giovedì 28 gennaio 2021

Il settore F. La storia dimenticata delle agenti segrete che non tornarono (e della donna che non smise mai di cercarle) by Jolanda Fiorini


Il settore F era una sezione speciale incaricata delle operazioni segrete da svolgere in Francia. I suoi agenti avevano il compito di collaborare con la Resistenza e i gruppi partigiani, nell’organizzare e addestrare volontari decisi a disturbare ovunque gli invasori nazisti, nel distruggere strade, ferrovie e linee di telecomunicazione; nel distribuire armi, munizioni ed esplosivi che aerei britannici e americani paracadutavano su campi segretamente approntati dai militanti della Resistenza. Siamo  nel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, e la Gran Bretagna conduce la sua battaglia segreta dietro le linee nemiche. “Ed ora incendiate l’Europa” – dirà Winston Churchill – il 19 luglio 1940, nel dare il via alla creazione “Special Operations Executive” o SOE (Esecutivo Operazioni Speciali). Il settore F era la sezione della SOE formata solo da donne. Al centro di questa battaglia vi è Vera Atkins: abile, meticolosa e motivata.

Atkins è la spia perfetta: recluta e addestra agenti britannici nella Francia occupata, e ha anche la responsabilità di 37 donne agenti  che compongono la sua sezione speciale F. Queste spie, partendo da Londra, dal Cairo, da Algeri, e in un secondo tempo anche da Brindisi e Bari, presero terra in diversi paesi dell’Europa lanciandosi con il paracadute, scendendo da piccoli aerei o sbarcando da sommergibili e motoscafi.

Pensate che prima di diventare un’agente dell’intelligence inglese Vera faceva parte del team britannico che evacuò i decodificatori Enigma dalla Polonia attraverso il confine nella sua nativa Romania, portandoli in Francia e Gran Bretagna e che insegnò agli alleati occidentali la crittoanalisi dell’Enigma. Vera Atkins mandò in azione ben 400 agenti segreti, addestrandoli per mesi e insegnando loro per filo e per segno ogni dettaglio delle loro nuove identità.

Quando la guerra finì nel 1945, oltre 100 agenti non erano tornati. Vera non si dava pace. Decise di scoprire di persona cosa fosse loro successo, che fine avessero fatto. Entrò nella Commissione britannica per i crimini di guerra. Era conosciuta per le sue eccelse abilità nell’interrogatorio: annotò in un suo rapporto di aver fatto confessare i crimini commessi dal comandante di Auschwitz. La Atkins investigò molto e in modo approfondito per cercare le sue spie: nomi incisi sulle pareti di prigioni, schizzi d’un disegnatore di bozze di “Vogue” che sopravvisse a numerosi campi di concentramento, lettere intercettate… tutto questo fu registrato ed usato per le sue indagini.

Interrogò gli ex-carcerieri dei lager, i loro capi, e i capi dei capi, come Josef Kieffer, il comandante del controspionaggio delle SS a Parigi, e Rudolf Hoess il comandante di Auschwitz. Hitler aveva ordinato che gli agenti del SOE, una volta torturati e uccisi, dovevano essere eliminati in modo tale che di loro non restasse nessuna traccia. Vera Atkins riuscì lentamente e senza mai arrendersi a ricostruire la fine di molte agenti del SOE e a far sapere ai familiari dove e come erano state fatte sparire. Per fornire ai loro cari e alla Storia la testimonianza di tante donne che avevano dato la vita perché tutti potessimo vivere liberi. Per non dimenticare.

Delle trentasette donne che facevano parte del Settore F della SOE solo quindici sopravvissero. Dodici morirono nei campi di concentramento.

