Parole semplici e chiare contro le frotte di minimizzatori, le fitte schiere dei maestri del distinguo capzioso e ipocrita, quelli che credono di saperla lunga, e si atteggiano a consumati esperti di cose di cui peraltro non sanno nulla, per negare la specificità culturale e religiosa dell’odio islamista contro le donne, in Afghanistan come in Iran, nel cuore dell’integralismo sciita e in quello dell’integralismo sunnita.
Parole semplici e chiare, quelle di Azar Nafisi, autrice iraniana di un libro straordinario come “Leggere Lolita a Teheran” (Adelphi), che in un’intervista al “Corriere della Sera” risponde così alla domanda se esistano differenze tra la violenza contro le donne dei talebani e la condizione delle donne in Iran: “ci sono enormi differenze ma anche somiglianze”. C’è differenza, come in tutte le cose, ma anche somiglianze, parole semplici e chiare. E la principale somiglianza è che le “forze totalitarie” fanno delle donne il “loro primo obiettivo”.
“Se vuoi sapere quanto è libera e aperta una società, guarda quanto sono libere le sue donne”. In Afghanistan e in Iran, tra le differenze e le innumerevoli somiglianze, “le donne vengono attaccate perché rappresentano una visione alternativa dell’identità di questi Paesi”. Ecco perché le rinchiudono, le perseguitano, le malmenano, le lapidano, le consegnano bambine allo stupro coniugale di matrimoni combinati con energumeni anziani. Somiglianze, somiglianze culturali, somiglianze religiose: l’applicazione rigida dei dettami religiosi al posto delle leggi di uno Stato non teocratico. Ci vuole la limpidezza di Azar Nafisi per dircelo, malgrado la molestia dei saputelli giutsificazionisti.
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