mercoledì 30 settembre 2015

L’effetto Lolita di Gigi Durham pubblicato da lunanuvola

« Quando il fango è oro La donna televisiva »

Gigi Durham è docente universitaria di Studi sul genere, sulle donne e sulla sessualità. E’ inoltre l’autrice di “L’effetto Lolita: la sessualizzazione mediatica delle ragazzine e cosa noi possiamo fare al proposito”. Come esperta ha partecipato a diversi programmi della BBC e appare nel documentario “Miss Representation”. Il suo seguente intervento è tratto da “The Myth, The Men and The Media – Why We Need to Revolutionize Our Approach to Women in the Media” del 2.9.2015, un lungo articolo di approfondimento di Women News Network. Trad. Maria G. Di Rienzo.

Quali sono le più dannose rappresentazioni delle donne perpetuate dai media e perché dovremmo prenderle sul serio?

Gigi Durham: La rappresentazione più problematica, a parer mio, è il persistente collegamento della violenza al sesso.
In una recente pubblicità, per esempio, l’immagine di una donna apparentemente picchiata che giace a terra a faccia in giù è stata usata per vendere cosmetici. Era una citazione del film “Splendore nell’erba”, ma comunque perpetua l’idea che la violenza contro le donne è qualcosa di sexy o affascinante.
Nei film horror, nel momento in cui le donne si spogliano o entrano in situazioni sessuali l’assassino colpisce. In alcuni video games, come le note serie “hentai”, si accumula punteggio ogni volta in cui si stupra o si picchia una donna. La violenza contro le donne è un problema serio in tutto il mondo e queste rappresentazioni mediatiche non sono d’aiuto nel contrastarla.
Un altro problema che vedo è la sessualizzazione delle bambine. Sempre di più bambine molto piccole sono usate, in special modo nella pubblicità, per proiettare erotismo adulto e sessualità. Poiché si abusa, a livello planetario, di una bambina su quattro – secondo l’Organizzazione mondiale della sanità – e un numero enorme di bambine è coinvolto nella prostituzione minorile e nella pornografia, è spaventoso per me che i media del mainstream usino bambine come oggetti sessuali in modo così noncurante.
Abbiamo sottostimato, finora, l’impatto dei media sui giovani? Dovremmo includere i media fra le fonti che hanno la più alta influenza sui nostri ragazzi, come i genitori e la scuola?
In effetti ci sono ricerche molto ben fatte che sostengono come i media abbiano grande influenza su bambini e giovani. I media influenzano anche gli adulti: non esisterebbe la pubblicità, se non fosse vero! Ma gli adulti sono più capaci di essere critici e di distanziare se stessi dagli effetti dei media.
Per esempio, i media sono stati identificati come fattore chiave nell’insoddisfazione rispetto al proprio corpo e i disordini alimentari (Benowitz-Fredericks, et al, 2012). Negli Stati Uniti, i media sono la risorsa principale per l’educazione sessuale (Strasburger, Wilson & Jordan, 2014). Uno studio del 2006, condotto su più di mille adolescenti trovò che l’esposizione al sesso sui media conduceva a precoce attività sessuale. Potrei citare altre ricerche, ma c’è un’evidenza empirica assai forte sul fatto che i media influenzano le persone giovani ad un livello significativo.
Noi abbiamo assoluta necessità di pensare ai media come ad importanti agenti della socializzazione e dobbiamo anche pensare a come aumentare l’alfabetizzazione mediatica fra i giovani: io credo fermamente che dovremmo insegnare un approccio critico ai media come parte del curriculum di scuole elementari e medie. Nell’ambiente di oggi, saturato dai media, è importante quanto la matematica e il saper leggere.

martedì 29 settembre 2015

Gender e scuola: contro la paranoia ci vuole empatia di Monica Lanfranco

L’Italia è percorsa da nord a sud da varie e diverse iniziative d’incontro e dibattito che coinvolgono chi fa scuola e formazione: su tutte aleggia la surreale questione del ‘gender’, sulla quale è dovuta intervenire, in toni minacciosi, anche la ministra dell’Istruzione.
Figlia dei tempi digitali contemporanei, della paura ancestrale della sessualità e di ciò che non si conosce, la gigantesca bufala del gender calza a pennello per esemplificare quella che il filosofo coreano Byung- Chul Han definisce come ‘storm shit’ (tempesta di cacca) nel libro Nello sciame-visioni del digitale. In un Paese nel quale parlare di sessualità, affettività, relazioni tra i generi è da sempre un tabù non poteva essere facile farlo nelle scuole.
L’ignoranza (endemica e di ritorno) nel nostro Paese è stata la leva per l’attivazione di una potentissima catena di sant’Antonio, resa inarrestabile dal web e dai social network, impastata di banalità talvolta grottescamente comiche, ma non per questo meno pericolose. Va da sé che per scardinare gli stereotipi di genere, brodo di cottura di sessismo e omofobia, bisogna cominciare dall’asilo, ed eccolo lo spettro dell’indottrinamento: il terrore per l’equilibrio dell’infanzia. Durante la merenda le maestre dovranno parlare di masturbazione, a tre anni sarà obbligatorio diventare omosessuale, genitori correte a firmare in Comune (!) per impedire che passi il gender alle elementari: la registrazione in un gruppo whatsapp fatta da una madre, resa pubblica dall’Espresso sembra la gag ben riuscita di un programma comico, ma invece è realtà.
Nel parlare di buone pratiche contro il sessismo e l’omofobia è necessario sapere che ci si trova davanti, prima di tutto, alla paura. La paura, scatenata dall’ignoranza, è un sentimento potente, e ci vogliono empatia e chiarezza per contrastarla. Bene lo sa chi da molti anni lavora nel mondo dell’educazione, come per esempio la Rete di cooperazione educativa, che per fine ottobre ha organizzato il suo annuale appuntamento, al quale parteciperò, centrandolo proprio sul corpo e le sue emozioni.
Carlo Ridolfi, uno degli organizzatori, mi ha inviato una riflessione che mi pare utile. Eccola:
Toni è un amico, più giovane di me, padre di un bambino e una bambina che vanno a scuola con mio figlio. Toni è un ragazzo semplice, a volte anche un pò troppo.
L’altra sera siamo andati insieme ad un’assemblea pubblica su La Buona Scuola e il Gender, organizzata in un paese vicino al nostro da una bravissima assessora all’Istruzione. C’era molta gente. Le relatrici erano tre giovani donne: un’avvocata e due psicologhe. Impeccabili sul piano dei contenuti. Eppure il mio amico Toni, che era venuto all’incontro per avere qualche chiarimento su una questione che ha occupato per tutta l’estate le discussioni sotto gli ombrelloni o sui sentieri di montagna e ha intasato la chat in whatsapp della classe dei nostri figli, è tornato a casa scontento. Lo capisco.
Genitori e insegnanti, più o meno, spesso meno che più, informati, sono allarmatissimi sulle notizie che si sono diffuse o che sono state diffuse ad arte per quella che è una vera e propria offensiva ideologica (ma le ideologie non erano morte?).
Molta parte di questa offensiva è costruita sul piano emotivo, mescolando frasi di documenti ufficiali estrapolate qua e là, opinioni personali, un bel po’ di falsità e qualche riferimento concreto. Si tocca una dimensione delicatissima che coinvolge ciascuno e ciascuna di noi. Ora, se a questa situazione di nervi scopertissimi si risponde, come è stato fatto l’altra sera, opponendo una seria di riferimenti normativi (interessantissimi e fondamentali); rispondendo alle richieste di chiarimento di Toni ‘è una questione di ermeneutica’ e facendo intendere che sono questioni tecniche che solo da competenze tecniche devono essere trattate, il risultato concreto è del tutto diverso da quello che probabilmente si sarebbe voluto. Il mio amico Toni può anche andarsi a cercare su google qual è il significato della parola ‘ermeneutica’, ma questo non gli toglierà la sgradevolissima sensazione di esser stato calato nei panni di Renzo Tramaglino davanti al latinorum dell’Azzeccagarbugli. Non saranno i documenti ufficiali, come i ‘chiarimenti’ del Miur o i riferimenti a questo o quel testo scientifico, che ci aiuteranno ad affrontare la questione. E’ necessario, anzi, è vitale, secondo me, trovare modi e forme di comunicazione che, salvaguardando i contenuti, riescano ad esser percepiti, compresi, condivisi. Altrimenti, una volta di più, perderemo avendo ragione…

lunedì 28 settembre 2015

Leggere senza stereotipi: come valorizzare le differenze

I e IV di cover di Leggere senza stereotipi


Fresco fresco di stampa, “Leggere senza stereotipi” è un volume pubblicato dalla casa editrice Settenove scritto a più mani da Sara Fierli, Giulia Franchi, Giovanna Lancia e Sara Marini dell’associazione di promozione sociale SCOSSE, impegnata dal 2011 nella valorizzazione delle differenze, l’inclusione sociale e la diffusione di una cultura libera e aperta.
Un testo che vuole essere, come esplicitato nell’introduzione, un paio di occhiali da indossare e far indossare a genitori, insegnanti, educatori nel loro quotidiano rapporto con i bambini, durante la cruciale fase della vita che va dalla nascita al primo ingresso nel mondo della scuola (0-6 anni).
Un paio di occhiali per leggere e osservare la realtà in modo più nitido e attento, riuscendo a scorgere anche dietro l’apparenza messaggi velati o nascosti. Occhiali che mettono a nudo quanto certi comportamenti, frasi, abitudini, consolidati e reiterati nella nostra cultura, finiscano per condizionare le scelte, i gusti, le azioni, i pensieri, l’immaginario dei bambini e delle bambine.
E questi condizionamenti sono ovunque, più o meno palesi o sottili, ma persistenti come gocce d’acqua che, giorno dopo giorno, scalfiscono rocce e scavano, scavano in profondità.
Due giorni fa, quando sono andata a prendere mia figlia di 3 anni a scuola, ho sentito la maestra dire a una mamma: “Signora, ma è normale che si comporti così, è un maschietto mammone! Vede, le femminucce sono molto più indipendenti e autonome”.
Ieri sera, mentre eravamo stese sul letto a guardare le audizioni di XFactor, la mia bambina a un certo punto è scoppiata a ridere. Alla mia richiesta di spiegazioni, mi ha risposto: “Guarda quello, mamma… Un maschio che si è messo il cerchietto!”.
Potrei continuare con mille altri esempi di “cose da maschi e cose da femmine” secondo il giudizio di mia figlia, a partire dai colori da indossare, per finire al tipo di giochi da fare. E, premetto, queste distinzioni non sono mai uscite dalla mia bocca. Come sa chi mi segue un po’ su questo sito, anche i libri che leggiamo insieme, quotidianamente, vanno in tutt’altra direzione. Eppure, a 3 anni, lei ha già interiorizzato alcuni stereotipi. E’ chiaro che il contesto in cui è immersa (la scuola, il parco, i nonni, la tv ecc.) manda continui segnali omologanti, che riflettono una suddivisione dei ruoli e delle relazioni tra individui univoca e rigida.
Io, con naturalezza e calma, cerco di spronare mia figlia a sentirsi libera e se stessa in ogni situazione, senza pensare di doversi comportare in un certo modo in quanto “femmina”. Anche a casa è abituata a vedere mamma e papà che si occupano di tutto (faccende, cucina, pulizie, bagnetto ecc.) vicendevolmente. Ed entrambi lavoriamo, giochiamo con lei, le dimostriamo con parole e gesti il nostro amore.
Nonostante ciò, certe sue uscite sono spiazzanti e scoraggianti.
Mi piacerebbe che soprattutto insegnanti ed educatori conoscessero il libro di SCOSSE, e che cominciassero a riflettere seriamente su questi temi. Mi accontenterei che si partisse dalla scelta di un aggettivo al posto di un altro, di un’attività al posto di un’altra, di una storia letta ad alta voce al posto di un’altra.

