Al corteo femminista contro la violenza maschile sulle donne erano presenti anche degli uomini. E ci hanno spiegato i motivi per cui hanno deciso di partecipare
«Tu a questo corteo non ci dovresti stare proprio».
«Perché sono un uomo?».
«No, non per quello. Perché se non riesci a capire e ad accettare che la testa la tengano le donne è inutile che vieni».
Il botta e risposta è estratto da un video di oltre 3 minuti che repubblica.it dedicò lo scorso anno alla manifestazione di Non Una di Meno del 25 novembre. Le immagini si riferivano a un unico episodio: quello di un ragazzo che pretendeva di stare in testa al corteo, nell’unico spezzone che vedeva invece protagoniste e in prima linea i centri antiviolenza. La richiesta del ragazzo era evidentemente fuori luogo, indelicata e irrispettosa verso donne che hanno intrapreso percorsi di uscita da abusi e violenze.
Il fatto, comunque, era quasi insignificante nell’economia di quell’enorme mobilitazione che portò in piazza decine di migliaia di donne e uomini sui temi del piano femminista contro la violenza maschile sulle donne. Resta quindi il dubbio su quale dei diversi attori coinvolti abbia fatto la figura più magra: a) il maschietto che non riusciva proprio a spiegarsi perché, per una volta, non poteva prendere la testa di un corteo che evidentemente non aveva neanche aiutato a costruire; b) il giornale che aveva voluto trasformare uno scambio di battute in una notizia scandalistica da home page, con un video voyeuristico di pochi secondi più breve di quello che la stessa testata aveva dedicato alla copertura di tutta la manifestazione.
Comunque, dietro il primo spezzone aperto da donne e soggettività lgbt*qia+, la partecipazione maschile ai cortei di Non Una di Meno è sempre stata ricevuta positivamente. «Dopo tre anni possiamo vedere che anche gli uomini, a modo loro, sono parte di questo movimento – racconta Ambra, attivista di NUDM – In tanti sono entrati nei collettivi locali o in quelli delle scuole, sostengono l’attivismo delle ragazze e discutono insieme. È un segnale positivo».
Anche nel corteo di sabato scorso hanno sfilato tantissimi uomini. Una componente minoritaria, ma presente e caratterizzata da una forte intergenerazionalità. Con tutte le differenze che questa comporta. «Manifestare oggi non è un’esigenza mia personale – dice Beppe, 57 anni, insegnante a Padova – È un’esigenza politica. Bisogna contrastare le misure di questo governo che creano muri e scavano fossi». Francesco di anni ne ha 40 e lavora in televisione, a Roma: «Condivido le istanze di questo corteo. Sono un paio d’anni che leggo le cose che Non Una di Meno esprime in vari contesti. In quanto uomo non so, ma in quanto “me” sono molto d’accordo sulle posizioni del movimento». «È già il terzo anno che partecipo a questa manifestazione – racconta Alessio, informatico genovese di 34 anni – Dalle donne che conosco ascolto storie costanti di violenze subite. Non mi sarei sentito la coscienza a posto rimanendo a casa». Nicola, studente di fisica al quarto anno, università La Sapienza: «Sono venuto in piazza perché sostengo il movimento femminista. È una questione centrale al giorno d’oggi. Anche come maschi ci riguarda molto. Il modello maschilista fa male anche a noi. O almeno, personalmente sento che mi hanno inculcato fin da piccolo dei modelli di uomo e donna che mi creano problemi in prima persona. È una lotta che è giusto portare avanti per tutta la società».
Forse più di altri movimenti del passato recente, Non Una di Meno sembra avere la capacità di incidere nella vita quotidiana, sul piano dell’immaginario, della ricezione dei modelli culturali e dei dibattiti in tv e social network. Ma anche su quello delle relazioni interpersonali e della costruzione dei modelli di comportamento dentro i rapporti affettivi. Alessio: «Più che il movimento, credo mi abbiano cambiato le singole donne che ne fanno parte. Hanno influenzato il mio modo di affrontare le relazioni. Mi sento più consapevole dei miei comportamenti, quando faccio o dico cose maschiliste penso di riuscire a rendermene conto prima. È un piccolo passo». Francesco, studente universitario ventunenne: «Non Una di Meno si è posta in modo aperto. Alcune lotte femministe del passato sono state per certi versi escludenti. Mentre questo movimento ha fornito anche agli uomini strumenti nuovi di partecipazione politica». «Quando ero più ragazzino e non riflettevo su certe cose, davo per scontato le dinamiche del rapporto uomo donna – dice ancora Nicola – Un movimento come Non Una di Meno fa riflettere, migliorare e aiuta a mettersi in discussione».
Claudio ha 60 anni, fa l’educatore e ha in testa una metafora avvincente: «Gli uomini dovrebbero rifiutare l’idea di essere gli addetti a difendere la casa e procacciare il cibo. Dovrebbero vivere di più la quotidianità e il senso di cura. Ho lavorato per il servizio civile e il servizio civile, che viene dalla non violenza, trasforma la “difesa” in un’idea di cura, di prendersi cura del bene comune. Penso che questo grande cambiamento, che rivede il ruolo della polizia e l’idea della sicurezza, stia in qualche modo anche dentro le rivendicazioni delle donne».
E gli uomini, oltre a sfilare in corteo, cosa dovrebbero fare negli altri 364 giorni dell’anno? Dice Francesco: «C’è un po’ il rischio di definire l’uomo in base alla violenza, cercando spiegazioni biologiste. Sicuramente la violenza c’è perché è concessa, normalizzata e quindi spesso neanche si vede. Rispetto agli esiti più violenti, come il femminicidio, credo nascano dall’incapacità di gestire le frustrazioni. È il patriarcato che ti mette nella posizione di non poter dialogare da pari a pari. Io nel mio piccolo cerco di parlare, ma sono abbastanza convinto che dai 40 anni in su siano tutti più o meno irrecuperabili. Bisogna partire dai giovani». «Dobbiamo sforzarci di pensare dei modelli di parità nella vita quotidiana – afferma Luigi, 23 anni, studente di fisica – Non penso tanto a noi giovani a cui viene anche un po’ naturale. Penso a mio padre, in cui osservo dinamiche di un certo tipo, anche se non sono volute. Ad esempio: non l’ho mai visto cucinare. Io mi comporto molto da donna in queste cose. Non perché lo voglia fare, ma perché ci sono dei ruoli, delle diversità, che vanno conservate. Ma non queste, non le distinzioni dei ruoli di casa».
Alessio e Nicola sono d’accordo su un punto di partenza possibile. Alessio: «Gli uomini dovrebbero prima di tutto parlare ad altri uomini e non stare zitti. Anche a costo di essere derisi o visti male. Discutere, riflettere e poi far notare tutte le battute, le frasi e gli atteggiamenti sessisti». Nicola: «Iniziare a parlarne tra di noi, sentire che c’è un problema».
https://www.dinamopress.it/news/non-una-di-meno-voci-maschili-marea-femminista/?fbclid=IwAR2wmRt6YneHgWBw_6ulVVTK7iLWpBpzKkUTfpb0Uh6LCHqmx-71QwYhBg0
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