domenica 25 febbraio 2018

Bistrattate e vincenti. Le atlete italiane vincono tantissimo, ma per lo Stato italiano sono tutte "dilettanti"

La denuncia dell'associazione Assist: "A PyeongChang una delegazione paralimpica di soli uomini". Josefa Idem all'Huffpost: "I loro trionfi imporranno il cambiamento"
Girl Power. Le atlete italiane vincono tantissimo. Rispetto ai colleghi maschi, le loro storie spiccano per forza e determinazione, entrando nell'immaginario collettivo del mito in maniera molto più profonda. L'oro di Sofia Goggia nella discesa libera alle Olimpiadi invernali di Pyeongchang non è che l'ultimo atto di una favola Azzurra scritta in buona parte dalle donne. La tripletta d'oro al femminile ai Giochi invernali - Sofia Goggia, Arianna Fontana, Michela Moioli - dà nuovo lustro allo sport femminile italiano, ma al tempo stesso invita a riflette su un percorso troppo spesso a ostacoli, soprattutto per le donne. Perché tutte queste atlete ed ex atlete – dalla calciatrice Patrizia Panico alla stella del nuoto Federica Pellegrini, dalla schermista Elisa Di Francisca a Bebe Vio – per lo Stato italiano sono solo "dilettanti".
Un paradosso tutto italiano che racconta una delle molte facce di una discriminazione difficile da sradicare. Ne abbiamo parlato con Luisa Rizzitelli, presidente di Assist – Associazione Nazionale Atlete, che dal 2000 si occupa dei diritti delle atlete italiane. "Le donne italiane vincono tantissimo, sono una fucina di medaglie in tutte le discipline. L'aspetto clamoroso è che ancora oggi, in Italia, le donne non hanno diritto d'accesso a una legge dello Stato (la n. 91 del 1981) che regola i rapporti tra società e sportivi professionisti. Ciò significa che in Italia nessuna donna, né Sofia Goggi né Federica Pellegrini, né l'atleta più vincente che ti viene in mente, merita lo status di professionista. Per lo Stato italiano, sono tutte dilettanti".
La differenza non è solo un titolo nel biglietto da visita. "Essere dilettanti – sottolinea Rizzitelli - vuol dire essere relegate al ruolo di chi lo sport lo fa per diletto, quando invece non è così. Vuol dire non avere contratti, maternità, pensione, tfr, nessuna delle tutele basilari che dovrebbe avere chi fa dello sport il proprio lavoro".
I corpi militari colmano in parte questo vuoto assumendo molte atlete in cambio di prestigio e visibilità. "Non è un caso se una marea di medaglie, nello sport italiano, arriva da lì: quando un corpo militare ti assume, diventi un lavoratore a tempo indeterminato, hai uno stipendio, una tredicesima, la maternità, accumuli contributi. Io per esempio ho giocato a pallavolo per 15 anni e non ho potuto versare una lira di ciò che ho guadagnato", spiega la presidente di Assist.
La stessa Goggia fa parte delle Fiamme Gialle; Federica Pellegrini è ufficialmente una guardia penitenziaria; la schermista Elisa Di Francisca gareggia per la Finanza, mentre la sua ex capitana Valentina Vezzali è in polizia, così come la campionessa paralimpica Bebe Vio.
La legge 91/1981, pensata per regolare i rapporti di lavoro in ambito sportivo, lasciava alle federazioni la possibilità di scegliere se aprire le porte al professionismo in base alle direttive del Coni, ma a distanza di 37 anni quelle direttive non sono ancora arrivate, così solo quattro discipline si sono regolamentate - calcio, golf, ciclismo e basket – riservando però lo status di professionisti solo agli uomini.
Josefa Idem, campionessa mondiale e olimpica nella specialità del kayak individuale, sottolinea che questo è un problema non solo delle donne, ma anche degli uomini. "Oggi lo sport è cambiato rispetto al passato. Grazie alle sponsorizzazioni e alle scritture private, abbiamo atleti che dedicano molta parte della vita allo sport, arrivano fino a 35-40 anni senza nessuna forma di previdenza sociale. Dobbiamo riconoscere che questo in futuro ci porrà di fronte a un problema sociale". Quanto alle donne - prosegue Idem - "stanno facendo vedere che sono molto molto brave. Saranno i loro trionfi a imporre il cambiamento".
Sia Idem che Rizzitelli individuano "un grande problema di rappresentanza" per le donne italiane nello sport. "Il 90% della rappresentanza politico-sportiva è maschile", nota Idem, la cui esperienza come ministra per le Pari Opportunità, lo Sport e le Politiche Giovanili è durata solo un paio di mesi.
Più dura la presidente di Assist: "Non abbiamo mai avuto un presidente del Coni donna, e neanche una presidente di federazione (tranne una parentesi di due mesi negli sport equestri). Il numero di dirigenti donne che ricoprono ruoli apicali nel Coni e nelle federazioni è ancora bassissimo. In un'epoca in cui si parla tanto di pari opportunità e uguaglianza di genere, non abbiamo nessun dato per poter riflettere sul gender budgeting (l'analisi del budget da una prospettiva di genere, ndr), dal momento in cui i finanziamenti del Coni vengono dati alle federazioni affinché svolgano le loro attività". E tra queste attività il perseguimento della parità di genere non è certo in cima alla lista. "A novembre – denuncia Rizzitelli - si sono tenuti gli stati generali del Coni: due giorni, oltre cento interventi in cui si è parlato di tutto, tranne che di pari opportunità. Sul tema non era previsto neanche mezzo intervento".