La struttura del libro “Leggere senza stereotipi. Percorsi educativi 0-6 anni per figurarsi il futuro”
Il volume “Leggere senza stereotipi” invita a usare i libri per bambini come strumenti di mediazione per imparare a vedere oltre: libri per tutti, capaci di raccontare i sentimenti, le diversità, le sfaccettature delle famiglie, delle relazioni, della natura umana nella sua complessità e varietà. Libri e immagini che danno valore all’affettività, alle emozioni, alla spontaneità e freschezza dell’infanzia, e che possono favorire la costruzione libera della propria identità.
Dopo un’ispirata premessa, affidata a Silvana Sola, e ad un primo capitolo dedicato a una rapida spiegazione della natura dell’albo illustrato e a un excursus storico sulle sue origini e diffusione in Italia, il libro è suddiviso in capitoli così strutturati:
- una parte teorica che si sofferma via via su alcune tematiche-chiave: il corpo e la rappresentazione della differenza sessuale; le emozioni; i ruoli; le fiabe; i modelli familiari
- schede con recensioni di alcuni albi illustrati particolarmente significativi in relazione alla tematica affrontata
- esempi pratici di percorsi e attività da seguire e promuovere nei nidi e nelle scuole di infanzia (oltre alla lettura ad alta voce dei libri proposti)
- numerosi suggerimenti bibliografici per continuare nella propria ricerca di libri senza stereotipi

Come sono gli albi illustrati scelti da Scosse?
Albi con immagini di qualità
Albi con testi di qualità
Albi italiani e stranieri
Albi non stereotipati o stereotipanti
Albi accessibili a tutti (che possano trovarsi facilmente anche in biblioteca)
Non solo albi a tema, che dichiaratamente e volutamente sono progettati per superare o rompere un certo tipo di stereotipo, ma anche e principalmente albi “inconsapevoli”, ovvero che riescono a scardinare conformismi e vecchi canoni involontariamente, attraverso personaggi autentici e coraggiosi, in cui tutti si possano sentire rappresentati, storie che mettono le ali alla fantasia e che non precludono alcuna possibilità.

Il libro si può acquistare sul sito della casa editrice


giovedì 24 settembre 2015

Bambole di Lea Melandri

Nel gioco della bambina con la bambola si è creduto a lungo di vedere precocemente all’ opera l’ “istinto materno”. Ma che dire allora delle modelle, delle “veline” e delle conduttrici televisive sempre più simili alle Barbies, e viceversa? Le bambine hanno sempre avuto un rapporto ambiguo con quel corpo inanimato in tutto simile al loro, fatto per specchiarsi più che per apprendere la difficile arte della relazione con l’altro. Lo coccolano e, al medesimo tempo, lo invidiano. La sua bellezza e seduzione inducono ansie e voglie devastatrici: diventa necessario impadronirsene, sottometterne il mistero imponendogli norme e leggi. Dietro la copertura apparente dell’iniziazione alla maternità trapelano inequivocabili  rituali erotici: vestire per svestire, abbellire per degradare. Su quel corpo i gesti e le parole consumano curiosità e vendetta, il gioco diventa esercizio di un dominio. La relazione, trasgressiva rispetto alle attese educative, rimanda a un corpo femminile visto “da fuori”, come se corpo e pensiero si fossero separati, collocandosi su poli opposti.
Analogo è quello che solitamente avviene nel rapporto sessuale, tanto da far nascere il dubbio che sia la donna stessa a muoversi dentro il rituale maschile dell’appropriazione, ad assecondarlo, forse a prepararlo. Il corpo che si consegna all’uomo è già stato guardato e porta già segni di manipolazione, sia pure immaginaria. Il desiderio, la curiosità, la voglia di dominio del maschio, sono già stati preceduti da sentimenti analoghi, da parte della bambina, per il corpo che le è simile, e quindi per il suo stesso corpo: per vincere quello che “dal di dentro” di quel corpo le si oppone, lo fa proprio. Ma se questa per l’uomo è una vittoria, non lo è per la donna che condanna se stessa al destino di bambola, che è “lasciarsi fare”, divenire oggetto in mano di altri.
La “bambola” che l’uomo e la donna incontrano all’inizio della loro vita sembra dunque assommare in sé aspetti diversi: è il corpo che genera, il corpo della madre, se visto dall’interno, ma è anche, guardato da fuori, l’oggetto d’amore che si consegna, muto e seducente, al desiderio sessuale. Inoltre, dato che la bambola viene tradizionalmente associata al figlio futuro, si può pensarla anche come immagine di quel femminile narcisisticamente appagato di se stesso, che Freud accosta al bambino e ad alcuni animali da preda.
Che la bambola abbia poco a che fare con la maternità, lo dimostra in modo evidente un breve racconto di Edmondo De Amicis, Il re delle bambole (Sellerio, 1980). Nella bottega di colui che le fabbrica, o le ripara, le bambole sono “bambine inanimate”, ma con “belle gambe di donna”, che gli sguardi delle ragazzine “rubano con gli occhi” e poi con le mani, travolte da “un’orgia di desideri”. Da subito si confondono “bambole e bimbe”, “vocine naturali” e “vocine meccaniche”, “braccini di carne” e “braccini di legno”, “occhietti viventi” e “occhietti di vetro”. La ricerca della bambola si carica di slanci erotici, ma anche di fantasie devastanti, a cui contribuiscono “mani fanciullesche eccitate dalla curiosità istintiva dell’anatomia del giocattolo”.
“Se vedessi che sguardi lanciavano alle bambole a cui debbono rinunziare, sguardi d’amore, sospiri, addii, col capo rivolto all’indietro…Bisogna vedere le mosse, lo slancio con cui alcune se ne impossessano e se le serrano al petto: tigrette affamate che abbracciano la preda”
“E la sala delle operazioni è la pressa, tutta ingombra di ferri, di pinze, di fili…vi si vedono sui tavoli, sulle seggiole, sul davanzale delle finestre, buttate in tutti gli atteggiamenti, grandi bambole nude, con le capigliature tragicamente arrovesciate, con “gli occhi mobili”, stralunati, con le “bocche parlanti”, spalancate, le une cieche, le altre zoppe, le altre mutilate, teste separate dal busto, tronchi con le braccia tese, braccia e gambe disperse; uno spettacolo orrendo, che mi ricordò un cert’antro fantastico di Jack lo squartatore”.
“Il Bonini mi mostrò le bambole più belle, chiomate e vestite…tutte con quel visetto fatto a pesca, con quella bocca a botton di rosa, con quegli occhi grandi e freddi di donnine senza cuore e cocottes senza pensieri”.
“E quante carezze amorose, quante parole gentili, quanti teneri baci avranno quei corpicini insensibili…su quante innocenti e soavi nudità premeranno queste fantocce i loro labbruzzi freddi di porcellana, strette tra due braccini candidi e scaldate da un alito odoroso, dentro un lettuccio visitato da sogni azzurri”.
Fin qui la bambola sembra rimandare unicamente al corpo femminile come oggetto erotico, che muove desideri e voglie aggressive. Ma c’è un passaggio imprevisto che fa comparire altri aspetti: nel momento in cui la bambola si anima, si fa “attiva”, avviene una specie di trasmutazione e, dietro la “donnina senza cuore”, compaiono le figure della madre e del figlio.
“Stavo ancora amoreggiando con la bella varallese, quando mi vedo buttare su banco una grossa bambola che agita le braccia e le gambe, gnaulando come un bimbo in culla, ed ecco un’altra bambola enorme, che alterna dei passi sul pavimento, tenuta per le mani da un commesso, tale e quale come un bimbo che impara a camminare. Un’altra bambola tanto fatta nello stesso tempo mi viene incontro sul banco a passi risoluti, dritta, gettando delle strida di folletto…non so dire lo strano senso di stupore e quasi di inquietudine che provai in mezzo a quella insospettata eruzione di vita artificiale…mi parve ad un tempo di trovarmi al teatro regio, a una scena del ballo Puppenfee e in una sala della Maternità in un momento di scompiglio.”
La sessualità e la maternità, il rituale erotico e l’accudimento, il piacere e la fame, ipocriticamente separati nelle immagini dei media, della moda, della pubblicità, ricompaiono come una specie di Giano bifronte nel simbolo più universale del destino femminile, la bambola, e aiutano a capirne il successo duraturo, oggi incredibilmente esteso.

mercoledì 23 settembre 2015

No, papa Francesco, preferisco restare tentatrice di Ilaria Bonaccorsi

Il serpente aveva detto ad Eva che la conseguenza del mangiare i frutti dell’albero proibito sarebbe stata l’ «apertura degli occhi» e il diventare «come Dio» (o «come una divinità»), cioè in grado di discernere il bene dal male.
Il resto della storia la conoscete. Il morso, la caduta, la mortalità. Il peccato originale. La donna tentatrice, “porta del male” addirittura. Male inteso come capacità di discernere? Come apertura degli occhi? Come lascivia? Comunque secoli di roghi. Io li ho studiati tutti, dalle prime herbarie, donne medico nelle campagne dei secoli alto medievali che dispensavano cure, per aiutare la vita e la morte alleviandone i dolori, alle streghe dei secoli basso medievali bruciate nelle piazze dell’Inquisizione. Le stesse donne a cui la Chiesa tolse il “patentino” di curatrici. Perché quelle cure, quella conoscenza o anche solo quella prassi era opera del demonio, era male e non bene. Il dolore, la morte, la vita erano un dono di Dio. E nessuna poteva interferire.
Secoli di gloriosa ribellione delle donne. Indimenticabile Ildegarda di Bingen, Trotula di Salerno e tutte quelle anonime donne “porte del male”, tentatrici dagli “occhi aperti” che, nascoste si opposero, al modello di madre e moglie imposto dalla Chiesa di Roma.
Tremo all’idea che ci venga tolto anche questo. Anche questo glorioso passato di identità di tentatrici, di peccatrici, di porte di un “male” che io intendo come rottura di schemi, ricerca di conoscenza, ribellione a quel modello di vita e di umanità, per schiacciarci in quello che Francesco ha chiamato: «Una teologia della donna che sia all’altezza di questa generazione di Dio». E temo anche quei tutti che subito gridano “bravo Francesco, quanto è moderno Francesco”.
Possibile che non si accenda alcuna spia di allarme nella mente di nessuno di questi? Perché lo fa? perché lo dice? Perché farlo in un momento in cui i roghi non si rischiano più, al limite si rischia la “definitiva” libertà di dire No. No al matrimonio, no ai figli. No. “Sacrosanti” no. «La donna, ogni donna, porta una segreta e speciale benedizione per la difesa della sua creatura dal maligno, come la donna dell’Apocalisse che corre a difendere il figlio dal drago e lo protegge», ha detto il papa. Ha spiegato il motivo, non siamo il male, anzi noi, donne, produciamo e proteggiamo i figli dal male. Madri dunque. Sempre e solo madri. Custodi di piccoli animali possibili prede del male. «Cristo è nato da una donna – ha aggiunto poi durante l’udienza di qualche giorno fa a piazza San Pietro – e questa è la creazione di Dio sulle nostre piaghe, sui nostri peccati, ci ama come siamo e vuole portarci avanti con questo progetto, e la donna è la più forte nel portare avanti questo progetto». 
Sì Cristo è nato da una donna, è vero. Illibata lei e illibata sua madre che l’ha generata. Dunque il modello è quello: madre e moglie, per giunta illibata. Che porta avanti questa creazione di Dio sulle nostre piaghe e sui nostri peccati.
Allora io vi dico, timidamente ed educatamente, grazie No. Preferisco la tentatrice, la peccatrice.
La donna non è il male, per il papa che vuole rompere questo offensivo luogo comune, perché salverebbe la famiglia (quella tra uomo e donna ovviamente) e la famiglia poi («questa alleanza, la comunità coniugale-famigliare dell’uomo e della donna è la grammatica generativa, il ‘nodo d’oro’, potremmo dire. La fede la attinge dalla sapienza della creazione di Dio: che ha affidato alla famiglia non la cura di un’intimità fine a se stessa, bensì l’emozionante progetto di rendere domestico il mondo») salverebbe il mondo dal disastro.
Ecco, io il mondo non lo voglio rendere domestico, non voglio essere liberata da nessun male se questo vuol dire essere riconosciuta solo come madre e moglie all’interno di quel progetto sulle nostre piaghe e i nostri peccati.
Preferisco gli occhi aperti.

