mercoledì 12 febbraio 2025

Uomini che ammazzano le "loro" donne. Donne e uomini detenuti, 4 su 100. Femminismi. di Adriano Sofri

A Rufina, Firenze, e a Venaria, Torino, i titoli, staccati di nemmeno un giorno, sono così simili da far pensare a una stessa notizia: uomo che uccide la moglie accoltellandola alla schiena, 24 volte, e poi tenta il suicidio. I dettagli poi sembrano distanziare i fatti: alla Rufina i due coniugi sono trentenni, lavorano ambedue, lui è un architetto, hanno un bambino di un anno e mezzo, l'aggettivo ricorrente è "tranquilli", qualcuno si spinge a ripetere la formula della "coppia perfetta". Niente di più allarmante che l'aggettivo "tranquillo" e la "coppia perfetta". A Venaria cinquantenni, meno agiati, lui invalido, di modi brutali, i vicini "l'avevano sentito dire tante volte che l'avrebbe uccisa, ma non se lo aspettavano". Lei sì. Nello stesso paio di giorni, un altro uomo finisce per confessare di aver ucciso, due settimane prima, la sua compagna, e di averne buttato da qualche parte il cadavere, senza ricordare bene dove. 

Che ne è dunque dell'emozione accesa attorno ai femminicidi e la mobilitazione di coscienze e misure pratiche che sembrava aver suscitato? Qualche "esperto" avverte che l'attenzione sollevata sul tema può addirittura fomentare l'emulazione, argomento frequente quanto desolante. E' un fatto che l'uomo che spinge la propria violenza contro la "sua" donna fino al punto di ucciderla, e infierendo, mostra di essere illeso dalla condanna pubblica e di trattare la propria rabbia, frustrazione, offesa, e qualsiasi altro nome dia al proprio imbestiamento, come un affare del tutto personale, che riguardi solo lui, una prima inesorabile volta. E il suicidio, riuscito o mancato, a volte vero più spesso simulato o dimezzato, vale a coronare il gesto ultimativo. Non voglio certo dire che l'impegno all'educazione, all'esempio morale, al piacere paziente dell'allargamento delle maglie e dello scioglimento dei nodi, non sia un compito cruciale, a cominciare dall'infanzia. Tuttavia, il "cambiamento culturale" invocato di prammatica farebbe bene a rassegnarsi all'enorme divario fra il suo tempo largo e quello stretto di una cultura arcaica ed emarginata dal cambiamento troppo svelto dei modi di vita. I vicini, dove ancora esistono, e sentono dire "prima o poi la uccido", e "non ci possono credere". I familiari, che poi costernati dicono: "Negli ultimi tempi non era più lui...". La mentalità ha bisogno della lunga durata, e bisogna sbrigarsi con l'intervento dei carabinieri, la cavigliera elettronica (funzionante), la stessa carcerazione che risponda a una minaccia comprovata e incombente, per limitare l'obbrobrio che mette donne, indipendentemente dalle loro differenze, in balia di uomini. 

Le carceri italiane, famigerate e spesso compiaciute del proprio sovraffollamento, folla sopra folla, continuano ad avere una quota di detenute del 4 per cento sul totale della cosiddetta popolazione penitenziaria. (E' più o meno così nel resto d'Europa). E il dato è costante, cioè non registra alcun cambiamento - il progresso consisterebbe in un aumento della criminalità femminile. Se non mi sfugge qualcosa, questo dato è incomparabile con qualsiasi altro sullo squilibrio fra i sessi, negli stipendi o nei ruoli socialmente rilevanti. La stessa irrisoria percentuale misura l'uccisione di uomini da parte di loro partner femminili, e il fallimento del nome polemico di "maschicidio". 

Studiose e militanti donne si sono occupate di questo fenomeno e della sua storia. Ma la considerazione pubblica è ancora sorprendentemente distratta. La statistica sulla popolazione carceraria è un altro modo per dire che una donna che si innamori di un uomo - uso questa terminologia, che continua ad avere un senso - ha ragione di mettere nel conto il rischio per la propria incolumità, preoccupazione che un uomo ha ragione di ignorare. Viceversa, un uomo che si innamori di una donna ha ragione di mettere nel conto il rischio che farà correre alla donna di cui si è innamorato. Fino all'estremo.

