martedì 25 settembre 2018

Violenza di genere. Chi sensibilizzare? di Simona Sforza

Ci sono violenze che non emergono mai, fino a che non accade qualcosa di irreparabile, il femminicidio. La violenza è ancora percepita come un fatto privato e invece dobbiamo dire che no, non è così, a più livelli, ciascuno con le proprie competenze e responsabilità, dobbiamo accompagnare le donne affinché riescano a intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla violenza, affinché riescano a denunciare ciò che hanno subito.
Scrivo perché desidero poter dare il mio micro contributo per diffondere informazioni, notizie, condividere battaglie e in qualche modo a creare consapevolezza. Ci sono tanti modi per farlo, io lo faccio con i mezzi e gli strumenti che ho a disposizione. Scrivere serve anche a me stessa per mettere a fuoco pensieri, opinioni, riflessioni, dati e fonti. Ma soprattutto penso da sempre a un punto essenziale: le donne non devono essere lasciate sole, non devono restare isolate con ciò che la vita mette loro davanti, devono sentire che al loro fianco c’è chi le sostiene, le ascolta, gli crede e può aiutarle. Per questo è importante mettere in circolo le informazioni e fare passaparola. Ho ricevuto più volte dei segnali che le mie parole riescono ad essere utili, soprattutto riescono a fare emergere il desiderio di raccontare le proprie esperienze, di condividere la propria storia, perché non accada ad altre, affinché le cose cambino, ci sia un miglioramento. Questo vale a maggior ragione quando si tratta di un caso di violenza, quando si vive una delle esperienze più dolorose, capaci di segnarti nel profondo. Spesso si chiede alle vittime di violenza perché non hanno denunciato prima, perché hanno aspettato. Ci sono violenze che non emergono mai, fino a che non accade qualcosa di irreparabile, il femminicidio. La violenza è ancora percepita come un fatto privato e invece dobbiamo dire che no, non è così, a più livelli, ciascuno con le proprie competenze e responsabilità, dobbiamo accompagnare le donne affinché riescano a intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla violenza, affinché riescano a denunciare ciò che hanno subito. Dobbiamo mettere in campo tutti gli strumenti per proteggerle effettivamente ed efficacemente, e se hanno figli minori, assicurare loro altrettanta protezione. In caso di stupro o stalking non dobbiamo sfoderare il consueto armamentario volto a rivittimizzare le donne.
Ringrazio V. (iniziale fittizia) la donna che ha voluto condividere la sua storia. Penso che la sua testimonianza, insieme a quella di altre donne, possa servire a ribadire ciò di cui le donne hanno bisogno, a chiedere che le cose cambino al più presto. Ho rimosso ogni riferimento che potesse rendere riconoscibile questa donna, la sua esperienza ha un valore universale.
“Quando trovi la forza e il coraggio di uscire dalla “gabbia” della paura, e decidi di chiedere aiuto, la violenza che hai subito fino a quel momento, in qualche modo l’hai accettata, vorresti e cerchi di voltare pagina.
Magari, puoi anche accettare e fare i conti con l’insensibilità e l’omertà intorno a te, ma l’omertà e l’abbandono da parte delle Istituzioni a cui ti rivolgi, per chiedere tutela, protezione, aiuto e supporto…PROPRIO NO, NON SI PUO’ E NON SI DEVE ACCETTARE!!!!”
Esordisce così, V. in quella che è una esperienza di stalking da parte dell’ex, “un’enorme sofferenza e disagio, difficile da spiegare e quasi impossibile da comprendere”. Prova “un senso finalmente di sollievo”, pensando che la accoglieranno, dandole tranquillità e serenità e un senso di protezione; “invece, sin dal primo approccio, incontri atteggiamenti ostili”. V. vorrebbe sentirsi dire “tranquilla, ora ci siamo noi”, invece trova scarsa considerazione, atteggiamenti volti a scoraggiarla, sguardi solo di curiosità, nessuno che le creda. Si è ritrovata sballottata da un ufficio all’altro, una pratica che passa da un dipendente all’altro. Rimbombano le parole “non accoglienza”, “leggerezza”, avverti tutte le difficoltà che le si sono frapposte davanti alla denuncia, nel momento in cui ha finalmente trovato la forza di farlo. La documentazione allegata, l’insistenza con cui il suo stalker non demorde e continua a perseguitarla non sembrano sufficienti per un intervento tempestivo di allontanamento.