martedì 22 settembre 2015

Uno spazio di libertà. Un mondo di mondi di Gianluca Carmosino

“Non siamo tutti uguali, ma non siamo neanche diversi”. Maria ha vent’anni, è di orgine rom e ha le idee piuttosto chiare. Alla due giorni romana della rete “Educare alle differenze” si occupa con altre donne della cucina: quando durante la plenaria che apre l’incontro promosso dalle associazioni Scosse (Roma), Stonewall (Siracusa) e Il Progetto Alice (Bologna) – e copromosso da altre duecento realtà sociali di tutta Italia – spiega le ragioni della sua partecipazione si capiscono molte cose di questo straordinario spazio di libertà.
Un evento nato in basso di cui tanti e tante, a guardare i numeri della partecipazione e i volti dei presenti, sentono bisogno: erano seicento alla prima edizione del 2014, qualcuno in più probabilmente in questo secondo appuntamento. Altre settecento persone qualche giorno fa si sono incontrate a “Tutta un’altra scuola” in Toscana (iniziativa promossa dalla rivista Terra nuova), un altro centinaio a Molfetta per “Dismparare per imparare” su proposta della casa editrice la meridiana, moltissimi altri saranno a fine ottobre a Bastia Umbra per l’incontro annuale della Rete di Cooperazione educativa “L’educazione prende corpo” (ci sarà anche Comune). Insegnanti, educatori, ricercatori, persone di associazioni, cooperative, reti, gruppi informali mettono in comune saperi e pratiche, idee e domande, rabbia e convivialità.
Se si abbassa dunque lo sguardo a livello del suolo si scoprono questi preziosi luoghi di scambio e autoformazione. In fondo anche l’interesse per lo spazio web aperto su Comune “Apprendere facendo” mostra come ovunque migliaia di uomini e donne non si accontentano di etichette e categorie, non cercano formazione per profitto o carriera, ma vogliono contribuire a cambiare la società in profondità, mettendo in discussione l’idea di formazione, ripensando l’arte di apprendere, il cosa apprendere ma anche il come. Niente è scontato: anche termini come “educare” e “differenze” possono essere oggetti di sguardi nuovi. E, soprattutto, vogliono farlo insieme, dialogando con tutti ma proteggendo al tempo stesso la propria autonomia.
Per farlo hanno scelto la strada del camminare insieme, in modo collettivo si sceglie su cosa confrontarsi e su cosa aprire spasi di formazione. Perché questi restano per molti  e molte tempi in cui scavare, porre nuove domande, cercare alfabeti diversi, rifiutando chi percorre la strada del terrore e dell’arroganza.
Le vicende dei fantasmi del Gender, come hanno spiegato Monica Pasquino (Scosse) e Giulia Selmi (Il Progetto Alice), hanno dimostrato prima di tutto che c’è chi vuole muoversi sul terreno della paura. A loro occorre rispondere su altro terreno, quello dei desideri e dei sogni, della gioia e delle emozioni. Educare alla differenze, come mostra il ricco programma costruito intorno a sette tavoli paralleli (Esperienze 0-6 anni, 7-11, 12-14, 15-18, Intercultura, Educazione permanente, Altre abilità, Politica e diritti, Fuori programma), significa allora non solo superare gli stereotipi di genere o contrastare la violenza omofobica, ma anche valorizzare l’intercultura, sperimentare nuove forme di inclusione sociale, utilizzare strumenti inusuali per fare formazione, nella scuola e fuori.
Un elemento più di altri sembra comune agli incontri previsti nei diversi tavoli: la consapevolezza che viviamo in contesti di grande indottrinamento da cui difendersi, quello dei media meanstream, quello dei fondamentalisti di ogni tipo, quello dell’industria del giocattolo…, e a cui rispondere con creatività.
Insomma, insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, genitori, docenti universitari, artisti, esperti ed esperte in studi umanistici e scienze sociali, associazioni e case editrici hanno scelto di lavorare in rete in uno stile orizzontale, quello del confronto e dell’ascolto. C’è la voglia di aprire spazi di dialogo con tutti, a cominciare da quelli che si sentono incerti su molti temi e che non sono presenti in incontri come quello di Roma. C’è il desiderio di uscire dalla proprie nicchie, di parlare alle persone comuni.
Una cosa è sicura: qui non ci sono relatori che parlano in lezioni frontali impartendo lezioni ma persone che insieme costruiscono un mondo dove ci stiano molti mondi. Questa sì è una bella differenza.



lunedì 21 settembre 2015

Ma quale "teoria gender". Ecco l'elefante con la valigia e la coraggiosa Cappuccetto Rosso che insegnano la parità di genere di laura Eduati

 l'elefante con la valigia e la coraggiosa Cappuccetto Rosso che insegnano la parità di genere

"L'elefante con la valigia è un maschio o una femmina?"
elefante

"Quando pongo questa domanda ai miei bambini dell'asilo, la risposta è sempre la stessa: 'Maschio!'. E questo nonostante molti abbiano una mamma che lavora fuori casa, magari fa l'avvocato o l'insegnante e più volte l'abbiano vista con una valigia". Fa una pausa. "Questo per dimostrarvi che gli stereotipi di genere sono molto più forti dell'esperienza"
Daniela Paci è l'energica insegnante di una scuola per l'infanzia di Trieste, una delle 18 scuole della città dove hanno debuttato i corsi della cosiddetta "teoria gender" avversati dalla destra cattolica e dai gruppi come "Le sentinelle in piedi" e "Manif pour Tous".
A marzo, proprio a Trieste, scoppiò il putiferio: sui giornali locali questo nuovo tipo di approccio educativo venne bollato come "osé" perché, secondo le accuse, le maestre facevano toccare ai bambini le proprie parti intime e spingevano i maschietti a travestirsi da femminucce".
Il caso divenne internazionale - se ne occupò persino la stampa cinese - e ha aperto la stura a numerose iniziative di denuncia e boicottaggio, tra le quali la decisione del sindaco veneziano Luigi Brugnaro di togliere 49 titoli considerati pericolosi dagli scaffali degli asili. E con l'apertura dell'anno scolastico, il clima contro il "gender" è tornato pesante: nonostante l'80% delle famiglie abbia deciso di appoggiare la sperimentazione triestina sulla parità di genere, Paci preferisce che questo articolo non riporti il nome dell'istituto scolastico dove lavora.
"Una campagna diffamatoria", si indigna Lucia Beltramini, ricercatrice e docente alle università di Trieste e Udine che insieme alla Paci e alla responsabile dell'associazione culturale Laby, Benedetta Gargiulo, ha inventato il contestato "Gioco del Rispetto": una scatola che contiene tra i vari materiali la favola di "Red e Blue", un bambino e una bambina che nella trama piangono, provano rabbia oppure gioia, senza distinzioni di sesso perché anche i maschietti possono piangere e le femminucce possono arrabbiarsi moltissimo.
"Il Gender Gap Index colloca l'Italia al 69mo posto nel mondo, 114ma per partecipazione ed opportunità economica delle donne", continua Beltramini, intervenuta sabato 19 settembre al visitatissimo convegno nazionale "Educare alle differenze" promosso a Roma dall'associazione "Scosse", "E nella mia esperienza con gli adolescenti ho notato come una coppia su dieci già abbia problemi di violenza di genere. Per questo bisogna puntare sulla prevenzione e dunque ci rivolgiamo ai bambini molto piccoli".
Per i promotori del Family Day, invece, "Il gioco del rispetto" genera confusione sessuale nei bambini, soprattutto perché in classe succede che un maschietto venga vestito da Cappuccetto Rosso e una bambina da pompiere. "Chi sostiene questo ignora che i bambini giocano fingendo di essere qualcun altro da sempre. Quello che insegniamo è che ci si può mettere nei panni delle persone che conosciamo per capire cosa provano e far comprendere che una bambina può sognare di fare l'ingegnere e un bambino da grande potrà stirare".
"Cappuccetto Rosso era indipendente e sveglia anche nella versione di Perrault. Riscrivere le favole non è niente di nuovo, è sempre successo"
I laboratori di "Educare alle differenze" sono stracolmi di insegnanti accorsi da tutta Italia per imparare dalle esperienza dei docenti che ormai da qualche anno, spesso arrabattandosi e sfidando la diffidenza dei genitori, hanno introdotto corsi contro il bullismo, contro l'omofobia, per il rispetto degli adolescenti sovrappeso o stranieri e per promuovere l'uguaglianza tra i sessi. "Venite a vedere con i vostri occhi i temibili promotori dell'ideologia gender!" è la frase provocatoria con la quale il convegno è stato pubblicizzato.
Dalla loro parte, implicitamente, si è schierata la ministra Stefania Giannini che nella "Buona scuola" ha auspicato proprio i corsi demonizzati e ha definito la "teoria gender" una "truffa culturale". Nella circolare del Miur la ministra ha chiarito ai genitori spaventati che i laboratori in classe vogliono soltanto prevenire "la discriminazione per ragioni connesse al genere, alla religione, alle convinzioni personali, handicap, età, orientamento sessuale o politico".
E così, al convegno, la giornalista esperta in comunicazione Rosangela Petillo mostra per esempio un progetto dedicato ai piccoli studenti dai 7 agli 11 anni, si chiama "Orienteering" e propone di studiare la toponomastica dei quartieri andando a scovare le strade intitolate alle donne. Una volta in classe, la prof arma gli alunni di forbice e colla e li invita a creare il classico gioco "Memory" per scoprire chi fosse Florence Nightingale o Nilde Iotti.
Mentre su impulso di Loredana Magazzeni, una docente dell'Università di Bologna, due classi del capoluogo emiliano hanno provato a includere nell'antologia di letteratura le autrici donne. "Quando abbiamo chiesto ai ragazzi quale fosse il loro libro preferito, abbiamo scoperto che la maggior parte dei loro autori di riferimento sono maschi" spiega Magazzeni. "E quando abbiamo chiesto: secondo voi perché? La maggioranza ha risposto che poche donne scrivono".
E dunque, per dimostrare il contrario, i professori hanno portato la scolaresca a constatare che nella Biblioteca delle Donne di Bologna esistono migliaia di volumi scritti da autrici.
Il progetto di Magazzeni è quello di spingere finalmente le case editrici a stampare antologie "gender friendly" dove accanto al Cantico delle creature di San Francesco ci siano anche gli scritti di Santa Chiara e dove i sonetti del Cavalcanti siano seguiti dalle poesie di Trotula de Ruggiero o Umiliana de' Cerchi. "Perché nelle normali antologie per le scuole medie tra i 51 autori proposti soltanto 4 sono donne e questo oscura una parte della verità: le donne hanno sempre scritto".
"Fin da piccoli i bambini sono inondati di stereotipi sul genere di appartenenza", riassume Sara Marini, filosofa del linguaggio ed educatrice per "Scosse", che per l'occasione ha fatto letteralmente a pezzi una fiaba invitando a ricostruirla abolendo, appunto, la solita storia della principessa che deve essere salvata e del principe che deve essere forte e coraggioso.
Marini consegna le striscioline di carta dove sono stampate le frasi da smembrare come "La strega era cattiva, abitava oltre il recinto" e "Il re diede in moglie la figlia a un mendicante" o "Il cavaliere brandì un bastone". Colla, forbici e un cartellone per rinnovare la favola.
"Le favole sono un bacino immenso di stereotipi di genere. Il maschile viene sempre descritto come dotato di forza, azione, autostima, dominio. Il femminile è dipendente, sottomesso, remissivo, vittima. Le uniche donne indipendenti sono le streghe".
In cerchio le professoresse che dovranno proporre ai loro alunni la decostruzione delle fiabe immaginano una nuova trama: "La donna era un calzolaio e viveva oltre il muro di cinta. Il ragazzo se ne innamorò ma lei non voleva sposarsi e partì per cercare fortuna...".
"Ai bambini non proponiamo di rovesciare completamente la fiaba, altrimenti cadiamo nello stereotipo opposto dell'uomo sempre debole e sempre perdente", rassicura Marini, che non è per niente favorevole all'abolizione delle favole classiche tradizionali.
"Sono proprio le favole che conosciamo fin da piccoli come Cappuccetto Rosso a essere state riscritte e decostruite lungo i secoli, non facciamo nulla di nuovo. La Cappuccetto indipendente e sveglia non è una nostra invenzione", continua Marini. "Molti rimangono sbalorditi quando spieghiamo che nella versione di Perrault il cacciatore che salva Cappuccetto Rosso non c'era e che invece nella versione dei fratelli Grimm la piccola protagonista impara dalla propria esperienza e quando torna nel bosco cerca di uccidere il lupo insieme con la nonna".
E mentre nei gruppi di lavoro sulle fiabe il principe diventa improvvisamente pauroso e la figlia del re preferisce rimanere single, nell'aula accanto Ezio De Gesu, attivista gay del Cassero di Bologna, riproduce per intero il laboratorio "Schoolmates" sull'identità sessuale e di genere rivolto ai ragazzi dai 12 anni. "Chi pensa che la scuola media sia un tempo troppo precoce per parlare di intersex, transgender e cisgender probabilmente non è mai entrato in una classe", dice con ironia.
"Una persona su 400 è intersex, perché non dovrebbero conoscere questa realtà? E perché dovrebbero crescere pensando che una persona transgender è forzatamente triste e disperata? Il fatto poi che esistano coppie omosessuali e persone con genitori gay è un dato di fatto che non va nascosto e che bisogna rispettare".
"Chi pensa che la scuola media sia un tempo troppo precoce per parlare di intersex, transgender e cisgender probabilmente non è mai entrato in una classe"
Nel corso "Schoolamates", che in quattordici anni ha coinvolto 600 classi bolognesi, il sesso nella sua concretezza non viene mai affrontato.
Semmai molto tempo viene impiegato per spiegare la differenza tra identità di genere e orientamento sessuale. E per farlo De Gesu mostra un disegno dove una ragazza, specchiandosi, vede un ragazzo e viceversa. Ai docenti consiglia testi per esplorare le differenze tra maschi e femmine come "Così sei fatto tu" e un classico di Bianca Pitzorno "Extraterrestre alla pari" dove una famiglia ospita una persona proveniente da un pianeta dove il genere sessuale non è importante.
L'insegnamento finale è che "l'orientamento sessuale può essere fluido e cioè può succedere che un ragazzo possa essere attratto dalle ragazze e dopo qualche anno provare attrazione per le persone dello stesso sesso. Ma è decisamente errato che questo possa essere frutto di una scelta o di un condizionamento culturale. Dire che con questi corsi 'omosessualizziamo' gli studenti è completamente falso".