Leggevo ieri, in un'intervista sulla Stampa di Simonetta Sciandivasci a Rossana Campo, questo passo, su un tema che abbiamo ritrattato nei giorni scorsi: "Gli autori dei grandi romanzi e delle grandi opere liriche che hanno dato vita a eroine avidamente attaccate alla vita, se pure le hanno raccontate con passione, hanno finito sempre per farle morire ammazzate o suicide. Anche se inconsciamente, le punivano. Non credo sia un caso che le scrittrici che hanno dato vita a personaggi altrettanto vitali e problematici, non li abbiano poi uccisi". Anche grandi romanzieri e librettisti sono stati in regola con l'infima percentuale di donne "delinquenti". Sempre ieri ho trovato questo brano di Hannah Arendt: "La verità è che io non ho mai avuto la pretesa di essere altro o diversa da quella che sono, né ho mai avuto la tentazione di esserlo. Sarebbe stato come dire che ero un uomo e non una donna: ossia qualcosa di insensato... Esiste una sorta di gratitudine di fondo per tutto ciò che è com'è...". Arendt trattava del suo rapporto con l'ebraicità, ma le sue parole mi paiono appropriate a un altro fenomeno di questi giorni, che è una esacerbazione forse irreparabile, quanto ai toni reciproci, della (delle) divergenza fra posizioni originariamente femministe. Già forti e aspramente espresse, queste divergenze, che coinvolgono fortemente benché di rimando anche gli uomini, sono chimicamente precipitate dall'avvento del regime trumpiano e dalla sua vendetta su ogni valorizzazione delle differenze che non siano quella fra chi ha il potere e chi invece non ce l'ha. Non saprei discuterne adeguatamente, e forse per questo mi sembra di riconoscere molto di interessante e di fecondo in posizioni che si presentano a vicenda come inconciliabili e risentite: come un turatiano nel '21, per sorridere un po' di me. Ma il cedimento allo spirito della rottura e della demarcazione è una tentazione micidiale del '22, del '33, e del 2025.

martedì 11 febbraio 2025

BUONA GIORNATA INTERNAZIONALE DELLE DONNE E DELLE RAGAZZE NELLA SCIENZA! di Stefano Fortini

L’11 febbraio di ogni anno si celebra la Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza, un evento promosso dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2015. Oggi ricorre quindi il decimo anniversario dell'istituzione di questa ricorrenza.

Secondo i dati più recenti dell’UNESCO, meno del 30% dei ricercatori a livello mondiale sono donne, inoltre la disparità di genere è testimoniata anche dal fatto che le donne che fanno ricerca in ambito scientifico-tecnologico sono pagate meno e hanno maggiori difficoltà rispetto agli uomini a progredire nelle loro carriere (fonte: http://uis.unesco.org/en/topic/women-science).

Negli ultimi decenni sono stati compiuti alcuni progressi verso l’uguaglianza di genere nelle discipline STEM. Tuttavia, le donne e le ragazze continuano a essere escluse dalla piena partecipazione alla scienza: i dati statistici disponibili evidenziano un pregiudizio nei confronti delle donne e mostrano che siamo ancora lontani dalla parità di impiego. 

Spero davvero che questa giornata possa promuovere il dibattito e sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema al fine di colmare il divario, raggiungere l’uguaglianza di genere e dare effettivamente potere alle donne e alle ragazze rafforzando la loro libertà di scegliere il proprio futuro.

I miei migliori auguri a tutte le donne e alle ragazze che si occupano – professionalmente o anche solo per passione – di scienza! 

Immagine: Serie di illustrazioni per la Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza, opera dell’artista spagnola Beatriz Arribas de Frutos. Da sinistra: Rosalind Franklin, Margarita Salas, Vera Rubin, Emmy Noether, Chien-Shiung Wu, Jane Goodall (fonte: https://www.artconnect.com/.../international-day-of-women...).

#donneescienza #donne #giornatainternazionaledelledonneedelleragazzenellascienza #scienza

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lunedì 10 febbraio 2025

Ottant'anni di voto alle donne

Ottant’anni è un tempo breve in prospettiva storica, più o meno equivalente nel nostro paese all’aspettativa di vita media di una persona. Vale la pena di rimarcarlo, per ricordare che la vicenda delle donne come cittadine, in Italia, è cominciata ieri.È cominciata grazie alle battaglie del femminismo suffragista, impegnato per decenni contro una cultura che considerava la partecipazione femminile alla vita politica ridicola, assurda e potenzialmente dannosa. Ma soprattutto grazie al contributo straordinario che le donne diedero alla Resistenza contro il nazifascismo, verso cui il diritto di voto – sostenuto da Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi – arrivò anche come riconoscimento di valore.

