicurezza, stia in qualche modo anche dentro le rivendicazioni delle donne».
E gli uomini, oltre a sfilare in corteo, cosa dovrebbero fare negli altri 364 giorni dell’anno? Dice Francesco: «C’è un po’ il rischio di definire l’uomo in base alla violenza, cercando spiegazioni biologiste. Sicuramente la violenza c’è perché è concessa, normalizzata e quindi spesso neanche si vede. Rispetto agli esiti più violenti, come il femminicidio, credo nascano dall’incapacità di gestire le frustrazioni. È il patriarcato che ti mette nella posizione di non poter dialogare da pari a pari. Io nel mio piccolo cerco di parlare, ma sono abbastanza convinto che dai 40 anni in su siano tutti più o meno irrecuperabili. Bisogna partire dai giovani». «Dobbiamo sforzarci di pensare dei modelli di parità nella vita quotidiana – afferma Luigi, 23 anni, studente di fisica – Non penso tanto a noi giovani a cui viene anche un po’ naturale. Penso a mio padre, in cui osservo dinamiche di un certo tipo, anche se non sono volute. Ad esempio: non l’ho mai visto cucinare. Io mi comporto molto da donna in queste cose. Non perché lo voglia fare, ma perché ci sono dei ruoli, delle diversità, che vanno conservate. Ma non queste, non le distinzioni dei ruoli di casa».
Alessio e Nicola sono d’accordo su un punto di partenza possibile. Alessio: «Gli uomini dovrebbero prima di tutto parlare ad altri uomini e non stare zitti. Anche a costo di essere derisi o visti male. Discutere, riflettere e poi far notare tutte le battute, le frasi e gli atteggiamenti sessisti». Nicola: «Iniziare a parlarne tra di noi, sentire che c’è un problema».
https://www.dinamopress.it/news/non-una-di-meno-voci-maschili-marea-femminista/?fbclid=IwAR2wmRt6YneHgWBw_6ulVVTK7iLWpBpzKkUTfpb0Uh6LCHqmx-71QwYhBg0

lunedì 3 dicembre 2018

Alessandra Schilirò ci spiega come riconoscere la violenza sulle donne di Melissa Aglietti

Vice questore, ha diretto la quarta sezione della squadra mobile di Roma, che si occupa di reati sessuali. Ne ha scritto nel libro Soli nella notte dell’anima.
 