domenica 20 settembre 2015

Educare alle differenze, il giorno dopo di Donatella Caione

La giornata trascorsa ieri a Educare alle differenze II a Roma è stata intensa, ricca, emozionante!
Prima di tutto però voglio ringraziare le organizzatrici del meeting che quest'anno, dopo il rodaggio del primo anno, sono state ancora più brave! Tutto perfettamente organizzato: le registrazioni, gli spazi, la puntualità dei workshop, il pranzo... l'unico problema è stato il caldo ma certo non era dovuto a loro colpe!
Come l'anno scorso già arrivare nel cortile della scuola è un sentirsi a casa, sentirsi fra persone con cui c'è un comune sentire (scusate la cacofonia ma ci voleva...), sapere di essere, dopo tutti questi mesi di discussioni e di tentativi di combattere i tentativi di scardinamento dell'importanza di educare alle differenze, fra persone che stanno vivendo le stesse discussioni, gli stessi obiettivi, gli stessi problemi. Unite dal desiderio di trovare strategie comuni per far prevalere la buona informazione sulle menzogne, la verità sulle bufale. Perchè si può essere in disaccordo ma è necessario essere onesti, non manipolare, non imbrogliare, non confondere. Ed è per questo che mi è piaciuto l'invito in plenaria rivolto dalla Presidente di Scosse, Monica Pasquino, ad eventuali giornalisti/e presenti magari non in sintonia con il nostro comune sentire sul progetto, di girare, guardare, ascoltare però poi raccontare senza menzogne!
Ma ieri non eravamo in disaccordo ed è bello trovarsi per individuare comuni strategie. E' stato bello ad esempio parlare del nostro libro La grammatica la fa... la differenza!, senza dover affannarci a spiegare perchè è importantissimo usare il linguaggio sessuato ma dovendo solo raccontare come noi suggeriamo di farlo e cosa dice la nostra grammatica (della lingua italiana). E' bello che ti venga incontro un ragazzo dell'Anddos con il loro volantino sulla "bufala gender" e potergli dire che lo prendi volentieri anche se sulla questione sei informatissima...
Purtroppo bisognava scegliere, i workshop interessanti erano tanti, lo erano tutti. Io come primo ho scelto quello su Il gioco del rispetto, affollatissimo, perchè in questi mesi se ne è parlato tanto ed è stata una delle attività più manipolate nell'informazione. E poi le donne nella letteratura con l'indicazione di cercare le autrici donne nelle più diverse fonti,  gli spot discriminatori, le famiglie negli albi illustrati (raccontate da Rossella Caso dell'Università di Foggia), le rappresentazioni del femminile nella storia nei sussidiari della scuola primaria e il progetto di una collana per raccontare le storie assenti (a cura di Settenove), il sessismo e la violenza di genere raccontate dalle blogger di NarrAzioni differenti... solo alcuni dei tanti momenti cui ho potuto partecipare, tra un incontro, un caffè, tante conversazioni, un salto al banchetto della libreria per mostrare i libri della Casa Editrice Mammeonline, una visita veloce alla biblioteca del circuito Biblioteche di Roma annessa alla scuola... poi alla fine un divertentissimo momento nel cortile con il gruppo teatrale Protestarte, cio un clima diventato clemente che ha permesso di godere della bravura di Oliver Malcor e degli altri attori e attrici che hanno realizzato una divertentissima parodia della bufala gender parlando e giocando con il pubblico.
E naturalmente c'è stato il nostro workshop su La grammatica la fa differenza, la relazione di Gemma Pacella come sempre intensa, la mia più esplicativa. Un workshop partecipatissimo, con un pubblico attento, interessato, desideroso non di capire se è giusto usare il linguaggio sessuato, ma di capire come fare per insegnarlo ai bambini e alle bambine, come fare perchè venga usato di più, quali sono le giuste modalità. Insomma... il comune sentire di cui dicevo...
E poi il ritorno a casa, dopo altre tre ore di chiacchiere in auto, e condivisione degli incontri cui ognuna di noi aveva participato. Ma soprattutto con la sensazione di non essere sole, di essere più forte, di sapere che ci sono tante donne e tanti uomini con cui confrontarsi. E tante giovani e tanti giovani, soprattutto. Energie fresche di cui c'è un grande bisogno. Tra le altre cose tornando a casa ho letto l'ennesimo articolo dei sostenitori della bufala gender, che ora hanno coinvolto pure Simone de Beauvoir, che diceva che “donna non si nasce ma si diventa”. Farebbero pena se non facessero rabbia. Da oggi tocca ricominciare a spiegare, purtroppo. E tocca pure spiegare cosa voleva dire de Beauvoir con questa frase, tocca spiegare che non si riferiva al cambiamento di sesso (ahimè). Una bambina diventa donna chiedendo alla maestra di dire anche Buongiorno bambine quando entra in classe, imparando a non riconoscersi negli stereotipi che la vogliono in un certo modo, desiderando scoprire le importanti figure femminili della storia, crescendo con la consapevolezza di dover esigere di essere rispettata dagli uomini, leggendo i bei libri per l'infanzia, imparando ad autodeterminarsi...
E oggi purtroppo si ricomincia a discutere, a leggere bugie, a parlare con gente manipolata. E ad educare alle differenze, che è un'espressione che preferisco rispetto ad "educare al genere", sia perchè crea meno equivoci sia perchè è più inclusiva, ed è importante che lo sia in questo triste periodo di razzismi e oltranzismi.
E allora, in bocca alla lupa a noi!


sabato 19 settembre 2015

Donne migranti, lo sfruttamento è doppio.Sfruttate perché donne e perché straniere. Costrette a lavorare in nero per quattro soldi e a prostituirsi con il datore di lavoro. Fantasmi di cui nessuno parla. di Marco Omizzolo e Roberto Lessio