Politica maschile

Ottant’anni sono pochi, ma sembrano tanti se si considera la lentezza dei progressi compiuti da allora. Più che un progresso lineare, la storia della partecipazione alla vita democratica della metà femminile del démos descrive una traiettoria costellata di successi e fallimenti nella lotta contro l’ostilità, più o meno dichiarata, della politica maschile.Lo stesso decreto del 1945, mentre riconosceva alle donne l’elettorato attivo, dimenticava di parlare della loro eleggibilità. Una svista – così la trattò Togliatti – a cui mise rimedio il successivo decreto del 10 marzo 1946 esplicitando anche il diritto all’elettorato passivo. Una dimenticanza, tuttavia, che denunciava la resistenza, anche da parte dei leader dei maggiori partiti di massa, rispetto all’opportunità che le donne fossero chiamate a rappresentare la collettività, la nazione.E raccontava, più in generale, la difficoltà dell’ingresso delle donne nel paradigma moderno della cittadinanza, storicamente modellato sulla loro esclusione, fin da quando la Rivoluzione francese segnò il clamoroso trionfo del principio di uguaglianza politica tra gli uomini, dimenticando di precisare che per “uomini” intendeva i “maschi”.

Dal 1945 a oggi

Quel che è avvenuto dopo il 1945 è in parte il riflesso dell'imperfezione degli inizi, di un’incompiutezza, di un retaggio della distinzione antica tra una sfera pubblica maschile e una privata femminile, che si è perpetuata in una storia che arriva fino ai nostri giorni. Ventuno donne furono elette nel 1946 tra i componenti dell’Assemblea costituente, ma la presenza femminile in parlamento è rimasta sempre minoritaria. E si è dovuto aspettare il 2022 perché una donna, Giorgia Meloni, conquistasse il ruolo di presidente del Consiglio dei ministri

Oggi, nonostante la lentezza dei progressi, il crescente protagonismo delle donne in politica ha mutato in modo tutt’altro che irrilevante la scena pubblica del potere. Si pensi alla situazione inedita in cui il conflitto tra maggioranza e opposizione vede due donne, Elly Schlein e la stessa Meloni, alla guida dei campi avversari. Si fa forte la tentazione di vedere in questa fase nuova il superamento della contraddizione che vive fin dal Settecento tra la figura della donna e quella della cittadina, tra le gerarchie di genere nella società e l’uguaglianza formale nei diritti che è fondamento giuridico dello stato democratico.Sarebbe, però, una rappresentazione fuorviante. La contraddizione originaria si perpetua, nonostante il faticoso avanzamento della presenza femminile nella vita pubblica, non solo perché questo continua ad avvenire al costo di incessanti conflitti per il riconoscimento e di pesanti rinunce sul piano della vita personale, che non hanno equivalenti nell’esperienza degli uomini di potere. Ma anche perché alle storie di successo di donne che conquistano posizioni di guida non corrisponde necessariamente un miglioramento nella condizione della popolazione generale donne, né sul piano economico-sociale né su quello dei diritti civili e della cultura. Può persino corrispondere un arretramento, in governi di segno reazionario.Resta attuale, allora, la questione del potere, di quale potere le donne sanno, possono e vogliono esercitare, dopo una millenaria storia di esclusione. E il rapporto irrisolto tra donne e politica richiede di articolarsi con quello del rapporto tra rappresentanza, femminismo e democrazia.

Quella cominciata nel 1945 appare così come una storia aperta. Il tempo (breve) trascorso da allora racconta che nessuna conquista è scontata e nessuna, senza impegno comune, è per sempre.

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giovedì 6 febbraio 2025

Divampa in Iran l'ira delle donne contro le squadracce della polizia morale di Mariano Giustino

 Qui il mio articolo su Il Riformista, di questa mattina 5 febbraio 2025, sulla giovane donna che in #Iran, a #Mashhad, si è denudata completamente davanti alle forze di sicurezza armate ed è salita in piedi su un veicolo della polizia, infrangendo platealmente le rigidissime restrizioni in materia di abbigliamento. Buona lettura!

Da Mashhad, una delle città cuore del conservatorismo sciita in Iran, un nuovo video di una clamorosa protesta di una donna sta inondando la Rete.

Un'altra donna, scalza e col corpo nudo, ha manifestato tra la gente, per affermare la propria volontà di liberazione e la propria identità, solo tre mesi dopo un precedente simile gesto avvenuto nel campus dell'Università Islamica Azad di #Teheran, dove una studentessa si era spogliata restando solo con la biancheria intimaper protestare dopo essere stata aggredita dalle forze di sicurezza perché non indossava l’#hijab obbligatorio.

Questa volta, una donna di cui non conosciamo il nome, si è denudata completamente davanti alle forze di sicurezza armate ed è salita in piedi su un veicolo della polizia, infrangendo platealmente le rigidissime restrizioni in materia di abbigliamento.