Gli sforzi di Atkins nel cercare le sue “ragazze” scomparse significava non solo dare a ognuna un luogo di morte, descriverne il proprio coraggio prima e dopo la cattura. Quattro di esse furono internate nel lager di Natzweiler, in Alsazia, e furono bruciate vive dopo essere state paralizzate con un’iniezione. Immobilizzate, ma coscienti, si videro spinte dentro il forno crematorio. Cecily Lefort fu giustiziata nella camera a gas. Violette Szabo,  che aveva solo 22 anni quando fu paracadutata in Francia, venne catturata dopo aver combattuto contro 40 soldati tedeschi con soli 90 proiettili. Denise Bloch e Liliane Rolfe, internate, torturate, violentate e infine impiccate nel lager di Ravensbrück.

Ravensbrück non è Auschwitz, né Dachau o Bergen-Belsen. Non ci sono immagini dell’Armata Rossa o video dell’esercito britannico a consegnare alla storia i fotogrammi dell’orrore. Si tratta di una vicenda non dimenticata, ma quantomeno poco conosciuta, non fosse per Sara Helm, autrice di una lunga ricerca, fatta di lavoro d’archivio e interviste con le sopravvissute. Vi entrarono più di 130.000 donne, da venti Paesi diversi. Le prime 867 arrivarono il 15 maggio del 1939. Solo una parte di loro – secondo alcuni dati, circa il venti per cento – era ebrea. Le altre erano colpevoli di comportamenti “devianti”: lesbiche, prostitute, socialiste, comuniste, abortiste, rom, testimoni di Geova. Donne considerate inutili per la sopravvivenza e la gloria del Reich. Alcune prigioniere portavano un cognome celebre: Geneviève de Gaulle, nipote del generale francese, Olga Benario Prestes, ebrea, comunista, icona antifascista morta nelle camere a gas. Ma la maggioranza erano donne apparentemente anonime, come Elsa Krug, una prostituta di Düsseldorf, che, in quanto kapò, aveva accesso ai magazzini alimentari, dai quali sottraeva cibo per le prigioniere. Disobbedì agli ordini, Elsa, rifiutandosi di picchiare le altre donne, e il suo destino prese la forma di una camera a gas. La Helm racconta le storie delle coraggiose polacche, “i conigli”, che furono mutilate dalle sperimentazioni mediche del Reich. Donne nelle cui gambe venivano iniettate dei batteri, per testare l’efficacia di determinati farmaci.

Tra le agenti della Sezione F che ce la fecero c’era Krystyna Skarbek, che nel 1941 attraversò la Polonia occupata e arrivò fino a Budapest, nascondendo un microfilm con i piani tedeschi per l’invasione della Russia, e giunse in Bulgaria nascosta nel bagagliaio dell’ambasciatore britannico. Poi si diresse verso sud, su un’auto sportiva, attraversò il Medio Oriente raccogliendo preziose informazioni sulla Siria (occupata dalla Francia collaborazionista) e sulla Palestina, giungendo infine al Cairo, dove fece rapporto all’ufficio del SOE. Nel 1944 si fece paracadutare in Francia, dietro le linee tedesche, e collaborò con le formazioni partigiane che per 40 giorni, sull’altopiano del Vercors, bloccarono le truppe tedesche che avrebbero dovuto raggiungere la Normandia

Ravensbrück è l’unico campo di concentramento e poi di sterminio che l’universo tragico dell’Olocausto destinò alle donne, secondo la volontà di Himmler che ne volle fare un “Campo modello”. In sei anni vennero rinchiuse casalinghe, dottoresse, artiste, politiche, prostitute, disabili, resistenti, zingare ed ebree, colpevoli solo di essere considerate “inferiori” nella gerarchia folle del razzismo nazista. A Ravensbrück ogni minuto si consumò un dramma, fatto di sevizie, malattie, lavori forzati, esperimenti medici ed esecuzioni sommarie, finché, verso la fine della guerra, il Lager diventò anche campo di sterminio per cancellare, in fretta, le prove di quanto vi era accaduto. E così, oltre 90.000 donne, spesso con i loro bambini al collo, vennero fatte “sparire” nel fumo del camino, nel volgere di pochi mesi.

