mercoledì 20 gennaio 2021

Covid: con la pandemia più depressione e ansia, specie tra le donne. E in smart working si sta peggio Elena Tebano

L’epidemia di Covid-19 e le chiusure ad essa connessa hanno fatto aumentare ansia e depressione, colpendo, in particolare, donne, giovani e chi ha lavorato in smart working. È quanto emerge da una ricerca su un campione significativo di italiani pubblicata su Scientific reports di Nature e illustrata dai suoi autori sul sito Lavoce.info. La ricerca è stata fatta a giugno dopo il primo (e più severo) lockdown italiano, su un campione rappresentativo della popolazione. Gli autori, Marco Dalmastro e Giorgia Zamariola, hanno rilevato che il malessere psichico è aumentato soprattutto (e comprensibilmente) tra chi ha avuto malati di Covid in famiglia — con una probabilità più che doppia di avere sintomi depressivi e stati d’ansia —, ma che dal punto di vista sociodemografico a risentire maggiormente dell’epidemia a livello psicologico sono state le donne, i giovani, i precari, i lavoratori a basso reddito e quelli in smart working.

«Punteggi più alti di sintomi depressivi (e di ansia) sono stati rilevati nelle donne, nei giovani, nelle persone che incontrano incertezze professionali (perché in cassa integrazione o in disoccupazione) e negli individui con status economico meno agiato — scrivono gli autori dello studio —. Sintomi di depressione si segnalano anche per gli individui che vivono da soli e per coloro che non potevano uscire di casa per recarsi al lavoro. In altre parole, nonostante lo stress della condizione lavorativa emergenziale, chi ha continuato ad andare a lavorare ha avuto meno probabilità di sviluppare sintomi depressivi e di ansia». Questo perché la mancanza di relazioni sociali e incontro quotidiani con altre persone aumenta il malessere psichico più della paura di esporsi al contagio.

Tutto questo avveniva nei mesi in cui l’accesso ai servizi di salute mentale era fortemente limitato proprio a causa dell’epidemia: secondo uno studio della Società Italiana di Psichiatria (Sip), pubblicato su Bmc Psychiatry e riportato da Quotidiano Sanità, durante la prima ondata della pandemia il 20% dei Centri ambulatoriali dei Servizi di Salute mentale italiani ha chiuso, mentre il 25% ha ridotto gli orari di accesso. In particolare i consulti psichiatrici ospedalieri sono diminuiti del 30 per cento, le psicoterapie individuali del 60 per cento, le psicoterapie di gruppo e gli interventi psicosociali sono stati quasi del tutto sospesi (con una diminuzione del 90-95%). Significa che nel momento di maggior bisogno le persone in quel periodo più fragili, che già necessitavano di cura psicologica da parte del servizio sanitario, sono rimaste senza assistenza.

Tra le donne, riporta ancora lo studio di Nature, si registra un venti per cento in più di probabilità di mostrare sintomi di depressione, ansia e angoscia rispetto agli uomini. È un dato registrato anche in altre ricerche. Per esempio quella condotta nella provincia di Alberta, in Canada, dalla psicologa italiana Veronica Guadagnini: «Rispetto agli uomini, le donne hanno riferito una minore qualità del sonno e maggiori sintomi di insonnia, ansia, depressione e traumi» spiega la ricercatrice intervistata da PsychHub360.

Le due ricerche non hanno cercato di spiegare le ragioni questa differenza, ma la spiegazione di Guadagnini su come è nata la sua ricerca può aiutare a capire almeno una parte di questa differenza. «Quando il 16 marzo la provincia in cui vivo (Alberta, Canada) ha dichiarato lo stato di emergenza e il blocco totale delle attività, mi sono trovata a lavorare da casa con un lavoro a tempo pieno e a seguire da sola l’istruzione a casa di mia figlia (il mio partner lavora fuori provincia). Mi sono sentita molto sopraffatta e ho iniziato a pensare a come in molte famiglie il carico di assistenza sia spesso maggiore per le donne. Ho iniziato a pensare che in questo caso la situazione che stavo vivendo era condivisa da molte donne in tutto il mondo e che era necessaria una ricerca che analizzasse l’impatto dei ruoli di genere sulle reazioni alla pandemia». Il suo studio ha poi confermato il maggior aggravio di malessere psichico per le donne.

Abbiamo già spiegato in questa rassegna stampa come le conseguenze economiche dell’epidemia abbiano colpito maggiormente le donne, sia nell’immediato (sono quelle che hanno perso o ridotto di più il lavoro stipendiato) sia per il futuro, perché sono rimaste indietro nella carriera mentre gli uomini andavano avanti (ne avevo scritto qui). Lo studio di Nature sull’Italia dimostra che questo vale anche per il malessere psichico. Per questo è necessario introdurre un approccio di genere nelle politiche pubbliche di risposta alla pandemia e potenziare tutti i servizi di assistenza che possono sgravare le donne (e in generale famiglie e genitori) dal lavoro di cura. Se non vengono affrontate le diseguaglianze di genere si alimentano a vicenda, peggiorando sempre più.

Questo articolo è stato pubblicato originariamente nella newsletter «Il Punto - Rassegna stampa» del Corriere. Per riceverla potete iscrivervi qui https://www.corriere.it/newsletter/

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