lunedì 10 febbraio 2025

Ottant'anni di voto alle donne

Ottant’anni è un tempo breve in prospettiva storica, più o meno equivalente nel nostro paese all’aspettativa di vita media di una persona. Vale la pena di rimarcarlo, per ricordare che la vicenda delle donne come cittadine, in Italia, è cominciata ieri.È cominciata grazie alle battaglie del femminismo suffragista, impegnato per decenni contro una cultura che considerava la partecipazione femminile alla vita politica ridicola, assurda e potenzialmente dannosa. Ma soprattutto grazie al contributo straordinario che le donne diedero alla Resistenza contro il nazifascismo, verso cui il diritto di voto – sostenuto da Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi – arrivò anche come riconoscimento di valore.

Politica maschile

Ottant’anni sono pochi, ma sembrano tanti se si considera la lentezza dei progressi compiuti da allora. Più che un progresso lineare, la storia della partecipazione alla vita democratica della metà femminile del démos descrive una traiettoria costellata di successi e fallimenti nella lotta contro l’ostilità, più o meno dichiarata, della politica maschile.Lo stesso decreto del 1945, mentre riconosceva alle donne l’elettorato attivo, dimenticava di parlare della loro eleggibilità. Una svista – così la trattò Togliatti – a cui mise rimedio il successivo decreto del 10 marzo 1946 esplicitando anche il diritto all’elettorato passivo. Una dimenticanza, tuttavia, che denunciava la resistenza, anche da parte dei leader dei maggiori partiti di massa, rispetto all’opportunità che le donne fossero chiamate a rappresentare la collettività, la nazione.E raccontava, più in generale, la difficoltà dell’ingresso delle donne nel paradigma moderno della cittadinanza, storicamente modellato sulla loro esclusione, fin da quando la Rivoluzione francese segnò il clamoroso trionfo del principio di uguaglianza politica tra gli uomini, dimenticando di precisare che per “uomini” intendeva i “maschi”.

Dal 1945 a oggi

Quel che è avvenuto dopo il 1945 è in parte il riflesso dell'imperfezione degli inizi, di un’incompiutezza, di un retaggio della distinzione antica tra una sfera pubblica maschile e una privata femminile, che si è perpetuata in una storia che arriva fino ai nostri giorni. Ventuno donne furono elette nel 1946 tra i componenti dell’Assemblea costituente, ma la presenza femminile in parlamento è rimasta sempre minoritaria. E si è dovuto aspettare il 2022 perché una donna, Giorgia Meloni, conquistasse il ruolo di presidente del Consiglio dei ministri

Oggi, nonostante la lentezza dei progressi, il crescente protagonismo delle donne in politica ha mutato in modo tutt’altro che irrilevante la scena pubblica del potere. Si pensi alla situazione inedita in cui il conflitto tra maggioranza e opposizione vede due donne, Elly Schlein e la stessa Meloni, alla guida dei campi avversari. Si fa forte la tentazione di vedere in questa fase nuova il superamento della contraddizione che vive fin dal Settecento tra la figura della donna e quella della cittadina, tra le gerarchie di genere nella società e l’uguaglianza formale nei diritti che è fondamento giuridico dello stato democratico.Sarebbe, però, una rappresentazione fuorviante. La contraddizione originaria si perpetua, nonostante il faticoso avanzamento della presenza femminile nella vita pubblica, non solo perché questo continua ad avvenire al costo di incessanti conflitti per il riconoscimento e di pesanti rinunce sul piano della vita personale, che non hanno equivalenti nell’esperienza degli uomini di potere. Ma anche perché alle storie di successo di donne che conquistano posizioni di guida non corrisponde necessariamente un miglioramento nella condizione della popolazione generale donne, né sul piano economico-sociale né su quello dei diritti civili e della cultura. Può persino corrispondere un arretramento, in governi di segno reazionario.Resta attuale, allora, la questione del potere, di quale potere le donne sanno, possono e vogliono esercitare, dopo una millenaria storia di esclusione. E il rapporto irrisolto tra donne e politica richiede di articolarsi con quello del rapporto tra rappresentanza, femminismo e democrazia.

Quella cominciata nel 1945 appare così come una storia aperta. Il tempo (breve) trascorso da allora racconta che nessuna conquista è scontata e nessuna, senza impegno comune, è per sempre.

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