lunedì 22 maggio 2023

PROSPERARE IN UN’ECONOMIA PARITARIA. DONNE E LAVORO di Chiara Giacomelli

 Uno dei temi più ampiamente trattati nel Report annuale sulla parità di genere 2023 dell’Unione Europea è la disparità di genere nel mondo del lavoro, con le sue implicazioni, conseguenze e questioni annesse: nello specifico l’occupazione, l’assistenza, la retribuzione e le pensioni. 

Nel 2022 è continuata la sfida per colmare il divario di genere nel mercato del lavoro, iniziata nel 2021, quando il piano d’azione del Pilastro europeo dei diritti sociali ha identificato l’obiettivo di dimezzare il divario occupazionale di genere (rispetto al 2019) come una delle tappe necessarie per raggiungere un tasso di occupazione complessivo del 78% entro il 2030.

Saranno indubbiamente necessari sforzi significativi per raggiungere questo livello entro pochi anni, ma è rassicurante constatare che, dopo una contrazione nel 2020, legata soprattutto alla pandemia, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è aumentata nuovamente l’anno successivo.

Tale considerazione complessiva, seppur incoraggiante, nasconde, in realtà, grandi differenze fra gli Stati Membri, tant’è che i dati mostrano che in alcuni Paesi il divario occupazionale di genere è persino aumentato rispetto al 2019. Emerge altresì dalle statistiche che il ricorso al part-time è nettamente superiore da parte delle donne piuttosto che degli uomini in tutti i Paesi, fatta eccezione solo della Romania. È anche vero, però, che per trarne considerazioni utili, bisogna osservare anche il tasso di occupazione complessivo e il relativo divario di genere, ma anche semplicemente ricordare che nei singoli Stati possono sussistere norme sul lavoro a tempo parziale diverse fra loro. Possiamo anche ipotizzare che le donne che non possono optare per il part-time (perché non disponibile, non sufficientemente retribuito o non abbastanza flessibile) decidano semplicemente di rimanere fuori dal mercato del lavoro. 

Come possiamo ben immaginare, anche avere figli influenza il tasso d’occupazione e, in particolare, tende ad avere un impatto positivo sull’occupazione maschile e l’effetto opposto sulla femminile. Questa tendenza si amplifica all’aumentare del numero dei figli, e rimane vera per tutti i livelli di istruzione, anche se il divario di genere è notevolmente inferiore nelle famiglie con un livello di istruzione più elevato.

Ritroviamo percezioni stereotipate nei ruoli che “devono” ricoprire uomini e donne anche nella divisione delle responsabilità domestiche e di cura. Questo non fa altro che alimentare il circolo vizioso per cui, più ci si aspetta che le donne si assumano maggiori responsabilità domestiche e di cura, più gli uomini si concentrano sul loro “ruolo di capofamiglia”, occupando posti di lavoro di più alto livello – e quindi guadagnando di più – ed essendo meno coinvolti nelle faccende domestiche e nell’ educazione dei figli. A questo proposito, la direttiva sull’equilibrio tra lavoro e vita privata, adottata nel giugno 2019, ha lo scopo di promuovere l’introduzione, nei vari Paesi Membri, di riforme volte a incoraggiare una più equa condivisione delle responsabilità. La disponibilità di servizi di cura di qualità e a prezzi accessibili gioca un ruolo chiave sia nell’accesso al lavoro delle donne che nella condivisione dei carichi familiari.

Sembra, però, che anche le modalità di lavoro flessibili nascondano influenze negative sul divario di genere: sebbene, in linea teorica, siano state pensate per raggiungere un miglior equilibrio fra lavoro e vita privata, una ricerca condotta in Germania mostra che gli uomini tendono a sfruttare gli orari flessibili per migliorare le loro prestazioni lavorative, e non per far meglio fronte alle responsabilità familiari, come invece fanno, nettamente più spesso, le donne. Siamo ancora molto lontani da un’equa e completa corresponsabilità di entrambi i genitori. 

Ma, ovviamente, non è la sola gestione della famiglia che sembra ancora basarsi fortemente su stereotipi di genere: pensiamo ad esempio anche alle scelte di studio (e quindi di carriera) che sono troppo spesso guidate da convenzioni obsolete.

