mercoledì 20 ottobre 2021

Parlamento europeo contro la Pas e ogni forma di vittimizzazione secondaria nelle cause di affido Daniela Poggio

Con 510 voti a favore, 31 contro e 141 astensioni, il Parlamento europeo ha approvato a larghissima maggioranza, lo scorso 6 ottobre, la “Relazione sull’impatto della violenza domestica e dei diritti di affidamento su donne e bambini” proposta dalle commissioni Femm (diritti e pari opportunità) e Juri (giuridica) per proteggere le donne e i bambini in uscita dalla violenza nelle battaglie di affido dei figli minori. Relatrici del testo, Elena Kontoura (The Left – Grecia) e Luisa Regimenti (che dalla Lega è passata a Forza Italia), relatrice ombra per i socialisti l’eurodeputata Pina Picierno. Per l’Italia hanno votato contro Lega e Fratelli d’Italia, mentre Forza Italia si è astenuta.

Gesto politico importante

L’approvazione di questo testo rappresenta un gesto politico importante che, insieme alla richiesta di inserire la violenza di genere tra gli eurocrimini (già approvata dal Parlamento), mette nero su bianco innanzitutto l’esistenza di un fenomeno, quello della vittimizzazione secondaria di donne e bambini nelle cause di affido, per poi stigmatizzare e censurare l’utilizzo delle pratiche che quel fenomeno lo nutrono in tutta Europa. Nel mirino la famigerata Pas (Parental Alienation Syndrome) e tutti i suoi derivati (madre simbiotica, alienante, fusionale, sleale), in nome della quale bambini, bambine e preadolescenti vengano sottratti, anche con l’uso della forza pubblica, a genitori che amano, per lo più madri, per essere “resettati” e portati in case-famiglia o affidati al genitore che rifiutano – anche in caso di violenza – senza indagarne i motivi. A dire no all’ablazione della maternità, come amano chiamarla i “pasisti”, ora però è l’Unione Europea e tutto fa pensare che sia solo l’inizio della fine di un sistema che ha potuto contare sulla paura e il silenzio a cui venivano costrette le madri che finivano in questi tritacarne giudiziari insieme ai loro figli. E che ora hanno avuto il coraggio di parlare, trovando più ascolto e sostegno.

Cosa dice la risoluzione

La relazione votata dalla Ue parte coraggiosamente da una premessa fondamentale (e pure di buon senso): ossia che la custodia congiunta nei casi di violenza è contraria al supremo interesse dei minori, addirittura rappresenta una violazione dei diritti umani, compreso il diritto alla vita e alla salute, come risulta dal drammatico aumento di femminicidi e infanticidi. Per questo è fondamentale una formazione specifica e continua di tutti i professionisti forensi, medici, psicologici e delle forze dell’ordine, affinché siano consapevoli degli stereotipi e delle discriminazioni di genere e affinché possano decidere sulla custodia dei minori solo dopo una consapevole valutazione della situazione familiare. Il testo chiede di prestare attenzione ai fenomeni di vittimizzazione e colpevolizzazione, per cui paradossalmente sono le vittime a doversi difendere invece degli aggressori: è il fenomeno della cosiddetta “violenza istituzionale” perché sono proprio le istituzioni a impedire alle donne in uscita della violenza di esercitare i loro diritti. Per poter monitorare più facilmente le situazioni a rischio, la risoluzione chiede di affrontare il problema delle denunce anonime e di quelle ritirate successivamente, tramite ad esempio la creazione di un archivio che conservi traccia di tutto (dichiarazioni che non sfociano in denunce, denunce ritirate o archiviate); esprime quindi preoccupazione per la mancanza di fiducia verso le donne che denunciano.

Non riconoscere l’uso della Pas

Infine, il capitolo Pas: si sottolinea come la cosiddetta sindrome da alienazione parentale e concetti simili si fondino su stereotipi di genere verso le donne, incolpando le madri di “alienazione” dei figli verso i padri e screditando le testimonianze dei bambini, con il risultato di metterli in pericolo. La risoluzione chiede, pertanto, agli Stati membri di non riconoscere l’uso di questa cosiddetta sindrome nella pratica giudiziaria e di proibirne l’uso nei procedimenti giudiziari, specialmente ma non solo nei contesti di violenza, e di formare tutti i professionisti coinvolti nel settore, da quelli forensi ai servizi sociali, medici e psicologici, nonché di informare il pubblico su questo tema. A questo si collega il riferimento alla violenza economica, perché spesso (salvo eccezioni evidentemente e contrariamente alla narrativa dominante di questi anni che voleva i padri separati alla mensa della Caritas, notizia smentita dalla Caritas stessa), sono le donne a diventare più povere in seguito a separazioni e divorzi. Non solo, la non indipendenza economica spinge alcune di loro a non denunciare per paura della povertà, il che rende necessarie decisioni rapide ed efficaci che garantiscano i diritti di mantenimento dei bambini. Infine, il testo torna sulla importanza della Convenzione di Istanbul, non ancora ratificata da tutti gli Stati membri, e della “Gender Equality Strategy” della Commissione per contrastare la struttura patriarcale della nostra società. E poiché violenza chiama violenza, il testo si concentra anche sulla opportunità di introdurre programmi di prevenzione che educhino i bambini alla corretta affettività, contrastando stereotipi sessisti e misogini con i valori dell’uguaglianza, del rispetto reciproco, della soluzione non violenta dei conflitti.

