di
Chiara Saraceno
16/09/2013
16/09/2013
Tra i commenti anche fortemente critici alla nomina di Giuliano Amato alla Corte costituzionale da parte di Napolitano non ce n'è uno che abbia rilevato che essa conferma un ormai insopportabile e ingiustificabile enorme squilibrio di genere nella composizione della Corte.
È
vero che Napolitano ha nominato a suo tempo una delle tre donne che si
sono succedute alla Corte, Marta Cartabia, succeduta a Maria Rita
Saulle, nominata da Ciampi, che a sua volta era succeduta a Giulia
Contri, nominata da Scalfaro. Potrebbe perciò sostenere che lui ha fatto
la sua parte per riequilibrare la composizione della Corte, laddove
parlamento, Corte dei conti e Corte di cassazione continuano ad eleggere
esclusivamente uomini.
Eppure, da chi periodicamente scaglia
nobili moniti contro la sistematica esclusione delle donne dai luoghi
che contano ci si sarebbe aspettate che non si limitasse a garantire la
presenza di quell’unica donna, ma utilizzasse questa volta il proprio
potere di nomina per realizzare un maggiore equilibrio. Ha invece scelto
Giuliano Amato: un politico e intellettuale di tutto rispetto, con un
lunghissimo cursus honorum, cui ora può aggiungere anche questa carica
prestigiosa, anche se meno della presidenza della repubblica cui aveva a
lungo aspirato. Anche lasciando da parte il malizioso sospetto che si
tratti di una sorta di risarcimento da parte di chi è stato nominato per
la seconda volta alla Presidenza della Repubblica nei confronti di uno
degli storici, e sconfitti, candidati in pectore, e pur con tutta la
stima ed anche amicizia che sento personalmente per Amato, non posso
evitare un certo scoramento.La quota maschile – 14 su 15 giudici - è sempre rigidissima e ben difesa, anche da chi dice di volerla incrinare. La Corte costituzionale rimane l’istituzione più maschile che ci sia in Italia (non così in altri paesi democratici), indebolendo lo stesso diritto ad essere giudicati da un collegio di “pari”. È difficilissimo, se non impossibile, per una donna, per quanto brava e competente, scalfire quel blocco di comunanza di genere, di età, di ceto, di esperienze politiche in cui si sono costruite e cristallizzate gerarchie di potere e di reciproca visibilità.
Se c’è un settore in cui da tempo non mancano certo le donne competenti e con le caratteristiche formali e sostanziali necessarie per essere nominate alla Corte, è proprio quello giuridico, che si guardi alla professione dei giudici, degli avvocati, o dei professori universitari. Neppure loro, tuttavia, riescono a scalfire quel blocco. Forse anche perché, per le stesse ragioni per cui sono ai margini dei giri che contano, sono spesso meno omologabili. Sarà un caso che sono due donne le “sagge” che si sono dimesse dalla Commissione per le riforme costituzionali, per protestare contro comportamenti (del Presidente della Commissione e del suo partito) che ritenevano lesivi della dignità del parlamento e della separazione dei poteri? Una delle due, Lorenza Carlassare, avrebbe da tempo meritato di far parte della Corte, probabilmente più di altri che invece sono entrati. Chissà per quanto ancora dovremo accettare che ci sia posto per una donna soltanto, e sperare che non venga eliminato anche questo. Del resto, è successo lo stesso con la nomina dei senatori a vita: l’unica donna nominata da Napolitano nell’ultima tornata va di fatto a riempire il posto lasciato vuoto da Rita Levi Montalcini, la prima donna ad essere nominata senatore a vita. Anche in questo caso, viene ribadita la quota implicita.
A questo punto rivolgo una sola preghiera, a Napolitano (anche ad Amato): per favore, risparmiateci nobili moniti sulla necessità di valorizzare le donne.
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