“Le indagini, malgrado la documentazione attestante l’essere insistentemente infastidita e perseguitata, continuano e durano ben 4 mesi, alla fine dei quali arriva finalmente ”l’inevitabile” provvedimento amministrativo richiesto.”
“Provvedimento al quale, lo stalker, come da sua facoltà, fa ricorso al TAR, che con sentenza abbreviata, emessa nella stessa mattina della prima udienza, la rigetta, quale chiaro segno della non fondatezza.”
Sembra che malgrado tutti gli ostacoli, la vicenda si sia conclusa bene, V. pensa “Ho fatto bene a denunciare”.
Ma “dopo soli 20 giorni, dall’ordinanza del TAR, lo stalker, chiede la revoca del provvedimento all’Autorità che lo ha emesso, e che davanti al TAR si è opposta al suo annullamento, e ottiene la revoca.”
Nel suo racconto V. aggiunge: “ha fatto il bravo 6 mesi (4 dei quali, sono durate le indagini, e un altro mese il suo ricorso al TAR) , diranno nelle motivazioni di revoca della misura preventiva.”
V. si sente giustamente ferita, lesa:
“Vorrei che qualcuno mi spiegasse a cosa è servito denunciare …..e vorrei che qualcuno, chi di competenza, si chiedesse perché le donne hanno remore a chiedere aiuto o non riescono a denunciare, perché preferiscono soffrire in silenzio da sole! Nessuna persona che chiede aiuto, deve essere trattata così. Questa, voglio urlare…. è anche VIOLENZA, la peggiore con la quale, sei costretta a fare i conti. E continui a difenderti da sola.”
Fanno male queste parole, avverti ciò che significa la rivittimizzazione delle vittime.
V. mi ha affidato la sua storia con un messaggio: “penso e spero, che il racconto di una triste verità, possa sensibilizzare più di una semplice campagna, come da anni se ne vedono tante.”
Una volta uscite dal silenzio, le sopravvissute non possono essere abbandonate, hanno bisogno di sostegno. A volte sembra proprio che le cose non funzionino, che le procedure si intoppino, che la macchina non riesca a fare adeguatamente il suo lavoro, producendo veri e propri danni. C’è obiettivamente un problema, soprattutto non vi è certezza di cosa accadrà e che la giustizia compia sempre il suo dovere, che tutti i soggetti svolgano al meglio il proprio compito. In questo clima chiaramente si chiedono e si pretendono significative correzioni, che non ammettano alibi. Soprattutto, ci si augura che tutti, dico tutti i responsabili di questi reati ricevano lo stesso trattamento, senza che si creino sistemi di protezione o scappatoie, grazie ad omissioni e comportamenti di favore. La certezza di ottenere giustizia è indispensabile, qualcosa da assicurare sempre. Altrettanta cura, attenzione e scrupolosità deve essere prestata da ciascun soggetto, professionista, operatore di polizia venga a contatto con una donna che denuncia e chiede aiuto.
In ambito giudiziario, sin dal 2010, il Csm:
“ha operato nella direzione di incentivare la specializzazione dei magistrati in ordine al fenomeno della violenza di genere (delibera 11.2.2009 e 30.7.2010) sia nel settore penale che civile, sollecitando anche l’adesione di metodi organizzativi volti ad assegnare la trattazione in via esclusiva e prevalente di tutti gli affari riguardanti la materia in sezioni specializzate. Con la delibera del 12.3.2014, sono stati analizzati i moduli organizzativi volti alla trattazione tempestiva dei procedimenti penali in materia di violenza familiare, registrando una situazione fortemente disomogenea sul territorio nazionale ed indicando ulteriori direttive vincolanti in materia. Con la nuova Circolare sulla Formazione delle Tabelle degli Uffici Giudicanti per il triennio 2017-2019, si è ribadita la regola secondo cui i Tribunali organizzati in più sezioni civili e/o in più sezioni penali devono prevedere modelli di specializzazione che accorpino materie in base ad aree omogenee ad esempio, avuto riguardo, nel settore penale, alla trattazione di materie quali i delitti commessi in danno di soggetti deboli, i delitti di femminicidio, mostrando ancora una volta particolare attenzione al tema della violenza di genere.”