E in Italia?

Anche in Italia, grazie al lavoro della Commissione Femminicidio del Senato presieduta da Valeria Valente, sono emerse importanti criticità nel riconoscimento della violenza domestica nelle cause di affido dei minori. Grazie a questo lavoro, è stato possibile per Valente presentare un pacchetto di emendamenti alla riforma del processo civile voluto dalla ministra Cartabia che consentirà di riconoscere la violenza contro le donne anche nel processo civile, e non solo in quello penale, a partire dalle cause di separazione e divorzio; oltre al divieto di vittimizzazione secondaria. Insomma, niente più sentenze secondo cui una donna abusata, stuprata o uccisa se l’è cercata. Non solo, i magistrati dovranno ascoltare e rispettare la volontà espressa da bambini e ragazzi, anche sotto ai 12 anni, che rifiutano di vedere un genitore; potranno avvalersi se necessario di professionisti specializzati, ma non potranno delegare ad altri i colloqui, che saranno sempre videoregistrati; i consulenti dovranno attenersi alle metodologie riconosciute dalla comunità scientifica (no Pas e consimili, insomma). Infine, l’uso della forza pubblica per eseguire eventuali sentenze di allontanamento di minori dalla propria casa dovrà avvenire solo in caso di rischio di vita del minore. Segnali incoraggianti, che sembrano essere stati recepiti anche dall’ultimo documento del Consiglio Nazionale Ordine Psicologi, un testo che complessivamente fa un deciso passo avanti nel riconoscimento della violenza domestica nelle cause di affido, nonostante qualche tentativo un po’ scomposto di sminuirne pubblicamente la portata.

Ma i prelievi dei minori continuano

Se quindi il quadro normativo e istituzionale sta assumendo la forma di una maggiore tutela per le donne in uscita dalla violenza e i loro figli, le peggiori pratiche, che dieci anni di insegnamento della Pas e di alimentazione di un sistema che ruota intorno alla Pas ci hanno regalato, non accennano a fermarsi. Proprio mentre in Europa veniva approvata la risoluzione di cui scriviamo, in Italia un altro bambino, lo chiameremo C., è stato portato via dalla mamma, preso per mani e piedi da dieci persone tra assistenti sociali e forze dell’ordine: una scena raccapricciante che ha fatto il giro della rete e che personalmente non mi ha fatto dormire, cosa che spesso mi capita quando penso a questi bambini. Un altro caso di Pas, di madre considerata ostativa verso un padre che aveva riconosciuto il figlio cinque anni dopo la nascita. Questa mamma non è l’unica che sta vivendo il rischio di “ablazione” dopo il riconoscimento tardivo del padre, e conosciamo bene almeno anche un’altra storia che non sta prendendo una bella piega. Perché – ho scoperto – mentre la madre ha un tempo limitato per riconoscere il proprio bambino o la propria bambina (due mesi!) e può non essere ritenuta idonea, il padre può decidere quando vuole di “tornare sui suoi passi”, come se nulla fosse, e viene riconosciuto automaticamente, salvo opposizione della madre. Un fenomeno su cui prova a intervenire la proposta di legge sugli affidi promossa dalla deputata Boldrini che, con buon senso, dice che il riconoscimento tardivo non può essere accolto in automatico, ma deve essere vagliato dal giudice tenendo in considerazione se questo riconoscimento sia nell’interesse supremo del minore o meno, anche in considerazione della storia pregressa.

Sulla giusta strada

In conclusione, sia in Europa sia in Italia la strada imboccata è quella giusta, ma dobbiamo essere consapevoli che sarà una strada lunga e tortuosa, perché la resistenza a non intaccare le fondamenta della famiglia tradizionale basata sul potere del pater familias è ancora molto radicata nel nostro Paese. E non solo nel nostro Paese. E nelle more del principio apparentemente progressista della bigenitorialità, si sono di fatto avanzate pratiche e proposte di legge ostili alle grandi conquiste femminili, come il diritto al divorzio. Un fenomeno che non viene ancora visto e censurato come si dovrebbe, e che spiega perché un prelievo come quello accaduto nelle scorse settimane non abbia trovato né spazio in prima pagina in nessun giornale italiano né nelle parole di nessuna delle ministre donne di questo governo.

https://27esimaora.corriere.it/21_ottobre_18/parlamento-europeo-contro-sindrome-alienazione-parentale-vittimizzazione-fc6168a4-2ebe-11ec-a3a3-d55b78391c72.shtml?fbclid=IwAR1kGEMovSIYIYmiAost_PA4SFLqJ0vQ9IEYdfQWGKvSGXev4OPD_G_HrlY


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