Un altro bellissimo libro, edito da Luciana Tufani, è Lupini violetti dietro il filo spinato – Artiste e poete a Ravensbrück, di Katia Ricci.Un racconto diverso da quello che comunemente accompagna la narrazione della deportazione e dello sterminio che, se pur accomuna nella sofferenza donne e uomini, cancella la differenza femminile che l’autrice, invece, indaga e narra attraverso le testimonianze delle sopravvissute, delle poesie e dei disegni che hanno prodotto. Tra il 1939 e il 1945 scrissero ben 1200 poesie di cui alcune riportate nel libro. Scrivevano inventandosi vari stratagemmi e aiutandosi l’una con l’altra. Scrivevano per piacere, per lasciare un ricordo di sé, per testimoniare un avvenimento; scrivevano “perché scrivere era salvarsi”, come il raccontarsi. Si raccontavano e si scambiavano le ricette di cucina e quasi le recitavano ad alta voce a turno, traendone un grande conforto. La sera, distese nei loro giacigli, o durante il lavoro nelle cucine a pelare patate, si raccontavano reciprocamente storie, trame di libri o opere teatrali, come appare nei disegni realizzati dalle artiste del campo. Frammenti di vita quotidiana, veri documenti e testimonianze di quanto succedeva nel campo, sono quei disegni realizzati con carte e mozziconi di matite sottratte dalle deportate che lavoravano negli uffici.

Una guerra combattuta dentro e fuori dai campi. Una guerra tutta femminile, ma la guerra di tutti.

Vogliamo ricordarle oggi, averne Memoria, delle paracadutiste catturate e internate e delle agenti segrete che ce la fecero continuando a combattere. Delle donne che sopravvissero come di quelle migliaia e migliaia che morirono. Di chi scrisse poesie, come di chi non scrisse nulla. Di chi compì gesti altruistici sì, ma della più parte ancora che non lo fece. Di tutte quelle donne, e uomini anche, che non fecero nulla di straordinario, ma di cui furono sradicate le straordinarie esistenze. E ricordare chi è sopravvissuto, non sapendo neppure come,  chiedendosi sempre perché, portando con sé quell’ingombrante memoria per la quale “era una colpa la deportazione ma era una colpa anche il ritorno”. Noi non potremo mai e poi mai, neppure sforzandoci comprendere e compatire. Solo rispettare. Averne Memoria. Per non essere mai più indifferenti come è accaduto quando abbiamo lasciato che questo orrore prendesse forma. La nostra forma.

“Indifferenza. Tutto comincia da quella parola. Gli orrori di ieri, di oggi e di domani fioriscono all’ombra di quella parola.” Liliana Segre

In-dif-fe-ren-za. “La chiave per comprendere le ragioni del male è racchiusa in quelle cinque sillabe, perché quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore. È come assistere a un naufragio da una distanza di sicurezza. Non importa quanto grande sia la nave o quante persone abbia a bordo: il mare la inghiotte e, un attimo dopo, tutto torna uguale a prima. Non un’onda in superficie, non un’increspatura. Solo un’immobile distesa d’acqua salata.” Mai parole furono più vere.

Fonti

If this is a Woman – Sarah Helm

Noreen Riols – The Secret Ministry of Ag. & Fish: My Life in Churchill’s School for Spies

https://www.sicurezzanazionale.gov.it/sisr.nsf/storie-di-spie/noreen-riols-una-donna-nella-scuola-per-spie-di-churchill.html

https://it.wikipedia.org/wiki/Special_Operations_Executive

http://www.sentieristerrati.org/2021/01/26/il-settore-f-la-storia-dimenticata-delle-agenti-segrete-che-non-tornarono-e-della-donna-che-non-smise-mai-di-cercarle/?fbclid=IwAR1TYwL-VxxuOpXKzkiSWTYG1uI7go34-W9dgiJxPjRWbkZY7Z6MCu_BYrg

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