«Amal avrebbe voluto guardare meglio negli occhi del soldato, ma la bocca del fucile automatico contro la fronte non glielo permetteva. Era sufficientemente vicina per vedere che portava le lenti a contatto. Si immaginò il soldato curvo su uno specchio che si infilava le lenti negli occhi prima di vestirsi e andare a uccidere. Che strano, pensò, quello che ti viene in mente tra la vita e la morte. Si domandò se i soldati si sarebbero dichiarati pentiti dell'uccisione "accidentale" di una cittadina americana. O se la sua vita sarebbe semplicemente finita nel marasma del "danno collaterale».
Così inizia Ogni mattina a Jenin, di Susan Abulhawa, uno dei libri più appassionanti degli ultimi anni, la cui lettura insegna più di ogni altra il dramma dell'abbandono della propria casa, della violenza, della persecuzione ma anche della fiera resistenza contro un mondo che ancora troppo spesso dimentica la sua umanità. In questo caso si tratta di una famiglia palestinese, popolo perseguitato dalla illegittima occupazione israeliana.
Potrebbe però benissimo essere la storia di una donna eritrea, costretta a fuggire dalla feroce dittatura di Afewerki, come Aster Yohannes che insieme a suo marito Petros Solomon ha fatto perdere le sue tracce, probabilmente perché massacrati dalle guardie "ammaestrate" di quel regime. Oppure Asabe, donna nigeriana costretta a venire in Italia e a prostituirsi sul ciglio delle nostre strade, nell'indifferenza generale.
O ancora Chau, che lavora come badante di un anziano signore romano guadagnando appena 400 euro al mese a nero, costretta a vivere un lavoro totalizzante, privo di occasioni di svago, socializzazione, riposo. O Anca, venuta in Italia per cercare lavoro per ritrovatasi a lavorare come schiava nei campi agricoli di Ragusa dove guadagna appena 600 euro al mese e sistematicamente viene violentata da un padrone italiano che puzza di alcool e di vigliaccheria.
Quanto è emerso lo scorso anno a Ragusa, come è stato già sopra ricordato, racconta di un Paese che è in caduta libera, dal punto di vista etico e politico. A distanza di poco meno di un anno non si sono presi provvedimenti utili per sconfiggere quella forma di riduzione in schiavitù e doppio sfruttamento, sessuale e lavorativo.
Donne usate per fare soldi e fare sesso. Il governo italiano sembra disinteressato, impegnato come è nel jobs act, figuriamoci cosa gliene importa delle donne immigrate sfruttate e violentate nelle nostre campagne. E infatti, continuano le denunce, i convegni, gli articoli sui giornali, le interrogazioni parlamentari ma di provvedimenti per salvare quelle lavoratrici non se ne vedono.
Nel mentre molte donne rumene continuano ogni giorno ad essere costrette a prostituirsi con il datore di lavoro che le ricatta di licenziamento se non si concedono alle sue perversioni. Abusi e sfruttamenti si perpetuano nelle campagne siciliane, tra le serre e i campi aperti. Se ti rivolti perdi il lavoro, l'alloggio, la possibilità di inviare pochi soldi a casa, ovunque essa sia, di mantenere i figli.
Fare una stima del numero delle donne che vivono queste continue violazioni è impossibile. Molte lavorano in nero e non denunciano per paura delle conseguenze, subiscono in silenzio le violenze e addirittura arrivano anche al concepimento. L'emergenza riguarda anche gli aborti. Secondo stime approssimative si tratta di circa cinque o sei interruzioni alla settimana, a cui si aggiungono gli aborti clandestini sul territorio e quelli effettuati in altre strutture provinciali.
Le donne migranti braccianti dell'Est Europa, non solo rumene ma anche ucraine e, in passato, polacche, insediatesi soprattutto nel meridione d'Italia sono quasi pari a quella degli uomini. Si tratta però di lavoratrici vulnerabili, sottopagate, soggette a ricatti sessuali e occupazionali che mostrano la natura para schiavistica e sessista del capitalismo moderno. Donne che mediamente percepiscono 25-35 euro giornalieri per otto e più ore di lavoro, mentre i loro compagni di lavoro uomini arrivano ai 45-55 euro; spesso costrette a prostituirsi per 15-20 euro con il loro datore di lavoro.
Le prestazioni sessuali derivano dal ricatto della miseria, dovuto a salari miseri, alla mancanza di strumenti adeguati per uscire dallo sfruttamento lavorativo e dal ricatto occupazionale. Senza dimenticare che il passo dalla prostituzione indotta alla violenza sessuale è davvero breve. Se ci stai prendi 20 euro, altrimenti ti prendo uguale altrimenti ti licenzio. Così ragionano alcuni padroni italiani. Secondo Medici senza Frontiere, oltre la metà degli stranieri impiegati come braccianti agricoli non ha un permesso di soggiorno, a cui si aggiunge un 25% di persone con un regolare permesso per richiesta d'asilo, alle quali, ai sensi della legge italiana, non è consentito lavorare.
Per una donna, essere irregolare vuol dire essere soggetta alla minaccia di essere denunciata e di conseguenza spesso rimpatriata se non si accettano i rapporti sessuali. Pochi si occupano del tema. Se c'è un doppio sfruttamento (in quanto donna e in quanto straniera), se ciò si manifesta ancora in modo duplice soprattutto nelle nostre campagne (in quanto sfruttata lavorativamente e sessualmente), si manifesta di contro una sorta di quasi impenetrabile pregiudizio: in quanto donne, braccianti, straniere risultano le più invisibili tra gli invisibili. E si sa dei fantasmi non si occupa mai nessuno. Semplicemente non esistono.
Fantasmi, donne trasparenti, vittime della nostra colpevole ignavia e di una fame di profitto e di potere che ricorda gli anni bui del fascismo. Qualcuno diceva "lavoratori di tutti il mondo unitevi", si riferiva agli uomini e anche alle donne. Iniziare ad aggregare, a tenere insieme, a unire le migliaia di lavoratrici schiavizzate nei nostri campi e spesso costrette a forme varie di violenza genererebbe un passo in avanti che sconvolgerebbe i piani dei padroni e di questo governo. Vale la pena provarci, anche a costo di rischiare di essere classificati tra "i danni collaterali". Meglio combattere questa battaglie che essere parte di questo sistema.

venerdì 18 settembre 2015

Non esistono giochi da maschio e giochi da femmina Pubblicato da Benedetta

A dire la verità esistono, i giochi da maschio e i giochi da femmina. Ma esistono perché qualcuno li ha inventati, e messi sul mercato, e pubblicizzati e privati di ogni alternativa.
Quindi dovremmo essere più precisi, specificando che “in natura” non esistono giochi da maschio e giochi da femmina. Bambini e bambine non ne hanno bisogno, non ne sentono la naturale necessità.
Quanti bambini di due o tre anni girano allegramente per casa con l’aspirapolvere in mano? O si mettono a pulire il pavimento con lo straccio?
Il mondo è pieno di mamme che affermano piene di commozione che il loro figlio maschio è un perfetto casalingo. Poi però tutto questo svanisce come per incanto.
Sarà perché sulle confezioni del ferro da stiro giocattolo c’è la foto di una bambina? O perché il kit delle pulizie è rosa?
Sarà perché, a un certo punto, la spontaneità di bambini e bambine viene influenzata dall’ambiente culturale e sociale in cui vivono?
Per quanti decenni abbiamo giocato tutti insieme con i famosi mattoncini, senza per questo sentirci meno maschi o meno femmine? Eppure oggi questo non è più possibile, perché qualcuno ha deciso che fosse più conveniente vendere una linea fatta apposta per le bambine. E non vorremo mica far giocare i maschi con mattoncini di colore rosa o lilla?
In effetti, ci sarebbe qualcosa da dire anche sui colori da maschi e i colori da femmina, che sono convenzioni che il mondo adulto impone, fregandosene della libertà dei bambini, che finiscono con il domandarsi come mai il rosa sia un colore da femmine se anche i maschi hanno la pelle di quel colore.
La verità è che dividere tutto tra rosa e azzurro e per maschi e femmine, genera molto profitto. Un profitto di cui peraltro i nostri figli e le nostre figlie probabilmente non godranno.
Allora ecco affacciarsi un pensiero scandaloso: e se provassimo a regalare a nostro figlio il bambolotto-che-si-ammala?
Che cosa succederebbe? Riscontreremmo danni neuronali dopo averlo fatto giocare “al papà” o al “medico di base”?
Se la nostra bambina giocasse con le gru e le macchinine, svilupperebbe forse una sindrome bipolare?
Possiamo dire serenamente di no, e possiamo stare tranquilli: lasciamo giocare i nostri figli e le nostre figlie con quello che desiderano, astenendoci da giudizi, impliciti o espliciti. Perché i nostri figli cresceranno più sereni, se potranno sviluppare e accrescere le proprie passioni sin da piccoli.
Cosa spaventa molti genitori?
La verità, è che molti genitori sono spaventati dalla possibilità di avere figli omosessuali. Per questo, cercano di indirizzare le passioni dei figli, maschi o femmine, verso giochi stereotipati, che sono più ‘rassicuranti’ da questo punto di vista.
La verità scientifica, però, ci dice che l’omosessualità è una condizione innata, come avere i capelli rossi o le lentiggini, e non viene creata a tavolino dai giocattoli con cui giochiamo da piccoli, né può essere scelta (o non scelta) volontariamente.
La domanda, allora, è solo questa: quanto amiamo i nostri figli? Li amiamo solo finché corrispondono a ciò che noi avevamo in mente per loro, o possiamo amarli anche se non saranno come noi volevamo?
Quanto amiamo i nostri figli? Abbastanza da volerli felici e realizzati, o preferiamo che corrispondano al nostro ideale a scapito della loro realizzazione personale?
Oggi ogni genitore, forte delle scoperte scientifiche degli ultimi 50 anni, dovrebbe chiederselo. E per alcuni, lo sappiamo, non sarà facile accettare che i propri figli siano diversi da ciò che era stato previsto. Ma se li amiamo, dobbiamo amarli come sono.
In ogni caso, non sono i giochi ‘da maschio o da femmina’, a condizionare il modo di essere dei bambini: lasciamo che i bambini giochino come vogliono, cresciamo con loro, impariamo da loro, e ricordiamoci che l’amore vince su tutto.

giovedì 17 settembre 2015

Suggerimenti per una rieducazione sentimentale degli uomini e delle donne di Lea Melandri

Invece di accanirsi a contestare una delirante “teoria del genere”, agitata come spauracchio contro ogni cambiamento del rapporto uomo-donna che cominci dall’educazione primaria, sarebbe molto più utile portare l’attenzione sui testi che, proprio attraverso la scuola, hanno protratto fino ad oggi la definizione di comportamenti, ruoli, identità del maschio e della femmina.
Un esempio. Alle donne è stato imposto di non esprimere i loro desideri, amorosi, sessuali, nei confronti dell’uomo, ragione per cui non hanno avuto altra possibilità che farli passare per vie indirette: la seduzione –l’uso erotico del loro corpo-, le cure materne estese a uomini adulti e perfettamente autonomi. Rendersi ‘desiderabili’ o ‘indispensabili’ è stato finora l’unico modo, non solo per esercitare un potere sostitutivo di altri poteri negati, ma anche per dare corso in qualche modo ai loro più inconfessabili sentimenti, sogni, emozioni e bisogni.
C’è una ragione che spieghi perché alle donne non sono stati tolti solo i poteri economici, sociali, culturali e politici, ma anche quello di essere “soggetto di desiderio”, a pari dell’uomo, messe cioè in condizione di vivere rapporti di reciprocità anche sul piano sentimentale, affettivo, sessuale?
La risposta, semplice e chiara tanto da essere esposta senza alcuna remora in un opera pedagogica, l’ha data il padre della democrazia moderna: Jean-Jacques Rousseau.
Le donne hanno due potenti “attrattive” –la seduzione e la maternità-, entrambe già presenti in quel corpo che l’uomo incontra alla nascita, in posizione di estrema dipendenza e inermità. Come tenerle a bada, se non incanalandole da subito in funzione dei suoi bisogni, della sua felicità, del suo piacere?
Ed ecco l’indicazione pedagogica, che si legge nell’ Emilio di Rousseau, e che ancora impronta l’educazione di genere, nonché il senso comune:
“Dipendono quindi dai nostri sentimenti, dal valore che attribuiamo ai loro meriti, dall’importanza che diamo alle loro attrattive e alle loro virtù. Proprio per legge della natura le donne, sia per se stesse che per i loro figli, sono alla mercé del giudizio degli uomini: non basta che siano degne di stima, bisogna che siano effettivamente stimate; non basta che siano belle, bisogna che piacciano; non basta che siano sagge, bisogna che siano riconosciute per tali; il loro onore non risiede soltanto nella loro condotta, ma nella loro reputazione (…) ciò che si pensa di lei non è meno importante di ciò che realmente ella è.”
“La buona complessione fisica dei figli dipende innanzi tutto da quella delle madri; la prima educazione degli uomini dipende dalle cure che le donne prodigano loro; dalle donne infine dipendono i loro costumi, le loro passioni, i loro gusti, i loro piaceri, la loro stessa felicità. Così tutta l’educazione delle donne deve essere in funzione degli uomini. Piacere e rendersi utili a loro, farsene amare e onorare, allevarli da piccoli, averne cura da grandi, consigliarli, consolarli, rendere loro la vita piacevole e dolce; ecco i doveri delle donne in ogni età della vita e questo si deve loro insegnare fin dall’infanzia.”
“Perché fare attenzione a quello che dice la loro bocca, se non è con essa che devono parlare? Osservate piuttosto i loro occhi, il colore del loro volto, il loro respiro, il loro aspetto spaurito, la loro debole resistenza: è questo il linguaggio che la natura ha dato loro per rispondervi. La bocca dice sempre di no, e deve dirlo; ma il tono con cui lo dice non è sempre lo stesso, e questo tono non può mentire. La donna non ha forse gli stessi bisogni dell’uomo, senza avere lo stesso diritto di manifestarli? (…)
Non ha bisogno di un’arte particolare, quella di far capire le sue intenzioni senza scoprirle apertamente? E quanta scaltrezza le occorre, perché le venga strappato ciò che tanto ardentemente brama concedere! Quanto è importante che impari a far presa sul cuore dell’uomo senza avere l’aria di pensare a lui!”
“…la sua violenza risiede nelle sue attrattive ed è con queste che deve costringerlo a trovare in sé la forza e ad usarla. Il modo più sicuro per eccitare tale forza è di renderla necessaria offrendo resistenza. Allora l’amor proprio si unisce al desiderio e l’uomo trionfa della vittoria che la donna lo ha stimolato a riportare. Di qui nascono l’attacco e la difesa, l’audacia di un sesso e la timidezza dell’altro, infine la modestia e il pudore di cui la natura ha armato il debole per asservire il forte.”
“L’uno deve essere attivo e forte, l’altro passivo e debole; è necessario che l’uno voglia e possa, è sufficiente che l’altro opponga poca resistenza. Stabilito questo principio, ne consegue che la donna è fatta soprattutto per piacere all’uomo. Se è vero che l’uomo deve a sua volta piacerle, questa è una necessità meno immediata: il suo merito è nella sua potenza; egli piace per il fatto stesso che è forte. Non è questa le legge dell’amore, lo ammetto, ma è quella della natura, anteriore all’amore stesso.”
Chi avesse dubbi che è ancora questo il fondamento ideologico su cui si sono costruite e a cui devono la loro durata le “figure di genere”, è sufficiente che dia un’occhiata alle video interviste fatte nelle scuole primarie da Alessandra Ghimenti –“Ma il cielo è sempre più blu”.
Sulla precocità di antichi pregiudizi sulla relazione tra i sessi, del resto, non manca certo materiale di riflessione, dalla pubblicità, al cinema, ai media, ecc.
Quanto tempo ancora ci vorrà per riportare alla storia ciò che la visione maschile del mondo ha attribuito alla natura e su cui ha costruito il più duraturo dei domini?



