Noi donne
occidentali siamo le prime madri libere dal destino della maternità:
possiamo scegliere di essere donne senza figli. Nella madre antica,
il primo anno di vita e quelli seguenti creavano nel bambino un’idea
di donna che si prolungava nell’età adulta, in cui il destino
della ragazza era quello di sposa e madre e quello dell’uomo di
trovare la donna madre dei suoi figli.
Non c’era
rottura, contraddizione, tranne quella che derivava dall’infelicità
e dal sacrificio insiti nel destino femminile. A noi, madri nuove,
viene richiesto un doppio salto mortale: dobbiamo essere pronte allo
stato fisico e mentale che permette lo sviluppo del bambino, ma
restiamo donne libere, ambivalenti nel desiderio di vivere pienamente
il rapporto esclusivo a due col bambino ma di non esiliarci dal
lavoro lasciato. Nel passaggio di testimone dalla nuova madre alla
nuova figlia, la bambina ne osserva la vita: la libertà, il lavoro,
la parità e comincia a cercare, a costruire la sua identità sulla
nuova identità della madre. Il figlio maschio di questa nuova madre
e la madre nuova di questo figlio affronteranno invece una relazione
molto complessa: la sessualità, l’immaginazione, il desiderio, la
sicurezza iniziano a formarsi in lui con la madre dedita dei primi
mesi e dei primi anni, che si trasformerà poi davanti agli occhi
intimiditi del ragazzino, in una donna forte, sicura di sé, piena di
autorità, che va fuori nel mondo senza paura, concorre col padre,
tiene testa agli uomini.
Questo figlio
cresce con l’idea che l’uomo non è sempre simbolo di forza, che
il padre non ha l’esclusività del ponte col mondo, che non può
riferirsi a lui per ogni aspetto della sua virilità nascente. Il
padre gli sembra a tratti impaurito e lui tenderà a difenderlo
contro la madre, prendendo così le parti di se stesso, messe a dura
prova dalla sicurezza materna. Il ragazzo vede fuori casa molte
ragazze che somigliano alla madre nuova che ha scoperto crescendo e
non sa assolutamente come dovrà affrontarle, amarle, farci l’amore,
pensa che potrebbe prendere la scorciatoia e incontrarne una più
fragile o tradizionale, che si faccia guidare e proteggere da lui. E
qualche volta la trova, ma non sa che anche nella più tradizionale
delle donne il germe dell’autonomia conquistato dalle nuove madri è
fiorito all’insaputa della ragazza. Capiterà che la ragazza si
senta incerta come lui, che odi la madre nuova, con tutta la sua
sicurezza vincente. E allora specularmente al ragazzo in cerca di un
passato impossibile, si fingerà sottomessa, materna, unica. Una
felicità fragile che si fonda su una frase fondamentale: noi non ci
lasceremo mai.
E poi un giorno,
lei o lui dirà la frase proibita: ti lascio. Solo che se la
pronuncerà lui, lei piangerà e scriverà sul diario e ne parlerà
con le amiche come nell’Ottocento. Lui invece potrebbe pensare di
ucciderla, come si uccideva in duello nell’Ottocento per una donna,
o farlo come avrebbe voluto qualche volta sopprimere la madre che
quest’epoca gli ha dato. La violenza sulle donne — si celebra
oggi la giornata mondiale contro il femminicidio — è frutto di
questo nuovo, non un retaggio dell’antico. Usa forme antiche ma è
del tutto nuova e legata alla libertà delle donne, delle madri, alle
loro contraddizioni, al mutamento troppo lento degli uomini, dei
padri di fronte a questa nuova libertà. Eppure è negli uomini, nei
padri, nella loro riflessione, nella ripresa del loro ruolo centrale
accanto alle donne che siamo oggi, che io penso possa compiersi la
rivoluzione che le donne hanno iniziato.
Le nuove donne
devono continuare a essere differenti dagli uomini e fare valere in
tutti i campi la ricchezza della loro storia, della loro
intelligenza, dei loro pensieri, ma devono anche cambiare nel
profondo e lasciare agli uomini la loro parte di responsabilità nel
nuovo mondo. I ruoli dell’uno e dell’altra, rimanendo differenti,
possono sovrapporsi e prendere l’uno dall’altra. E la madre può
cedere la sovranità assoluta per una libertà conquistata che apre
le porte di un mondo vasto, ricco della presenza di Due diversi ma
pari. E penso che il padre possa insegnare la sua nuova forza al
figlio: un dominio sovrano che deve trasformarsi nell’accoglimento
della differenza delle donne, della loro parità. Può insegnare al
figlio a non averne paura, a parlarne, sottraendo così il dialogo
sui sentimenti all’impero delle donne. Forse la nuova forza degli
uomini è fatta anche del pianto di Ulisse — uomo per eccellenza —
che nell’isola dei Feaci ascolta il racconto della guerra di Troia
e piange, coprendosi il viso col mantello purpureo, «come donna
piange lo sposo che cadde davanti alla città». Forse l’uomo può
piangere ora come uomo, senza coprirsi il viso, anche davanti al
figlio, e aprirsi nel racconto all’altro da sé. E le donne al
contrario possono diventare più lievi, manifestare la loro
imperfezione, dare ai figli la manifestazione vera di quello che sono
e la possibilità di tenere testa senza violenza alle giovani donne
libere che incontreranno nella loro vita adulta. Abbiamo la fortuna
di vivere uno dei cambiamenti più importanti della storia, il
mutamento profondo del rapporto tra i due generi, questo mutamento
può cambiare il mondo e in questo nuovo mondo le donne e gli uomini
possono amarsi e comprendersi molto più di prima.
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