L’Osservatorio sull’istruzione e la formazione del 2022 ha evidenziato che le donne superano gli uomini in quasi tutte le statistiche sull’istruzione a livello europeo; tuttavia la percentuale di donne che si laureano in discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche (Stem) è costantemente inferiore rispetto a quella degli uomini. Questo si traduce, chiaramente, in una forte segregazione di genere, ossia l’ineguale distribuzione di figure maschili e femminili fra settori, occupazioni e campi di studio, un problema ancora profondamente radicato nell’Ue. Tale tendenza contribuisce anche ad aumentare il divario retributivo tra i sessi, a limitare l’accesso a determinati posti di lavoro e a perpetuare rapporti di potere diseguali nella sfera pubblica e privata. Per ovviare a questo problema, sono state avviate delle politiche nazionali che mirano ad attirare un maggior numero di donne nei settori a contenuto tecnico, ossia le attività Stem. Più di rado accade l’opposto, ossia il tentativo di attrarre più uomini verso le attività di istruzione, assistenza, salute e benessere, forse perché ciò richiederebbe anche un miglioramento delle condizioni di lavoro e della retribuzione in questo settore. Il Report si sofferma anche sulla «trappola dell’inattività», che consiste nella rinuncia da parte del partner che guadagna meno, quasi sempre la donna, a impegnarsi per un lavoro che, oltre a essere pagato poco, andrebbe perso in tasse addizionali e perdita di benefici sociali. E qui vengono in considerazione le diverse politiche fiscali dei diversi Stati membri. 

Maggiore eguaglianza nelle retribuzioni di uomini e donne avrebbe nel tempo impatti forti e positivi sulla crescita del Pil e condurrebbe a più alti livelli di occupazione e di produttività, come ha affermato anche una recente indagine dell’I.L.O. (International Labour Organization): l’investimento in permessi uguali per uomini e donne, l’accesso universale all’istruzione e alla cura nella prima infanzia e servizi di cura di lungo periodo potrebbero generare globalmente 299 milioni di posti di lavoro entro il 2035.

Insomma, un mondo del lavoro equo è ancora un obiettivo ben lontano: secondo le stime, anche per quanto riguarda il discorso prettamente salariale, le donne guadagnano in media solo 0,83 euro per ogni euro guadagnato da un uomo. 

Tale squilibrio nel guadagno medio fra uomini e donne conduce, inevitabilmente, a importanti differenze di reddito negli anni e, di conseguenza, a minori entrate pensionistiche: un’ulteriore prova del fatto che le disuguaglianze di genere si riscontrano lungo tutto il ciclo di vita ed espongono le donne a un maggiore rischio di povertà.

Affrontare il divario retributivo di genere e le sue cause profonde è una delle priorità della strategia per la parità di genere 2020-2025. Nel 2023, l’Ue ha compiuto un importante passo avanti, approvando definitivamente la direttiva sulla trasparenza retributiva, che la Commissione aveva presentato nel marzo 2021. Con essa, l’Ue mira principalmente a fornire trasparenza sulle retribuzioni, facendo luce sugli effettivi divari retributivi e sui pregiudizi inconsci in questo contesto, sensibilizzando le persone (specialmente i datori di lavoro) alla questione. Gli Stati membri hanno tre anni di tempo per dare attuazione a questa Direttiva. A tutti/e i/le dipendenti verranno così forniti gli strumenti per valutare se sono retribuiti in modo non discriminatorio, ed eventualmente, per ricorrere alla giustizia, ottenendo il risarcimento e il pieno recupero delle retribuzioni arretrate.

Concludendo, nel gennaio 2023, è stato compiuto un altro importante passo: il Consiglio che riuniva i ministri dell’occupazione e degli affari sociali ha adottato una raccomandazione sul reddito minimo adeguato, individuato in una somma almeno equivalente alla soglia di rischio povertà nazionale. Questa iniziativa è di fondamentale importanza, in quanto contribuirà a raggiungere l’obiettivo del piano d’azione del Pilastro europeo dei diritti sociali di ridurre il numero di persone a rischio povertà o esclusione sociale di almeno 15 milioni, tra cui almeno 5 milioni di bambini. Agli Stati membri il compito di tenerne conto e di trasformare in leggi questo atto dell’Unione Europea che non ha valore vincolante.

Articolo di Chiara Giacomelli

Laureanda in Management presso l’Università di Pavia. Ama le cene in compagnia e leggere un libro che la tenga incollata fino ad addormentarcisi sopra. Ha tanti sogni nel cassetto, ma non sa da quale cominciare… perciò per adesso si limita a “fare la fuorisede” e a scrivere la tesi, sempre in compagnia delle sue cuffiette, da cui non si separa mai, e di una tazza di tè fum

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