mercoledì 16 settembre 2015

Una campagna di civiltà contro l’inesistente teoria del gender

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Cari genitori, insegnanti ed educatori,
purtroppo da diverso tempo ormai circolano su Facebook, su siti e testate on line di dubbia autorevolezza e su WhatsApp, messaggi allarmistici circa la possibilità di inserimento, nella riforma de “La buona scuola” del governo Renzi, di corsi GENDER, ovvero di corsi che prevederebbero: l’omosessualizzazione dei vostri figli; lezioni di masturbazione o travestitismo che indurrebbero i bambini, addirittura, a scegliere di cambiare sesso! Il tutto sarebbe stato estrapolato da un documento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità!
Ebbene, tutto questo NON E’ VERO! Proviamo quindi a fare chiarezza per evitare facili ed inutili allarmismi:
La teoria e l’ideologia del gender NON ESISTONO, esistono semmai gli “studi di genere” che sono ben altra cosa e che mirano a scardi-nare i cosiddetti “ruoli di genere” e che per intenderci e per semplificare rinchiudono maschi e femmine in “ruoli” specifici. Il RUOLO DI GENERE è ciò che, in base alla cultura, alle convenzioni sociali, alle convinzioni religiose ci si aspetta da un maschio o da una femmina in termini di comportamento. Ovviamente, essi variano a seconda del periodo storico, della cultura e dell’indottrinamento religioso ed influisco moltissimo sull’insorgere di pregiudizi e discriminazioni.
Quindi, ribadiamo che “Teoria e Ideologia Gender” sono il modo improprio e volutamente falsato e distorto in cui una parte del mondo politico e/o cattolico parla dei suddetti studi.
A proposito invece del documento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Standard per l’ Educazione Sessuale in Europa – Qua-dro di riferimento per responsabili delle politiche, autorità scolastiche e sanitarie e specialisti) e gli articoli “incriminati” della nuova legge sulla scuola, basterebbe prendersi la briga di leggerli per scoprire che: non vi è nessun riferimento a corsi di masturbazione o “induzione al sesso; l’art. 16 della LEGGE 13 luglio 2015, n. 107 recita esattamente: “il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei princìpi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni” . Altro che inventata teoria gender!
Quanto sopra descritto è stato confermato dal MIUR nonché da psicologi e sessuologi e dai rispettivi ordini e ovviamente può essere riscontrato leggendo per intero i documenti a cui si riferiscono in assoluta malafede e con grado di ignoranza senza eguali coloro che hanno infangato quella che altro non è che “Educazione alle differenze” ovvero il lavoro per la creazione di scuola realmente “aperta” ed inclusiva rispettosa di tutte le cosiddette diversità, dove nessuno possa essere insultato, deriso o escluso perché considera-to appartenente al “sesso debole”, perché ha un colore diverso della pelle, perché non è cattolico, perché è diversamente abile, perché si sente attratto da una persona del suo stesso sesso o semplicemente perché viene ritenuto un “diverso”.

Per coloro che volessero saperne di più:

 LEGGE 13 luglio 2015, n. 107
 Standard per l’Educazione Sessuale in Europa
 Teoria e ideologia gender —Tutta la verità
 Vi invitiamo inoltre a partecipare alla seconda edizione dell’incontro nazionale “EDUCARE ALLE DIFFERENZE” che si terrà a Roma il 19 e 20 settembre 2015 di cui troverete info e dettagli: http://www.scosse.org

Non vi è alcun appiglio se non la propria volontà di vedere ciò che non c’è
perchè, come diceva Albert Einstein: “ la mente è come un paracadute: funziona solo se si apre”.



martedì 15 settembre 2015

Buon anno a voi ragazzi e ragazze omosessuali di Giuseppina La Delfa

9 milioni di studenti riprendono la strada della scuola per iniziare un nuovo anno accademico. Buon anno a tutti voi alunni e insegnanti e personale amministrativo, buon anno e serenità soprattutto a voi genitori. Vi hanno avvelenato tutta l'estate con modi terroristici sulla fantomatica teoria gender con le mail, i messaggi Whatsapp, gli show surreali in tv, le trasmissioni radiofoniche e gli articoli e blog assurdi sulla questione. Una vera follia collettiva basata sul nulla di fatto. Basata anzi sull'omofobia e il terrore dell'altro, la paura della libertà, il timore del rispetto della parità di genere...
Sono pochi ma molto bene organizzati i gruppi che sognano un mondo cataplasmato sui loro ideali obsoleti e criminali che per secoli hanno mantenuto donne e bambini in totale sottomissione. Oggi il loro lavoro è subdolo e nutrito di bugie e teorie assurde e inesistenti per spaventare la gente con lo scopo primario di negare ogni dignità e ogni visibilità alle persone omosessuali e transessuali.
Per fortuna anche le autorità hanno iniziato a rispondere con obiettività - era ora! - dopo che hanno lasciato dilagare tutta l'estate un fiume di idiozie incredibili.
Bene. Parliamo di numeri. Oggi a scuola entreranno 9 milioni di studenti. Fra questi ci sono in media 7 per cento di persone omosessuali, circa 600 000 bambini, ragazzi, adolescenti gay, lesbiche e transgender. Ci sono anche come minimo 100 000 bambini ragazzi e adolescenti figlie e figli di persone omosessuali e transessuali. Molti fra loro ne sono già consapevoli, qualcuno ancora non lo sa ma lo sente.
Ci sono anche centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze che si confrontano o si confronteranno presto con i loro amici, cugini, fratelli, vicini di casa omosessuali o figli di omosessuali. E poi ci sono insegnanti gay e lesbiche, presidi e personale amministrativo lesbiche e gay, alcuni serenamente visibili che portano tanta serenità nelle classi dove in media hanno di fronte 5-6 ragazze gay o lesbiche o transgender, e alcuni che ancora faticano e non ci riescono a essere trasparenti e che non possono aiutare chi avrebbe bisogno del loro supporto.
La scuola che è di tutte e tutti, anche di questo milione buono - fra grandi e piccoli - di persone omosessuali e transessuali, è pronta al discorso sereno sulla sessualità, sull'affettività, sull'omosessualità?
So che esiste il meglio in questa materia, c'è chi risponde con intelligenza e cuore ai terroristi della "balla della teoria gender", ma c'è chi resiste ancora non sa come affrontare le cose per mancanza di formazione e a volte purtroppo perché fa parte di quella schiera di adulti omofobi e terrorizzati dal discorso sulla sessualità.
A tutti voglio rammentare i numeri : se la scuola è di tutti, appartiene anche a quel milione di persone che invece non trova la giusta attenzione nei programmi e nei discorsi.
Invito perciò le insegnanti e gli insegnanti di ogni grado a partecipare alle due giornate di riflessione sul tema il 18 e 19 settembre a Roma : "educare alle differenze". 
Buon anno a tutti e tutte, specie ai ragazzi omosessuali e transgender, nella speranza che mai più dovremmo leggere di ragazzi suicidi, di lesbiche maltrattate e insultate, di adolescenti derisi e picchiati a causa dell'omertà degli insegnanti, del silenzio delle istituzioni, dell'odio dei reazionari, nella vigliaccheria dei genitori. Se dovesse succedere ancora, la colpa è soltanto della scuola e dunque di tutti gli adulti che muti e ciechi lasciano fare.

lunedì 14 settembre 2015

Parlare di stereotipi di genere nelle scuole è necessario, a partire dalle materne. Ecco perché di Barbara De Micheli

