lunedì 4 settembre 2017

Maschi-femministe: prove di dialogo| Uomini, i segni del cambiamento: l’inchiesta di Luisa Pronzato

«Ho scoperto il femminismo e sono rimasto vivo». Nessuna ricerca di benevolenza. Anzi, fatica e gavetta: soffritti, piatti, spazzatura. Evitando autocoscienze. E 35 anni dopo è ancora possibile usare il plurale di coppia e dire «nello scambio ci abbiamo creduto».
In quanti, però, ci hanno creduto come rappa la canzone di Paolo Bertella, che esordirà il 10 settembre al Tempo delle Donne? Sono molti i “matrimoni lunghi” in cui la partner è femminista, ma sono anche molti i matrimoni saltati, le singletudini a vita di donne per nulla sante ma sole per scelte di quella che forse solo un tempo e forse anche ideologicamente si chiamava “autodeterminazione”. Il tema è il dialogo tra i femminismi e gli uomini. Più di cinquant’anni (e se contiamo il suffragismo possiamo dire anche quasi un secolo) in cui la cocciuta ricerca di equità ed equilibrio tra il maschile e il femminile nella società italiana ha avuto momenti di accelerazione, primo fra tutti la conquista del voto e l’entrata in Costituente delle donne, periodi di stallo silente e momenti di grandi risvegli come l’organizzazione dello sciopero delle donne dello scorso 8 marzo. Una corsa, dicevamo, in cui i femminismi hanno corso da soli, spesso anche in contraddizione tra loro, con sparuti uomini che tentavano di partecipare alla trasformazione sociale, e pochi momenti in cui il dialogo tra i femminismi e gli uomini sono avvenuti.
Su tutto un malinteso di fondo, quello che le donne, meglio le femministe, odino gli uomini. Nonostante questo la società italiana si è trasformata, attraverso il nuovo diritto di famiglia e le leggi di parità, sul divorzio, sull’interruzione di gravidanza, sulle tecniche contraccettive. Vediamo più donne che lavorano, più dirigenti, più ragazze nelle università e un pensiero femminile riconosciuto e in qualche caso anche autorevole. Anche se a una posizione delle donne più determinata nella società fa da contraltare l’aumento della misoginia, a volte anche femminile, il persistere di stereotipi, spesso invisibili quanto la violenza che, ben oltre l’indignazione per i femminicidi, sottende ancora nelle relazioni tra uomini e donne.
E allora che è successo? Proviamo a ripercorre alcune tappe di questi anni e cercare di dare un ordine ai momenti e alle idee per fare un punto di come siamo e a che punto stiamo. Il primo punto è il separatismo su cui è necessario distinguere tra rapporti nel privato e in politica. Matrimoni, amicizie sono nate e maturate, ognuno trovando regole proprie di complicità, affetto e organizzazione casalinga. Fu nel percorso politico che le femministe scelsero la via del non dialogo. «Fu una via obbligata del femminismo degli anni Settanta», dice Adriana Cavarero, filosofia e teorica in Europa del pensiero della differenza. «Era il bisogno a non pensare e non parlare “neutro” come invece la società patriarcale e maschilista faceva per cancellare l’individualità femminile. Fu un approccio puramente politico per ribadire e soprattutto riconoscere tra noi donne che incarnavamo una differenza». È l’epoca degli incontri solo tra donne e della scelta dell’autocoscienza come strumento (le femministe continuano a chiamarla “pratica”) per scambiare idee ed esperienze. «Certo, dovevamo trovare la forza di riconoscerci, parlare delle scelte politiche necessarie a superare il patriarcato, non potevamo condividere questo percorso dialogando con gli stessi uomini che, anche se oggi sembra una parola obsoleta, erano gli “oppressori». Per meglio interpretare quello che dice Cavarero, qualche dato storico: L’abolizione delle “clausole di nubilato” nei contratti di lavoro e la legge che vieta di licenziare le lavoratrici per “cause di matrimonio” sono del 1963, dell’anno dopo è l’abolizione del “coefficiente Serpieri”, un sistema di valutazione usato in agricoltura in base al quale il lavoro svolto da una donna era il 50% di quello svolto da un uomo, del 1968 è la legge per cui solo l’adulterio femminile non è più reato e solo nel 1981 viene abolito il “delitto d’onore”.
