Mancava solo il mare, l’amato mare, a raccontare qualcosa di lei. E forse solo il mare, in cui nuotava per ore da sola perdendosi all’orizzonte, e che è stato l’ultimo (esaudito) desiderio, avrebbe potuto restituire l’intera essenza di una donna che «stava stretta a qualsiasi definizione», che «non era di nessuno», «inappropriabile perché sfuggiva ad ogni identità certificata che ingabbiasse la sua irriducibile singolarità».
Studiosa famelica di filosofia ancora prima che diventasse «Miranda», partigiana «perché c’è bisogno anche di intervenire», marxista «ortodossa» come amava definirsi, comunista, dirigente politica, organica del Pci e radiata dal Pci, fondatrice del manifesto, letterata, scrittrice, saggista, giornalista. Intellettuale e militante.
Era tutto questo, Rossana Rossanda, come hanno ricordato almeno tre generazioni di compagni e amici ieri a Roma, in una Piazza Ss. Apostoli che più di così, dati i tempi, non poteva proprio riempirsi, ricostruendo un puzzle lungo un secolo.
Una grande storia. Eppure «non apparteneva al Pci, né al manifesto, e neppure alla sinistra italiana. Solo al mondo, perché nel mondo si muoveva e del mondo era curiosa, insaziabile». E non c’è per lei altra definizione che le contenga tutte, altra parola che la rappresenti meglio se non «libera e libertaria».
«APPASSIONATA SOSTENITRICE dell’assioma marxiano che la libertà di uno vale la libertà di tutti, altro che algida e fredda come chi non la conosceva abbastanza l’ha definita», ricorda Franco Cavalli, medico oncologo e socialista svizzero che di lei, come pure ha fatto Antonio Bassolino, ha evocato la grande generosità dimostrata accompagnando Lucio Magri nel suo ultimo viaggio verso il suicidio assistito in Svizzera: «Loro due insieme – ha raccontato Cavalli – fino all’ultimo secondo hanno discusso del futuro della sinistra italiana».
Un’immagine potente e struggente insieme, come le tante regalate dal piccolo palco dove campeggiava il bel volto di Rossana Rossanda, per un «funerale atipico senza bara e con tanti ricordi», come lo ha definito Luciana Castellina che insieme a Filippo Maone e Norma Rangeri ha srotolato il filo della storia, portandoci insieme a Rossanda dal secolo scorso al futuro.
UNA PIAZZA DI SINISTRA che si è di nuovo riempita e non solo per ricordare (tra i tanti hanno voluto portare un saluto anche il ministro Giuseppe Provenzano, Vincenzo Vita, Nichi Vendola, Nicola Fratoianni, e tanti tanti compagni e giornalisti passati nelle stanze di via Tomacelli).
Una manifestazione, resa possibile dall’impegno del deputato di Sel e consigliere capitolino Stefano Fassina e dalla disponibilità del Comune di Roma (presente anche il vicesindaco Luca Bergamo), che è stata seguita in streaming sul sito e sulla pagina Facebook del manifesto da oltre 70 mila persone, che hanno lasciato centinaia di saluti e commenti.
Ninetta Zandegiacomi, che insieme a Luciana Castellina e Filippo Maone è tra i soli sopravvissuti del nucleo storico dei fondatori del manifesto, ricorda gli anni «duri, difficili, entusiasmanti ma non proprio belli» della Resistenza, della «lotta per prenderci la libertà, per dare la democrazia a questo Paese». Rossana? «Un tesoro», mormora con gli occhi che le si riempiono di lacrime rispondendo alla domanda della cronista, prima di salire sul palco.
ROSSANDA È TANTO, troppo per raccontarla. Filippo Maone parla dell’«attrattiva che ha esercitato su diverse generazioni», dovuta ad «un’energia interiore» e ad una «spiccata sensibilità artistica» che l’ha fatta diventare punto di riferimento per «una straordinaria moltitudine, sua figliolanza». Anche se lei, che figli non ne ha avuti, forse non ne era consapevole.
Rossanda è la dirigente che al Pci ha dato un punto di vista culturale altissimo, «una rivoluzionaria che ha fatto onore al comunismo che altri hanno infangato», nelle parole di Aldo Tortorella. Il contrario del fanatismo, nessun dogma da propinare.
Il suo insegnamento, sottolinea Emanuele Macaluso, è ancora materia prima per le nuove generazioni. «La sua vita – per Fabio Mussi – è un monumento politico che le è valso il rispetto anche degli avversari».
Maurizio Landini parla della sua capacità di coniugare cultura e curiosità intellettuale con la capacità di leggere la realtà di tutti i giorni, di registrare le condizioni materiali delle persone.
Argiris Panagopulos porta il saluto e la gratitudine di Tsipras, Doriana Ricci, che di Rossanda è stata la segretaria per 31 anni, racconta il loro «stra-ordinario rapporto, tra due persone libere che si sono scelte e si sono volute molto bene». È grazie a lei – lo sottolinea Luciana Castellina – che Rossana ha potuto fare un ultimo bagno al mare, stesa su una lettiga, pochi giorni prima di morire.
Ida Dominijanni ha ricordato la «vita da incanto» vissuta da RR, come la chiamavamo a volte in redazione, noi che in via Tomacelli siamo arrivati per ultimi, la sua «sensorialità per l’arte, il cinema», la musica, la danza…
«SFUGGIVA AD OGNI IDENTITÀ certificata», ricorda Dominijanni che aggiunge: «Niente è comprensibile nel suo essere, al di fuori della passione per la libertà. Per lei “quotidiano comunista” voleva dire il contrario dell’ideologia, del conformismo, dell’autoritarismo».
Amava i giovani e aveva profonda sorellanza per le donne, testimonia Maria Luisa Boccia. «Era una comunista a cui non piaceva né obbedire né mentire», aggiunge Ginevra Bompiani.
Il giovane amico Stefano Iannillo ricorda come «a volte, anche negli ultimi mesi della sua vita, sembrava che passasse le giornate in giro, a conversare con gli operai e gli studenti».
E Gabriele Polo, che del manifesto è stato direttore, ricorda che «ci ha insegnato la categoria politica dell’accoglienza», a «far parte di una comunità senza essere settari. Un insegnamento che forse siamo ancora in tempo a mettere in pratica».
Perché Rossana è anche il nostro futuro.
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