“Eravamo marea, ora siamo un oceano e nessuno scoglio ci potrà fermare”: l’assemblea plenaria di Nonunadimeno si è conclusa con queste parole alle 16,45 di una domenica pomeriggio piovosa che non ha raffreddato le grida gioiose e gli applausi nelle aule di Giurisprudenza dell’Università di Bologna (foto). L’ingresso di via Belmeloro 14, la mattina di sabato 4 febbraio era affollato da centinaia di donne e uomini che per due giorni (il 4 e 5 febbraio) si sono confrontate e hanno discusso su otto tavoli tematici: lavoro e welfare, femminismo migrante, diritto alla salute sessuale e riproduttiva, educare alle differenze, percorsi di fuoriuscita dalla violenza, sessismo nei movimenti, narrazioni della violenza attraverso i media, piano legislativo e giuridico. Milleseicento attiviste hanno portato proposte, idee e progetti. Donne di ogni età, settantenni della prima ora del movimento e diciassettenni, insieme a donne delle altre generazioni si sono ritrovate ancora, grazie a quest’ultima straordinaria ondata femminista che non cessa di fluire. Alla faccia de “il femminismo è morto” o “il femminismo ha perso”, tormentoni ricorrenti negli ultimi vent’anni che ne cantavano il de profundis come se il movimento delle donne fosse impegnato in un match a punti. Le donne in movimento erano lì a ostinarsi nel tessere cambiamenti, giorno dopo giorno, in anni buoni e anni brutti.
Le due giornate bolognesi sono la prosecuzione di un percorso cominciato il 26 novembre scorso con la manifestazione che ha visto la partecipazione di oltre duecentomila donne e uomini a Roma e con la prima assemblea del 27 novembre svoltasi all’Università La Sapienza. Il Piano femminista contro la violenza che Nonunadimeno vuole costruire è contrapposto a quello varato dal governo nel 2015 (in scadenza il prossimo giugno) che non riconosce i saperi femministi e non valorizza il ruolo politico dei Centri antiviolenza, parificati a qualunque altro servizio del privato sociale. Il Piano lascia saldo nelle mani del governo e delle sue amministrazioni, un ruolo centrale nelle politiche che troppo spesso impongono strategie di contrasto alla violenza di stampo ancora securitario, dirette a controllare le donne invece che a rafforzarle. I percorsi di uscita dalla violenza sono ancora difficili e complicati, la Convenzione di Istanbul resta lettera morta in molti dei suoi articoli e le istituzioni adottano ancora uno sguardo neutro sulla violenza che ri-vittimizza le donne in una società ancora conservatrice e arretrata rispetto a quelle del nord Europa. I media non agevolano il cambiamento perché rappresentano in maniera distorta la violenza e i ruoli di genere e diventano megafono di stereotipi e sessismo.
Durante i tavoli si è parlato anche di povertà e di precariato, di diritti Lgbt e di discriminazioni verso le donne migranti, perché la violenza non è solo quella che avviene nelle relazioni di intimità: c’è la violenza di interventi politici che rispondono alla crisi erodendo diritti, tutele, welfare, dando per scontato che siano le donne con il loro lavoro di cura a sostituire politiche sociali assenti. E’ ancora violenza quella di Stati che costruiscono muri contro l’immigrazione o promulgano leggi per respingere e deportare. E’ ancora violenza quella di uno Stato che ha smantellato i consultori e continua a lasciare la legge 194 ostaggio dell’obiezione, cosiddetta “di coscienza”, che spesso cela l’ipocrisia di ginecologi che attuano una volontà di controllo dei corpi delle donne o sono mossi da opportunismi di carriera. Sono stati ancora molti altri i temi affrontati ma non è possibile elencarli tutti.
A Bologna è stato fatto il punto per la mobilitazione per lo Sciopero globale produttivo e riproduttivo delle donne in occasione dell’8 marzo, si tratta di una iniziativa che ha precedenti illustri e questa volta è stato lanciato dalle donne argentine (Niunamenos) che hanno ricevuto l’adesione di più di venti Paesi. Sabato hanno aderito anche le statunitensi che, dopo il successo della Women’s March contro il neopresidente Usa Donald Trump, continuano la loro lotta.
La prossima Giornata Internazionale della donna tornerà a essere un momento di mobilitazione femminista dopo anni di insignificanza che l’aveva trasformata in una ricorrenza di bisbocce tra amiche, streaptease maschili, mercatini di mimose col prezzo alle stelle, con uno sfruttamento commerciale dell’evento anche da parte di ristoranti e locali notturni. A breve, Nonunadimeno indicherà 8 punti per l’8 marzo che saranno il riferimento per l’organizzazione di mobilitazioni territoriali per aderire allo Sciopero globale delle donne. Ci sarà un’astensione reale o simbolica dal lavoro produttivo e riproduttivo e il coinvolgimento di donne dentro e fuori i luoghi di lavoro. Sarà una protesta attuata con modi anche inediti (ci saranno sorprese), durerà 24 ore, i suoi colori saranno il nero e il fucsia e il simbolo la matrioska di Nonunadimeno.
Fino ad oggi alcuni sindacati di base hanno aderito, ma hanno lanciato anche l’astensione dal lavoro per il 17 marzo nel comparto della scuola. Una scelta criticata da Nonunadimeno che ha invitato i sindacati di base, a ripensare la loro scelta facendo convergere le due date mentre la Cgil, che pure aveva sostenuto la manifestazione del 26 novembre, non ha ancora lanciato alcuno sciopero e si dubita lo farà anche per difficoltà, così dice il sindacato, di carattere organizzativo e tempi stretti.
Diamoci da fare perché tira una brutta aria. Donald Trump e altri leader con vocazione ultraconservatrice (tra cui non mancano donne come Marine Le Pen) cavalcano politiche reazionarie e fondamentalismi di stampo misogino mentre innalzano muri e costruiscono nuove segregazioni. Contro questo backlash un femminismo internazionale attraversa i confini degli Stati e mira ad abbattere quei muri. Non illudiamoci, è una battaglia lunga e difficile. Si continua a tessere il cambiamento anche con lo sciopero globale dell’8 marzo. Le idee sono chiare cosa ci riserva il futuro un po’ meno.
In bocca al lupo a tutte.
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