«Oggi, lo stesso pensiero della differenza può aprirsi al dialogo con gli uomini, modulandosi a seconda degli argomenti», continua Cavarero. «Se parliamo di aborto e gravidanza, parlino le donne, se stiamo ragionando sulla crisi dei padri, è giusto che siano gli uomini a interrogarsi. Se affrontiamo i grandi temi della migrazione, del clima, dell’economia occorrono parole comuni. I femminismi oggi sono ben diversi dagli anni ‘60 e ‘70, dobbiamo essere aperte alla dialettica, misurarsi a seconda degli argomenti e marciare simbolicamente insieme. Un esempio non simbolico è la marcia americana dello scorso gennaio. L’hanno chiamata “delle donne”, ma il bisogno e la consapevolezza comune di dire no al populismo era così forte che ha scosso le coscienze di tutti: è stata la più grande e mista marcia d’America».
Torniamo all’Italia. «Nonostante il separatismo politico i tentativi di dialogo non si sono mai interrotti», racconta Annarosa Buttarelli, tra le fondatrici di Diotima, comunità nata presso l’università di Verona nell’83 con l’intento di “essere donne e pensare filosoficamente” e autrice di Sovrane (Il Saggiatore). «Ce ne sono stati diversi, alcuni più riusciti, altri meno», dice. “Le interlocuzioni, e dialoghi attivi, tra il femminismo della differenza e gli uomini sono avvenuti durante le campagne referendarie del divorzio e dell’aborto, per esempio. A Bologna fu proprio il dialogo tra Luce Irigaray e il sindaco Renzo Imbeni a far nascere una stagione di ricerche sui linguaggi sessuati e di educazione nelle scuole al riconoscimento dei ruoli dei ruoli femminili e maschili. Furono progetti che contagiarono altre città. Erano gli anni ’90, in cui si svilupparono anche le leggi sulla parità. I risultati furono temporanei». E con la Bolognina quel fermento si fermò. «Le giovani generazioni, maschi e femmine, sembrano aver capito meglio gli scambi con i femminismi», continua Buttarelli. «Lo abbiamo visto nelle università, anche se la disoccupazione e la corsa alla sopravvivenza spegne, appena usciti dal percorso scolastico, gli interessi e l’attivismo. E se dobbiamo segnalare un cambiamento è quello dei femminismi e dei movimenti aziendali della diversity che hanno cambiato rotta: il dialogo oggi si cerca non più nella trasformazione della relazione donna-uomo ma nei grandi temi. Preso atto della propria autorevolezza, le donne vogliono entrare nel merito delle crisi generali, per questo il tema più attuale è quello della democrazia e della rappresentanza. Questi sono i dialoghi in corso a cui aggiungerei quello in atto tra le femministe cattoliche e il Vaticano. Chiesa, donne e mondo diretto da Lucetta Scaraffia, e allegato all’Osservatore Romano lo sta raccontando e dimostrando».
Alla fine degli anni 80 La Carta delle Donne del Pc fu un’altra prova di dialogo, sostenuta da Natta e Berlinguer. «Costruire la società umana, la società a misura di donne e uomini era l’ambizione”, come racconta Livia Turco che ne fu l’animatrice. «Si trattava dell’ assunzione del pensiero e della pratica della differenza sessuale, e la parte programmatica, fatta di obiettivi concreti che ci consentiva un dialogo a tutto campo con le donne italiane. Lavoro, welfare, pace nel mondo, ambiente, riforma delle istituzioni, i problemi del Mezzogiorno... Non lo specifico femminile ma la politica a tutto campo». La Carta girò tutta l’Italia con incontri nelle città, conteneva in pratica i principi delle leggi di parità degli anni ‘90. Ma poi, la crisi del Pc, e lo smembramento delle militanti congelò anche questa esperienza, come raccontano Letizia Paolozzi e Alberto Leiss in Cera una volta la Carta delle donne (Biblink ed.) che sarà presentato in questi giorni al Festival della letteratura di Mantova.