Il Csm altresì asserisce che:
“non può non farsi carico di quanto contestato all’Italia dalla Corte E.D.U. con la sentenza 2 marzo 2017 (Talpis c. Italia), che ha affermato dagli artt. 2 e 3 Cedu scaturisca a carico dello Stato l’obbligo positivo di proteggere le persone vulnerabili, fra cui rientrano le vittime di violenze domestiche, attraverso misure idonee a porle al riparo da aggressioni alla propria vita e integrità fisica. Ne deriva la necessità di promuovere e condividere l’adozione di buone prassi finalizzate ad acquisire tra gli obblighi positivi quelli cosiddetti procedurali, dai quali discende il dovere per le autorità pubbliche di instaurare un procedimento penale effettivo e tempestivo. Inoltre, occorre essere consapevoli che la sanzione penale è solo uno degli strumenti necessari per contrastare la violenza contro le donne, essendo fondamentale agire anche in via preventiva in presenza di segnali di rischio che impongano un tempestivo intervento dell’autorità Giudiziaria. A tal fine, è importante avvalersi dell’apporto di saperi non strettamente giuridici e di figure professionali sempre più specializzate.”
In quest’ottica lo scorso 9 maggio 2018, il Csm ha approvato delle linee guida agli uffici giudiziari italiani, requirenti e giudicanti, fornendo gli indirizzi per meglio organizzare l’attività di indagine e i giudizi sui reati riguardanti la violenza di genere, per rendere più veloci i provvedimenti relativi ai femminicidi, attraverso: “specializzazione, celerità nella celebrazione dei processi, formazione dei giudici, coordinamento con le forze di polizia, con i servizi di cura e assistenza per le vittime di questi odiosi reati”, come ha precisato il vice presidente del Csm Giovanni Legnini.
Formare tutti i soggetti interessati, promuovere la loro specializzazione, fare attenzione a tutti i segnali, effettuare una prevenzione effettiva, assicurare ascolto, che presuppone una contestuale capacità di mettere in campo empatia del personale preposto. Ci auguriamo che le parole e gli impegni diventino realtà in tutta la penisola, in ogni caso di violenza, che non deve essere sottovalutata mai. Ci auguriamo inoltre che, visto che ciascuna donna ha bisogno di scegliere un proprio percorso ed il tempo per decidere di denunciare, il legislatore possa prevedere un innalzamento dei tempi utili per denunciare una violenza sessuale.
Di questi tempi corriamo il rischio di arretrare pesantemente in tema di diritti, tutele. Disegni di legge come il n.735 firmato dal senatore Simone Pillon, sono un chiaro esempio di come non si tiene nel giusto conto la violenza domestica, le sue conseguenze non solo sulle donne ma anche sui loro figli. La violenza assistita lascia pesanti segni e come ho più volte ripetuto, non si può in nome della bigenitorialità ad ogni costo, far finta di non vederla; se un figlio non vuole vedere il padre occorre verificare innanzitutto se ci siano episodi di violenza in famiglia, prima di escogitare allontanamenti coatti, incolpando la madre. Si rischia di confondere conflitto di coppia e violenza di genere, ponendo tutto pericolosamente sullo stesso piano. Non si può agitare lo spettro della Pas, per tenere sotto scacco le donne che vogliono divorziare e allontanarsi da un marito abusante. Una legge che serve a rendere più pesante l’iter del divorzio, che impone la mediazione familiare, di certo non aiuterà le donne a liberarsi dalla violenza. Questo è ciò che sta accadendo, questo è ciò che rischiano le donne se dovesse passare il DDL Pillon. Per questo vi chiedo di sostenere la petizione lanciata da D.i.Re Donne in rete contro la violenza.
Insomma, in una strategia di prevenzione e contrasto alla violenza di genere, da un lato è necessario sensibilizzare le donne che vivono esperienze di violenza a rivolgersi ai centri antiviolenza e alle autorità per denunciare e chiedere protezione, ma forse è ancora più rilevante e importante che i rappresentanti istituzionali, le forze dell’ordine, la magistratura e tutti coloro che sono chiamati ad aiutarle ed a far valere i loro diritti e tutele, sviluppino una sensibilità e una comprensione profonda del problema, dei significati e delle ricadute di una esperienza traumatica, nonché una capacità di ascolto e di accoglienza non giudicante e non rivittimizzante.
“Molti identificano la violenza, solo in uno schiaffo o in dei lividi sul corpo, ma vi assicuro è molto di più.” ricordiamoci le parole che ci consegna V. perché inquadrano esattamente cosa provano le donne e quanto profondi siano gli strascichi della violenza.
http://www.dols.it/2018/09/22/violenza-di-genere-chi-sensibilizzare/

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