«L’amore è il primo fattore chiamato in causa dagli uomini in caso di femminicidio. Ecco perché è necessario diffondere una cultura che insegni a essere liberi di esprimere ciò che si è, nel rispetto dell’altro. Ed educare all’amore, quello vero». Nunzia Alessandra Schilirò, vice questore aggiunto in servizio all’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, ha diretto per quattro anni la squadra mobile di Roma, occupandosi di alcuni dei reati sessuali che più hanno sconvolto l’opinione pubblica. Nel suo libro Soli nella notte dell’anima – Come reagire alle molestie in casa, al lavoro, per strada (edizioni Imprimatur) raccoglie i frutti del suo lavoro sul campo a fianco delle vittime. «Non potevo permettere che la mia esperienza rimanesse sterile. Volevo condivisione». Un manuale che si rivolge non solo a chi subisce abusi e molestie, ma anche a chi si trova ad assistere a episodi di violenza e a maltrattamenti come semplice spettatore, con esempi tratti da storie vere, strategie da seguire e consigli pratici. Suggerimenti che il vice questore continua a diffondere anche attraverso la sua pagina Facebook. «Voglio essere utile a tutti. Anche a chi non posso aiutare direttamente».
DOMANDA: Come si riconosce la violenza?
RISPOSTA: Secondo la Convenzione di Istanbul, può essere di natura fisica, sessuale, economica o psicologica. Spesso, però, è difficile dimostrare di avere a che fare con un caso di violenza.
Perché?
Ad esempio, secondo il nostro Codice penale, la violenza sessuale si presenta ogniqualvolta si cerchi l’appagamento sessuale con la minaccia, l’abuso di autorità o la forza fisica. Ma, da questo punto di vista, rimangono escluse una serie di dinamiche. Mi auguro che anche l’Italia si adegui ad altri Paesi europei: dovrebbe bastare la mancanza di consenso per considerare un rapporto sessuale un reato.
L’abuso psicologico, invece, dove comincia?
Ogni volta che un uomo non solo pretende di essere il nostro mondo ma ci isola dagli altri perché «non sono alla nostra altezza». L’isolamento sociale si trasforma poi in isolamento da noi stessi. Il nostro compagno diventa geloso anche delle nostre passioni. E inizia a distruggere la nostra autostima, dipingendoci come persone incapaci e chiedendoci costantemente prove del nostro amore. A questi momenti se ne alternano altri in cui si crede di avere al proprio fianco l’uomo perfetto. Un andirivieni di comportamenti che porta al cortocircuito emotivo.
Come reagire alla violenza?
In caso di abuso sessuale bisogna avere molto coraggio e chiamare immediatamente le forze dell’ordine senza cambiarsi i vestiti o lavarsi, perché si potrebbero eliminare delle prove fondamentali per rintracciare lo stupratore. Dalla violenza psicologica, invece, si esce cominciando a parlare con un’amica o una parente. E riprendendosi i propri spazi. Si tratta di passi importanti che preparano la strada verso la denuncia. Aiutano a riprendere contatto con quell’intimità che la donna ha soffocato per soffrire meno.
Cosa fare invece se si assiste a un caso di abuso?
Avvisare le forze dell’ordine. Ma purtroppo non è sempre facile. Si tratta di reati che si consumano principalmente fra le mura domestiche.
Cos'è Soli nella notte dell'anima? Un manuale o una raccolta di consigli derivati dalla sua esperienza sul campo?
Ѐ un insieme di storie e suggerimenti pratici rivolti a chi vive relazioni difficili e che abbraccia tutti gli ambiti della vita di una persona, dal lavoro alla strada.
Qualche esempio?
Nei casi di molestie in ambito lavorativo consiglio alle vittime di fabbricarsi prove, inviando mail al proprio capo in cui chiedere spiegazioni su comportamenti che possono essere ricondotti alla sfera del mobbing o registrando le conversazioni con i superiori e i colleghi che esibiscono un atteggiamento vessatorio nei loro confronti. Se si è abusati psicologicamente, invece, invito a non distruggere i messaggi scambiati con il proprio persecutore. Anche se non è alla persona offesa che spetta il compito di raccogliere prove.
Con quanti casi di violenza si è dovuta confrontare nel corso della sua carriera?
Molti. Roma è sconfinata. Ma anche uno solo sarebbe già troppo.
Ce ne sono alcuni che hanno toccato in modo particolare l'opinione pubblica?
Mi sono occupata, ad esempio, del caso della minorenne violentata a piazzale Clodio da un finto agente di polizia. Un episodio di cui la stampa ha parlato diffusamente.
Secondo la sua esperienza, gli episodi di violenza e molestie si sono intensificati nel corso del tempo?
I dati del Ministero degli Interni ci dicono che in reati sessuali sono in calo, ma non canterei vittoria. Molte donne non denunciano.
La violenza è un comportamento anomalo o purtroppo si tratta di un carattere tipico della nostra cultura?
Purtroppo è insita nella nostra società. Anche se poi bisogna analizzare altri aspetti.
Cioè?
Ad esempio quello legato al livello d’istruzione. Dove c’è più ignoranza sono maggiori i casi di violenza, mentre le donne laureate tendono a denunciare di più.
Spesso tra i commenti agli articoli che riportano storie di abusi compare sempre, più o meno velatamente, un «se l'è cercata». È il segno che viviamo in una società della molestia pienamente accettata da molti, sia uomini che donne?
Assolutamente sì. Un tempo ci bruciavano sul rogo se ci ribellavamo ai nostri aguzzini. Oggi ci accusano perché siamo tornate da sole a casa nel cuore della notte o perché eravamo vestite in modo non ortodosso. Per questo bisogna diffondere un nuovo tipo di cultura che insegni a essere noi stessi nel rispetto degli altri. E imparare a trattare diversamente la violenza di genere.
In che senso?
Allargandone il campo e smettendo di parlare di violenza di genere. Si tratta di un’etichetta che va a fomentare la competizione fra i sessi e che ci appiattisce sul piano biologico. Nel genere dei soggetti sensibili rientrano anche alcuni uomini. Che a furia di sopportare potrebbero trasformarsi in carnefici.
Hai parlato della necessità di diffondere un nuovo tipo di educazione. Ma come può essere la cultura una risposta alla violenza in una società in cui il ruolo dell'educatore sta lentamente scomparendo?
Ѐ una bella domanda. Stiamo convincendo i nostri ragazzi che tutto è possibile. Li trattiamo come divinità. Ma poi ci scandalizziamo se un uomo si rifiuta di essere lasciato. Da adulti si ripete ciò che si impara.
https://www.letteradonna.it/it/articoli/conversazioni/2018/11/28/alessandra-schiliro-polizia-violenza-sulle-donne/27200/?fbclid=IwAR24KW4-xt9d8TfnSsCD0A15hY7xFupBExIoY65GafT3uBrX0htU6OMeeS0