giovedì 10 maggio 2018

ALLE DONNE PIACE SOFFRIRE? Spunti per una Rivoluzione

L’altro giorno mi aggiravo in un supermercato Coop, quando sono finita in un reparto giocattoli: macchinine, trattori e robot per i maschi, e addestramento alla bellezza per le femmine. C’erano delle bambole ispirate alla tipologia “barbie”, in una fascia di prezzo molto più economica dell’originale (appena 7,00 €); mi ha colpita come un pugno allo stomaco la magrezza delle gambe, che ho associato all’istante a quella dei corpi consumati dalla fame degli internati nei lager nazisti. Erano rimaste solo la pelle e le ossa. La bambola è una sorta di barbie-lager, il cui scopo sembra sia quello di normalizzare nella mente delle bambine la magrezza estrema.barbie_frida_kahlo_Sulla magrezza e la bellezza stereotipata della vera Barbie si è già detto di tutto; oggi la Mattel asseconda la crescente ondata di “orgoglio femminile” con la produzione di 17 bambole ispirate a figure di donne famose: sembra voler mutuare in una “versione bambola” i contenuti  del libro di successo mondiale “Storie della buona notte per bambine ribelli”. Se da un lato è positivo raccontare la storia di donne “vincenti”, dall’altra permane lo stereotipo della magrezza, una specie di ossessione anche per la Mattel: per esempio la bambola ispirata a Frida Kahlo ha braccia simili a stecchini, il collo sottilissimo, e sarei curiosa di vedere sotto i vestiti coloratissimi se il corpo è sempre quello della Barbie classica. Dovrebbe riportare tutte le cicatrici di Kahlo, dall’incidente che le devastò il corpo agli interventi che subì, per insegnare alle bambine e ai bambini la tenacia, e che la bellezza di un essere umano non risiede nella “perfezione” del suo corpo. Così le giovani generazioni capirebbero che Kahlo per esprimere sé stessa attinse anche a quel dolore, trasformandolo in arte. Ma è più probabile che si desideri raccontare una storia diversa, quella di un corpo magrissimo e “perfetto”, là dove invece ci furono disabilità e molta sofferenza. Mi chiedo anche dove siano finiti i baffetti di Frida: una censura di ceretta si è abbattuta sul viso della bambola, non sia mai che poi le giovani donne diventino tutte come Clark Gable.
Ma torniamo alle bambole con le gambe filiformi: il produttore avrà deciso di costruire le gambe prive di muscoli e grasso per risparmiare sulla plastica, approfittando della moda della magrezza? Quello che possiamo vedere è la rappresentazione di una giovane donna affetta da anoressia, il cui corpo assomiglia in modo inquietante a quelli ritratti nelle foto in mostra sui siti internet Pro-Ana, come questa pubblicata in un articolo de Il Fatto Quotidiano: benché la bambola si presenti come una sportiva con tanto di tavola da surf, sfoggia cosce spolpate sino all’osso, e ginocchia che davvero rievocano i poveri corpi martoriati nei lager nazisti.
Dubito che una donna con una figura ridotta a scheletro sia in grado di fare una rampa di scale, figuriamoci surfare sulle onde del mare. La bambolina non è però tutta anoressica, la testa è normale: se fosse tutta anoressica avrebbe un viso emaciato e orbite scavate, 20180416_180506invece sorride con improbabili denti bianchissimi. Ci sta dicendo che la magrezza non fa male ma rende felici, si può persino praticare uno sport: glielo vogliamo mettere bene in testa alle bambine che quando saranno giovani donne dovranno sempre esibire il proprio corpo magrissimo ed essere perennemente affamate? Glielo vogliamo insegnare subito che per essere “belle” (il primo obiettivo nella vita di una donna) non devono avere né muscoli né grasso? Con un corpo così una persona stenta a sopravvivere, ma questo però alle bambine non glielo diciamo, che sennò poi si spaventano.
