lunedì 3 dicembre 2018

Alessandra Schilirò ci spiega come riconoscere la violenza sulle donne di Melissa Aglietti

Vice questore, ha diretto la quarta sezione della squadra mobile di Roma, che si occupa di reati sessuali. Ne ha scritto nel libro Soli nella notte dell’anima.
 
«L’amore è il primo fattore chiamato in causa dagli uomini in caso di femminicidio. Ecco perché è necessario diffondere una cultura che insegni a essere liberi di esprimere ciò che si è, nel rispetto dell’altro. Ed educare all’amore, quello vero». Nunzia Alessandra Schilirò, vice questore aggiunto in servizio all’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, ha diretto per quattro anni la squadra mobile di Roma, occupandosi di alcuni dei reati sessuali che più hanno sconvolto l’opinione pubblica. Nel suo libro Soli nella notte dell’anima – Come reagire alle molestie in casa, al lavoro, per strada (edizioni Imprimatur) raccoglie i frutti del suo lavoro sul campo a fianco delle vittime. «Non potevo permettere che la mia esperienza rimanesse sterile. Volevo condivisione». Un manuale che si rivolge non solo a chi subisce abusi e molestie, ma anche a chi si trova ad assistere a episodi di violenza e a maltrattamenti come semplice spettatore, con esempi tratti da storie vere, strategie da seguire e consigli pratici. Suggerimenti che il vice questore continua a diffondere anche attraverso la sua pagina Facebook. «Voglio essere utile a tutti. Anche a chi non posso aiutare direttamente».
DOMANDA: Come si riconosce la violenza?
RISPOSTA: Secondo la Convenzione di Istanbul, può essere di natura fisica, sessuale, economica o psicologica. Spesso, però, è difficile dimostrare di avere a che fare con un caso di violenza.
Perché?
Ad esempio, secondo il nostro Codice penale, la violenza sessuale si presenta ogniqualvolta si cerchi l’appagamento sessuale con la minaccia, l’abuso di autorità o la forza fisica. Ma, da questo punto di vista, rimangono escluse una serie di dinamiche. Mi auguro che anche l’Italia si adegui ad altri Paesi europei: dovrebbe bastare la mancanza di consenso per considerare un rapporto sessuale un reato.
L’abuso psicologico, invece, dove comincia?
Ogni volta che un uomo non solo pretende di essere il nostro mondo ma ci isola dagli altri perché «non sono alla nostra altezza». L’isolamento sociale si trasforma poi in isolamento da noi stessi. Il nostro compagno diventa geloso anche delle nostre passioni. E inizia a distruggere la nostra autostima, dipingendoci come persone incapaci e chiedendoci costantemente prove del nostro amore. A questi momenti se ne alternano altri in cui si crede di avere al proprio fianco l’uomo perfetto. Un andirivieni di comportamenti che porta al cortocircuito emotivo.
Come reagire alla violenza?
In caso di abuso sessuale bisogna avere molto coraggio e chiamare immediatamente le forze dell’ordine senza cambiarsi i vestiti o lavarsi, perché si potrebbero eliminare delle prove fondamentali per rintracciare lo stupratore. Dalla violenza psicologica, invece, si esce cominciando a parlare con un’amica o una parente. E riprendendosi i propri spazi. Si tratta di passi importanti che preparano la strada verso la denuncia. Aiutano a riprendere contatto con quell’intimità che la donna ha soffocato per soffrire meno.
Cosa fare invece se si assiste a un caso di abuso?
Avvisare le forze dell’ordine. Ma purtroppo non è sempre facile. Si tratta di reati che si consumano principalmente fra le mura domestiche.
Cos'è Soli nella notte dell'anima? Un manuale o una raccolta di consigli derivati dalla sua esperienza sul campo?
Ѐ un insieme di storie e suggerimenti pratici rivolti a chi vive relazioni difficili e che abbraccia tutti gli ambiti della vita di una persona, dal lavoro alla strada.
Qualche esempio?
Nei casi di molestie in ambito lavorativo consiglio alle vittime di fabbricarsi prove, inviando mail al proprio capo in cui chiedere spiegazioni su comportamenti che possono essere ricondotti alla sfera del mobbing o registrando le conversazioni con i superiori e i colleghi che esibiscono un atteggiamento vessatorio nei loro confronti. Se si è abusati psicologicamente, invece, invito a non distruggere i messaggi scambiati con il proprio persecutore. Anche se non è alla persona offesa che spetta il compito di raccogliere prove.
Con quanti casi di violenza si è dovuta confrontare nel corso della sua carriera?
Molti. Roma è sconfinata. Ma anche uno solo sarebbe già troppo.
Ce ne sono alcuni che hanno toccato in modo particolare l'opinione pubblica?
Mi sono occupata, ad esempio, del caso della minorenne violentata a piazzale Clodio da un finto agente di polizia. Un episodio di cui la stampa ha parlato diffusamente.
Secondo la sua esperienza, gli episodi di violenza e molestie si sono intensificati nel corso del tempo?
I dati del Ministero degli Interni ci dicono che in reati sessuali sono in calo, ma non canterei vittoria. Molte donne non denunciano.
La violenza è un comportamento anomalo o purtroppo si tratta di un carattere tipico della nostra cultura?
Purtroppo è insita nella nostra società. Anche se poi bisogna analizzare altri aspetti.
Cioè?
Ad esempio quello legato al livello d’istruzione. Dove c’è più ignoranza sono maggiori i casi di violenza, mentre le donne laureate tendono a denunciare di più.
Spesso tra i commenti agli articoli che riportano storie di abusi compare sempre, più o meno velatamente, un «se l'è cercata». È il segno che viviamo in una società della molestia pienamente accettata da molti, sia uomini che donne?
Assolutamente sì. Un tempo ci bruciavano sul rogo se ci ribellavamo ai nostri aguzzini. Oggi ci accusano perché siamo tornate da sole a casa nel cuore della notte o perché eravamo vestite in modo non ortodosso. Per questo bisogna diffondere un nuovo tipo di cultura che insegni a essere noi stessi nel rispetto degli altri. E imparare a trattare diversamente la violenza di genere.
In che senso?
Allargandone il campo e smettendo di parlare di violenza di genere. Si tratta di un’etichetta che va a fomentare la competizione fra i sessi e che ci appiattisce sul piano biologico. Nel genere dei soggetti sensibili rientrano anche alcuni uomini. Che a furia di sopportare potrebbero trasformarsi in carnefici.
Hai parlato della necessità di diffondere un nuovo tipo di educazione. Ma come può essere la cultura una risposta alla violenza in una società in cui il ruolo dell'educatore sta lentamente scomparendo?
Ѐ una bella domanda. Stiamo convincendo i nostri ragazzi che tutto è possibile. Li trattiamo come divinità. Ma poi ci scandalizziamo se un uomo si rifiuta di essere lasciato. Da adulti si ripete ciò che si impara.
https://www.letteradonna.it/it/articoli/conversazioni/2018/11/28/alessandra-schiliro-polizia-violenza-sulle-donne/27200/?fbclid=IwAR24KW4-xt9d8TfnSsCD0A15hY7xFupBExIoY65GafT3uBrX0htU6OMeeS0

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