MARIA NOVELLA DE LUCA e DIEGO LONGHIN
Repubblica 24/9/2013
BAMBINI a lezione di
“rispetto tra i generi” per combattere omofobia, razzismo, e
rifiutare sempre e comunque la violenza sulle donne. Contro il
femminicidio parte dal comune di Torino il primo progetto
istituzionale in Italia di “educazione alla differenza” nelle
scuole.
BAMBINI e ragazzi
chiamati a capire e scoprire cosa vuole dire la parità tra i sessi.
Perché di fronte alla tragedia del femminicidio, e di tutte le nuove
forme di razzismo, è da loro che bisogna ricominciare. Nelle aule
dei più piccoli e in quelle dei più grandi, in palestra, fuori
dalle scuole, nei campetti di calcio, all’oratorio. In quell’età
acerba in cui molto si scopre, molto si sperimenta, ma subito si
sovrappongono giudizi, stereotipi. Così nelle scuole elementari di
Torino si analizzeranno fiabe e cartoni animati, e alle medie si
discuterà di Storia, ma partendo, finalmente, dal punto di vista
femminile. Educazione sentimentale 2.0. Se a Torino le “lezioni di
genere” salgono in cattedra, il movimento è in realtà più ampio,
è fatto di genitori, insegnanti, educatori, che hanno deciso di
reagire, preoccupati dalla deriva “intollerante” delle
generazioni più giovani. Quelle stesse che quando arriva
l’adolescenza partecipano o subiscono le campagne su Facebook, dove
il sesso è un’arma, e chiunque sia differente viene emarginato,
con conseguenze a volte irreparabili. Gli adolescenti suicidi, il
femminicidio, l’anoressia in nome di una bellezza impossibile…
Spiega Umberto Magnoni, direttore del settore formazione del Comune
di Torino: «Se ho la giusta percezione della differenza, se
riconosco il ruolo dell’altro sesso, so anche che quella persona
non è inferiore a me».
In Francia l’hanno
chiamato “Abcd de l’egalitè”, un vero e proprio programma
ministeriale per le scuole primarie, in Svezia sono ripartiti dagli
asili, in Inghilterra dalle campagne contro i negozi di giocattoli
troppo “sessisti“, in Italia molti licei organizzano
spontaneamente corsi di “educazione
di genere”.
Gran parte di questi corsi, seguiti negli ultimi due
anni da oltre sedicimila studenti, sono organizzati da un team
coordinato da Lorella Zanardo, manager, scrittrice e autrice alcuni
anni fa di un fondamentale documentario “Il corpo delle donne”,
visto online da 5 milioni di persone.
«Dopo il successo di quel
documentario, in cui mostravo come i media mercificassero il corpo
delle donne, ho ricevuto centinaia di richieste da parte di
professori e professoresse, che mi chiedevano di incontrare i ragazzi
proprio per parlare di questi temi, consapevoli di quanto la
televisione influenzi i rapporti tra i sessi». Da qui è nato un
fortunato progetto, “Nuovi occhi per i media”, con cui Zanardo e
il suo team stanno girando le scuole d’Italia. «Mostriamo ai
ragazzi i programmi che seguono di più, e poi senza mai criticare le
scelte, proviamo a far vedere come dietro una semplice ripresa ci
siano mille contenuti.
Uno dei tanti quiz di
prima serata ad esempio: quando entra la candidata la telecamera
prima inquadra le gambe, poi risale verso il seno, si ferma sulla
scollatura, e infine mostra la faccia. Quando entra il candidato uomo
lo zoom è subito sul volto…».
Una decostruzione
dell’immagine insomma, che dopo le prime resistenze, i ragazzi
iniziano a seguire. Perché, paradossalmente, i figli delle madri
cresciute negli anni della lotta per la parità e del femminismo,
stanno vivendo un salto all’indietro nel rapporto tra ragazzi e
ragazze. Graziella Priulla, docente di Sociologia all’università
di Catania, ha pubblicato di recente un manuale per le scuole
superiori dal titolo “C’è differenza”. Un viaggio attraverso
tutte quelle leggi, dal voto al divorzio all’aborto che hanno
cambiato la vita delle donne. Ma un racconto anche della violenza
maschile, e dello sfruttamento del corpo femminile. «Parlando con i
miei studenti mi sono accorta che non sapevano nulla di tutto questo.
Le ragazze cercano sempre di più di assomigliare a stereotipi
tradizionali, i maschi si offendono se si chiede loro chi lava i
piatti in famiglia…”.
Da una parte la
sessualità sempre più esibita e precoce, dall’altra una
grammatica dell’amore nutrita di simboli che si pensavano superati
per sempre. «Nella mia classe ho delle studentesse brillantissime ma
del tutto soggette alla volontà dei loro fidanzati coetanei»,
racconta Maria Monni, prof di Matematica di Cagliari. «Negli ultimi
anni ho visto affievolirsi il sentimento di autonomia delle ragazze e
aumentare il senso di orgoglio dei maschi in quanto maschi. Una vera
regressione». Che ci sia ormai uno scarto infatti tra ciò che sono
le bambine e le ragazze e la loro rappresentazione nella società è
sempre più evidente. Lo sottolinea Irene Biemmi, ricercatrice
di Scienza
dell’Educazione all’università di Firenze, che ha analizzato
decine di libri di testo delle scuole elementari, per descrivere poi
il ruolo femminile che ne emerge. «Un’analisi sconfortante —
ammette Biemmi — i maschi fanno almeno 50 professioni diverse, e
molte prestigiose, e le donne soltanto 15, e tra queste ci sono la
mamma, la fata e la strega…». E naturalmente anche la maestra,
visto che l’82% del corpo docente è femminile, ma purtroppo e
paradossalmente, «sono le stesse insegnanti a veicolare modelli
arcaici, e infatti è proprio dalla loro formazione che si dovrebbe
ricominciare».
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