Queste bambole sono destinate alle vostre figlie, in modo che imparino subito ad essere deboli: come dice Naomi Wolf “[…] a cultural fixation on famele thinness is not an obsession about female beauty, but an obsession about female obedience. Dieting is the most potent political sedative in women’s history; a quietly mad population is a tractable one”, ovvero “la fissazione culturale sulla magrezza femminile non è un’ossessione sulla bellezza femminile, ma un’ossessione sull’obbedienza femminile. La dieta è il più potente sedativo politico nella storia delle donne; una tranquilla e squilibrata popolazione è una popolazione docile”, (Naomi Wolf, The Beauty Myth: How Images of Beauty Are Used Against Women, 1990). La società vuole donne depotenziate: la magrezza estrema spegne la sessualità e la vitalità, la fame permanente conseguente alla privazione di cibo offusca l’istinto; al corpo è concesso il solito ruolo marginale di oggetto sessuale passivo, con genitali glabri e piccole labbra modellate chirurgicamente, donne condannate ad essere eterne bambine: vulnerabili, remissive e ubbidienti. Così mai nulla cambierà al mondo, nessuno vedrà mai che cos’è una donna non addomesticata dalla cultura.
A proposito della forma del corpo, Clarissa Pinkola Estés dice:
“Avere molto piacere in un mondo pieno di tanti tipi di bellezza è una gioia della vita cui ogni donna ha diritto. Sostenere un unico tipo di bellezza è come essere inosservanti della natura. […] Non può esistere un unico tipo di seno, di circonferenza, di pelle. […] Se i disordini dell’alimentazione coatti e distruttivi che distorcono le misure e l’immagine del corpo sono reali e tragici, per la maggior parte di donne non sono la norma. Per lo più le donne sono alte o basse, grasse o magre, semplicemente perché hanno ereditato le caratteristiche fisiche dagli avi, vicini o lontani. Giudicare o malignare sulla fisicità ereditata da una donna produce generazioni di donne ansiose e nevrotiche.”
E ancora:
“I giudizi severi e perentori sull’accettabilità del corpo creano una nazione di ragazze alte ingobbite, di donne basse sui trampoli, di donne formose vestite a lutto, di donne magrissime che cercano di gonfiarsi come rane e di varie altre donne che non abbandonano il loro nascondiglio. Distruggere l’istintiva affiliazione di una donna con il suo corpo al naturale la froda della fiducia e la induce a perseverare nel dubbio se è una brava persona o no, e a basare la stima di sé su come appare e non su quel che è”.
Come nei dei cartoni animati I Barbapapá ormai abbiamo gli strumenti per assumere la forma che vogliamo, così noi abusiamo di diete, chirurgia estetica, botulini, siliconi e cosmetici, per trasformarci in stereotipi. Dice Pinkola Estés:
“Il concetto di corpo in quanto scultura, proprio della nostra cultura, è sbagliato. Il corpo non è un marmo. Non è questo il suo fine, che è piuttosto proteggere, contenere, sostenere e infiammare lo spirito e l’anima che alberga, essere un deposito per la memoria, colmarci di sentimenti, cioè il supremo nutrimento psichico”. (Clarissa Pinkola Estés, “Donne che corrono coi lupi”, Sperling&Kupfer, capitolo 7 “Il corpo giocoso: la carne selvaggia”).
La magrezza imperante negli stereotipi è la negazione di quello che Pinkola Estés definisce il “corpo numinoso”, della sua natura sacra. L’anoressia è un disturbo alimentare che viene di solito associato al benessere dei paesi più sviluppati, soprattutto rilevandone l’assenza nei paesi più poveri di Africa e America Latina, o la presenza molto bassa nei paesi di cultura araba: associarlo al benessere ha la funzione di colpevolizzare la donna perché sottintende “sei fortunata, hai tutto quello che vuoi e ti fai venire queste paturnie estetiche?”; la verità invece è che la maggiore incidenza di questa malattia si manifesta nei paesi nei quali le donne sono più libere, perché è semplicemente il prezzo da pagare per l’emancipazione; Naomi Wolf sottolinea nel preziosissimo “Il mito della bellezza” che la bellezza femminile continua ad essere percepita in modo metafisico, quando invece è il prodotto di una cultura, di esigenze di mercato e soprattutto di politica.