La Bibbia narra che il profeta Isaia sentì dentro di sé la voce di Dio che gli chiese di andare col suo corpo nudo e scalzo tra la gente, per rappresentare la vergogna dell’#Egitto. Il Signore disse per mezzo di Isaia figlio di Amoz: "Va’, sciogliti il sacco dai fianchi e togliti i sandali dai piedi! Così egli fece, andando nudo e scalzo” (Isaia 20, 1-2). Un analogo forte impulso sembra avere spinto la giovane donna di Mashhad e Ahoo #Daryaei, la “ragazza dell’Università” di Teheran, per rappresentare la vergogna dell’#Iran, della Repubblica islamica che pratica l’apartheid di genere. Passeggiare nudi e scalzi tra la gente, davanti alle donne in nero della polizia morale, delle terribili squadre femminili della “Hijab ban”, o alle forze paramilitari basij armate di fucili e ballare liberamente per le strade al ritmo della musica occidentale, sono azioni di disobbedienza civile molto coraggiose, messe in atto con ferma determinazione e volontà di sfida ad uno dei regimi più orrifici del pianeta.

Durante l'arresto, la studentessa, Ahoo Daryaei, aveva ricevuto gravi percosse, la sua testa era stata sbattuta violentemente contro la portiera dell'auto della polizia, ciò le aveva causato una forte emorragia e un trauma cranico.

Le donne iraniane sanno che per ribellarsi spesso non sono sufficienti le parole, occorre fare gesti clamorosi, passeggiare nude e scalze in una strada affollata o in un campus universitario sotto gli occhi di studenti, professori e forze di polizia, è un potente gesto che incarna lo spirito della rivoluzione "Donna, Vita, Libertà", ancora in corso nelle strade di Teheran sotto forma di disobbedienza civile.

Per la ragazza di Mashhad e per la “ragazza dell’Università”, così come lo fu per Isaia, è venuto il momento della “parola”, cioè di essere “parola” e per essere parola, bisogna essere “ascoltati”, altrimenti si rischia uno sterile soliloquio, un tradimento di se stessi.

“Cosa dobbiamo fare”, si chiederanno forse le “ragazze iraniane” quando ricevono insulti e minacce perché non indossano il velo? #Jina, #MahsaAmini, la ragazza curda che il 16 settembre 2022 è stata massacrata di botte e uccisa perché non indossava bene l’hijab, non aveva fatto in tempo a ribellarsi e a gridare, lo stanno facendo ora le sue coetanee denudandosi e dando parola al suo corpo con una rivoluzione a mani nude che sfida la violenza bruta di un regime che ha istituito l’apartheid di genere e che vuole ridurre al silenzio ogni oppositore, col terrore di torture e impiccagioni. La “ragazza di Mashhad” è riuscita a “essere parola” come Isaia, e a farsi “ascoltare”, perché se manca l’ascolto, non vi è parola. È un evento che irrompe nelle strade sorvegliate dalla polizia morale e dagli occhi delle telecamere sempre a caccia di donne senza hijab o malvelate.

La ragazza di Mashhad, così come Ahou Daryaei sono diventate un altro simbolo della resistenza alla mostruosa Repubblica islamica, della lotta nonviolenta della Generazione Z per la liberazione dell’Iran. La loro azione di disobbedienza civile è già impressa nella storia come è accaduto anche per #VidaMovahed, “la ragazza della Via #Enghelab”, a Teheran, che il 27 dicembre del 2017, in piedi, su un bidone della spazzatura, si tolse il velo e lo sventolò come una bandiera, fu arrestata ma il suo video, in cui sventolava silenziosamente il suo velo bianco su un bastoncino in via Enghelab, diventò virale sui social media e la sua azione nonviolenta diede vita alle manifestazioni del "Mercoledì Bianco". Proprio come è accaduto anche per l'"Uomo del carro armato", il giovane cinese, il "Rivoltoso sconosciuto", divenuto famoso quando, il 5 giugno 1989, il giorno dopo del massacro in piazza #Tienanmen a #Pechino, con le buste della spesa nelle mani, si parò davanti ad alcuni carri armati impedendone l'avanzata. E infine come accadde per #RosaParks, attivista del movimento per i diritti civili negli Usa, che divenne famosa nel 1955 per essersi rifiutata di obbedire alla regola di cedere il proprio posto su un autobus a un bianco, dando così origine al boicottaggio dei bus a #Montgomery. Figure anticipatrici di grandi cambiamenti. 

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