Esauste è il termine che usano molte femministe di generazioni mature affrontando la domanda su dialoghi possibili. «Come possiamo parlare di dialogo se il Pd oggi crea il Dipartimento mamme?», chiede Anna Maria Crispino, direttora di Leggendaria, rivista femminista che si propone come “vetrina dell’intelligenza femminile”. «Non è questione solo di terminologie: “mamme” significa non riconoscere altro ruolo alle donne. Fanno impressione i programmi esclusivamente reattivi dei partiti della sinistra (dovrebbero essere i nostri interlocutori) che pensano per categorie indifferenziate senza analizzare la reale complessità rispetto alle donne, ma pure ai giovani. Dal mio osservatorio poso solo dire che spero nelle nuove generazioni, e in quel femminismo 2.0 che molte 60enni ignorano».
E allora guardiamoci intorno. Le tshirt «I am feminist», snobbate in alcuni casi ma indossate anche da ragazzi posso condurre al dialogo? Le campagne ipercondivise su facebook come quella di Anita che chiedeva «per quanto tempo dovremmo sentirci fortunate per non essere state violentate» possono aprire dialoghi nuovi? «Finché si resta ancorate al binarismo uomini e donne nessun dialogo è possibile», dice Benedetta Pintus, creatrice del portale Pasionaria.it, che aderisce alla rete di NonUnaDi Meno identificandosi nel femminismo intersezionale, vale a dire aperto ai i generi, includendo ogni livello di discriminazioni, comprese omotransfobia, razzismo, disabilità e le diverse condizioni sociali. «Alle nostre discussioni partecipano anche persone che non si identificano in un genere. Parliamo al plurale, senza genere e partiamo dall’idea che pregiudizi e discriminazioni ingabbiano anche gli uomini. È la base di un terreno su cui ci confrontiamo anche con i ragazzi su temi che riguardano le identità, l’aborto, il razzismo, la contraccezione, la violenza, il bullismo… l’educazione alla differenza. A Cagliari, da qualche mese organizziamo assemblee pubbliche nel parco. Qualche non militante comincia a fermarsi. Ma lo sappiamo, facciamo ancora i conti con i pregiudizi che il femminismo si porta dietro».
http://www.corriere.it/cronache/uomini-cambiamento/notizie/maschi-femministe-prove-dialogo-680b17b2-905d-11e7-8eb0-0c961f9191ec.shtml

Vi aspettiamo al Tempo delle Donne alla Triennale di Milano
SALONE D’ONORE DOMENICA 10 SETTEMBRE ORE 16.00
MA DONNE E UOMINI HANNO IMPARATO A PARLARSI?
Parole e sguardi, un’indagine in tre tempi
Nuovi, usati, da inventare, da buttare, da riciclare  Test satirico di Cinzia Leone
Guardanti e guardati Monologo di Barbara Mapelli
Prove di nuovo lessico femminista
Con Barbara Bonomi Romagnoli, autrice di Irriverenti e libere (Eir), Adriana Cavarero, filosofa, Lea Melandri, scrittrice e storica del femminismo, Benedetta Pintus, creatrice di Pasionaria.it, Danda Santini, direttrice Elle, Lucetta Scarafia, femminista cattolica, Giorgia Serughetti, ricercatrice universitaria, autrice di Libere Tutte (Minimum Fax)
Ho incontrato il femminismo e sono ancora vivo, con il rapper Bolla Gee su testi di Paolo Bertella Farnetti
Filosofie, pratiche e vita: dal separatismo in politica ai lunghi matrimoni.
I dialoghi possibili (e impossibili) secondo i femminismi.
Inchiesta a cura di Dario Di Vico e Luisa Pronzato
Il Tempo delle Donne: qui tutto il programma

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