Il fascino della magrezza contiene una contraddizione assurda. Se essere snella equivale ad essere desiderabile, il digiuno diventa una forma di autolesionismo in previsione di una improbabile gratificazione sessuale: infatti essere sottopeso comporta alcune conseguenze che impediranno l’espressione di una sana sessualità, ossia il calo della libido, accompagnato dalla sparizione del ciclo mestruale e dalla riduzione del volume del seno, a causa del deficit di ormoni femminili; il corpo si mette “in riserva”, deve dosare le energie per sopravvivere e la sessualità non è indispensabile a questo scopo. La riproduzione potrebbe essere persino fatale. Si accompagnano al quadro clinico dell’anoressia altri gravi danni: alle ossa, con osteopenia e osteoporosi, la  caduta dei capelli, il danneggiamento dei denti (soprattutto in presenza di vomito autoindotto), la pelle secca, la bradicardia, l’ipotensione, la fragilità di unghie e capelli, l’atrofia muscolare. Altre importanti complicanze sono:
Anemia;
Problemi cardiaci;
Problemi gastrointestinali;
Danni renali;
Danni a carico del cervello e dei nervi periferici;
Depressione e/o ansia persistenti;
Disturbi della personalità e disturbi ossessivi-compulsivi;
Dipendenza da alcol o altre sostanze
Morte.
Soffrono di anoressia circa 3 milioni di persone in Italia, il 95% sono donne. È sempre più bassa l’età dell’esordio, vista la pressione sociale sulle bambine. La fascia più critica è quella dai 15 anni ai 25: seconda causa di morte tra gli adolescenti dopo gli incidenti stradali, la prima tra le ragazze (OMS). Può esordire anche prima, a 10-11 anni.
La dieta ovviamente non riguarda solo le giovani tra i 12 e i 25 anni con disturbi dell’alimentazione: senza arrivare all’estremo dell’anoressia, la dieta è un ergastolo, una condanna per quasi tutte le donne di cultura occidentale, in perenne lotta con la bilancia e in conflitto con la propria immagine nello specchio; più o meno per tutta la vita le donne sperimentano un permanente senso di inadeguatezza estetica: l’intelligenza e le energie femminili sono dirottate sull’aspetto fisico sino da bambine, l’aderenza agli stereotipi diventa fondante per la loro autostima e si realizza così il disinnesco delle potenzialità femminili, come racconto in “Alle donne piace soffrire?”.
Sono all’ordine del giorno le notizie di donne morte sotto i ferri durante interventi per cambiare la forma del loro corpo, come pure gli episodi di body-shaming, il bullismo verso le persone sovrappeso, e qualche giorno fa una giovane per questo motivo si è tolta la vita.  Mi piacerebbe che Coop, che parla spesso di etica, non vendesse prodotti che possono indurre giovanissime consumatrici ad assimilare standard estetici ispirati ad una malattia grave come l’anoressia: il fenomeno di questo disturbo dell’alimentazione è sicuramente molto complesso e non può essere ridotto neanche alle sole pressioni dei canoni estetici, ma il peso di questi è indiscutibile.20180421_120239
Sarebbe opportuno che ai consumatori fossero proposti giochi innovativi che sviluppino l’intelligenza e le attitudini dei giovanissimi, al di fuori degli stereotipi di genere. Non chiedo Barbie Cellulite e Ken Beer Belly, domando solo di non castrare le giovani menti inculcando il mito della bellezza/magrezza nelle bambine e il mito della forza nei bambini, stereotipi che producono la società squilibrata nella quale viviamo.  20180421_120207Oggi ero in stazione e ho visto esposti nella vetrina di un tabaccaio alcuni giochi: per i maschi è prevista azione, forza, coraggio e violenza; per le bambine addestramento alla maternità, beauty e lavori di casa: un bel mini-mocio per lavare i pavimenti, scope, detersivi, così impari subito qual è il tuo posto. Non importa se le donne ormai diventano astronaute, ingegnere, architette, avvocate, scienziate, ministre, ecc., la società ci prova sempre e comunque a ridimensionare le nostre ambizioni. Ma come diceva Pier Paolo Pasolini T’insegneranno a non splendere. E tu splendi, invece.

“La dieta è il più potente sedativo politico nella storia delle donne”, e affamate non si può fare la Rivoluzione.
https://alledonnepiacesoffrire.wordpress.com/2018/04/21/il-gioco-dellanoressia/

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