"È un aspetto che stride in maniera scioccante con il fatto che siamo un gioiello dello sport italiano", attacca ancora Rizzitelli. Senza contare che lo sport è un'esperienza di vita che coinvolge la società civile con numeri notevolissimi: in Italia abbiamo ben 5 milioni di persone che sono tesserate con le federazioni sportive nazionali, e ogni anno in finanziaria vengono stanziati circa 400 milioni di euro per il Coni.
"Per le donne l'esclusione dal professionismo è un problema enorme che va risolto subito: qualsiasi governo esca dalle urne dovrebbe convocare al più presto possibile un tavolo istituzionale sul tema", chiede la presidente di Assist. "È ingiusto e scandaloso che le donne non possano dire 'questo è il mio lavoro' e avere le tutele che meritano. I gruppi militari colmano un vuoto, ma non è sufficiente. È il principio stesso a essere sbagliato".
Nelle ultime ore l'associazione Assist ha denunciato sui social anche un altro fatto che non rende giustizia alle sportive italiane: nella delegazione Azzurra Paralimpica per i Giochi invernali a PyeongChang ci sono 26 atleti, tutti uomini. Una immagine che ci si aspetta dall'Arabia Saudita, non da uno dei Paesi cardine dell'Unione Europea. "Tra l'altro pare che la Federazione Sport invernali Paralimpici italiana non abbia nemmeno utilizzato tutti i posti a lei concessi dalle regole dei Giochi. Perché quindi non portare nemmeno una donna?", denunciano dall'associazione. "Magari non c'erano atlete da portare, direte voi... A noi non risulta. Anzi, per la precisione ci risulta che almeno due atlete (di cui una è stata argento olimpico a Vancouver nel 2010) fossero in condizione. A questo punto viene da chiedersi: nessuno nel Comitato Paralimpico italiano si è posto il problema di cosa vuol dire non avere nemmeno una Azzurra? Nessuno capisce quanto conti non avere una delegazione di soli maschi come l'Arabia Saudita?"
"Non portare nemmeno una donna ai Giochi Olimpici invernali non solo testimonia la disparità di crescita tra atleti e atlete nella Federazione Sport Invernali Paralimpici, ma rappresenta un danno vero per ogni bambina disabile, per ogni ragazza che non avrà un modello da imitare, un sogno da seguire. Per noi non è poco, per noi è una cocente delusione. Vediamo se qualcuno può e vuole risponderci pubblicamente", incalza la presidente, che racconta di essere rimasta "stupita e rattristata" di fronte a una lista in stile Riad.
"Vorrei capire – prosegue Rizzitelli – come è possibile che una Federazione (che anche se paralimpica vive di contributi pubblici) abbia fallito nello sviluppo di un settore femminile a tal punto da non avere neanche una donna da mandare in Corea. Al momento le nostre lamentele non hanno ricevuto risposta. Purtroppo ormai il danno è fatto, spero che almeno ci possa essere una commentatrice tecnica nelle telecronache che il servizio pubblico offre degli sport paralimpici".
Per la presidente di Assist, questo episodio riflette "una grande insensibilità culturale, la stessa che ha portato il Coni a inserire nella Walk of Fame dello sport italiano, inaugurata nel maggio del 2015, solo 13 donne su 105 atleti. Siamo andate a vedere quante donne potevano entrarci, in base ai requisiti richiesti, e ne abbiamo contate almeno 70. E invece è stata fatta una scelta: non più di 13 donne".
Il presidente del Coni, Giovanni Malago (S) e Alberto Tomba, durante dell'inaugurazione della Walk of Fame dedicata ai cento grandi campioni dello sport italiano al Foro Italico, Roma, 7 maggio 2015.
Una vera proposta di riforma della legge 91 non c'è mai stata, denuncia ancora la presidente di Assist. "Il problema va discusso in modo talmente ampio che nessun disegno di legge può essere recuperato. Il prossimo governo deve capire che lo sport italiano produce il 2,8 del Pil: il movimento sportivo italiano ha bisogno di una riforma radicale sul lavoro sportivo. Non mi riferisco solo agli atleti, ma anche agli allenatori, ai dirigenti, agli istruttori... c'è tutto un mondo da regolamentare che ora è lavoro sommerso, senza una dignità giuridica. È necessario che chi va al governo se ne occupi davvero".
Una piccola toppa al problema è stata messa dal ministro Luca Lotti. Tra poco verranno emanati i decreti attuativi di un provvedimento approvato in finanziaria che prevede un assegno di maternità per le atlete madri. "Un piccolo rimedio attorno a una situazione vergognosa, perché attualmente le atlete che rimangono incinte se ne vanno a casa. Sono persone che fanno un lavoro impegnativo, usurante – perché fare l'atleta, ve lo assicuro, lo è – che quando aspettano un bambino non hanno diritto a nulla", spiega Rizzitelli.
Il #MeToo, lo scandalo mondiale delle molestie sessuali, non è riuscito a rompere il muro di gomma dello sport italiano. "C'è un gravissimo ritardo nell'avere il coraggio di parlare di questi temi anche all'interno delle società e del mondo sportivo. Come Assist stiamo preparando progetti per informare e insegnare cosa vogliono dire le parole stereotipi, abusi, molestie... Abbiamo dalla nostra parte molte campionesse. Ma c'è bisogno di molto più coraggio e voci più forti per cambiare davvero la cultura".
http://www.huffingtonpost.it/2018/02/21/bistrattate-e-vincenti-le-atlete-italiane-vincono-tantissimo-ma-per-lo-stato-italiano-sono-tutte-dilettanti_a_23367498/




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