Ora che le scuole stanno per ricominciare, vorrei tornare a parlare di un tema che mi interessa molto, che suscita irrazionali terrori e giunge a ispirare interventi assurdi, fuori dalla storia, dallo spazio e dal tempo[1].
Paure e ansie si alimentano intorno a qualcosa che non corrisponde a come viene descritto e la cui presentazione allarmista sembra piuttosto servire ad allontanare l’attenzione dal fulcro del problema.
I paladini della famiglia tradizionale e gli agguerriti oppositori della cosiddetta (ed inesistente) ideologia del gender vogliono far credere a schiere di genitori intimoriti che la posta in gioco sia difendere i nostri figli dalla fantomatica possibilità che qualcuno voglia promuovere l'autoerotismo nelle scuole della prima infanzia. Come se poi ci fosse davvero bisogno di promuoverlo, l’autoerotismo; lo sanno bene quelle e quelli di noi che hanno ricordi che arrivano ai propri primi anni di vita o hanno figli/e di quell'età. Mentre la posta in gioco è ben più alta e, per certi versi, ancora più rivoluzionaria di quanto il sesso, nelle sue infinite sfaccettature, possa mai essere.
Buona parte del gran malinteso si basa tutto sulla confusione tra sesso e genere.
E devo ammettere che all'inizio ho fatto fatica anche io a capirla, questa differenza.
Poi mi è stata spiegato molto chiaramente, con il caso Lady Oscar.
Un pomeriggio una mia amica molto intelligente, estenuata dalle mie domande, ha trovato un esempio alla mia portata, e mi ha permesso di capire: 
"È facile, devi pensare ai vestiti" 
"Prego?" 
"Nella maggior parte dei casi i vestiti nascondono il sesso e svelano il genere" 
"Ovvero?" 
"Ovvero, prendi me. Per come sono vestita – maglia, gonna, orecchini, anelli, rimmel, rossetto e shatush  - e per come mi comporto tu presumi che io sia un essere umano di sesso femminile. Ma la certezza biologica del mio sesso non ce l’hai perché è ben nascosta centimetri sotto la mia gonna colorata. Ed è probabile che tu questa certezza non riesca a verificarla mai. Al contrario, se con un po' di accortezza mi fossi presentata vestita da uomo, e mi fossi comportata da uomo, – hai presente Lady Oscar in battaglia? - con la stessa certezza tu avresti presunto che io fossi un uomo. Ecco: il sesso è fisico, biologico, nella maggior parte dei casi chiaro in natura sin dalla nascita, ma condiviso in modo esplicito solo con una ristretta cerchia di persone intime (fatta eccezione per le escursioni estive a Capocotta). Il genere, invece, è culturale, esplicitato, simbolico, frutto di costruzioni storico-sociali che definiscono e spesso prescrivono, in una complementarità che può risultare coercitiva, cosa tu possa o non possa fare in quanto uomo o in quanto donna".
Da quel momento in poi mi è parso chiaro, come già era chiaro a Lady Oscar, che il punto non è parlare di sesso ma piuttosto di stereotipi, possibilità e potere, e di come gli stereotipi legati al genere vengano trasmessi e si consolidino nella società e nelle scuole, soprattutto quando non c’è una riflessione sull’impatto che possono avere iniziative intraprese in totale buona fede. 
Anche qui, una storia illuminante.
A chiusura dei tre anni della materna di mia figlia siamo stati invitati alla recita di fine anno. Ammetto di non amare particolarmente le recite in generale, ma in questo caso lo spettacolo a cui siamo stati sottoposti è stato piuttosto inquietante. Bambini e bambine, divisi in due gruppi rigorosamente separati per genere, impegnati a cantare successi anni ’60, i maschietti con le rose a chiedere la mano a bambine invitate a fare le smorfiosette e dire "no" fino a quando i piccoli non si mettevano in ginocchio da loro.
A parte la scelta della colonna sonora, ché, diciamocelo, gli anni ‘60 in Italia e nel mondo hanno prodotto innovazione e cambiamento di grande impatto anche in ambito musicale e si poteva pescare a mani basse da un repertorio di alto livello praticamente immenso, la scena era abbastanza allarmante.
E, attenzione, ancora una volta, qui non si parla esplicitamente di sesso.
Si parla, piuttosto, di rendere stereotipati e di ipersessualizzare i comportamenti e le relazioni, di caricarli di un significato sessuale che non avrebbero per bambini di quella età e di trasmettere l’idea stereotipata che il genere a cui appartieni determina i tuoi comportamenti e delimita le tue aspettative: se sei femmina l’unica cosa che puoi fare é fare la smorfiosa ed aspettare che un uomo venga a dichiararti il suo amore in ginocchio portandoti una rosa, e, se sei maschio, almeno nella forma dovrai conquistarti quell’amore, piegandoti a portare quella rosa (e sentendoti di poter esigere, in nome di quella rosa, eterna riconoscenza e quotidiani favori). E a parte l’idea in sé superata e fastidiosa che in una relazione sia necessario mettersi in ginocchio, mi sembra triste che l’orizzonte di mia figlia, ma anche di mio figlio, debba essere aspettare che lo si mandi a prendere il latte per tornare con l’amore della propria vita.
Si vabbè, si potrebbe dire, sono solo canzonette.
Certo, sono solo canzonette. 
Ma è proprio per questo che andrebbero prese così seriamente.
Per il potere che hanno i messaggi semplici e ripetitivi. Soprattutto se appresi a scuola.
Per questo, per evitare messaggi troppo semplici e ripetitivi, mi piacerebbe che si potesse avviare una riflessione su quali effetti possa avere una scelta animata da buon senso ma dal messaggio quantomeno ambiguo.
Sarò fissata, ma mi piacerebbe che a un bambino e a una bambina di cinque anni venisse proposto uno scenario di riferimento diverso. Che fossero chiamati – a scuola, in una recita di fine anno - a lavorare sul proprio corpo nello spazio, sulle potenzialità che lo spazio, la musica, la danza offre e sulle diverse modalità che ciascuno ha, in base alle proprie potenzialità fisiche ed emotive (e anche quando queste potenzialità si discostano dalla norma), di muoversi nello spazio e di esprimere queste emozioni. Come, ad esempio, è stato fatto nella recita, questa volta bellissima, di quest’anno di mia figlia (che nel frattempo, per fortuna, è passata alle elementari). Una recita in cui bambini tra loro diversi (inclusa una bambina con difficoltà motorie) hanno espresso, individualmente e all’interno del gruppo, le proprie identità. 
Più in generale, mi piacerebbe che tutti/e potessero proiettare le proprie aspettative senza confini di genere, cogliere e offrire rose senza doversi mettere in ginocchio. E sognare di poter diventare astronauti, come Astro Samanta, oppure cuochi, o pittrici, come Frida Kahlo, o pentantatleti, oppure maestri, artigiane, cantanti, poeti, politiche, spazzini, o qualsiasi infinita altra cosa che apra la propria capacità di immaginarsi. E anche adulti e adulte felici, genitori, se lo vorranno, amici, amiche e amanti, mogli, mariti e nonni.
Mi piacerebbe che potessero scoprirsi per quello che sono e che potessero sentirsi liberi di essere come sono. Senza che qualcuno li limiti, li redarguisca o li faccia soffrire perché non aderiscono ai modelli di genere dominanti. Mi piacerebbe che mio figlio potesse andare a scuola vestito dei colori che preferisce, anche se questi sono il rosa, l’arancio e il verde acido, e che mia figlia potesse chiedere e ricevere per il suo compleanno un arco con le frecce senza sentire nessun commento del tipo “ma sei sicura che sia un regalo da bambina?”. E mi piacerebbe che quando si chiede ai bambini e alle bambine di descrivere cosa fanno mamma e papà l’opzione “Papà si occupa della casa” e “mamma viaggia molto per lavoro” non fossero guardate come opzioni marziane, alla stregua di “viviamo sott’acqua in una casa dalle pareti di vetro”, ma fossero una delle tante opzioni possibili e lecite.
E mi piacerebbe che ci fossero più maestri nelle scuole (una sorta di quote di genere), per favorire una maggiore presenza di modalità differenziate di guardare alla realtà e offrire approcci diversi ed integrati di crescita  e sviluppo.
Questo, per me, è il punto.
Per questo credo che sia necessario ragionare sugli stereotipi di genere e mettere in discussione la famiglia tradizionale.
Perché tra le nuove forme di famiglie, comprese quelle con due mamme o due papà, ci sono anche quelle in cui gli orientamenti sessuali rispondono alla tradizione, alla norma (che ricordiamocelo, rimane un concetto preso in prestito dalla statistica, che definisce come “normale” il fenomeno maggiormente diffuso), ma i ruoli di genere no. 
Perché avere sedici figli ed esibirli sul palco di Sanremo insieme ad una madre a cui è a malapena consentito articolare una parola, può essere una scelta, e io la difendo alla stessa stregua delle altre, ma non può essere il modello unico di riferimento.
E con questo bisogna confrontarsi, discutere, capire e accettare.
E questo è il vero punto, quello che fa paura: mettere in discussione ruoli tradizionali, dare alle donne (e agli uomini) potere di scelta, permettere a ciascuno di scoprire ed essere libero di essere quello che é.
Senza il senso del peccato, senza il rimorso di essere sbagliate, senza l’ansia di non corrispondere a desuete aspettative.
Da queste inibizioni, ansie, giudizi e aspettative io vorrei difendere mio figlio e mia figlia.
E credo che ragionare di genere e stereotipi nelle scuole materne sia un primo passo importante.
E mi rendo conto che questo passaggio potrebbe avere un vero ruolo davvero dirompente rispetto alle norme sociali. 
E capisco che faccia paura.
Tuttavia, mi dispiace, ma opporsi è una battaglia persa.
Perché la società, seppure lentamente, sta cambiando.

domenica 13 settembre 2015



ll senso vero dello Sport. Talento, umiltà, dedizione, amicizia. 
La grande lezione dello sport femminile italiano con Flavia e Roberta. 

Quello sport femminile italiano dove le Atlete sono tutte formalmente e sostanziante dilettanti, sia che guadagnino 10 mila euro all'anno sia 2 milioni di euro. 

Dove se non sei una stella coperta da sponsor o un'atleta militare, sei solo una precaria invisibile, senza contratti, senza contributi, senza maternità, senta tutele di nessun tipo.

Ecco, Renzi, non bastano le foto ad ogni successo, le telefonate e i tweet. E' questo che devi fare per le donne dello sport. Non solo passerella.

 (Il 26 settembre a Roma venite al Meeting Nazionale dello Sport Femminile). 

domenica 6 settembre 2015

Ma di che Gender stiamo parlando? L’Educazione Sessuale e Affettiva a scuola, i nostri bambini e l’inesistente Teoria del Gender.

Il primo passo per difendere i bambini e i loro diritti è CAPIRE:
“Nelle nostre scuole a differenza di quanto si è fatto in altri Paesi, non c’è mai stata una vera e propria educazione sessuale e anche per questo l’Italia è arretrata rispetto alla considerazione delle categorie di sesso e genere. Eppure, educare i genitori e dare informazioni corrette agli insegnanti affinché parlino in modo ragionato, e non dogmatico, di sesso, orientamento sessuale, identità e ruoli di genere, a figli e scolari è molto importante perché sono concetti determinanti per comprendere meglio la nostra identità personale. E per essere cittadini occorre sapere chi si è”.1
L’educazione sessuale non insegna il SESSO ma la SESSUALITA’ e l’identità sessuale.

Le componenti dell’identità sessuale sono:
1) Sesso biologico, ossia le caratteristiche biologiche e anatomiche (il pene, la vagina) che si hanno alla nascita;
2) Genere, vale a dire la categoria sociale che definisce il genere maschile e il genere femminile;
3) Identità di genere, se e in che misura ci si percepisce, ci si sente uomini se nati uomini e donne se nate donne;
4) Ruolo di genere, cioè l’insieme delle aspettative che la società ha sui comportamenti e sugli atteggiamenti che uomini e donne dovrebbero avere per via del loro sesso biologico;
5) Orientamento sessuale: attrazione fisica ed emotiva verso persone dello stesso sesso e/o di sesso opposto.
L’identità di genere degli individui NON è determinata dal sesso biologico. Si può essere nati biologicamente maschi, ma avere un’identità femminile (e viceversa) Ad essere influenzati dalla società sono i ruoli di genere che, non a caso, mutano nel corso del tempo e variano a seconda del contesto culturale, religioso e politico in cui ci si trova. Si pensi al ruolo delle donne e degli uomini nella società: dalle prime, in passato, ci si aspettava una dedizione totale e totalizzante nei confronti dei figli e delle faccende domestiche; i secondi, al contrario, dovevano occuparsi della carriera, del lavoro. Oggi, questa distinzione si è assottigliata.
In sintesi, gli studi di genere non negano l’esistenza di un sesso biologico assegnato alla nascita, né che in quanto tale influenzi gran parte della nostra vita, sottolineano però che il sesso da solo non basta a definire quello che siamo.
Esistono degli studi scientifici sul Genere. Non sono nati oggi, ma negli anni ‘70 e ‘80 dalla cultura femminista e costituiscono un campo di indagine interdisciplinare che si interroga sul genere e sul modo in cui la società, nel tempo, ha interpretato e alimentato le differenze tra il maschile e il femminile, legittimando la disparità tra uomini e donne.
“Oggi si assiste all’organizzazione di iniziative e mobilitazioni che, su scala locale e nazionale, tendono a etichettare gli interventi di educazione alle differenze di genere e di orientamento sessuale nelle scuole italiane come pretesti per la divulgazione di una cosiddetta <<ideologia del gender>>. L’AIP ( Associazione Italiana di Psicologia) ritiene opportuno intervenire per rasserenare il dibattito nazionale sui temi della diffusione degli studi di genere e orientamento sessuale nelle scuole italiane e per chiarire l’inconsistenza scientifica del concetto di <<ideologia del gender>>. Esistono, al contrario, studi scientifici di genere, meglio noti come Gender Studies che, insieme ai Gay and Lesbian Studies, hanno contribuito in modo significativo alla conoscenza di tematiche di grande rilievo per molti campi disciplinari (dalla medicina alla psicologia, all’economia, alla giurisprudenza, alle scienze sociali) e alla riduzione, a livello individuale e sociale, dei pregiudizi e delle discriminazioni basati sul genere e l’orientamento sessuale. Le evidenze empiriche raggiunte da questi studi mostrano che il sessismo, l’omofobia, il pregiudizio e gli stereotipi di genere sono appresi sin dai primi anni di vita e sono trasmessi attraverso la socializzazione, le pratiche educative, il linguaggio, la comunicazione mediatica, le norme sociali. Il contributo scientifico di questi studi si affianca a quanto già riconosciuto, da ormai più di quarant’anni, da tutte le associazioni internazionali, scientifiche e professionali, che promuovono la salute mentale (tra queste, l’American Psychological Association, l’American Psychiatric Association, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ecc.), le quali, derubricando l’omosessualità dal novero delle malattie, hanno ribadito una concezione dell’omosessualità come variante normale non patologica della sessualità umana.”2

Cosa sarebbe dunque la fantomatica “ideologia gender”?
“Genitori allarmati temono che i figli possano ricevere insegnamenti in grado di distorcere le loro menti. Che ci siano corsi obbligatori di masturbazione nelle scuole (!) imposti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (!!). Va detto a chiare lettere che la teoria del gender non esiste, è un’invenzione, una bufala non supportata da nulla di scientificamente valido nelle discipline psicosociali”3 che diventa “epidemia quando genera allarmismi e psicosi. Educare al genere e alla differenza sembra essere l’unica strada percorribile per combattere le discriminazioni di genere e superare gli stereotipi e lasciare ad ogni essere umano la libertà di essere chi vuole essere e di vedersi riconosciuto come persona.”4

Cosa avverrà nelle ore di educazione sessuale a scuola?
“Nelle scuole dove sono attivi corsi di educazione emotiva, affettiva e sessuale, non si insegna ai maschi come travestirsi da femmine, né si spingono le bambine a diventare lesbiche. Becere accuse, squallide insinuazioni e false notizie che hanno coinvolto, per esempio, poco tempo fa il kit ludico-didattico il Gioco del rispetto a Trieste. Sono corsi che partono invece da un’idea molto meno paurosa, e molto più vera: che le persone possono nascere bionde, mancine, eterosessuali come omosessuali.”5

Tutti i bambini e i ragazzi hanno diritto ad accedere all’educazione sessuale adeguata alla loro età. Il materiale e i contenuti sono stati organizzati a seconda delle diverse fasce di età e delle corrispondenti fasi evolutive. Questo tipo di attività NON influisce necessariamente su chi saranno da grandi, né sul loro orientamento affettivo-sessuale, né sulla loro identità di genere.
“Noi adulti abbiamo l’obbligo di educare alla sessualità i più piccoli per aiutarli a vivere in sicurezza e a tutelarsi. Impariamo a chiamare le “cose del sesso” col proprio nome, con tranquillità, normalità e semplicità, per costruire una relazione orientata al dialogo. Un dialogo che insegni anche che il sesso biologico da solo non basta a definire chi siamo. È risaputo che la nostra identità è una realtà complessa, composta dalle categorie di sesso, genere, ruolo di genere e orientamento sessuale.”6
Nessuno “insegnerà” la masturbazione e la pornografia ai bambini. L’obiettivo è spiegare il normale funzionamento del loro corpo e insegnargli ad esprimere le proprie sensazioni di benessere o disagio. “Come puntualizza anche il medico e psicoterapeuta Alberto Pellai il documento, segnalato come orrore da cui fuggire, non richiede di insegnare la masturbazione ma informa l’adulto, che lavora con i bambini, che l’autoerotismo esiste. Perchè i bambini sono curiosi (meno male) e si toccano, toccano, cercano informazioni. Un semplice e secco “non si fa!” non può essere la sola voce che si alza in risposta alla naturale ricerca di significati dei bambini. Si vuole aiutare il genitore/educatore ad aiutare il bambino nella scoperta della sessualità, non certo spingere il minore a pratiche precoci senza rispetto delle sue tappe di crescita.” (https://pollicinoeraungrande.wordpress.com/2015/06/22/difendiamo-i-bambini-dallignoranza-per-dei-bambini-di-un-genere-felice )
“Il documento dell’OMS nella prima parte tratta tutto il tema dello sviluppo sessuale del bambino, del bisogno di contatto e della ricerca del piacere che non è ovviamente ricerca sessuale, come potrebbe intenderla un adulto, prosegue spiegandoci l’importanza di una educazione sessuale formale nel bambino e come questa, se organizzata correttamente, possa portare grandi benefici allo sviluppo affetto dei bambini. Nella seconda parte propone delle tabelle suddivise per fascia di età (0-4 anni, 4-6 anni, 6-9 anni, 9-12 anni, 12-15 anni, e dai 15 anni in su) con gli argomenti idonei a quel periodo dello sviluppo, suddivisi per tematiche generali: “Il corpo umano e lo sviluppo”, “Fertilità e riproduzione”, “Sessualità”, “Emozioni/affetti”, “Relazioni e stili di vita”, “Sessualità, salute e benessere”, “Sessualità e diritti” e “Influenze sociali”.7
“Nel presente documento si è scelto intenzionalmente di sostenere un approccio in cui l’educazione sessuale abbia inizio fin dalla nascita. A partire dalla nascita i neonati apprendono il valore e il piacere del contatto fisico, del calore umano e dell’intimità. Ben presto imparano cosa è “pulito” e cosa è “sporco” e in seguito imparano la differenza tra maschi e femmine e tra persone amiche e sconosciuti. L’essenza del discorso è che a partire dalla nascita i genitori in particolare mandano ai bambini messaggi inerenti il corpo e l’intimità. Detto in altri termini, stanno facendo educazione sessuale.”8
Educare al genere significa sostenere la crescita psicologica, fisica, sessuale e relazionale, affinché i bambini e le bambine di oggi possano progettare il proprio futuro al di là delle aspettative sulla mascolinità e la femminilità.9 La scuola può e deve avere un ruolo fondamentale per scalfire gli stereotipi di genere, ancora fin troppo radicati nella nostra società , offrendo a studenti e studentesse gli strumenti utili e necessari per diventare gli uomini e le donne che desiderano.
“Favorire l’educazione affettiva e sessuale nelle scuole e inserire progetti specifici sul genere e l’orientamento sessuale non significa promuovere un’inesistente <<teoria gender>>, ma fare chiarezza sulle dimensioni che fondano l’affettività e la sessualità, favorendo una cultura del rispetto delle differenze e mettendo in atto strategie preventive capaci di contrastare fenomeni come la discriminazione e il bullismo omofobico.”10
Lo sancisce anche la Costituzione all’Articolo 3, quando dice che: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”11. Compito della Repubblica è rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
“Ogni attività formativa e culturale tesa a educare ai temi dell’uguaglianza, delle pari opportunità, della piena cittadinanza delle persone, delle differenze di genere, dei ruoli non stereotipati, della soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, della violenza contro le donne basata sul genere e del diritto all’integrità personale e ad eliminare stereotipi, pregiudizi, costumi, tradizioni e altre pratiche socio-culturali fondati sulla differenziazione delle persone in base al sesso di appartenenza (in senso negativo evidentemente!) può solo accrescere il valore di un paese e rendere persone migliori coloro che avranno la fortuna di accedervi a partire da oggi stesso. “12

A cura di:
Alice Ghisoni, Dottoressa in Psicologia Criminale
Valentina Mossa, Psicologa Clinica
Collettivo “Io Non Riparo”:
Elisa Faraci, Psicologa Psicoterapeuta
Eleonora Inglima, Psicologa Psicoterapeuta
Valentina Mossa, Psicologa
Roberta Vacca, Psicologa

Un Grazie particolare a:Marzia Cikada, Psicologa Psicoterapeuta, Pier Luigi Gallucci, Psicologo Psicoterapeuta,Eleonora Mangano, Psicologa, AltraPsicologia e il Presidente dell’Ordine degli Psicologi della Regione Piemonte Alessandro Lombardo, Psicologo Psicoteraputa,Tessere Le Identità

1Nicla Vassallo, ordinario di filosofia teoretica all’Università di Genova
2Associazione Italiana di Psicologia, “Sulla rilevanza scientifica degli studi di genere e orientamento sessuale e la loro diffusione nei contesti scolastici italiani”.
3Dott. Pier Luigi Gallucci, Psicologo Psicoterapeuta, “L’ideologia Gender e l’ortopedia del desiderio”, http://galluccipsicologotorino.blogspot.it/2015/03/ideologia-gender.html
4Dott.ssa Eleonora Mangano, Psicologa, “Non è tutto GENDER quel che eccita”, http://www.altrapsicologia.it/articoli/non-e-tutto-gender-quello-che-eccita
5Dott. Pier Luigi Gallucci, Psicologo Psicoterapeuta, “L’ideologia Gender e l’ortopedia del desiderio”, http://galluccipsicologotorino.blogspot.it/2015/03/ideologia-gender.html
6Dott.ssa Eleonora Mangano, Psicologa, “Non è tutto GENDER quel che eccita”, http://www.altrapsicologia.it/articoli/non-e-tutto-gender-quello-che-eccita
7Dott. Sergio Stagnitta, Psicologo Psicoterapeuta, “Educazione sessuale nelle scuole: No Gender, No Party”, http://www.ordinepsicologilazio.it/blog/psicologia-della-vita-quotidiana/educazione-sessuale-nelle-scuole-no-gender-no-party/
8OMS, “Standard per l’Educazione Sessuale in Europa. Quadro di riferimento per responsabili delle politiche, autorità scolastiche e sanitarie, specialisti”, pag. 13
9 A cura di: Cristina Gamberi, Maria Agnese Maio, Giulia Selmi, “Educare al genere. Riflessioni e strumenti per articolare la complessità”, Carocci Editore.
10Dott. Pier Luigi Gallucci, Psicologo Psicoterapeuta, “L’ideologia gender e l’ortopedia del desiderio”, http://galluccipsicologotorino.blogspot.it/2015/03/ideologia-gender.html
11Costituzione Italiana, Articolo 3
12Dott.ssa Paola Biondi, Psicologa Psicoterapeuta, “Chi di Gender ferisce…”, http://www.ordinepsicologilazio.it/blog/identita-in-evoluzione/chi-di-gender-ferisce